sabato 30 novembre 2019

Romani 10,9-18 e Matteo 4,18-22
Sant'Andrea Apostolo
Cuore e bocca

La prima lettura è un vero gioiello letterario, una stupenda descrizione delle conseguenze della fede viva: cuore e bocca! Con il cuore si crede e con la bocca si fa professione di fede. La fede nel cuore è forza, consolazione è pienezza di vita, e se è questo, "nessuno sarà deluso"; la fede è antidoto alla delusione! La fede sulla bocca è testimonianza perché agli uomini sia possibile invocare il nome del Signore. "Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci?"
In quel camminare lungo la riva del lago di Galilea, Gesù, a cercato prima di tutto lo sguardo di alcuni amici, qualcuno che volesse vivere con lui, non semplicemente una proposta è un progetto di vita, ma proprio una amicizia e una fraternità. Il Dio fatto uomo, non è esente dal desiderio di un affetto ricambiato, e questo non significa minarne la sua perfezione e trascendenza. L'affetto, l'amicizia e la fraternità altro non sono che la manifestazione umana della carità eterna e universale da cui ogni "cosa" trae esistenza e vita. Gesù cammina lungo il lago, ricercando prima di tutto chi è disposto a ricambiare il suo affetto, la sua amicizia, la fraternità insieme a Lui. Gli apostoli, sono in questo senso intimi, perché non sono solo i primi a seguire, ma proprio perché si mettono nella sequela sono amici che restituiscono al Signore lo spazio del loro cuore, vivendo insieme a Lui l'esperienza della fraternità. Ed ecco che si riempirono i loro cuori e la bocca diviene capace di testimoniare.

venerdì 29 novembre 2019

Daniele 7,2-14 e Luca 21,29-33
Imminente, sale, arriva, l'attesa si compie!

"... ed ecco, i quattro venti del cielo si abbattevano impetuosamente sul Mare Grande e quattro grandi bestie, differenti l’una dall’altra, salivano dal mare ..." 
La bellissima visione di Daniele, stravolge la serenità del presente con delle immagini, quelle delle bestie che rivelano la nostra completa inadeguatezza, nessuno può contrastarle. Ma in questo progredire inarrestabile, le "bestie", ci accompagnano nella uguale progressiva rivelazione del "figlio dell'uomo": "Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo ..."
Una immagine, questa, che pone una definitività al progredire della nostra storia secondo la volontà di Dio.
Nell'oggi, in questo "guazzabuglio", un discepolo di Gesù spesso si pone questa domanda: "Che cosa resta della Chiesa? La sensazione diffusa è lo smarrimento, per una realtà che ormai non vede nella Chiesa quell'alto riferimento etico e morale che si era guadagnata col sangue dei martiri. Oggi la Chiesa, in particolare in tra noi, passa per una congrega residuale di "cattolici"; per una associazione più o meno benemerita con finalità filantropiche simile a tante altre; passa per un ente assistito e finanziato dallo stato, ente del quale non si comprende l'utilità. Alla Chiesa non si chiede più di essere all'altezza della mediazione tra Dio e l'uomo - non interessa più - ma c'è una sorta di diffusa rivendicazione circa le sue mancanze: pedofilia, immoralità, spregiudicatezza economica. Ecco che l'estate è vicina, già tutto era germogliato e i frutti del "fico" sono ormai maturi e pronti per la raccolta, quindi il regno di Dio è vicinissimo, in tutto ciò che accade il regno di dio ha accorciato le distanze. Qui si vede quale generazione fa discernimento del tempo presente.

giovedì 28 novembre 2019

Daniele 6,12-28 e Luca 21,20-28
Oggi, come nella fossa dei leoni!

La lettura del Vangelo di Luca, ci porta dentro una immagine apocalittica: "Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina ...". Una frase che introduce una storia ampiamente rievocata e rivissuta già anticamente per questa città. Ma è proprio a partire dalla lettura della realtà che il Vangelo ci chiede: "Ci troviamo all'interno del discorso sulla fine del mondo o sul fine del mondo? Perché viviamo in questa storia? Perché siamo su questa terra? Come finirà la nostra storia? Siamo di fronte alla fine o a un fine che si compie? Quale prospettiva esiste di fronte al "guazzabuglio" della realtà?
Oggi di fronte agli avvenimenti della storia, anche i discepoli di Gesù, anche ma Chiesa, vivono il travaglio della complicità con le logiche del mondo; vivono il disprezzo e l'indifferenza verso la Parola di Dio e la sua possibilità etica (cioè di valore) e morale (cioè di scelte e comportamenti) di dare senso alla vita. Come è possibile stare nelle "cose" senza avere una parvenza di soluzione?
Non basta dire che il tempo presente è in cammino verso il suo compimento per consolare la nostra attesa. Occorre prendere coscienza di essere nella "fossa dei leoni" e dentro quella fossa si gioca la nostra perseveranza e fedeltà come discepoli di Cristo, pur con tutte le nostre paure e inadeguatezze.
Il fine ... il compimento ... non è semplicemente un lieto fine nelle mani di Dio. Ma la nostra stessa fede che si genera e che modella la nostra vita a partire dall'esperienza che viviamo. La nostra conversione, ovvero il nostro cambiamento, è il frutto della fede e non semplicemente della morale.  La nostra vera liberazione non è essere sciolti dalle difficoltà del momento ma dal dubbio circa la vicinanza di Dio. 

mercoledì 27 novembre 2019

Daniele 5,1-28 e Luca 21,12-19
Numerato, pesato, diviso

"Numerato, pesato, diviso", questa è l'interpretazione che generalmente viene attribuita alle tre parole in aramaico antico, scritte dalla mano sul muro davanti al re di Babilonia, Baldassar; parole che danno il senso della scrittura: "Mene: Dio ha contato il tuo regno e gli ha posto fine; Tekel: tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato insufficiente; Peres: il tuo regno è stato diviso e dato ai Medi e ai Persiani".
Senza voler giungere a interpretazioni catastrofiche, questa triade può essere adottata per il discernimento della vita di ciascuno di noi. I nostri giorni non sono eterni, ma la vita rappresenta lo spazio dell'esistenza, dove siamo posti con la nostra domanda di consapevolezza e di fine: "che senso e quale il fine dei miei giorni? - Mene -"; ogni mio alito di vita, anche se mi sembra un nulla non è indifferente per Dio: "sono prezioso ai suoi occhi - Tekel-"; la nostra esistenza è un vero spazio di libertà e di responsabilità: " siamo dentro il divenire della storia di salvezza - Peres -".
Oggi, risuonano con forza le Parole del Vangelo: "Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita". Nessuna evidenza della realtà presente, si può ritenere come un assoluto; nessun giudizio nella storia umana rappresenta l'esperienza di definitività. La parola di Dio introduce quel "capello" come forza dirompente rispetto a tutte le nostre certezze: la piccolezza e la fragilità della fede è ciò che da consistenza alla perseveranza per la salvezza.

martedì 26 novembre 2019

Daniele 2,31-45 e Luca 21,5-11
Camminano nel Segno del "già è non ancora"!

La spiegazione del sogno fatta da Daniele, è importante per comprendere come ogni vicenda umana, appartiene a Dio; esiste una relazione nella causa ed effetti che supera la conseguenza razionale e evidenzia la partecipazione dell'agire di Dio e della sua libertà nella storia dell'uomo: "una pietra si staccò dal monte, ma senza intervento di mano d’uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e d’argilla, e li frantumò"
È il Dio del cielo, che per Daniele conduce e guida gli avvenimenti al loro compimento, nulla sfugge dalle sue mani: "Al tempo di questi re, il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popolo".
Questo modo di comprendere la storia appartiene anche a Gesù, e ad ogni ebreo, al punto che tutto si condensa nella aspettativa di un segno che getti luce sul compimento della storia: "Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta" . Nessuno si ribella circa i singoli avvenimenti e la loro drammaticità, ma tutto converge nel segno che permetta di rileggere tutto nella prospettiva di Dio: "Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?"
Ogni espropriazione dal suo contesto e dalle sue radici, ogni tentativo di lettura e interpretazione, rischia di essere riduttivo e forviante. Credo che occorra stare davanti alle Parole della scrittura, del Vangelo, senza fare alcuna violenza, accogliendo la vastità delle informazioni e delle suggestioni, senza la pretesa di un segno che in realtà è dato come "già è non ancora".

lunedì 25 novembre 2019

Daniele 1,1-6.8-20 e Luca 21,1-4
Dal Tempio allo sguardo di Gesù 

Ogni volta che Gesù sale a Gerusalemme lo troviamo nel tempio. Tra Gesù e il Tempio, come tra ogni buon israelita e il Tempio in Gerusalemme esiste una relazione viscerale una relazione potremo dire esistenziale.
Nessuna deportazione e distruzione, è mai riuscita a sradicare, dal cuore del popolo di Dio, quel luogo e quel legame. Di questo ne è, oggi, testimonianza il "muro del Pianto".
Se Dio dimora con il suo popolo, allora Dio è parte di noi, è della nostra "parte"! Non è solo un senso religioso che motiva una relazione cultuale o liturgica; siamo di fronte a una storia che si è costantemente formata nell'intreccio tra la vicenda di Adamo e di Dio; di Noè e di Dio; di Abramo e di Dio; di Isacco e di Dio; di Giacobbe e di Dio; di Giuseppe e di Dio; .... di Gesù e di Dio Padre. Quella storia antica, così passionale (cioè affettiva) trova in Gesù il suo compimento, la sua pienezza, al punto che l'intreccio non si prolunga più nel medesimo modo, ma ora più che mai, il Tempio è quel suo corpo vivo e risorto; corpo crocifisso e sfregiato, corpo glorioso e risorto. Ecco che quella vedova ha gettato nel tesoro del tempio tutto ciò che aveva per vivere; un gesto che anticipa il modo in cui il discepolo e il nuovo popolo di Dio, vive il Tempio con le stesse parole di Gesù alla samaritana "Dio va adorato in spirito e verità ... Non a Gerusalemme, non su questo monte".
Non si genera e non costruiamo nessuna dimora di Dio, in spirito e verità, a partire dal superfluo, dalla nostra abbondanza. La povera vedova ci dice che il dimorare di Dio, inizia nella sua povertà, cioè nella sua inadeguatezza. Ma Gesù, se alza lo sguardo, non lo fa per gratificare i ricchi offerenti, ma la verità del gesto di amore e totale affidamento della vedova.

domenica 24 novembre 2019

2 Sam 5,1-3; Sal 121; Col 1,12-20; Lc 23,35-43
Occorre stare davanti al re

Siamo alla conclusione di questo anno liturgico, e prima di incominciarne un altro, all’insegna delle vacanze di Natale, ecco che la Chiesa delle feste e dei festeggiamenti - quella Chiesa che va bene se è fatta di calendari, e ricorrenze, per come potrebbe sembrare - ci propone la figura di Cristo re dell’universo! Gesù un Re!
Ma la Chiesa, non sono il calendario liturgico, e nemmeno i vari festeggiamenti e vacanze collegate …
La Chiesa è il popolo di Dio nel cammino di una storia di salvezza che è la storia degli uomini nella ricerca della giustizia, della verità e della vita vera, quella eterna.
Ecco allora che di fronte a questa immagine di Gesù Re, alcune domande ci sembrano lecite, anche di fronte a ciò che è accaduto a Gesù.
Tutta la vicenda del Signore e dei suoi discepoli aveva alimentato altre aspettative; non è forse vero che anche a noi cristiani, molto spesso, di fronte ai fallimenti delle nostre ambizioni, viene normale dire: "Non sei tu, il Cristo, il Re? Se sei il Cristo come mai sei lì crocifisso con i malfattori? Come mai subisci l'ingiustizia come ogni debole sventurato di questo nostro mondo?
Se sei il Re come mai subisci un giudizio di condanna? Come mai sono i tuoi fratelli a inchiodarti sul legno della croce? Se sei il Cristo e ci salvi, perché siamo ancora qui a pendere dalla croce del mondo? Dal patibolo di sofferenza dei poveri, dei profughi, dei diseredati, dei malati?"
In un mondo in subbuglio, la pretesa umana è proprio quella di volere vedere un salvatore ad ogni visto. Tutti gridano: "eccolo qui, eccolo là ..."
Ora, se volete seguire quelli ... andate pure, andate pure dietro alle logiche di questo mondo; agli appetiti che chiedono soddisfazione; alla pretesa di una giustizia gridata a discapito degli altri ... tutto questo anche se dal vangelo “qualcuno ha detto”, non ascoltateli, non seguiteli ...
Il discepolo guardando Gesù in croce, dopo la paura, ha imparato a vedere la croce come potenza e forza.
Il discepolo di Gesù vede come potenza della Croce, la forza dell’amore di Gesù: un amore che rimane saldo e integro, anche di fronte al rifiuto, e che risulta come il compimento di una vita spesa nella totale offerta di sé in favore dell’umanità. È la crocifissione dell’amore!
Sul Calvario, i passanti e i capi deridono Gesù inchiodato alla croce, e gli lanciano la sfida: «Salva te stesso scendendo dalla croce! E poi ti riconosceremo come nostro Re!
La gente che guarda curiosa, chiede a Gesù di scendere dalla croce ... Il malfattore chiede a Gesù di liberarsi da quel giogo infame ... Anche i soldati deridendolo, altro non fanno che chiedere a Gesù di mostrare la sua regalità. Tutte pretese che non portano a nulla di buono.
Dio Padre ha uno strano modo di mostrarci, di incoronare il Re del mondo. Egli lo sceglie tra i suoi figli, anzi sceglie proprio il figlio del suo amore, per farlo Re di questo mondo, e assegnargli il trono della croce. Lo sceglie per affidargli ciò che gli è più caro e che gli sta veramente a cuore, ciò che egli ama: l'uomo, e con l'uomo tutto ciò che è la creazione.
Occorre stare davanti al Re per capire come lui stesso sulla croce abbraccia l'universo e ogni uomo stringe a sé al suo cuore trafitto per amore. È solo un Re che ama quello che può salvare tutte le nostre vite. È solo un Re che non si sottrae, lì dove ogni uomo cade scandalizzato dal peccato e dalla morte che può liberare e redimere. È solo un Re mite e umile che può stare su una croce fatta dalle nostre menzogne e trasformare il male in bene. Solo questo Re, decreta fino alla fine, ciò che ciascuno di noi con speranza attende: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Davanti a questo Re ci giochiamo la vita eterna! È da lui che dobbiamo andare ogni giorno, per diventare un buon suddito, un buon servo, un buon discepolo, cioè per imparare a "seguirlo più da vicino"!

sabato 23 novembre 2019

1 Maccabei 6,1-13 e Luca 20,27-40
I figli di questo mondo e i figli della risurrezione.

Per i sadducei che non credono nella risurrezione dei morti, tutto è codificato è detto  attraverso la Legge, per cui all'osservanza delle norme corrisponde l'essere nell'alleanza e nella fedeltà di Yhwh; è come se la nostra esistenza fosse garantita attraverso la fedeltà alla Tora. I figli in questa prospettiva sono il segno evidente della fedeltà di Dio. Adamo genero Caino, Abele, Sett ... Ad Abramo, Yhwh promette una discendenza numerosa come le stelle del cielo ... Il figlio propone il segno della fedeltà alla promessa di Yhwh. Ecco perché è così importante che a quei sette fratelli sia data una discendenza ... Ma quella discendenza è un segno della carne, essa genera figli secondo la carne, genera figli di questo mondo, che prendono moglie e prendono marito e non sono come gli angeli.
La risurrezione di Cristo, l'unico figlio della carne che non è di questo mondo, ci introduce nella possibilità: la nuova nascita che è la generazione dallo Spirito Santo, così come Gesù stesso suggerisce/rivela a Nicodemo (maestro ed esperto della Legge). Chi nasce dall'alto, non è più figlio di questo mondo ma "quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio". Non siamo più figli di una Legge che ci garantisce/procura la vita nel tempo, ma siamo figli di Dio, “... Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui".

venerdì 22 novembre 2019

1 Maccabei 4,36-37.52-59 e Luca 19,45-48
Gesù, il Tempio e l'Altare.

La purificazione del Tempio (prima lettura) e la consacrazione dell'altare rappresentano l'apice della rivolta maccabaica; in questo si rigenera l'identità e l'unità del popolo di Israele attraverso la sacralità della celebrazione del rito e dell'Alleanza tra Dio e il suo popolo. Lo stesso altare cristiano, è successore e la sintesi degli altari del Tempio di Gerusalemme, la cui sublimità deriva dalla sua conformazione al suo archetipo celeste: l'Altare della Gerusalemme celeste in cui giace "fin dalla fondazione del mondo [...] l'Agnello immolato" (Cfr. Ap 18,8). Nella liturgia noi cristiani ne facciamo esplicita memoria quando diciamo: "Noi Ti supplichiamo, Dio onnipotente: fa' portare queste offerte dalla mano del Tuo santo Angelo, lassù, sul Tuo altare sublime, alla presenza della Tua divina Maestà». (Cfr. Canone Romano)nell'introito della messa siriaca: «Santissima Trinità, ricevi dalle mie mani peccatrici questo sacrificio che io offro sull'altare celeste del Verbo». Nel Vangelo, Gesù "purifica" il tempio da chi lo ha profanandolo sostituendo la preghiera (dialogo con Dio) con il commercio, il profitto (covo di ladri/dialogo con mammona), per chi ha trasformato il tempio in una scorciatoia per ottenere da Dio ciò di cui crede di avere bisogno. Ogni giorno Gesù (il Verbo) insegnava (parlava) nel tempio, perché è il suo corpo il Tempio purificato, e sarà il suo corpo l'agnello del sacrificio ("... I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire ..."). Cosa dice Gesù nel tempio? Dice che cosa è una casa (il Padre/la famiglia/le relazioni) di preghiera (vero ascoltare e comunicare); dice che non è un covo (riparo/rifugio) di ladri (no rapina/no profitto/no menzogna). Gesù facendosi interprete della voce dei profeti afferma con tutta la sua persona che Yhwh, ha in abominio tutto ciò: "io voglio misericordia, io voglio fraternità".

giovedì 21 novembre 2019

1 Maccabei 2,15-29 e Luca 19,41-44
Gesù pianse amaramente ... Gesù è coinvolto!

Il contesto del Vangelo di Luca è l'ingresso esultante a Gerusalemme, quando scendendo dal monte degli ulivi, Gesù e i discepoli si apprestano a varcare le porte di accesso alla città, o verosimilmente stanno per entrare nel Tempio. Ma proprio avvicinandosi, prima di entrare città - cita il Vangelo -: "vedendo ma città pianse su essa ..."
Il pianto del Signore assomma l'affettività e la commozione, come anche la comprensione degli eventi della storia che da lì a pochi decenni avrebbero trovato compimento. Ora in questa pienezza, in questa rivelazione del "... benedetto il veniente, il re in il nome del Signore, in cielo pace e gloria nelle altezze", il pianto di Gesù è per Israele, per il suo popolo. Egli piange perché non riconoscono la pienezza di rivelazione e di vita che è data in quel giorno! È Dio che piange, piange come ogni ebreo che vedendo la città fa memoria della predilezione di Dio; piange ricordando gli eventi della storia di salvezza;piange le proprie tradizioni, le radici, i propri padri. Ma non sono lacrime di disperazione, sono lacrime di commozione. Sono le lacrime di chi si sente arrivato a casa dopo un lungo viaggio; sono le lacrime di chi si sente accolto nell'amore sperato, l'amore del Padre misericordioso. Gesù piange da solo, la città sembra completamente indifferente alle sue lacrime. Essa non comprende, non conosce ... Gesù piange perché non si sente riconosciuto e accolto. Israele non accetta il re mandato nel nome de Signore, ma questo è il mistero della salvezza che sta per compiersi. Gesù piange commosso, il mistero che pienamente lo coinvolge.

mercoledì 20 novembre 2019

2 Maccabei 7,1.20-31 e Luca 19,11-28
Il cammino verso Gerusalemme ...

Questo salire alla città di Dio, diventa per Gesù il simbolo della vicinanza del regno di Dio e del compiersi della manifestazione del regno stesso. Obiettivo: Gerusalemme!
Tutto il tragitto, il cammino progressivo o di avvicinamento che Gesù fa insieme ai discepoli, diventa nell'immagine il tempo in cui i servi della parabola "trafficano" le monete; fintanto che arrivati alla Città Santa le dovranno versare nel tesoro del tempio, nelle mani del Signore. La risposta che in quel momento riceveranno sarà la piena comprensione di tutte le fatiche sostenute: "Bene, servo buono! ..." 
Ma anche una rilettura non rende pienezza dell'attesa del Regno che tutti portiamo dentro. Il cammino verso Gerusalemme come modo di rendere fruttifera l'attesa riconduce tutto nella logica economica, nell'agire  come fare, come partecipare ...
Ma quale attesa Gesù sta vivendo? Perché pure lui è in cammino; pure lui si percepisce in questo avvicinarsi del regno di Dio! La vicinanza del regno di Dio non possiamo trasformarla in una immagine formale, in una esperienza o in un atteggiamento morale ...
L'avvicinarsi dobbiamo recuperarlo nel suo esserci accanto. Il regno è Gesù che ci rivela umanamente il pensare (logos) di Dio; il regno è il Padre che tutto vuole raccogliere nel suo cuore (misericordia); il regno è lo Spirito che ravviva in noi il desiderio della vita eterna (salvezza) ... Tutto questo è il Regno nel suo avvicinarsi. Effettivamente è una ricchezza ... È una ricchezza a cui partecipare attraverso la nostra esistenza per renderla vera pienezza di vita. 

martedì 19 novembre 2019

2 Maccabei 6,18-31 e Luca 19,1-10
Il frutto della preferenza

Come è possibile raggiungere la forza morale e la perseveranza spirituale di Eleazaro? Come è possibile non indietreggiare neppure di fronte alla paura della morte? Che cosa muove il cuore e la sua mente di Eleazaro, al punto di essere fedele a Dio fino al sacrificio di sé stesso? Che cosa sottende il timore dello scandalo dato ai più giovani?
Ci sono esperienze le quali ogni giorno ci richiedono di testimoniare la nostra appartenenza, o anche solo la nostra preferenza rivolta a Dio. Si, proprio preferenza! Signore, io ti preferisco a tante altre persone, cose e realtà perché riconosco che il tuo preferirmi dissolve la mia infedeltà e il mio vivere per me stesso. Nell'incontro tra Gesù e Zaccheo, un aspetto che diamo per scontato è proprio la modalità usata da Gesù, il suo focalizzare Zaccheo come obiettivo da salvare (la sua preferenza): "perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto"
Questa preferenza accordata da Gesù a Zaccheo, non si basa sul possibile contraccambio da parte di questo piccolo ometto, peccatore disprezzato, ma sulla necessità della sua salvezza. Egli è il segno del desiderio di Dio Padre; egli è rivelazione di come la misericordia di Dio intercetta e prende dimora nel cuore e nella mente. Ecco allora che Zaccheo reagisce alla misericordia secondo la stessa modalità della misericordia, egli vive quel dono che è la salvezza (amicizia con Gesù) come sua particolare preferenza e appartenenza. Zaccheo sperimenta ciò che nel suo essere pubblicano e peccatore gli mancava, cioè la fedeltà incondizionata di Dio, per lui. Nessuna legge morale o anche bellissimo comandamento potrà mai garantire la stabilità della nostra relazione con Dio fino alla fine, se non la fedeltà (preferenza) che Dio ci manifesta.

lunedì 18 novembre 2019

1 Maccabei 1,10 - (...) - 64 e Luca 18,35-43
Abisso del cuore.

Il richiamo ad Antioco, mette in luce le conseguenze, per la fede di Israele, che derivano dal periodo storico caratterizzato dalla ellenizzazione; a ben vedere una sorta di inculturazione. Pare una cosa buona fare lega con le nazioni, anzi la fedeltà all'Alleanza viene ritenuta causa di molti mali. Da parte giudaica, tutto è percepito come uno sprofondare nell'abisso di tenebra dell'apostasia: "... cancellarono i segni della circoncisione e si allontanarono dalla santa alleanza. Si unirono alle nazioni e si vendettero per fare il male". Eppure, la nostra storia è piena di situazioni simili, nelle quali ciò che viene normalmente coinvolto è la fede e il senso religioso racchiuso nell'esistenza di ciascuno.
La fede, lo spirituale, la relazione col divino non sono una appendici sentimentali o psicologiche dell'esistenza: affermare o negare la fede interagisce con la vita reale di ciascuno. Nell'incontro tra Gesù e il cieco di Gerico, anche noi veniamo coinvolti nel rivedere. Il vedere apre alla percezione delle cose, delle persone e anche di Dio. Apre alla relazione, alla possibilità e al riconosce nell'intima presenza di Dio una nostalgia esistenziale, che è causa del grido di un uomo, che nel chiedere pietà infrange l'abisso di tenebra del suo cuore.

domenica 17 novembre 2019

Ml 3,19-20; Sal 97; 2 TS 3,7-12; LC 21, 5-19
L'escatologia non è la fine ... ma è perseveranza!

Ed ecco che dopo aver ascoltato la parola di Dio, una sorta di paura, mista a timore, ci può assalire. Un senso di debolezza,  di inadeguatezza circa la drammaticità degli eventi dipinge a fosche tinte i pensieri e i progetti futuri ...
È umano ... Siamo fatti dello stesso guazzabuglio in cui versa la storia e le sue vicende ...
Ecco allora che la parola di Dio, calata nella realtà, non ha il compito di intimorite, di stordire o di umiliare la nostra umanità; essa è data per dispiegare, rivelare, illuminare e condurre oltre la storia, anzi per condurre la storia nella sua pienezza.
Oggi il Vangelo ci presenta una cartolina, occorre che mettiamo nel nostro sguardo lo spazio e il tempo che hanno generato e accolto le parole del Signore. Senza dimenticare che è una cartolina ...  Il Tempio oggi non c'è, al suo posto svetta il mausoleo della roccia, ovvero della Cupola d'oro ...
Le parole sono un giudizio tremendo ... Ma è un giudizio che attraversa ogni tempo e ogni vicenda umana, tutto è immerso nel divenire, tutto è indirizzato al compimento. Le parole di Gesù sembrano distruttive, ma in realtà sono profetiche circa il compiersi della storia. Non sono la cronaca di una sciagura dopo l'altra. Esse non sono vere perché descrivono il "guazzabuglio" tra creazione e mondanità, tra iniquità e grazia, tra discepoli e miscredenti. È in questo guazzabuglio, come anche nella nostra realtà, che Gesù pone sé stesso e insegna, che il giusto modo di stare nella vita è la perseveranza della fede: "solo attraverso la perseveranza si ha la forza per salvare la propria vita".
In tempo di crisi e di prova, il discepolo di Gesù è profezia di una novità che non si realizza improvvisamente ma che procede col compiersi degli eventi.
Dio non è l'assente, non è il giudizio di condanna, non è l'opposto di ogni iniquità ... Ma è la certezza della fedeltà a una promessa, la sua parola di salvezza: "neppure un capello del vostro capo andrà perduto".
Non serve lamentarsi, neppure difendersi strenuamente, neppure progettare ... occorre imparare fare la volontà di Dio. Nella Sua volontà ci viene offerta la condizione necessaria alla redenzione del creato, delle relazioni, della vita personale.
La cartolina che ci è stata spedita, attraverso questo Vangelo, al dunque, non è una immagine del passato e tantomeno degli ultimi tempi, ma è una immagine del nostro oggi: la nostra vita quotidiana è il tempo della faticosa eppure beata e salvifica perseveranza.
Questo, noi cristiani lo professiamo vero, nella disgregazione sociale che caratterizza il mondo di oggi; nella menzogna pronunciata anche dagli uomini di Chiesa; nella fragilità e povertà scartate dalla efficenza contemporanea; nelle ingiustizie; nelle guerre fra fratelli; nella incuria del creato, nello sfruttamento per il profitto, della natura e delle sue risorse. La nostra non è passività, ma ascolto del cuore della parola che si trasforma in perseveranza ed etica di vita.

sabato 16 novembre 2019

Sapienza 18,14-16.19,6-9 e Luca 18,1-8
Non dubitiamo della giustizia di Dio!

Noi gridiamo e non udiamo alcuna risposta! Per questo la nostra fede vacilla, ogni giorno crolla e tu al tuo ritorno non la troverai.
Non udiamo perché gridiamo al cielo la nostra fragilità, la nostra disumanità, la nostra delusione ed esclusione, la rabbia per essere in un mondo in cui non volevamo esserci ... e così ci siamo coinvolti nell'ingiustizia!
Ecco, chiediamo giustizia ogni giorno, ma Tu sembri lontano, assente, come il giudice del vangelo, fai finta di nulla, anzi a noi sembra che il nostro grido, quasi ti indispone, ti infastidisce.
Dio: Non bisogna mai smettere di pregare, di chiedere giustizia, perché quel grido prepara la strada, la mia strada per raggiungerti, per il Verbo mia Parola vivente. Nel chiedere con insistenza si custodisce la perseveranza e la necessità.
Persevetanza della vedova che non trascura ciò che è essenziale, la relazione certa con il suo Signore.
La necessità che dimostra l'irrinunciabile giustizia come compimento della volontà di Dio.
Il giudice iniquo, gli fede giustizia perché non continui a gridare fino alla fine ... Oppure anche come fine di tutto...
Il grido della vedova è strada al compimento ma ciò che chiede si realizza nella volontà del giudice: "la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo decreto irrevocabile."
Al nostro grido, giorno e notte, Signore sei giudice giusto dei tuoi eletti!

venerdì 15 novembre 2019

Sapienza 13,1-9 e Luca 17,26-37
Quando viene il regno di Dio?

Per cercare una chiave di lettura di questo brano, occorre ricollegarsi ai versetti precedenti, e alla domanda che i Farisei fanno a Gesù: "Quando viene il regno di Dio?"
La risposta del Signore è semplice e chiara: "il regno di Dio non viene in modo da farsi vedere/osservare" ... Cioè, non sarà una venuta spettacolare in modo da farsi notare, o addirittura un mettersi davanti per fare ostentazione. Poi nel testo la questione si complica per le immagini e apocalittiche della tradizione di Luca.
Tutto il discorso provo di ripensarlo tra domanda e la risposta dei vv. 20-21 e il v. 37 dove i discepoli chiedono: "Dove Signore? Ed egli risponderà loro dove è il cadavere (corpo) là si raduneranno gli avvoltoi."
È Gesù l'interlocutore ed è Gesù che suggerisce tutta la serie di immagini. Per dire dove c'è Lui, lì ci sono pure i segni del Regno di Dio. È Lui stesso che dice: non cercatelo lì, non cercatelo là ... Perché io sono il regno di Dio che è in mezzo a voi.
Io sono già il discriminante nel tempo e nella storia, sono io che segno la differenza e che faccio la differenza. Concretamente, seguire il Signore permette al regno di Dio di rivelarsi, è infatti la sequela lo spazio in cui la vita del discepolo è completamente persa al mondo ma conservata per rivelare il regno di Dio.

giovedì 14 novembre 2019

Sapienza 7,22-8,1 e Luca 17,20-25
Ecco il regno di Dio ...

Non è qui, e non è la ... ma è in mezzo a noi. Sembra uno scioglilingua o un indovinello. In realtà il regno di Dio non si è mai allontanato dalla nostra storia, non si è mai sottratto alle vicende umane. Può essere questa la giusta chiave per leggere anche il tempo attuale. Quante volte verrebbe da dire: ma dove sei regno di Dio?
La domanda resta, ed è la stessa che in tanti si sono fatti quando Gesù il Figlio dell'uomo  ha subito la passione e la morte: dove sei regno di Dio ... se prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione ...
Ancora una volta la pretesa umana di capire distoglie il cuore, gli occhi e la mente dal percepire il regno di Dio nel suo esserci indipendentemente dalla realtà di crisi che si sperimenta. Proprio nella non comprensione:"ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!"
Esso non ha nulla di trionfale e appariscente e neppure di risolutivo. Ecco perché Silvano del Monte Athos arriva a dire che nella realtà il Signore cammina sulla crisi e non la toglie; ma neppure è passivo o assente circa la crisi ma la affronta in altro modo: "tieni il tuo spirito negli negli inferi e non disperare", perché la malvagità non prevale sulla sapienza, essa è riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e immagine della sua bontà.

mercoledì 13 novembre 2019

Sapienza 6,1-11 e Luca 17,11-19
Grazie Gesù ...

Certamente Gesù non guariva i malati in attesa del loro grazie! Dire "grazie" sembra ovvio è facile da pronunciare specialmente in certe situazioni, ma non è così. Questa parola la insegniamo ai bambini, ma poi siamo noi che la dimentichiamo! La gratitudine è un sentimento importante! È bello dirsi grazie a vicenda, per tante cose. E questo aiuta ad andare avanti bene insieme nella vita.
Ma come è possibile, l'ingrati di questi lebbrosi? Solo un samaritano ha nel cuore quella gratitudine verso chi lo ha guarito e quindi torna da Gesù!
La nostra scarsa gratitudine nelle relazioni tra di noi è la normalità anche verso (Gesù) Dio. La gratitudine parte dal riconoscere l'altro: sono grato perché ci sei. La gratitudine è uno stato permanente di uscita da sé stessi e dal proprio egoismo. La gratitudine è un sentimento profondo che fa memoria del venire a me di ciò che mi è necessario, buono e bello. La gratitudine verso Gesù ci permette di liberarci oltre che dalla lebbra (il peccato e la morte) anche dalla formalità di un senso religioso che mi lascia nella solitudine esistenziale per spalancare davanti a me ciò che di bello e di buono ho attorno a me senza alcuna pretesa. E noi siamo capaci di dire "grazie"? Quante volte ci diciamo "grazie" in famiglia, in comunità, nella Chiesa? Quante volte diciamo "grazie" a chi ci aiuta, a chi ci è vicino, a chi ci accompagna nella vita? Spesso diamo tutto per scontato! E questo avviene anche con Dio. È facile andare dal Signore a chiedere qualcosa, ma tornare a ringraziarlo…

martedì 12 novembre 2019

Sapienza 2,23-3,9 e Luca 7,7-10
L'inutilità necessaria  

Dopo aver accolto la misericordia come unica esperienza possibile nella quale mi radico nei sentimenti di Dio; dopo aver riconosciuto che la mia fede non può essere determinata da precetti e dalle Leggi, ma è il libero affidamento a Signore e alla sua proposta di vita; non mi resta altro che riconoscere come le parole di Gesù sul servo inutile descrivono la vita nuova del discepolo. 
Nessuno servo può pensare di lavorare tutto il giorno illudendosi della propria utilità, e poi attendersi di essere servito dal suo padrone, cioè ricompensato. Nella vita del nostro "padrone" , di Gesù p, le cose non vanno secondo la logica di questo mondo, una logica che spesso portiamo dentro alle comunità cristiane e alla Chiesa. La nuova logica è quella per cui il "padrone", giunta la sera - nella cena pasquale - si cinge le vesti e si mette a servire i suoi discepoli. Il padrone si trasforma nel servo dell'amore misericordioso. Esiste una relazione nuova tra i figli di Dio che è quella del servizio reciproco nell'amore, secondo gli insegnamenti di Gesù ciascuno di noi è servo dell'altro, questa è la conduzione dell'amore misericordioso, che in quanto tale si manifesta nella assoluta gratuita. Quando poi la gratuità è reciproca, quando viviamo questa conversione dell'io, abbiamo generato il paradiso, in cui è solo la carità.

lunedì 11 novembre 2019

Sapienza 1,1-7 e Luca 17,1-6
Tu gli perdonerai!

Nel cuore di Gesù è radicato questo imperativo: "condonerai a lui!" Cioè al fratello che si pente, e che chiede il tuo perdono tu non puoi negare di donare te stesso e cancellare l'offesa che ti ha ferito. Il perdono che Gesù riconosce e propone è realmente un condono, totale e riabilitativo. Il condonare è chiave risolutiva e rivoluzionaria delle nostre relazioni spesso afflitte dal risentimento e dall'orgoglio ferito.
Tra gli insegnamenti di Gesù, il "condonare" supera ogni logica di sapienza e svetta come apice dell'amore che ciascuno deve al proprio fratello. È il riconoscimento della fratellanza che impone uno stile di esistenza come si conviene ai figli di Dio.
Lo scandalo, a cui Gesù fa riferimento non è solo la "caduta morale"; lo scandalo per cui è meglio buttarsi nel mare con una pietra da mulino al collo è mostrare la durezza rispetto al condonare, è indurire il nostro cuore, per una pretesa "giustizia" che in realtà acceca e toglie dai nostri occhi l'altro come fratello, lo annulla, e rispetto al quale siamo i primi a volerci sottrarre, a non volerci donare come prima espressione di carità. Il "condonare", porta in se molti rischi, ma altrettante possibilità per il fratello ma anche per ciascuno di noi.

domenica 10 novembre 2019

2 Mac 7,1-2.9-14; Sal 16; 2 Ts 2,16-3,5; Lc 20,27-38
Molti dicono che non c'è nessuna risurrezione dei morti ...

L'obiezione principale ripetutamente rivolta agli evangelisti, non riguarda la narrazione dei fatti, parole e segni attribuiti a Gesù; forse nemmeno la questione circa la sua storicità (che è un problema moderno), ma la proclamazione di un fatto/evento fuori di ogni razionale dimostrabilità: cioè affermare che Gesù è risorto dalla morte. Questo è il vero atto di fedeLa fede Cristiana quindi non si fonda su precetti e su comportamenti morali, ma sulla risurrezione di Gesù. Ecco perché "non di tutti è la fede" - dice Paolo ai Tessalonicesi - non è facile per chi umanamente si accosta al morire e al senso della vita credere la risurrezione della carne.
É grottesco ciò che questi sapienti della legge chiedono a Gesù: "La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie?"
La loro giustificazione per la vita eterna ha una misura puramente umana, trascurando completamente la vita stessa come realtà che di per sé permette subito di affacciare il mistero dell'eternità! Come per i sadducei la legge (cioè la scrittura) è fondamento delle loro argomentazioni, anche la risposta di Gesù parte dalla scrittura, dal medesimo fondamento; egli pone nella Parola di Dio l'origine, l'atto di fede nella vita da risorti: "Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui." La fede in Cristo parte proprio dalla risurrezione: cioè nell'esperienza del Dio di Abramo, Dio di  ... ecco che il fondamento della vita eterna e Dio con ... chi egli ama, ciò che egli ama ... È il primo che il Padre ama è proprio Suo figlio Gesù che è la primizia dei risorti. Possiamo parlare, discutere, ragionare sulla risurrezione solo e soltanto a partire da Gesù ... Ecco perché oggi la maggior parte dei cristiani non crede la vita eterna e si accontenta della vita terrena, perché in realtà non crede più interamente in Gesù come il Cristo salvatore.
L'idea cristiana della risurrezione è possibile solo in relazione a Gesù, dice papa Francesco: "… io vivo andando al Signore o ruoto su me stesso? Qual è la direzione del mio cammino? Cerco solo di fare bella figura, di salvaguardare il mio ruolo, i miei tempi e i miei spazi, o vado al Signore?" Per chi crede non ci sono vie di mezzo: non si può essere di Gesù e ruotare su sé stessi. Chi è di Gesù vive in uscita verso di Lui.
Andare verso Lui ... Ecco che la vita è tutta un’uscita: dal grembo della madre per venire alla luce; dall’infanzia per entrare nell’adolescenza; dall’adolescenza alla vita adulta e così via; fino all’uscita da questo mondo. Per questo il cristiano non può dimenticare che l’uscita più importante e più difficile - quella che dà senso a tutte le altre - è quella da noi stessi. Solo uscendo da noi stessi apriamo la porta che conduce al Signore.
Ecco che anche il morire se è un venire a Te è altra cosa del semplice morire, ma è uscire da me stesso per andare ogni giorno al Signore!
Papa Francesco (...) Occorre riconoscere il punto di partenza: "Accettare che Cristo è morto, ed è morto crocifisso, non è un atto di fede, è un fatto storico. Invece credere che è risorto sì. La nostra fede nasce il mattino di Pasqua".
Benedetto XVI: "se viene meno nella Chiesa la fede nella risurrezione, tutto si ferma, tutto si sfalda”, mentre al contrario “l'adesione del cuore e della mente a Cristo morto e risuscitato cambia la vita e illumina l'intera esistenza delle persone e dei popoli”.


La fede nella vita del risorto, cioè nella vita eterna abita la nostra stessa esistenza a partire dalla nostra vita nella carne. Questa storia di bruno Ferrero ci può aiutare a comprendere e fissare il concetto di vita oltre la morte: IL FALCO PIGRO.