sabato 29 febbraio 2020

Isaia 58,9-14 e Luca 5,27-32
Levi fa una grande festa ... La sua ultima festa da pubblicano

Levi, il pubblicano, fa una grande festa dopo aver conosciuto Gesù e il gruppo dei discepoli; non è ancora convinto di seguire Gesù, è ancora legato al suo passato, ai suoi amici pubblicani come lui, al suo agio da "ricco rifatto" sulla pelle dei suoi fratelli; eppure quell'incontro con il Signore non gli è stato indifferente; le parole di Gesù gli continuano a risuonare nel cuore oltre che nella mente. Quella festa è un po' l'estremo tentativo di resistere alla "chiamata" del maestro a seguirlo, eppure quelle parole sono state dette da Gesù proprio per Lui: "Seguimi!"
Quella grande festa è allora l'estremo tentativo di riprendersi la propria vita, per vivere come un pubblicano insieme agli altri pubblicani, è un po' la tentazione di Israele di tornare in Egitto, a saziarsi attorno alla pentila della carne, cibandosi di cipolle e meloni ... Ma Gesù, non rimprovera Levi per questa sua paura e nostalgia, ma facendosi ancora di più accanto a lui, e a tutti quelli come lui, gli rivela il segreto nascosto del suo cuore: "Io sono venuto proprio per te", e per chi è come te: ferito e piagato nella vita dal peccato che lo tiene lontano da me, per questo ti ripeto "Seguimi!"
Quella festa, quel banchetto di pubblicani, da tentativo di estrema resistenza divine il commiato di Levi e l'occasione di affidarsi a quella sola parola che ancora risuona in lui "Seguimi!". Ed ecco che, di fronte al volto del maestro, e di fronte al gruppo dei discepoli, mette da parte la paura e placa i suoi attaccamenti della vita e con decisione si alza; si alza da quel "banco delle imposte", che è il male che lo tiene legato a una vita mortifera, e con libertà e abbandono "lasciando tutto, si alzò e lo seguì", da allora, per sempre! A questo punto non si torna più indietro, a questo punto non ci sono più nostalgie! Oggi quel seguimi Gesù lo ripete, con forza e mitezza, anche per me!

venerdì 28 febbraio 2020

Isaia 58,1-9 e Matteo 9,14-15
Cosa significa digiunare ...

Ancora prima della privazione, prima di una prassi di purificazione e dell'esperienza dell'essenziale, il digiuno è chiesto da Dio. Mi sto convincendo che il digiuno non è una mia concessione, ma una sua proposta. Il tempo del digiuno, allora dobbiamo ripensarlo come evento spirituale e atto religioso. In tutta la tradizione biblica, il digiuno precede il dialogo con Dio, apre lo spazio della vita alla sua voce alla sua parola. Se quando digiuno mi preoccupo di non dover mangiare ... sono ancora nella mia immaturità umana e spirituale, che mi porta a mettere sempre me stesso al centro delle preoccupazioni e del quotidiano. Il digiuno, dice Isaia è il tempo della proposta che Dio ci fa per mettere davanti ai nostri occhi le incoerenze e le menzogne - devo smetterla di travestire la mia vita e di mascherarmi per dare al mondo e agli altri una immagine finta di me stesso/a -.
Il digiuno gradito al Signore serve per recuperare attraverso la privazione del mangiare, attraverso la scarsità delle cose e delle persone, la verità è la coerenza delle scelte di vita, è solo in questo modo che il digiuno è una trasformazione.
Ma come è possibile un simile cambiamento? È possibile quando il tempo del digiuno, è spazio di intimità,  quando quel tempo è preparato e voluto per accogliere il Signore; è come se io stesso, nel giorno del digiuno, gli preparassi una dimora accogliente e stabile. Ecco allora che il digiuno non sarà più una penitenza, ma una occasione desiderata; non sarà solo il segno dell'inizio della quaresima ma il segno del mio essere in ascolto del Maestro; non sara l'ennesima occasione di orgoglio spirituale, ma il tempo propizio dell'umile confessione, nello sguardo di Dio, sulle mie vergogne. La prima verità da recuperare nel digiunare è che Dio ha uno sguardo totale di ciascuno, e che spogliarsi di tutto ed essere nudi davanti a Lui, corrisponde al lasciarsi guardare dalla tenerezza e misericordia del Padre. Che bello il digiuno quando, smetto di mangiare e mi sazio dell'amore di Dio, che è il suo cibo speciale (pane e vino/corpo e sangue)!
Oggi potrei proprio fare un poco di digiuno ...

giovedì 27 febbraio 2020

Deuteronomio  30,15-20 e Luca 9,22-25
Cosa significa: "rinnegare se stesso"?

E con questa immagine del "Figlio dell’uomo, che deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno", diamo inizio al cammino quaresimale. È da questa esperienza di Gesù che discende l'esperienza del "rinnegamento di se stesso", esperienza che Gesù chiede per chiunque desideri essere suo discepolo, per tutti coloro che nella loro vita scelgono di seguire e ripercorrere la sua stessa vita. L'esperienza del rinnegare, costa sacrificio; è realmente la rinuncia ai propri attaccamenti. Ci sono esperienze a livello umano, psicologico, relazionale che ci piacciono e sono il cuore e il contesto del nostro vivere, del nostro esistere; rileggere, rielaborare e tornare a generare la nostra vita, integrandovi l'esperienza e il vissuto di Gesù, è il rinnegare!
Rinnegare significa quindi integrare per convertire! È una esperienza unicamente cristiana, che non nulla a che vedere col plagio, o con la limitazione della propria libertà come anche una sorta di masochistica repressione delle proprie inclinazioni umane. No il rinnegamento è integrare! Come Gesù integra nella propria vita l'amore del Padre e lo vive fino in fondo - croce, morte e risurrezione -, allo stesso modo i suoi discepoli (noi) integrando il Suo amore nella vita ci apriamo all'esperienza di salvezza.
Rinnegare/Integrare è non temere di accostare il Suo amore, come dono di sé, al nostro egoismo e alle nostre chiusure.
Rinnegare/Integrare è non tenere di accostare il Suo amore, come "amore casto", alle nostre passioni e ai nostri appetiti, al nostro possedere.
Rinnegare/Integrare è non temere di accostare il Suo amore, come speranza alla paura di dover morire.
Rinnegare/Integrare è non temere di accostare il Suo amore, come amore che genera comunione, alla mia propensione di differenze e a scartare sempre qualcuno.
Rinnegare/Integrare è non temere di accostarci al Suo amore ...

mercoledì 26 febbraio 2020

Matteo 6,1-6.16-18
E la nostra ricompensa ... quella che ci hai promesso ...

Buon giorno Signore, oggi iniziò la Quaresima! Che strana giornata, non mi è mai capitato di dovermi inventare come darti lode, ci ha sempre pensato la Chiesa con la Messa, con l'imposizione delle ceneri ... Invece oggi non ci sarà nessuna cenere sul mio capo, e non ci sarà neppure l'eucaristia per me ... Direi che è assurdo tutto questo soprattutto pensando a quel "fate questo in memoria di me ..."
Ho fame, Signore, ho fame di te, della tua Parola Ascoltata nella Chiesa e ripensata nelle parole di un prete. Non ho fame di un testo letto tra le mie mani, o su qualche sito internet, non ho bisogno di meditazioni proposte come occasioni spirituali; ho bisogno di un ascolto umano, reale che attraverso il contatto tra persone, attraverso guardare il volto di un uomo, possa fare memoria del tuo volto, della tua persona, della tua parola. 
Ho fame di te Signore! Oggi sarà un vero digiuno: dal cibo, e da tutto ciò di cui mi riempivo per venire a te ... Sarà digiuno soprattutto dall'eucaristia che già desidero con la nostalgia dei tempi passati .... Oggi, nella privazione di tutto, sperimento il necessario essenziale; riscopro e riconosco che tu che sei il mio unico necessario e che questa Chiesa così chiacchierata, disprezzata e rifiutata in realtà è poi l'unica che mi parla di te, mi conduce a te, mi rigenera nella mia umanità ferita mediante l'ascolto della Parola, e nel donarmi il pane della vita, il Tuo corpo e il Tuo Sangue, la Tua vita ore me.
Oggi digiuno con ben altra consapevolezza, mi sono alzato, lavato, ho pregato e poi dato inizio alle tante occupazioni del giorno: "... quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà". Attendo con desiderio la ricompensa del mio digiunare, attendo con desiderio di saziarmi di te ... Nel segreto del cuore Signore già mi manchi così tanto, che mi sembra quasi di essere nel più lungo Sabato Santo della mia vita.
Oggi sono chiamato a vivere con responsabilità questo "strano tempo quaresimale"; la responsabilità del discepolo che vuole da sé dare lode al Signore, vuole pregare e vivere come segno concreto la carità ... Quello che fino ad oggi era normale e scontato, in questo momento diviene concretamente oggetto della mia responsabilità personale, della mia maturità di fede, del mio senso di appartenere alla Chiesa di Cristo, oltre ogni plausibile dubbio! Già questa consapevolezza è la mia giusta ricompensa!

Gioele 2,12-18; Salmo 50; 2 Corinzi 5,20-6,2;  Matteo 6,1-6.16-18
Mercoledì delle Sacre Ceneri
«Vi supplichiamo in nome di Cristo:lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20)

Iniziamo questa quaresima con il digiuno, "ecco verranno giorni nei quali sarà tolto lo Sposo, in quei giorni digiuneranno". Un digiuno singolare, non solo penitenziale, ma un digiuno che raggiunge la vita di fede di tanti credenti: il digiuno dalla eucaristia, il digiuno dalla liturgia, il digiuno dalla messa. Alla fine questo virus, in un modo furbissimo, ha tolto ai cristiani l'unica condizione che li caratterizzava come popolo di Dio: aggregarsi per celebrare l'eucaristia. Ci ha separati, ci ha divisi, ci ha resi inefficaci rispetto alla nostra fede e testimonianza. Per assurdo, in tutto questo, alcuni, dopo aver sperimentato di poter stare anche "senza Dio", perché non è stato un dramma saltare Messe e incontri, forse continueranno questa astinenza dalla liturgia e dal sacro ... Altri capiranno che la loro appartenenza al popolo di Dio era solo una "buona educazione" o una bella convenzione. Per altri, queste disposizioni, in ambito ecclessiale, non implicano proprio nulla, tutto resta nella stessa condizione di prima ... Ma per chi crede, ci si apre alla consapevolezza di un digiuno che realmente ci fa sperimentare che essere il popolo di Dio senza un luogo dove ritrovarci, privi dell'esperienza aggregativa della comunità, si rimane soli, figli di quella solitudine antropologica che caratterizza spesso il cuore dell'uomo. Come accompagnare questo tempo, affinché non trascorra e ci trascini nella solitudine esistenziale e ci svuoti della presenza del mistero?
Credo che il messaggio del Papa per la quaresima sia uno strumento efficace per custodire e conservare la preziosa comunione ecclesiale, oltre ogni limite e ogni disposizione di legge.
In questo Mercoledì delle Ceneri, occorre «Guarda le braccia aperte di Cristo crocifisso, e lasciati salvare sempre nuovamente (...) Contempla il suo sangue versato con tanto affetto e lasciati purificare da esso. Così potrai rinascere sempre di nuovo». Questo è lo spunto per iniziare il mio itinerario di conversione partendo dal sacramento della confessione. L’esperienza della misericordia, infatti, è possibile solo in un “faccia a faccia” col Signore crocifisso e risorto «che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. È nel dialogo cuore a cuore, da amico ad amico, che esprimo l’esigenza di corrispondere all’amore di Dio, che sempre mi precede e mi sostiene. In questo tempo favorevole, Fisso un tempo per la "preghiera personale", per leggere e mettermi in ascolto della Parola di Dio attraverso il Vangelo del giorno. Il fatto che il Signore ci offra ancora una volta un tempo favorevole alla nostra conversione non dobbiamo mai darlo per scontato. Cercherò quindi di fare discernimento con un sacerdote circa l'esperienza di grazia (bene) e di peccato (male) nella mia vita. Questa  revisione di vita è importante per richiamare gli uomini e le donne di buona volontà alla condivisione dei propri beni con i più bisognosi attraverso l’elemosina, come forma di partecipazione personale all’edificazione di un mondo più equo. La condivisione nella carità rende l’uomo più umano; l’accumulare rischia di abbrutirlo, chiudendolo nel proprio egoismo. Segni della compassione e carità responsabile: ogni venerdì mi recherò davanti a un Crocifisso per contemplare nelle sue piaghe anche le piaghe della sofferenza e ingiustizia umana. Ogni venerdì rinuncerò a un pasto per dare 5 euro in carità per coloro che sono nella indigenza.

martedì 25 febbraio 2020

Giacomo 4,1-10 e Marco 9,30-37
In perfetto scacco ...

Crollo degli indici di Borsa; supermercati presi d'assalto e completamente svuotati; la sera, strade deserte e senza automezzi circolanti; scuole chiuse; Messe sospese ... e tanto altro. Sembra quasi di vivere in un film, uno di quelli che preconizzavano la guerra chimica-batteriologica; è la strana esperienza di una "vita sospesa". 
È bastato un microscopico virus a metterci KO! Eppure questo piccolo e invisibile nemico è riuscito da solo a piegare la nostra superbia, il nostro orgoglio, la pretesa di onnipotenza. Ma ciò che maggiormente percepiamo, credo, è lo stridente rapporto tra realtà e libertà. È solo quando siamo messi alla prova che riconosciamo con umiltà la nostra piccolezza, la nostra fragilità.
Ecco che l'umiltà emerge come virtù necessaria, attraverso la quale, Dio dona la "grazia": infatti "Dio resiste ai superbi, agli umili invece egli dà la sua grazia".
Credo che sia una grazia, recuperare il bisogno della vicinanza di Dio, del Padre che veglia su di noi e che, è presente e accompagna, nella fede in lui, ogni suo figlio. Non è certo la sospensione delle Messe, che può privarci del desiderio di Dio. È in questa realtà che siamo messi alla prova, circa il nostro vero cuore, la nostra vera passione per Lui. Credo che sia una grazia poter superare quella sfrenata tentazione all'auto preservazione, che si impone come egoismo (la corsa ai supermercati, all'accaparramento), per riconoscere che nel bisogno emerge per il discepolo di Gesù, lo spirito di servizio e di sacrificio, proprio di chi "si fa servo di tutti".
Ci è dato un tempo nuovo e certamente inaspettato; questa Quaresima, inizia con una privazione, anche dei segni della liturgia, eppure, proprio in questa povertà, o attraverso questa povertà siamo richiamati all'essenziale. Risuonano le parole di San Paolo: "Vi scongiuro in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio"

lunedì 24 febbraio 2020

Giacomo 3,13-18 e Marco 9,14-29
Cosa può la fede 

Uno sforzo di immaginazione: la fama di Gesù è tale che la "gente", corre da ogni parte per portare le proprie ferite da curare, malattie da guarire, limiti da superare, ecc... Anche i discepoli, godono della stima stima in forza dell'essere discepoli del Signore. Ed ecco che "ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto. (...) Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti ..."
È forse una pretesa quella della gente, di attendersi un segno efficace, ma in tutto questo si nasconde anche una evidenza: la fede genera aspettative di vita e di salvezza. Non si crede solo nella prospettiva di ottenere qualcosa di necessario, ma bensì le situazioni di vita alimentano e generano la fede come salvezza.
La folla, la gente si attende molto dagli uomini di "fede"; l'essere del gruppo di Gesù, genera molte aspettative, spesso deluse dalla realtà dei fatti. Spesso nel tempo, anche nel nostro, è accaduto che il popolo di Dio abbia creduto non per la maturità e verità del proprio e personale atto di fede, ma per adesione, implicita, nella fede di chi li guidava. Questo non è certo sufficiente per muovere la forza dei segni di Dio. L'efficacia della fede, trova origine nel personale e diretto porsi di fronte a Gesù, e accogliendo in Lui il "se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci".
Accogliere la "possibilità" che è Gesù, incide direttamente nella nostra fede personale, perché la nostra inadeguatezza è un grido, un appello alla salvezza che risiede altrove, proprio e solo in Lui: "Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: «Credo; aiuta la mia incredulità!"

domenica 23 febbraio 2020

Lv 19,1-2.17-18Sal 102; 1 Cor 3,16-23; Mt 5,38-48
Cosa significa “siate perfetti come il Padre vostro celeste”?

Quale logica sta dietro l’amare il prossimo come se stessi, ma soprattutto amare i propri nemici?
È certamente una logica fuori dagli schemi convenzionali, che umanamente riusciamo a elaborare con il nostro intelletto.
Amare i nemici non è per nulla facile, soprattutto per noi che siamo immersi in una realtà competitiva, in cui il nostro prossimo, cioè l’altro, proprio per il fatto di essere prossimo è già di per sé stesso il nemico.
Ma ci pensiamo? Colui che secondo il Vangelo definiamo e chiamiamo prossimocolui dal quale secondo il vangelo mi aspetto quella compassione che esprime vicinanza, attenzione e amorevolezza ... in realtà è il mio acerrimo nemico.
Quando anche nelle nostre comunità di discepoli di Gesù, si fatica a vivere il“ma io vi dico” … “amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli”; questo significa che effettivamente siamo di fronte a qualcosa di straordinariamente nuovo, in cui non si può contare semplicemente sulla buona volontà o sui buoni sentimenti. Non siamo di fronte a un atto morale, ma a una esplicita richiesta di Gesù: “siate perfetti come il padre vostro celeste”; cioè, lasciate che in voi trovi sempre più spazio la possibilità in cui trionfi l’amore sull’odio; in cui vinca il perdono sul rancore; in cui il benevincendo il male,divampi in un fuoco che bruci tutto il mondo!
Il discepolo di Gesù capovolge ogni logica, è questa è la “differenza cristiana”, la differenza del discepolo di Gesù rispetto a giudei o pagani, agli uomini di ogni tempo indifferenti o non credenti. Amare l’altro nella sua irriducibile alterità, al di fuori di ogni logica di reciprocità, che richiede il contraccambio e il riconoscimento reciproco dei diritti. Spetta dunque al cristiano vincere la paura del diverso, avere il coraggio di opporre il bene al male, assumere un comportamento pieno di amore gratuito verso i nemici, chiedere a Dio il bene, la felicità, la vita dell’aggressore. Questo non è moralismo, o buone cose, questa è la rivoluzione che rende evidente il regno dei cieli.
Tutto questo parte dalla nostra conversione alla misericordia, dal nostro cuore liberato, dal coraggio di fare del Vangelo lo spazio dell’incontro con Gesù, e lo spazio nel quale imparare a metterci in gioco secondo il Vangelo.
Non opponiamoci al malvagio, al maligno, al male che potremo fare come reazione al male subito. E in conseguenza di questo deriva una logica nuova:
Per cui, a chi ti percuote la guancia, porgi l'altra.
Per cui a chi ti vuole sottrarre la tunica, tu dagli pure il mantello.
Per cui a Chi ti vuole obbligare a fare con lui un miglio, tu fanne due.
Per cui a chi ti chiede un prestito, non voltare le spalle.
Il Vangelo non è una teoria astratta, ora guardando da vicino queste situazioni, mi accorgo che ci diamo una concretezza esemplare, quella concretezza che certamente corrisponde alla fatica di cambiare radicalmente ciò che sono e che normalmente farei in quelle situazioni.
Ecco allora, che di fronte alle ingiustizie di cui il mondo si alimenta, essere discepoli di Gesù, è effettivamente motivo di quello scandalo che porta inevitabilmente al cambiamento.
Perdonare chi mi è nemico, è scandaloso; come ancora di più è amarlo il nemico, e amare anche tutti quelli che io ho eletto a miei nemici.

sabato 22 febbraio 2020

1 Pietro 5,1-4 e Matteo 16,13-19
Un punto fermo!
Festa della "Cattedra" di San Pietro

La cattedra, letteralmente, è il seggio fisso del sommo pontefice e dei vescovi. E’ posta in permanenza nella chiesa madre della diocesi (di qui il suo nome di "cattedrale") ed è il simbolo dell'autorità del vescovo e del suo magistero ordinario nella Chiesa locale.
A Pietro, "vescovo" di Antiochia, prima, e poi di Roma, dove subì il martirio, viene affidata quindi la cattedra, come segno della sua posizione preminente tra tutti i vescovi, dimostrata dalla esplicita volontà di Gesù, che gli assegna il compito di "pascere" il gregge, cioè di guidare il nuovo popolo di Dio, la Chiesa.
Questa breve introduzione ci permette di cogliere con più attenzione e consapevolezza ciò che la Liturgia celebra in questa giornata, ma anche cosa significa questa festa per il nostro essere discepoli. Per approfondire questo, aggiungo la preghiera di colletta della messa del giorno: "Concedi, Dio onnipotente,  che tra gli sconvolgimenti del mondo non si turbi la tua Chiesa, che hai fondato sulla roccia  con la professione di fede dell’apostolo Pietro."
Gli sconvolgimenti, le persecuzioni, fanno parte dell'esperienza reale e permanente della Chiesa; anche il tempo presente è segnato da sconvolgimenti, non solo esterni alla Chiesa, ma anche nel suo interno: la pedofilia, gli scandali finanziari, le fazioni, il carrierismo, gli intrighi di potere e di spionaggio ... Tutto questo ci fai irridere, ma ci deve anche portare a maturare la certezza di fede che nella figura del successore di Pietro si condensano le promesse di Gesù: "tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli". Oltre al senso esegetico delle promesse, queste parole del Signore sono garanzia della particolare grazia che si esprime e manifesta attraverso la vita è il ministero (pascere) del vescovo di Roma, per tutta la Chiesa. Questo dovrebbe fare molto riflettere circa certe pretese di chi vorrebbe una Chiesa ingessata, tradizionalista; legata a precetti, liturgie e devozioni; come anche chi pensa una Chiesa rivoluzionaria, moderna e digitalmente globalizzata. Sono gli estremi della tentazione di fare della Chiesa una "cosa nostra", ma la Chiesa è di Cristo, e la sua Chiesa nel tempo presente è affidata a Pietro, perché sia guidata e perché il gregge "progredisca verso" il regno dei cieli.

venerdì 21 febbraio 2020

Giacomo 2,14-24.26 e Marco 8,34-38. 9,1
Come si può perdere ma propria vita ...

Chi nella sua vita sceglie la carriera, in realtà muore a sé steso per raggiungere l'obiettivo di riuscire di crescere in prestigio e autorità.
Chi nella sua vita sceglie il denaro, sacrifica tutto di sé per dedicare tempo ed energie ad accumulare e a investire per aumentare il guadagno.
Chi nella sua vita decide di mettersi a servizio degli altri, rinuncia a sé per lasciare sempre più spazio alle esigenze e necessità altrui.
Chi nella sua vita sceglie di sposarsi e di generare una famiglia, in forza dell'amore, muore a sé stesso per amore dell'altro/a, e spende tutto ciò che è per dare la vita e accudire i priori figli.
Se è così nella vita dell'uomo, e lo è, perché ogni scelta esistenziale comporta una priorità che assorbe energie e vita, e si impone sul resto; allo stesso modo e in forza della nostra umanità, anche la proposta di Gesù richiede forza vitale e priorità su tutto!
È di fronte alla proposta di accogliere il Vangelo, che gli ascoltatori (folla e discepoli) non comprendevano costi e benefici, perché quella proposta era nuova, inusuale, e quando Gesù propone sé stesso e il Vangelo non era poi così scontato; anche ore noi, di fronte alla proposta del Signore, quanto ci sentiamo coinvolti così profondamente da mettere in conto il perdere e guadagnare la vita.
Forse non valutiamo con sufficiente consapevolezza come Gesù abbia messo il Vangelo al centro della vita, e in particolare al centro della vita di chi vuole seguirlo (essere discepolo); in questo modo il Vangelo diviene una domanda di appartenenza, alla cui adesione, corrisponde una risposta esistenziale. Ecco allora che è lecito parlare di perdita e di guadagno, ma non in senso economico.
Perdita come rinuncia della proporrà referenzialità: se accolgo il Vangelo non sarò più io il criterio di me stesso!
Guadagno come godimento: non è un gioire del profitto di ciò che sono e che vivo, ma è la gioia di chi riconosce la vita eterna (comunione di amore ore sempre) come unico bene dal valore inestimabile.

giovedì 20 febbraio 2020

Giacomo 2,1-9 e Marco 8,27-33
Domande necessarie, risposte di vita

Da Betsaida, il gruppo dei discepoli con Gesù, si sposta verso Cesarea di Filippo, questa volta però non è come le altre volte: non parabole, non discorsi, non miracoli, non guarigioni. Questa volta è una domanda che riempie di stupore e quasi apre un "vuoto" nei discepoli: "La gente, chi dice che io sia?"  E a ruota: "Ma voi, chi dite che io sia?"
Tremendo, Gesù ... È una domanda come quelle all'interrogazione, quando si va in panico perché pur pensando di sapere tutto, ci assale il dubbio di non avere realmente a disposizione la risposta.
A volte ci si prova a rispondere facendo appello alle conoscenze, alle esperienze, a ogni possibile appiglio ... ma il dramma è quando dopo tutto questo resta come dire un vuoto. Credo che questo sia accaduto ai discepoli; dopo aver cercato la risposta -"Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti" - e a questo punto sono loro che vanno in crisi ... è il silenzio imbarazzato dei discepoli davanti a una domanda disarmata, e senza pretesa: "ma voi chi dite che io sia?"
Non è nelle pretese, di Gesù, una risposta da parte dei discepoli, come anche da parte nostra ... Ma dopo tanto stare con lui, dopo averne condiviso l'amicizia, quella domanda diventa il centro della consapevolezza, si colloca al centro del cuore di ciascun discepolo. Ogni giorno quella domanda cerca - in senso buono - una risposta; quella domanda in realtà si colloca dentro in nostro più grande bisogno esistenziale, quello di non bastare a noi stessi, mai ...
La risposta - quella di Pietro non è quella esatta in assoluto, ma è quella giusta per Lui - rappresenta non tanto la soddisfazione per Gesù, quanto riconoscere la sua vera appartenenza. La nostra risposta è quella di un amante rispetto a colui che ci ama.
In realtà, questa domanda fatta ai discepoli, mi porta immediatamente sulla spiaggia di Tabga, dove il Signore risorto chiede a Pietro per tre volte se lo amava, e Pietro in un modo o in un altro risponde sempre si, ti amo Signore!
Quando ogni giorno posso dire: Si ti amo Signore! Indipendentemente dai tanti tradimenti quotidiani, sono contento perché significa che la mia umanità è ancora "sana" e piena di desiderio, che è ciò che ci salva dall'egoismo mortale.

mercoledì 19 febbraio 2020

Giacomo 1,19-27 e Marco 8,22-26
Vedeva ogni cosa ...

Un altro villaggio che si affaccia su Lago, è Betsaida, paese di origine di Simone e Andrea. Nel suo migrare di città in villaggi, Gesù approda anche in questo sconosciuto villaggio di pescatori, e immediatamente si ripete ciò che ovunque accade, ancor prima delle sue parole, la gente cerca il contatto, vuole toccarlo ... "da lui esce una forza ..."
Ecco un altro ceco ... Toccalo!
Toccalo, perché ... Neppure più è detto cosa il toccare si spera possa produrre ... È quasi implicito che toccare Gesù significa essere certi della guarigione dal male che ci tortura, ci opprime. Il gesto è crudo ... Quegli occhi sono spenti, sono privi di vita ... La saliva, quasi come una linfa vitale, come un balsamo riparatore, Gesù la mette sugli occhi, poi  impone la mano ... Questo segno/gesto introduce una variazione un intervento capace di cambiare le prospettive e la vita di questo uomo. Ed ecco il cieco, non lo è più ... Inizia a vederci; occorre un secondo intervento: di nuovo impone le mani ... Comunque alla fine il cieco ci vede molto bene, anzi "vede ogni cosa".
La rilettura che noi facciamo è legata alla saliva e al l'imposizione delle mani, cioè al dono della vita, e al dono dello Spirito. La guarigione è semplicemente lo spazio umano in cui si rivela la forza del germe di vita che il Signore condivide e lo spazio in cui viene a dimorare lo Spirito, ed ecco che tutto nel cieco viene portato alla sua autentica potenzialità, vedere ogni cosa ...
Cosa significa? Forse significa vedere in modo nitido è chiaro? Oppure vedere in pienezza, quindi vedere a partire dall'opera di Dio. Certo è che la visione è in forza dello Spirito.
Vedere ogni cosa, per me significa anche imparare ad accostarsi alla visione delle cose, sia reali e materiali, che spirituali e interiori. Se guardo un volto umano, se sono sensibile e attento, posso intuire la visione pure del cuore; se guardo un monte, posso intuire anche cosa mi si nasconde ... Vedere a partire dalla realtà per intuirne e vedere anche ciò che è velato ... 

martedì 18 febbraio 2020

Giacomo 1,12-18 e Marco 8,14-21
Dal segno, al pane ...

"Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?"
Non ci fidiamo e chiediamo segni, come allora anche noi siamo spesso nella stessa situazione! Di fronte a ciò che viviamo, non poche volte chiediamo a Dio un segno di approvazione, un segno che ci indichi il cammino, ci fa la soluzione; un segno che ci faccia sentire la sua presenza amica e consolante ... un vero segno ...
Perché? Perché il silenzio, in noi e attorno a noi, ci lascia solo nell'esperienza della nostra autoreferenzialità, ma non della compagnia di Dio. Gesù invece sembra proprio esigere dai suoi discepoli il riconoscimento di ciò che lui ha fatto con e per loro.
Non vi ricordate? "E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?" (...) "E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?" (...) "Non comprendete ancora?"
Quel "solo pane" rimasto, alimenta per ciascuno il ricordo di Lui, della sua vita, delle sue Parole, della sua amicizia. Mangiare quel pane è alimentare il ricordo di ciò che Lui è per tutti noi. Per un discepolo, fare memoria di lui, non è semplicemente una liturgia della domenica; fare memoria di lui è avere cura, nella vita di tutti i giorni, di una amicizia che si rende evidente nei tanti segni che gli corrispondono, e che la fede in Lui è capace di generare. 

lunedì 17 febbraio 2020

Giacomo 1,1-11 e Marco 8,11-13
Il segno dei segni ... 

Citazione di Silvano Fausti sj: "E sotto c’è anche un cosa più profonda: noi chiediamo sempre dei segni: i figli chiedono ai genitori i segni dell’affetto, la conferma; cosa vuol dire? Vuol dire che non sono sicuri dell’affetto. E più conferme dai, più ne hanno bisogno. Alla fine quand’è che l’altro crede all’affetto? Quando non ha bisogno dei segni. E noi, istintivamente, invece di leggere i segni e di credere all’amore e all’affetto, sia di Dio sia dei genitori, vogliamo sempre dei segni e non ci fidiamo ..."
È interessante questa lettura del "segno". I Farisei, i discepoli, la gente comune, ecc ... tutti sembra abbiano la pretesa di vedere un segno, di quelli che ci lasciano senza parole, ma soprattutto senza possibilità di dubitare.
Ma questa è la pretesa che annulla il senso è il vero dei segni di Dio.
Il primo segno di Dio, attraverso Gesù, è il suo essere bambino: "... e questo è il segno: troverete un bambino avvolto in fasce ...".
Non si tratta certo di un segno di potenza, anzi, è un segno fragile e piccolo ... che sviluppa la sua forza e manifesta tutta la sua potenza solo se accolto con fiducia e amore. Gesù, è egli stesso il segno di Dio, non solo egli fa dei segni ... 
Se non ci fidiamo di lui, se non lo accogliamo liberamente e con amore nella nostra vita ... il segno che è Lui, continuerà a deluderci, non ci basterà mai; come se non ci fisse dato nessun segno, o ci fosse negato ...
Se amo Gesù, non ho più bisogno di segni ... il vero segno è il suo amore anche per me; per cui se mi riconosco e mi scopro amato, non ho bisogno di altro.
Il vero segno è la sua amicizia, per cui, se la mia amicizia gli corrisponde, non la metto continuamente alla prova. "Amen, vi dico: a questa generazione non sarà dato alcun segno ..."; Gesù ci ha già dato tutto di sè ... cos'altro posso pretendere?

domenica 16 febbraio 2020

Sir 15,16-21; Sal 118; 1 Cor 2,6-10; Matteo 5,17-35
Gesù mi insegna ... e io apprendo ...

Quel "ma vi dico" risuona come un fulmine a ciel sereno ...
Tutti,ascoltando restano meravigliati, prima che scossi, poi rientrano nella reazione normale di chi è abituato ai discorsi dei Maestri della legge, degli Scribi e Farisei ...per loro tutto dipende dalla scrittura ... Ma dipende nel modo più convenzionale possibile. La scrittura è fonte della Legge, e la legge è il contenitore per l'uomo.
Ma quel "ma io vi dico" è veramente un tuono di novità che irrompe improvviso trascinando il nostro desiderio di cambiamento, di rinnovamento, è quel "nuovo" necessario per non essere otri vecchi o vestiti rattoppati.
Che cosa rappresenta la Legge di Dio per un ebreo?
La Legge prima di essere una norma morale rappresenta il modo in cui Dio incontra e soccorre la nostra fragilità umana. Nessuno di noi è perfetto, e sinceramente, guardandoci a fondo scopriamo inadeguatezze, tradimenti, menzogne ecc... Che volontariamente o meno si nascondono tra le pieghe della nostra storia e del nostro esistere. La Legge, per un ebreo, è dono di grazia, rappresenta il percorso positivo  attraverso il quale la nostra umanità viene aiutata nel cammino della sua pienezza, della sua realizzazione e vocazione. Quando la legge la svuotiamo del suo originario contenuto che è la compassione di Dio e il modo in cui l'amore di Dio ci raggiunge, quella Legge si riduce a un precetto, o a un "imparaticcio di uomini".
"Ma io vi dico": chiunque si adira con il proprio fratello, chi nutre rancore è potenzialmente un omicida. Chi non ama, uccide; chiunque si adira con il fratello, o gli dice pazzo, o stupido, è come Caino che uccise il fratello Abele. L’ira, l’insulto, il disprezzo, sono tre forme di omicidio. L’uccisione esteriore avviene viene a partire dalla eliminazione interiore dell’altro. La qualità delle nostre relazioni ci rivela lo stato della nostra "natura umana".
Gesù dice, "Ma io vi dico", non commettere adulterio. Adulterio viene dal verbo a(du)lterare che significa: tu alteri, cambi, falsifichi, manipoli la persona. Nel fare "adulterio", rubi il sogno che Dio a dell'altro, ti vuoi sostituire alla sua vera felicità. Adulterio non è tanto un reato contro la morale, ma un delitto contro la persona, deturpi il suo volto. Con questa parola crisi scabrosa, Gesù entra con la luce del Vangelo anche nella intimità più profonda del nostro affetto, del nostro amare.
Gesù dice, "Ma io vi dico": Non giurate affatto; il vostro dire sia sì, sì; no, no. Cioè non mentite, non siate falsi. Di’ sempre la verità e non servirà più giurare. Dobbiamo solo avere una unica priorità: curare il nostro cuore, per poi guarire la vita.
Che cosa ci sta all'origine del nuovo insegnamento di Gesù?
All’origine dell’insegnare, per Gesù, c’è il lasciarsi condurre dalla compassione per noi.
È a partire da questa compassione che Gesù ci propone una pienezza di vita, che non è semplicemente quanto umanamente ci aspettiamo, speriamo o intuiamo.
Attraverso le Parabole, attraverso i suoi discorsi, Gesù propone sia la lettura della realtà come anche la visione del pensiero e dei sentimenti di Dio Padre.
L'insegnare, per Gesù, è allora, mettere insieme la nostra vita e le nostre esperienze con il "mistero" di Dio. Quando la nostra vita, il nostro "cuore" non si confrontano e non si misurano col "mistero", reputandolo una favola o semplicemente un retaggio del passatoquando l'indurimento rappresenta l'esclusione del primato di Dio e dell'amore nella quotidianità della vita, oltre che nei principi; lì si sperimenta la fatica dell'insegnare, ma anche la sua necessità e perenne attualità.

sabato 15 febbraio 2020

1 Re 12,26-32; 13,33-34 e Marco 8,1-10
Seconda moltiplicazione dei pani

L'evangelista Marco, al capitolo sesto, ci riporta la prima moltiplicazione dei pani a partire dai cinque pani e due pesci; ora all'inizio del capitolo ottavo ritorna la stessa immagine con la variante che i pani di partenza, sono 7 e pochi pesciolini. Una insistenza che da un lato dice come nella tradizione non scritta, quel miracolo/segno abbia lasciato una traccia profonda nei ricordi e nel "sentire della gente", ma mette a nudo anche i sentimenti e le preoccupazioni di Gesù.
Tutti mangiarono a sazietà, e ancor prima della sazietà, tutti si stupirono e si meravigliarono: "quei pani non finivano", da pochi che erano, non finivano mai; più i discepoli lì spezzavano, ancora un maggior numero ne riceveva un pezzo, e così pure dei pesci. La gente ora è toccata, non solo nell'intelletto, per le parole dette da Gesù; non solo è stupita per le guarigioni; ora la gente è saziata nella propria fisicità, da un pane di cui si può solo meravigliare e stupire. Ma non è sufficiente a generare la fede vera, né per la folla, né per i discepoli increduli, e con preoccupazione neppure per i Farisei.
Il segno del pane, diviene il segno per eccellenza, è la meraviglia tra i miracoli di Gesù, ma non porta alla adesione di fede. "Non sarà dato nessun segno" a questa generazione, queste parole di Gesù, risuonano come giudizio, ma anche come constatazione: il segno non dà la fede. Ciò che dà la fede è l'intimità con il Signore, cioè entrare nella sua "compassione". Ciò che muove Gesù a compiere la moltiplicazione del pane è la compassione. Un sentimento profondo di Gesù per ciascun uomo. Ma che cosa è la compassione se non un amore viscerale, pieno, per ciascun figlio di Dio? Quando questo amore intercetta la nostra umanità, e noi ci sentiamo amati dal Signore, quel contatto è fede, e quel pane è "pane del cielo!"  È proprio la compassione che moltiplica il pane, in pane del cielo; è il nostro amore umano, che si riempie dell'amore di Gesù ... fino a sazietà, questa è la fede.

venerdì 14 febbraio 2020

Atti 13,46-49 e Luca 10,1-9
Santi Cirillo e Metodio & San Valentino

“Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”
È questa la forza che alimenta l'agire missionario di Paolo, portare ovunque Cristo, fino anche all'estremo ... ai confini estremi della terra. Queste parole, che l'apostolo custodisce per sè, come esplicito e particolare incarico, hanno diretta attinenza alla missione (invio) dei settantadue.
Anche per i settantadue, la missione ha come origine la parola di Gesù; pregate; andate; vi mando; portate ...
La missione, non è un obiettivo aziendale, da raggiungere; per questo ha origine nella preghiera, nell'amicizia con Gesù, nell'essere suoi discepoli, cioè capaci di aggregare a quella amicizia altri fratelli, altri uomini e donne, così da renderli partecipi consapevoli della salvezza: cioè della loro vocazione e chiamata alla pienezza della vita.
La missione comporta un movimento di uscita. Infatti l'amicizia si genera per apertura senza pregiudizio dei legami di affetto, e non per selezione dei candidati.
La missione non ce la diamo come incarico da noi stessi, ma è un andare che ha origine nella volontà di Gesù. È Gesù che connette il suo andare di villaggio in villaggio col nostro mandarci di villaggio in villaggio. E ci manda come agnelli in mezzo ai lupi: è chiaro a tutti che verremo sbranati. Verremo divorati da coloro a cui siamo inviati. Il nostro essere mandati ha una peculiarità accorcia, riduce le distanze crea la vicinanza del Regno di Dio. Essere divorati dai lupi, non ha più un connotato tragico, ma è immagine di intima, profonda e totale gratuità della vita donata al Signore e a favore dei fratelli.
E se non basta tutto ciò, la vera missione non ha forza se non nella totale dipendenza dalla povertà dei mezzi della proposta. Non occorre poetare nulla con sè e per sè, l'unico essenziale è portare Gesù in noi.
Rieducarci alla missione, non è facile ...  quasi, quasi, è una missione!

giovedì 13 febbraio 2020

1 Re 11,4-13 e Marco 7,24-30
Fedeltà e cambiamento

Questa donna ci rappresenta: è pagana, anche noi lo siamo di provenienza; accoglie la parola, anche noi diciamo di ascoltare la voce del Signore, almeno ogni domenica alla santa Messa. Il camminare di Gesù non si limita alla Galilea, intorno al lago, ma va oltre.
Egli raggiunge Tiro, e pure se in in terra pagana compie i segni che fino ad ora aveva riservato ai giudei, ai figli della promessa. Ciò che Gesù ha manifestato ai figli di Abramo, è ciò che ora, pure, riserva ai figli delle genti. Il muro di separazione è così anticipatamente abbattuto. Chi è il primo a prendere il pane dei figli per darlo ai cani infedeli? A vedere bene, è lo stesso Gesù, egli spezza il pane della parola, per la fede di questa donna. Gesù riconosce che c'è verità in questa donna pagana: una mamma che soffre per il male che divora la sua bambina. Si potrebbe dire che il bisogno suscita la fede, che la disperazione porta a tentare ogni possibilità ... forse è anche questo, certo è che la fede ha diretta attinenza con la vita, con le esperienze, e Gesù, al pari della fede, non è astrazione dalla realtà, anzi, il Signore si immerge nella realtà riempiendola (manifesta) della presenza liberatrice e salvifica del Padre. Cosa si coglie nell'agire di Gesù? Credo un aspetto di estrema attualità: il superamento degli schemi, e il cambiare pur nella fedeltà e continuità dell'esperienza e della vita. Sembrerebbe una contraddizione, ma non è forse il Signore fedele ai gesti/miracoli/parole compiuti fino ad ora? In questo c'è continuità nel suo agire e nell'agire di Dio nella storia di salvezza.
E non è forse cambiamento andare a Tiro, superare il confine culturale e entrare in un mondo pieno di "impurità"? Si, Gesù supera lo schema, ma non tradisce la tradizione; il suo andare oltre il confine è un gesto di purificazione (di tradizione), grazie alla fede sincera di una donna siro-fenicia: «Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia». Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato.

mercoledì 12 febbraio 2020

1 Re 10,1-10 e Marco 7,14-23
Il cuore è un vero mistero

Quando il centro della vita disattende alla propria originalità, diviene sorgente di: "impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo", dice in confidenza, e all'interno della casa, Gesù ai suoi discepoli.
È entrando, scendendo nella profondità del nostro essere, raggiungendo il centro della nostra esistenza, che ci troviamo di fronte alla necessità di comprendere nella verità. Questo centro esistenziale è il "cuore" di ogni uomo. Esso rappresenta un vero mistero, per la sua dimensione ed esperienza abissale. 
Alla fine del salmo 138 (Signore tu mi scruti e mi conosci) il Salmista si esprime con queste parole: "Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore, provami e conosci i miei pensieri: vedi se percorro una via di menzogna e guidami sulla via della vita".
Il cuore rappresenta la "fucina" del nostro esistere, è il cuore che poniamo di fronte allo sguardo di Dio, ma è dal cuore che io stesso imparo a riconoscermi, per ciò che sono e per ciò che posso essere. Nelle parole di Gesù, si potrebbe scorgere una certa durezza di pensiero: "Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male", ma in realtà per Gesù, il cuore è lo spazio del tesoro, è lo spazio in cui scoprire il regno di Dio, in noi. Se il cuore ha la forza di rendere impuro l'uomo, nell'esperienza più tenebrosa della oscurità morale e spirituale, quale assoluta esperienza di grazia è un cuore in cui dimora lo Spirito di Dio? Quando nel cuore di noi stessi desideriamo e permettiamo che dimorino, le parole di Gesù, ecco che nel cuore si realizza il regno di Dio. Si, il regno, è la "gloria" di Dio nel nostro cuore. Nulla ha a che fare con la moralità esteriore, o con gli adeguamenti all'etica o alla religiosità. Il regno è compiacenza manifesta di Dio, per ciascuno di noi e in ciascuno di noi. Si è regno di Dio, perché si corrisponde al regno nella gratuita dell'amore come risposta alla amorevole tenerezza (compiacenza) del Padre. Nel proprio cuore si impara ad arrendersi (cioè a non fare resistenza) all'amore.

martedì 11 febbraio 2020

1 Re 8,22-30 e Marco 7,1-13
Quando la religione è una gabbia

C'è chi osserva come ti compirti, se agisci secondo le leggi e le tradizioni della convenzione sociale e religiosa ... anche solo della tua comunità. È la sindrome del controllo: farisei e alcuni scribi, venuti da Gerusalemme, osservavano come i discepoli di Gesù mangiavano il pane con mani impure, cioè non lavate. Le conseguenze della "impurità" per non aver osservato le abluzioni era talmente "capziosa" che generava una vera esclusione sociale. L’osservanza della legge era un aspetto molto serio per la gente, al punto che erano convinti che una persona impura non potesse ricevere la benedizione promessa da Dio ad Abramo. In realtà, invece di essere fonte di pace, le norme costituivano una prigione, una schiavitù. Per i poveri, era praticamente impossibile osservare le centinaia di norme, di tradizioni e di leggi. Per questo erano considerati persone ignoranti e maledette che non conoscevano la legge (Gv 7,49).
Anche oggi nelle nostre comunità, ci sono leggi, precetti, o anche solo convenzioni religiose, che finiscono per essere occasione di controllo della libertà e della coscienza credente, ad esempio l'espressione "si è sempre fatto così"; non è sufficiente che sia denunciata dal Papa come quella modalità che si oppone al rinnovamento della Chiesa, e alla conversione missionaria, in verità dietro quelle poche parole si nascondono tutti i nostri tradimenti al Vangelo e dice tutta la nostra inadeguatezza all'essere discepoli del Signore. Vivere secondo il Vangelo, è un continuo recupero della libertà da schemi e convenzioni che, pur se in apparenza sembrano provenire dalla scrittura, in realtà la rinnegano ai singoli il cammino di maturazione umana e di corresponsabilità nell'agire. A volte sembra più facile, a volte più conveniente sottostare agli "scribi e farisei del nostro tempo" - che spesso sono i nostri comparrocchiani - piuttosto che avere il coraggio di vivere la legge nella sua piena integrità cioè riportata al cuore e alla sua verità e non nella sua trasformazione in convenzione o ripetitiva abitudine.

lunedì 10 febbraio 2020

1 Re 8,1-13 e Marco 6,53-56
Erano salvati ...

La tradizione ci rimanda a Dalmanuta, come luogo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, da qui in barca i discepoli erano partiti e Gesù li raggiunse nella notte camminando sul mare di Galilea. La navigazione proseguì fino al loro arrivo nella pianura di Genèsaret.
La vita della gente del lago, viene toccata dalla parola di Gesù, e certamente le parole e i segni compiuti da Lui hanno avuto una notevole risonanza nei dintorni del Lago, questo "maestro" suscita interesse e curiosità. Ma perché non parlare di coinvolgimento rispetto a una attesa messianica, che era sempre più evidente e forte?
La cronaca di cui il Vangelo di Marco, diventa depositario, ci racconta proprio come le persone da città, villaggi e campagne, si spostano per poterlo incontrare, per poterlo ascoltare e per portargli i malati da guarire.
Le sue parole, il suo dire non era a caso, e la "nuova parola", annunciare il regno dei Dio, suscitava in loro un vero coinvolgimento personale.
I suoi gesti rompevano la monotonia di una realtà immutabile: quel pane e quei pesci ... loro li hanno mangiati e si sono saziati, questo è un fatto, non fantasia!
Così come a Cafarnao davanti alla porta di casa di Pietro e Andrea, dove portarono i malati e anche calarono il paralitico dal tetto; così come la donna malata di emorragia; la gente del lago continua a portare i propri malati perché toccando anche solo le frange del suo mantello, possano guarire. Tutti pensano, e sono convinti, che anche solo toccare di striscio Gesù o i suoi abiti possa dare la guarigione ... Toccare il Santo, per poter essere Santi, ovvero trovare salvezza dal male che dilania, opprime e porta alla disperazione. La salvezza è ben più della guarigione; la salvezza non è una "medicina curativa", ma diviene relazione e vita con chi mi salva! 


Inviato da iPad

domenica 9 febbraio 2020

Is 58,7-10; Sal 111; 1 Cor 2,1-5; Mt 5,13-16
A corto di sale e in cerca di luce.

Questo essere sale, corrisponde ad avere Gesù in noi, e dice circa la nostra identità e della identità della mostra comunità. Torno quindi a soffermarmi sulla irrilevanza, di Gesù, nella vita di un credente, di un cristiano.
Domanda che cosa fa di noi dei discepoli di Gesù? Cosa fa di noi essere cristiani?
Credo di poter affermare che questa irrilevanza è proprio ciò di cui oggi il Vangelo ci racconta: "sei sale e hai perso il tuo sapore! A casa servi se non a essere gettato?"
Ma se il nostro essere sale è in relazione a Gesù, a maggior ragione comprendiamo come questa relazione da' il tenore della nostra vitalità di fede e del nostro essere sapore nel mondo. L'irrilevanza è essere a corto di sale, ed essere "fiochi" di luce, perché è insufficiente il legame con Lui; perché è insufficiente ma sua amicizia e la sua vita in noi: come dire cristiani con la riserva che lampeggia.
Come posso rendermi consapevole di questa carenza? La prima lettura è una vera miniera di sale! Cosa è sale della vita cristiana?
È sale dividere il pane con l’affamato, accogliere in casa i miseri, senza tetto, vestire uno che vedi nudo.
Ecco che capiamo subito che non è scontato essere sale e che è fatica fare luce. 
La promessa del Vangelo, è invece questa: "dividi il pane con l'affamato", ed ecco che brillerà la tua luce, della luce di Cristo, brillerà in ciascuno noi e sarà luce come l’aurora, cioè sarà luce che si diffonde dolcemente e sconfigge la notte della paura e della menzogna.
La luce che è Cristo in noi converte lo stile di una vita mediocre, perchè mette in luce il nostro opprimere il fratello; il nostro puntare il dito per accusare; sarà invece una luce che scalda, una luce che accompagna che dà sicurezza, da amorevolezza.
Ma tutto questo è sufficiente a rendermi discepolo?
Azzardo a dire che manca ancora qualcosa per essere sale e luce del mondo! Manca il coraggio della missione!
Il sapore del sale nella vita di un discepolo di Gesù ha il sapore della missione. Non possiamo ridurre l'essere sale e luce, alla buona educazione, alle belle maniere, alla carità richiesta per dovere. Essere sale e luce è essere missionari! Questo forse non vogliamo esserlo, o non ne siamo più capaci. Io sono realmente sale e riesco a dare sapore, quando corrispondo al desiderio di Gesù di fare di noi uomini e donne in missione, non semplici missionari, ma gente per cui la missione è parte della vita. 
Quale è la più grande carenza di sale oggi nella nostra Chiesa? La fede? No, la missione, il coraggio e il desiderio di essere missionari. La nostra irrilevanza è essere insipidi al punto che la nostra testimonianza corre il rischio di non dire nulla, e allora veniamo rifiutati e calpestati dagli uomini. 
Oggi più che nel passato, dell’essere missione non possiamo farne a meno, se vigliamo essere veri discepoli di Gesù, veramente cristiani: non si è alla sequela del Signore senza essere da lui inviati/missionari. Siamo di fronte a un mutamento radicale, che riguarda tutta la vita cristiana, la vita della Chiesa, ma in particolare riguarda ciascuno di noi.
A tutta la Chiesa è richiesta un'operazione di rinnovamento e discernimento, per attuare il mandato di Gesù risorto: «Andate, evangelizzate in tutto il mondo, portate la Buona notizia a ogni creatura».
Ma dobbiamo riconoscere e confessare oggi una scarsità di sapore e una inerzia nell'agire, una mancanza di coraggio nel lasciare le proprie certezze la propria terra segnata dal benessere per "terre", ovvero esperienze umane, che sono ancora toccate dalla fame, dalla miseria e spesso anche dalla violenza e dalla guerra.
Papa Francesco chiede con frequenza alle Chiese di porsi "in uscita", di volgersi alla missione in condizioni dinamiche, aperte, libere, per poter portare la Buona notizia del Vangelo. Dietro a queste espressioni, c'è la richiesta di un cambiamento radicale del vivere la Chiesa, attraverso la riscoperta dell’originalità della missione. 
Che cosa richiede il nostro essere discepoli, per essere sale e luce? Ci richiede, in primo luogo, la responsabilità dell'evangelizzazione; consapevoli che una vera e propria conversione della vita cristiana, impegna ciascuno a cambiare la propria sicurezza di fede alla luce del vangelo.

sabato 8 febbraio 2020

1 Re 3,4-13 e Marco 6,30-34
Gesù insegnava ... ???

Gesù ha attenzioni particolari, egli si prende cura dei suoi discepoli, "Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’"; poi insegna a loro come comportarsi e vivere da dentro l'esperienza di annunciare il Vangelo.
Il Vangelo non è una disciplina o una teoria da imparare; Gesù insegna, cioè conduce chi lo ascolta attraverso le parabole nel discernimento della vita. Insegnare per Gesù non è una questione di nozioni, o conoscenze che si aggiungono; annunciare il Vangelo è una questione di vita e di cuore; tanto è vero che, quando si troverà di fronte all'incapacità dei discepoli e della gente, Gesù parla di mancanza di fede e di cuore indurito. Ecco che insegnare per Gesù corrisponde al lasciarsi condurre dalla compassione per noi. È da questa compassione che Gesù prova di proporci una pienezza di vita che non è semplicemente quanto umanamente ci aspettiamo, speriamo o intuiamo. Attraverso le parabole Gesù propone sia la lettura della realtà come anche la visione del pensiero e dei sentimenti di Dio Padre. L'insegnare, per Gesù, è effettivamente mettere insieme la nostra vita e le nostre esperienze con il "mistero". Forse è proprio questo che oggi è in crisi! Quando la nostra vita, il nostro "cuore" non si confronta e non si misura più col "mistero", reputandolo una favola o semplicemente una pia illusione; quando l'indurimento rappresenta l'esclusione del primato di Dio e dell'amore nella quotidianità della vita, oltre che nei principi, lì si sperimenta la fatica dell'evangelizzazione, ma anche la sua necessità e perenne attualità.

venerdì 7 febbraio 2020

Siracide 47,2-13 e Marco 6,14-29
Un racconto a margine ... 

Se saltassimo questa parte del Vangelo di Marco, la lettura sarebbe anche più snella e non vi sarebbero fratture narrative. Ma visto che il redattore e la tradizione ci riportano un testo con questa inserzione, significa che questo racconto ha un valore che da significato e compimento al Vangelo. È con questa consapevolezza che evitiamo di catalogarlo come una semplice inserzione narrativa. La vicenda di Giovanni Battista, non è marginale nello sviluppo del messianismo di Gesù. La sua personalità forte, il suo rapporto esplicito col cugino, la sua franchezza nell'annunciare l'imminenza del Regno di Dio; tutto questo entra in contatto con ciò che Gesù sta dicendo e vivendo; non in uno scontro, non in un accostamento, ma in una confluenza. Ecco questo brano testimonia il tentativo di confluenza, attraverso il Vangelo, dell'esperienze della comunità del Battista con la comunità del Nazzareno. È un brano che testimonia l'accoglienza dei discepoli di Giovanni nella comunità di colui che che lo stesso Battista indicava come "agnello di Dio". Da queste righe si raccoglie la narrazione di un evento che ha profondamente segnato quei giorni: la prigionia e l'uccisione del Battista nella fortezza di Macheronte; la spietatezza di coloro che sono attori di una storia, ma anche i principali responsabili politici di quel tempo; ci racconta il risvolto e l'interiorità di un Erode ("... Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri") che non è capace di impedire un complotto e una vendetta. Tutto questo si confronta con la novità che rappresenta Gesù: "Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso".
Così possiamo dire che tutto ciò che riguarda Giovanni il Battista, deve trovare in Gesù, compimento e realizzazione. E i primi che devono realizzare questa confluenza siamo noi, nulla va scartato, tutto trova nel Vangelo un senso compiuto.