venerdì 31 luglio 2015

L'evitico 23,1-37 e Matteo 13,54-58
E ci scandalizziamo per causa sua ...


A Natharet si scandalizzarono, cioè inciamparono su Gesù ... Il confronto con Gesù diventa per loro un baratro da dove non si esce, da dove è impossibile riemergere. Ciò che loro, ma anche noi pensiamo del Signore diventa l'impedimento a credere e a riconoscere i "miracoli" del suo amore per noi.
Siamo noi con la nostra vita e con le nostre scelte a decretare cosa e chi sia Gesù per noi. Le nostre meschinità, la nostra tiepidezza rispetto al Vangelo non sono semplicemente una trasgressione, quanto un modo subdolo e tendenzioso di appropriarci del Signore adattandolo alla nostra autoreferenzialità ... Questi è lo stesso inciampo di quelli di Nazaret ...
Non cadere nello "scandalo" significa accettare quella umiliazione di imparare a conosce il Signore, "sine glossa" ... Occorre fermarsi e spogliare se stessi dalla presunzione che spesso è la superficialità di chi già conosce tutto di sé stesso e di Gesù.

giovedì 30 luglio 2015

Esodo 40,16-38 e Matteo 13,47-53
Alla tua presenza, nella tua dimora ...

"Anche il passero trova la casa, la rondine il nido, dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, mio re e mio Dio".
Questa è la condizione del regno dei cieli, una realtà inclusiva in cui condividiamo il dimorare di Dio con noi. L'esperienza del popolo di Israele, nel deserto, diventa straordinariamente unica, gli spazi e le cose realizzati dalle mani dell'uomo (la tenda, l'arca ecc...) divengono dimora di Yhwh ... "Colui che è per te, che esiste" non sarà mai una entità astratta ma la testimonianza della sua presenza ed esistenza si colloca dentro la vita stessa del popolo, lì dov'è il popolo,  lì dimora il suo Dio. L'altare rappresenta la sintesi della vita, il luogo del celebrare il patto di amore che è la linfa della vita stessa. Il regno dei cieli raccoglie tutta questa esperienza, come una rete, nulla lascia che si disperda, tutto è portato a Padre.

mercoledì 29 luglio 2015

1 Giovanni 4,7-16 e Matteo 11,19-27
In cosa consiste l'amore


Solo chi ha fatto esperienza di aridità rispetto alla vita di fede può comprendere cosa vuol dire essere amati. Nell'aridità che è condizione in cui non riusciamo a riconoscerci amati, possiamo fare una esperienza unica nel suo genere, ma fondamentale per dare consistenza al nostro amore: ricercare e riconoscere quell'amore che era la nostra "Gioia e felicità". Non a caso 1 Giovanni ha una espressione riguardo a all'amore di Dio che non è rivolta al presente o al futuro, ma al passato: "in questo si manifestò l'amore di Dio per noi ...".
Ciò significa che questo amore è originario e non conseguenza di un merito o di una benevolenza. Scoprire di essere amato è scoprire in che cosa consiste l'amore: nel dono di se, nell'offrire la propria vita, affinché per quel dono e per quella vita l'amato possa vivere gratuitamente. La fatica che sperimento nell'amare è nel trasformarmi in un dono perpetuo, in un dono in cui dimorare insieme.
"I ricchi impoveriscono e hanno fame, ma chi cerca il Signore non manca di nulla".

martedì 28 luglio 2015

Esodo 33,7-34,28 e Matteo 13,36-43
Fà di noi la tua eredità ...


Questa espressione della preghiera di Mosè ha un suono tutto particolare, alla fine del riconoscimento della misericordia di Yhwh; della sua giustizia; dell'essere il Dio del suo popolo, il Dio che cammina in mezzo al suo popolo; ecco che dalla bocca di Mosè esce questa richiesta: non quella di essere il popolo che eredità i doni di Dio, ma che il popolo sia il dono, l'eredità di Yhwh ...
Essere eredità di Yawh è conseguenza di un gesto "creazionale" di Dio, un gesto che si genera in una appartenenza che è in origine opera di Dio, noi non ne siamo capaci, neppur desiderandolo, a causa della nostra durezza. Essere eredità credo proprio voglia significare essere parte e non semplicemente beneficiari della divina Misericordia.
1) "Come il cielo è alto sulla terra, così è grande la sua misericordia su quanti lo temono ..." (Salmo 103)
2) "Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro" (Mt 13,43); l'eredità sono i giusti del regno del Padre.

lunedì 27 luglio 2015

Esodo 32,15-34 e Matteo 13,31-35
Essere di Dio ...


Appartenere a Dio non è mai stato facile, il racconto di Esodo ci mostra ancora una volta come il tradimento e l'infedeltà abita il cuore di Israele, è come questo tradimento si infrange di fronte alla solidità delle tavole della legge. La nostra fatica, a vivere fino in fondo l'opera di Dio e a fare nostre quelle parole che sono scritte dalla sua mano, afferma non solo una disobbedienza ma quella inclinazione a non voler appartenere a un Dio che ci ama ed è per noi! Appartenergli, diventa un esercizio esistenziale e non solo una obbedienza. È tutta l'esistenza da discepolo che viene educata al mistero di Dio, al mistero del regno. Le stesse immagini delle Parabole del regno dei cieli chiedono nella prima immagine di abitare lo stesso mistero, come fanno gli uccelli del cielo (avere casa, nido, nel regno dei cieli) e nella seconda di lasciarci impastare e lavorare dalle mani di Dio, questo è appartenergli, essere di Dio.

domenica 26 luglio 2015

2 Re 4,42-44 / Salmo 144 / Efesini 4,1-6 / Giovanni 6,1-15
Dove comprare tutto il pane?

Alla fine tutti mangiano, tutti sono sazi e nulla viene gettato ... nulla va sprecato.
La moltiplicazione dei pani e dei pesci, a Tabga,  preannuncia nel segno la sua efficacia: la sazietà della fame: Gesù pone una soluzione che soddisfa tutti. Una soluzione che prefigura una logica nuova. Quella del regno dei cieli.
È in questa logica che affrontiamo il capitolo sesto di Giovanni: non come semplice immagine della eucaristia, ma come centro delle realtà nuove che scaturiscono dall'irruzione del regno dei cieli nella vita umana.
Se noi ci trovassimo in una situazione simile a quella raccontata da Giovanni, la nostra preoccupazione sarebbe principalmente:
1) quella suddividere le porzioni in modo realistico affinché tutti ne abbino un pezzettino ... senso di una carità democratica: un pezzetto per ciascuno;
2) recuperare 200 denari per comprarne per tutti ... un grande sforzo e investimento;
3) vista l'esigua quantità, avremmo tirato a sorte "a chi tocca"; meglio che almeno qualcuno abbia a sufficienza piuttosto che rendere il bene inutile.
In realtà sono tutte logiche "economiche", frutto della nostra mentalità, della nostra storia ... da rivoluzionari illuministi e comunisti o liberali capitalisti ... 
Domanda: È possibile che una logica nuova, divina possa fare breccia nella complicatissima civiltà umana?
La risposta che vuole dare Gesù è sorprendentemente SI! Perché il divino vuole saziare tutti ... Non qualcuno; il desiderio di Dio si vuole realizzare e compiere in ogni alito di vita umana, questo desiderio si chiama redenzione. La logica redentiva non parte come origine dalla realtà, ma da Dio e si rivolge alla realtà.
La logica di Gesù parte dal ringraziamento a Dio, al Padre per tutto ciò che esiste ed è in quel momento di fronte ai suo sguardo, prosegue in un coinvolgimento responsabile che chiama in causa tutti affinché il dono ricevuto entri nella logica della custodia e non dello spreco e della dimenticanza, in ultimo, tutto è stato mosso dalla compassione per quelle persone, per quella gente che ha grandi desideri ... è affascinata ma non comprende.
Tutti siamo bravi a risolvere i problemi umani, ma ciò che Gesù suggerisce è di comprenderci nella novità di un intervento che trascende se stesso e diviene opera di Dio.
Quando il nostro agire diviene opera di Dio: la moltiplicazione dei pani e dei pesci cessa di essere un fatto miracoloso è straordinario per diventare un segno sacramentale ed efficace di Dio. Per la gente allora, il segno operato da Gesù si rivela dunque come un vero fallimento. La folla numerosa non comprende e nel suo desiderio vuole impadronirsi di Gesù. È significativo che Giovanni scriva che “volevano impadronirsi di lui per farlo re”, cioè volevano renderlo un oggetto, un idolo secondo i loro desideri. Non ci siamo ancora ...

sabato 25 luglio 2015

2 Corinzi 4,7-15 e Matteo 20,20-28
Festa di San Giacomo maggiore


I figli di Zebedeo, detti Boanerghes, ovvero "figli del tuono", rappresentano insieme a Pietro e Paolo e agli altri apostoli i cardini della cattolicità. La figura dell'apostolo occupa da subito lo spazio è il riferimento assoluto che lega a Cristo. Nella seconda lettera ai Corinzi, il concetto è chiaramente espresso in queste parole:"perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale". La nostra vita come occasione della Sua ripresentazione; le sue parole allora risuonano con potenza, "come tuono": "Il mio calice lo berrete"; "il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita..."!
Bere allo stesso calice del Signore è partecipare alla stessa vocazione di servizio e di amore che ci impegna nel fare fino in fondo la volontà del Padre; una obbedienza che si impara a partire dall'ascolto della sua parola e non dalla mia interpretazione o applicazione.

venerdì 24 luglio 2015

Esodo 20,1-17 e matteo 13,18-23
Le parole rubate ...


"Gli ordini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore; i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi", le parole del Salmo 19 danno risalto sia al dono della Legge (decalogo), sia al Vangelo dove Gesù, secondo l'evangelista Matteo, spiega la parabola del seminatore.
La relazione con la Parola non è quindi un rapporto puramente legale o morale, neppure di puro insegnamento catechistico, è un rapporto che si genera in una esperienza di vita. Fissiamo quindi la nostra attenzione al gusto della parola ascoltata: se non prendiamo gusto alla Parola, questa non si radica in noi; farne una memoria sterile è una pratica conservativa, quasi museale; ogni parola che non incontra la vita, è allora una parola rubata al nostro cuore ... sottratta al suo fine di gioia luminosa e di pienezza limpida ...
Oggi ripensi a queste tre situazioni: Parola ascoltata, gioia del cuore e luce degli occhi.

giovedì 23 luglio 2015

Esodo 19,1-20 e Matteo 13,10-17
Vedere Dio ... ascoltare Dio ... toccare Dio


"Questo sarà il segno che io ti ho mandato: mi servirete su questo monte"; sono queste le parole rivolte a Mose da Yhwh dal roveto ardente. Servire Dio, in quel luogo, significa vivere dentro una promessa che si realizza, ma significa pure fare esperienza diretta della rivelazione di Dio. Il monte Sinai, i tuoni, i fulmini ... sono paragonabili alla bellezza e potenza del cosmo che ci rimanda all'eternità del tempo e alla incommensurabilità dello spazio divino. Tutto ciò si accosta alla realtà: a un duro cammino nel deserto; alla speranza di una terra, di uno spazio dove abitare ed essere un popolo; alla fede in un uomo che parla con Dio. Anche questo è guardare e non vedere, udire e non comprendere; tutto si gioca nella conversione del cuore attraverso l'esperienza vissuta: "Perché il cuore di questo popolo si è indurito, son diventati duri di orecchi, e hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi e non intendere con il cuore e convertirsi, e io li risani. Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono".

mercoledì 22 luglio 2015

Cantico dei Cantici 3,1-4a e Giovanni 20,1-2.11-18
Magdala


"O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz'acqua".
Magdala è una città in riva al lago di Tiberiade, una città tra il lago e il deserto intorno; dove l'aridità e la sete si incontrano all'orizzonte con la freschezza dell'acqua del lago, in un incontro sponsale che esprime tutto il desiderio di amore del cuore. È in questa applicazione del Salmo 63 che rileggiamo il Vangelo di Giovanni, dove l'aridità del cuore si esprime nel desiderio e nel cercare l'amore sottratto. Il mio Dio riempie il vuoto di amor che è la mia aridità interiore e della vita. Quando all'aurora, nel fresco del mattino intuisco il che il refrigerio è come il desidero della bellezza dell'amore, così all'alba della risurrezione Maria di Magdala comprende che solo il suo Dio corrisponde al desiderio di amore del suo cuore ("Maria" ... "Rabbunì").

martedì 21 luglio 2015

Esodo 14,21-41.15,1 e Matteo 12,46-50
Il costo della libertà


Passare in mezzo al mare è per Israele, nel racconto di Esodo, una esperienza trionfale: è Dio che apre la strada nelle acque e assume il protagonismo del dono della libertà.
Passare in mezzo al mare per gli egiziani, rappresenta la ricompensa per i 430 anni di schiavitù; chi vuole possedere in schiavitù Israele perirà per la sua stessa caparbietà. Nel racconto la salvezza di Israele rappresenta l'esordio glorioso della proposta della libertà. Detto questo non possiamo cercare nel racconto una coerenza teologica ed ideologica al pari di quella della nostra coscienza. Il racconto ha comunque una coerenza di contenuto: qualunque sia la vicenda umana, Yhwh non è mai estraneo. Anche nelle nostre fatiche, nella nostra ricerca di senso, nelle prese di posizione frutto di presunzione e orgoglio, l'agire di Dio continua immutabile nel portare a compimento la salvezza; essa non è riadattamento della nostra storia, ma è un confronto serratissimo per farci prendere coscienza della libertà come dono di Dio e non come diritto dell'uomo.

lunedì 20 luglio 2015

Esodo 14,5-18 e Matteo 12,38-42
Il Signore prepara la salvezza

Il nostro Mare Rosso è l'insieme delle avversità dei limiti che non riusciamo a superare da noi stessi; non siamo umanamente capaci di superarci, ci sono "cose" che ci tengono legati alla nostra schiavitù d'Egitto.
Ma il Signore sempre prepara la sua salvezza!
Una mano tesa inaspettatamente, un sorriso, una carezza, una parola ... Questi sono i segni della salvezza di Dio. Sono i segni di quel Dio "forte" che ti libera attraverso il tuo desiderio di libertà; ti salva attraverso il tuo volere salvarti. Il nostro Mare si apre per la forza del nostro "cuore buono" non per la potenza dei segni straordinari. Il Signore agisce per questa via di tenera semplicità. Per questo non ci sarà dato nessun segno se non il segno fragile di chi per amore è morto per me, perché io non lo ho mai amato abbastanza. Solo l'amore supera e apre il nostro Mare a Rosso, lo apre alle promesse di Dio: la Terra data ai padri, dove imparare la libertà.

domenica 19 luglio 2015

Geremia 23,1-6 / salmo 22 / Efesini 2,13-18 / Marco 6,30-34
I pensieri di Gesù ...

Siamo stati educati, formati a ciò che è il regno dei cieli; ci è stato indicato un tirocinio, una esperienza che ci fa comprendere il ruolo necessario da discepoli ...
Che cosa abbiamo compreso del regno dei cieli?
Quale esperienza è stata la missione?
Fino ad ora non abbiamo ancora compreso quanto sia importante per essere testimoni e annunciatori del Regno custodire lo spazio di intimità con il Signore.
Capire che il regno dei cieli e la missione sono lo spazio è il modo di dare concretezza alla misericordia, alla compassione del Signore, vuol dire che Gesù ci sta educando a vivere della sua misericordia ad agire secondo la sua misericordia.
Venite con me e raccontatemi cosa vi è capitato quando vi ho mandati...
Quale risposta gli hanno dato i dodici? "Abbiamo incontrato persone che ci parlavano della loro vita, ci ponevano problemi, ci chiedevano comprensione e vicinanza!"
"Abbiamo toccato le piaghe dei nostri fratelli, la loro sacralità, i loro desideri ..."
Il regno dei cieli, la missione si infrangono come le onde del mare sugli scogli di ciò che è umano...
Quando lo sguardo, la vita di Gesù si infrange sulla nostra umanità, si genera la sua compassione, la sua divina misericordia!
Venite a me, venite con me in disparte ... Non è che Gesù si sente solo e vuole compagnia, ma Gesù vuole imprimere in noi i suoi pensieri, ha bisogno della nostra intimità per condivide la sua misericordia.
Ciascuno di noi, la Chiesa, la nostra comunità non sino autoreferenziali nel vivere e trasmettere il regno dei cieli, ma propongono l'esserci di Gesù come realtà attuale.
Dopo l'annuncio del Regno i cieli, dopo la missione, c'è la "verifica nel luogo solitario" da cui scaturisce l'attesa della gente tutta intorno che chiede e spera ... A cui l'unica risposta è la misericordia del Signore. È questa misericordia che genererà il pane che sazierà la loro insaziabile fame. La misericordia non è un sentimento ma sarà il modo scelto da Gesù per condividersi, il modo per donarsi.

sabato 18 luglio 2015

Esodo 12,37-42 e Matteo 12,14-21
La libertà è un dono di grazia


Tutti, in realtà percepiamo la libertà come un diritto, ma ancor prima di un diritto inalienabile la libertà è un dono che deriva dalla gratuità di Dio; è conseguenza della premura e della memoria del Padre. Non possiamo limitare il senso della libertà a una formulazione di legge, per noi credenti è condizione della natura e della grazia santificante. È la grazia che ci costituisce liberi. Il popolo di Israele vive il momento in cui riscopre la sua identità e la sua libertà come una bellissima "notte di veglia in onore del Signore". Una notte che non è più notte ma che è chiara come il giorno!

venerdì 17 luglio 2015

Esodo 11,10.12,1-14 e Matteo 12,1-8
La fine di ogni ostinazione


La liberazione del popolo di Israele ha come contrappasso la morte dei primogeniti di Egitto. Non è certo una pagina semplice, per la nostra mentalità significa entrare in un corto circuito! Questa pagina celebra la gloria di Yhwh come un memoriale perenne che recupera nella Pasqua il rito di una alleanza che costituisce per sempre la vocazione e l'identità del popolo. La Pasqua è allora ben più di un gesto sacro ripetuto nel tempo. Essa rappresenta la gloria di Dio nel suo appropriarsi della nostra umanità per liberarla dalla schiavitù, da ogni esperienza e forma di "non libertà". È un evento sacramentale, un segno efficace che già ci preannuncia per sempre il mistero dell'incarnazione, passione e risurrezione di Gesù. La condizione dell'Egitto, la morte dei primogeniti, sembrerebbe una vendetta, in realtà possiamo intenderla come il male non redento che implode in se stesso. La fine di ogni male, di ogni resistenza e ostinazione rispetto all'evento liberante. Anche l'Egitto da carnefice diviene vittima di se stesso, collocandosi nella schiera di coloro che gridano il desiderio di liberazione. Yhwh in quella notte infatti, farà giustizia degli dei di Egitto: simbolo degli dei falsi, espressione della divinizzazione del male.

giovedì 16 luglio 2015

Esodo 3,13-20 e Matteo 11,28-30
Tra memoria e fedeltà


Erano 400 anni che Dio non si faceva più sentire, erano 400 anni di schiavitù e di silenzio quando Mosè si sente chiamare dal roveto e quella voce fa irruzione in lui mettendo a soqquadro ogni suo tentativo di ricostruirsi una vita, una identità.
Mosè, primo tra tutti i suoi fratelli fa ancora una volta l'esperienza della unicità ed esclusività di Yhwh; non basta un Dio qualsiasi, uno tra i tanti... non un Dio nuovo di cui accontentarsi. Questo Dio va subito a legarsi alle vicende del popolo di Israele. Egli si ripone al centro di una storia vecchia oltre 15 secoli. Tutti quegli anni non sono semplice attesa, Yhwh si manifesta mettendo in relazione la condizione di attuale esistenza con la rivelazione fatta ad Abramo, ad Isacco e Giacobbe. Dio esiste per il suo popolo, ma esiste attraverso quella storia iniziata con Abramo.
Questo Dio ha una strana ripetitività: scendere nell'umano per vedere e condividere - "Sono venuto a visitarvi e vedere ciò che viene fatto a voi in Egitto" -; è solo questo Dio che può continuare per sempre a dirci: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro".

mercoledì 15 luglio 2015

Esodo 3,1-12 e Matteo 11,25-27
Alla tua presenza ... Una terra santa!


Mosè, fuggito dall'Egitto cerca con le sue forze di rifarsi una vita, una famiglia, un lavoro ... Una identità. È uno sforzo legittimo, ma che però non corrisponde alla sua vocazione.
La terra santa sulla quale Mosé si trova alla presenza di Yhwh (Dio) è la condizione in cui rielabora la propria esistenza, la propria "missione": chi sono io per Dio? Cosa pensa di me? Chi sono io per quel popolo di schiavi che è Israele? Cosa sono quegli schiavi per me?
Mosè per diversi anni ha sfuggito alla propria identità, ora Yhwh lo attrae in quella santità che è stare alla sua presenza, Mosè non ha possibilità scampo, gli resta da dire solo un "eccomi".
È da quell'eccomi che per Mosè, come per ogni uomo che crede, la vita recupera quella originaria vocazione che non è semplicemente riuscita e felicità, ma che è il gusto e la fatica delle "cose di Dio":  Fà uscire dall'Egitto il mio popolo! La vocazione di Mosé è una chiamata per la libertà è alla libertà.

martedì 14 luglio 2015

Esodo 2,1-15 e Matteo 11,20-24
Consideriamo l'inizio ...

La storia del popolo di Israele inizia intrecciandosi con la storia personale di Mosé. Egli non è un eroe fuori dal tempo o un super condottiero, ma come ogni uomo ci rappresenta fin dal nostro inizio: è un bambino degli ebrei, la sua giovane vita diviene da subito l'immagine di quel popolo reso schiavo ma amato con predilezione da Dio. L'uomo, ogni uomo, ciascuno di noi, senza esclusione è chiamato all'esistenza per un destino di liberazione. Ogni storia umana è paradigma di liberazione. La nostra vita trova la sua piena realizzazione bella libertà dei figli di Dio: libertà dalla schiavitù del peccato. Consideriamo allora l'inizio della nostra esistenza come espressione della nostra chiamata... della nostra vocazione. Abbiamo una identità ben precisa: la bellezza di ciò che è umano si confronta con il mistero della iniquità. Ma la bellezza di quel bambino degli ebrei intercetta da subito la simpatia, la compassione e la benevolenza ... Anche se la realtà ci coinvolge bella schiavitù del peccato, la nostra storia personale porta sempre in se stessa il germe della libertà, nessuna fuga ci può distogliere da questo destino di amore.

lunedì 13 luglio 2015

Esodo 1,8-14.22 e Matteo 10,34-42.11,1
Proposte esigenti ...


La consapevolezza di Gesù circa il carattere dirompente del Vangelo è una provocazione che disarma ogni facile illusione, occorre accettare la "lotta". La logica, o meglio le logiche del mondo non convergono rispetto al Vangelo: lo "scatto", il profitto economico, l'uomo al centro come utilità ... sono i fondamenti che oggi guidano il rapporto e le relazioni tra i popoli. Ciò che il Vangelo propone è effettivamente dirompente, infatti rispetto a una globalizzazione della ingiustizia, al discepolo resta solo di vivere una condizione di conversione che è una denuncia aperta rispetto ad ogni sorta di nuova schiavitù. La bella pagina di Esodo, ci illumina circa le logiche mondane fondate sulla discriminazione, sulla paura e che propongono nuove forme di schiavitù. Ricondurre l'uomo alla sua libertà significa dargli il gusto della "lotta" e di un cuore disposto ad ascoltare "queste disposizioni".

domenica 12 luglio 2015

Amos 7,12-15 / Salmo 85 / Efesini 1,3-14 / Marco 6,7-13
Efficacia dell'annuncio

Come posso rendere credibile la mia "vita credente"? Alla fine della lettura della Parola di questa domenica trova eco fortissima nelle parole di Papa Francesco: "Predicate sempre il Vangelo, e se fosse necessario anche con le parole". L’espressione, è di San Francesco d'Assisi: "Predicate sempre il Vangelo, e se fosse necessario anche con le parole!" Ma, come? Si può predicare il Vangelo senza le parole? Sì! Con la testimonianza! Prima la testimonianza, dopo le parole! (Regola non bollata - 1221; precisamente al capitolo XVI - Fonti francescane, 43).
La nostra vita diventa così specchio della nostra testimonianza. La nostra vita ci svela la nostra tensione a fare della missione lo stile della nostra scelta di vita cristiana.
Siamo troppo ... troppo abituati a comprendere la nostra adesione al Signore Gesù come osservanza di norme e di dottrine; a vivere l'appartenenza alla Chiesa come una associazione di interesse o un club di esclusivi ... Tutto rischia di essere estremamente funzionale alla struttura e alla organizzazione pastorale.
Ciò che emerge chiaramente dalla Scrittura è che la vita del credente è "vita missionaria" ... Lo stile della vita credente è quello della libertà, del servizio, della essenzialità, della accoglienza e della comunione.
Libertà dai compromessi che vincolano il Vangelo limitando l'incontro con l'uomo.
Servizio come risposta alla chiamata di Gesù ad andare come Lui per servire l'uomo.
Essenzialità come condizione di chi si affida alla provvidenza, Gesù è la roccia su cui fare affidamento, non i nostri strumenti e sicurezze.
Accoglienza della vita dei fratelli ... La loro vita è lo spazio della mia testimonianza ... Devo accogliere e abitate la vita dell'uomo di oggi.
Comunione come conseguenza del mio credere; non impongo una ideologia ma condivido con i miei fratelli il dono di Dio.

sabato 11 luglio 2015

Proverbi 2,1-9 e Matteo 19,17-29
SAN BENEDETTO patrono d'Europa
L'altra parte del lasciare...


Nella visione attuale della vita siamo soliti contrapporre l'esperienza di Dio è quella del mondo; e tra le due quella di Dio non la percepiamo come la migliore, ma come più esigente e faticosa. Dicesi schizofrenia legata alla frattura tra secolarità e sacralità.
In una sana comprensione cristiana della realtà, le parole del Vangelo rappresentano la chiara interpretazione non di una scelta di esclusione, ma di una scelta che include nella realtà il mistero di Dio. Io, uomo secolare riscrivo e colloco nella mia storia quel Dio che mi si propone. In questo modo la realtà secolare raggiunge un compimento, perché abitata da Dio. La domanda che Pietro rivolge a Gesù, letta nel suo contesto, implica la necessità di una ricompensa; se accolgo Dio cosa succede? In che modo Dio porta a compimento la mia esistenza?
Smettiamo di percepire il seguire come rinuncia, il lasciare come solitudine ... Se Gesù lo riconosco come Signore della vita, "nulla antepongo a Cristo", perché il mistero di Dio mi si dona in questo "seguire e lasciare" che è dinamismo della vita, ma ne è anche la ricompensa, cioè la pienezza.

venerdì 10 luglio 2015

Genesi 46,1-7.28-30 e Matteo 10,16-23
Bisogna scende in Egitto


Diventare una grande nazione, questo è ora l'obiettivo per il popolo di Israele. Questa espressione traduce una aspirazione, ma anche il compimento della promessa fatta ai Padri.
Una espressione oggi usata anche politicamente in forma strumentale per avvalorare una identità  di popolo. In verità scendere in Egitto è come il salire da Ur dei Caldei a Carran, è come entrare da pellegrini nella terra della promessa ... Esiste un migrare, un camminare che identifica il tempo in cui si plasma e forma il popolo/nazione di Israele. Scendere in Egitto significa vivere la storia presente con la certezza che Dio accompagna il popolo che si è scelto, non per escluderlo dagli altri popoli, ma per costituirlo popolo consacrato, come segno per tutti i popoli della terra. "Essere una grande nazione" non significa dominare, ne rendere "piccole" le altre, significa fare quell'esperienza profonda di misericordia che solo chi vive una relazione intima con Dio può fare; tutto questo a vantaggio di tutti i popoli. Israele sarà una grande nazione solo se saprà esprimere la misericordia di Dio di fronte a tutti i popoli. Nella esperienza di Giacobbe, la misericordia di Yhwh (Dio) si rivela nell'abbracciare il figlio Giuseppe, ed è garanzia che nell'amore Dio prende dimora nella nostra vita.

giovedì 9 luglio 2015

Genesi 44,18-21.23-29; 45,1-5 e Matteo 10,7-15
Trovate il senso delle cose

Ci sono vicende della vita rispetto alle quali non sappiamo dare un senso; fatiche da sopportare nelle relazioni, incomprensioni subite e colpevolmente perpetrare, ingiustizie rispetto alle quali è necessario tacere... Non tutto è infatti lineare e trasparente. Per molti trovate il senso delle "cose" è come trovarsi costantemente privati di una risposta. La storia di Giuseppe, viceré di Egitto, ci suggerisce una indicazione importante: tutto si risolve nel mettere al primo posto la propria fratellanza. Quando Giuseppe torna ad essere il fratello, creduto morto, e ora vivo, tutta la vicenda acquista senso e le lacrime non sono solo uno sfogo, ma risanano il male vissuto. Fratellanza significa legami di amore. Se nulla può anteporsi all'amore per l'altro, per il fratello, per l'amico, per il marito e per la moglie, per ... tutto in quell'amare trova senso, che non è semplicemente una spiegazione,  ma una strada per arrivare alla verità e al bene.

mercoledì 8 luglio 2015

Genesi 41,55.42,24 e Matteo 10,1-7
Ti ho visto e non ti ho ascoltato


Non entrate nelle case dei samaritani ... una raccomandazione che solitamente giustifichiamo con la questione culturale, la separazione dei samaritani, eretici, rispetto alla ortodossia di Israele. Ma questa raccomandazione si accompagna con una esortazione, quella di annunciare la vicinanza del regno alle "pecore perdute" della casa di Israele.
"Pecore perdute", figli lontani, delusi, amareggiati, arrabbiati ... Da sempre sembra che la relazione con la comunità di fede generi scontento e distanza ... Gesù ci affida come primo compito missionario e di annuncio quello di mettere attenzione alla periferia più prossima. Non è possibile annunciare un tesoro di amore, condividerlo con "pagani e samaritani" ed essere distratti rispetto ai fratelli di casa. La priorità di attenzione ai "figli di Israele" obbliga a una conversione che non è facile. Spesso la distanza è infatti colpevole, frutto di durezza e incomprensione, frutto di quel non avere cura e affetto dell'altro.

martedì 7 luglio 2015

Genesi 32,22-32 e Matteo 9,32-38
Ho vinto nella lotta, ma ho perso!


Il complesso "guazzabuglio" della storia personale diviene la scena in cui tutto è un contrapporsi e un lottare con Dio. Giacobbe, ha sempre raggiunto i suoi fini e ha sempre cercato di plasmare gli avvenimenti e le circostanze che gli si dipanavano davanti. Anche il patto di fedeltà, il patto di alleanza ereditato da Abramo e dal padre Isacco non è alieno dalle sue macchinazioni; la questione della primogenitura ne è l'esempio lampante. Come convertire il cuore di Giacobbe? Come trasformare un uomo così "machiavellico" in un Padre del popolo di Dio. Dio lascia che la lotta sia la condizioni in cui Giacobbe si coinvolge totalmente, fisicamente e spiritualmente nel confronto con chi lo incalza. In questo scontro Dio ne esce perdente. Ancora una volta Giacobbe ha la meglio, ma la sconfitta di Dio diviene repentinamente la sua vittoria; Giacobbe vuole qualcosa che solo lo sconfitto può dargli: la benedizione. Nella benedizione Dio, lo sconfitto nella lotta, diventa il vincente; Dio cambia il nome di Giacobbe in Israele, riplasma la sua identità. Non più un uomo nella sua complicata umanità (il soppiantatore) ma un uomo che è padre del popolo che nasce nella promessa (Israele).

lunedì 6 luglio 2015

Genesi 28,10-22a e Matteo 9,18-26
La fede è un evento straordinario


La fede non è solo raziocinio, la fede non è solo opzione fondamentale, la fede non è semplicemente fiducia e affidamento ... La fede è un evento, cioè un fatto, un avvenimento che accade nella vita personale ... in un determinato e preciso momento.
Il brano di Genesi ci propone la fede di Giacobbe, essa non si fonda semplicemente sulla fede dei Padri (Abramo e Isacco), anche se viene evidenziata una sorta di consegna all'altro il proprio evento di fede. Questo a dirci che la fede non è solo il frutto di una "staffetta del credere" ma è inevitabilmente un evento personale:  "Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio". È quindi dentro una storia ben precisa che la fede diventa un evento personale. Anche il Vangelo ci racconta di eventi che generano la fede personale, eventi in cui ciascuno fa esperienza di Dio. Anche a noi fa bene ritrovare nella nostra storia quel l'evento che posso definire "porta del cielo".

domenica 5 luglio 2015

Ezechiele 2,2-5 / Salmo 122 / 2 Corinzi 12,7-10 / Marco 6,1-6
La prova della verità ... Il Dio che non penso ...

Il nostro rifiuto di te Gesù, non ha nulla di personale ... Solo che ti vorremo diverso. Non è per nulla facile confrontarci con un Dio fatto carne; che condivide la condizione di fragilità che è la nostra e che si esprime attraverso la nostra stessa realtà di bisogno, di fatica, di lavoro, di fame.
Forse la fatica più grande è dovere ascoltare la Parola di Dio che risuona a partire dalla realtà creata, dalla nostra umanità ... Fossero parole che risuonano come tuono dal cielo!
Ieri Gesù, oggi la Chiesa vengono rifiutati e spesso anche da chi è vicino ... Non perché è difficile accogliere accettare un Dio che noi non pensavamo, ma perché quel Dio che non pensiamo è proprio Gesù.
Si chiama "scandalo della incarnazione" ... È facile cercare, ascoltare e credere un Dio che risponde a tutti i requisiti della divinità, e soddisfa i criteri di verità filosofica e teologica circa la sua esistenza, molto meno facile è credere un Dio fatto uomo, che anche oggi confina con la nostra fragilità. Gesù incarnandosi non ha glorificato la sua carne rendendolo fuori dal contesto umano: disumanizzandola.
È necessario toccare Dio che si è fatto falegname; è necessario conoscerne la vita e la parentela, è necessario farci i fatti suoi; è necessario ascoltarne le parole e meravigliarci della sua sapienza.
È necessario imparare a conoscere Dio non per quello che penso io, ma per come Lui si rivela e comunica.
Oggi la Chiesa come per i profeti, come per gli apostoli, come il suo Signore, viene rifiutata e non ascoltata: si passa dalla esaltazione strumentale e mediatica di papà Francesco (perché fa notizia il suo modo) ... alla tiepidezza rispetto alle sue parole e anche alla censura e alla disinformazione come ad esempio sulla sua ultima enciclica "Laudato Sì". Il punto forte di questa  Enciclica è quello di proporre la “conversione” a una visione integrale del concetto di “ambiente”, di natura, ma anche di uomo e dei suoi simili, del rapporto con gli oggetti e con le generazioni guardando al tutto come un dono, un “fratello” e una  “sorella”, proprio come san Francesco amava chiamare ogni cosa nel suo Cantico delle creature.

sabato 4 luglio 2015

Genesi 27,1-5.15-29 e Matteo 9,14-17
La benedizione ... prima di tutto!


Dice il salmo 135: "Il Signore si è scelto Giacobbe, Israele come suo possesso". Questa scelta del Signore viene suggerita dentro un racconto che ha di per sé dell'assurdo, certamente la vicenda si lega alla vendita della primogenitura per un piatto di lenticchie. I due racconti hanno una coerenza assoluta nell'indicare Giacobbe come termine definitivo della scelta di Dio, erede della predilezione di Dio, questa è la vera "primogenitura" a cui corrisponde la benedizione, una sorta di consacrazione, in forza dell'alleanza e per custodire l'alleanza fra Dio è Israele.
Tutta la vicenda antica di Israele diviene lo spazio di attesa e compimento della festa escatologica finale: la visione dello Sposo che adombra tutta la figura del Messia.
Noi ora siamo, testimoni da sempre della fedeltà di Dio rispetto alle promesse fatte ai Padri, rispetto al dono che Dio fa di sé in Gesù, rispetto alla nostra stessa storia personale.

venerdì 3 luglio 2015

Efesini 2,19-22 e Giovanni 20,24-29
FESTA DI SAN TOMMASO APOSTOLO
Otto giorni dopo c'era anche Tommaso...


La comunità dei discepoli di Gesù ha come prototipo quella degli apostoli, persone diverse, con storie e provenienze diverse, e anche con diverse esperienze del Signore. Senza Tommaso quella comunità è parziale, non è una comunità capace di raggiungere il cuore dell'adesione a Cristo. Noi siamo sempre portati al giudizio rispetto alla vicenda di Tommaso, ma forse dovremo, ogni tanto recuperare nella sua figura il percorso attraverso il quale tutta la comunità fa esperienza della "carne risorta del Signore". Il dubbio, la fatica di credete, è in punto di forza dell'atto di fede. Un atto di fede che è frutto di ragione e amore, non può che nascere da una esperienza viva e concreta; e queste esperienze coinvolgono il profondo del nostro esistere. "Mio Signore e mio Dio" ... Dice Tommaso; ora, con lui noi tutti, diciamo: "questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa, e noi ce ne gloriamo!" Per dire questo occorre entrare nell'ottavo giorno ... Ma per fare ciò occorre camminare 7 giorni ...

giovedì 2 luglio 2015

Genesi 22.1-19 e Matteo 9,1-8
Il segno del mio amarti

Nella narrazione del sacrificio di Isacco, emerge che Dio non vuole passare come la divinità crudele e sanguinaria, che mette alla prova Abramo chiedendogli di sacrificare ciò che di più prezioso nella sua vita gli era stato donato. Dio, così come aveva preso per mano Lot conducendolo in salvo, ora mette alla prova Abramo nell'alleanza stabilita. Anche Isacco è discendenza di Abramo, anche lui è parte di quel patto che da Abramo coinvolge tutti gli uomini. Il sacrificio di Isacco ci conferma che la misura di Dio è la sua misericordia da sempre. La misericordia non è solo architrave della Chiesa, essa è il motivo della salvezza di Dio fin dall'origine. In tutto il suo rivelarsi Dio non è che misericordia in divenire. Il sacrificio non è quindi un privarsi per donare a Dio, ma diventa un accogliere Dio per condividerlo insieme come amore che si dona. Il sacrificio che umanamente sale al cielo, in Isacco, nell'ariete, è divinamente donato dal cielo per soddisfare ogni nostra attesa.

mercoledì 1 luglio 2015

Genesi 21,5.8-20 e Matteo 8,28-34
La misericordia che sorprende

La misericordia di Dio non si esaurisce mai nell'esperienza in cui si rivela, ma in un continuo esprimersi e riproporsi, rinnova i segni della fedeltà di Dio.
La misericordia di Dio è per Abramo e tutta la sua discendenza, per sempre: anche Ismaele è un figlio della misericordia ... Non dobbiamo mai dimenticarlo! Gli arabi sono ismaeliti ...
Ogni volta infatti che neghiamo questo contenuto dell'alleanza compiamo un gesto di riduzione, che in realtà è un gesto di stravolgimento dell'amore. L'alleanza tra Dio e Abramo è una misericordia totale, non parziale; è un amore totale non limitato e particolare. La misericordia non è una benevolenza ma ciò che vince ogni genere di male e di ingiustizia. La misericordia mette a nudo i nostri amori particolari e "opportuni", mette alla luce della coscienza i nostri egoismi e affetti al peccato. Nemmeno per i credenti, spesso, un Dio che è misericordia, risulta comprensibile nel suo agire, al punto che non è così improbabile che nei nostri atteggiamenti e nelle nostre scelte "lo preghiamo di allontanassi dal noi".