martedì 30 giugno 2020

Amos 3,1-12 e Matteo 8,23-27
Siamo gente di poca fede ...

Ogni giorno facciamo esperienza della barca in mezzo alla tempesta, ogni giorno proviamo fatiche, sofferenze contrarietà. Anche solo a livello famigliare, lavorativo e affettivo: la quotidianità è fatta come una "attraversata del Lago" che da principio sembra tranquilla, ma nel proseguire, spesso diventa incerta e a volte anche pericolosa. Il lago in tempesta ha messo nei discepoli di Gesù ben più di una semplice inquietudine: "Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, (...). Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!"
Fede e vita mostrano, e Gesù lo rivela, la loro stretta interconnessione. La fede, che è ben altra cosa rispetto alle verità di fede; la vita che è ben altra cosa dall'esperienza biologica o dell'esserci, sono tra loro intimamente unite, esse caratterizzano il mistero umano della creatura nelle mani di Dio. La fede esprime prima di tutto il senso di appartenenza a Dio e la condivisione al Suo amore, che è fondamento del nostro vivere. La vita del discepolo, infatti, si alimenta di questo amore gratuito, mettendo così radici nel profondo. Siamo gente di poca fede, ogni volta che dimentichiamo che Dio ci accompagna pure nelle difficoltà; nelle fatiche del quotidiano, Dio c'è. Avere fede significa non pensare che Dio risolva i problemi con un suo intervento miracolistico, ma che nell'affrontare la realtà lui ci sostiene e agisce insieme al nostro agire. Siamo gente di poca fede, quando facciamo della nostra vita il nostro unico criterio di giudizio e la teniamo tra le mani come possesso esclusivo credendo che quello sia il meglio per noi stessi.
"Signore salvaci!" Può essere una invocazione, mossa dalla necessità, oppure anche una bellissima espressione di fede e certezza della sua vicinanza. Se non mi fossi accanto, cosa servirebbe affidarmi a Te?

lunedì 29 giugno 2020

Atti 12,1-11; Sal 33; 2 Timoteo 4,6-8.17-18; Matteo 16,13-19
Solennità dei Santi Pietro e Paolo
Tu il Cristo, Tu il figlio del Dio vivente!

La testimonianza che Pietro rende a Gesù è un vero capolavoro, una sintesi perfetta di teologia e di fede; ma proviamo a inserirla all'interno della quotidianità di Pietro, in quel passare di città in città e di villaggio in villaggio, lungo le rive del lago di Galilea.
Pietro per mesi ha scrutato, guardato, osservato Gesù; mai si sarebbe rivolto a lui per dirgli cosa pensava dei suoi discorsi e in particolare a di lui; ma la provocazione che il Signore mette di fronte a tutti i discepoli, da a Pietro l'occasione di aprire il suo cuore.
Tu sei il Cristo! Non sei un profeta, un bravo maestro, non sei neppure un guaritore, un prano-terapeuta ... No! Tu sei proprio il Cristo!
Prima di incontrarti non sapevo cosa significasse essere il Cristo, in te ho visto come l'amore può occupare tutta l'esistenza; ho visto come l'amicizia vera conta più di ogni relazione di convivenza; ho visto come Yhwh ti ha accompagnato nel cambiare il cuore di chi incontravi; ho visto come tu ti sei avvicinato a me e con una tenerezza "divina" hai sciolto la mia dura scorza di pescatore. Tu sei speciale ... Questo per me significa essere il Cristo!  Poi non so cosa mi è preso, ma sono riuscito ad aggiungere una frase che non so da dove venisse, forse semplicemente era una frase sentita da tanti, forse oggetto del desiderio di molti ... "Il figlio del Dio vivente!"
Ma quando l'ho pronunciata ... non mi hai detto: Pietro ti sbagli ... Non esagerare ...
Anzi mi hai detto: Pietro sei Beato per questo ...
La vera beatitudine, la vera felicità per noi discepoli di Gesù, allora, sta nel rispondere alla domanda che ogni giorno il Signore ci fa per riscoprire quanto è fondamentale e fondante la nostra relazione con lui.

domenica 28 giugno 2020

2 Re 4,8-11.14-16; Sal 88; Rm 6,3-4.8-11; Mt 10,37-42
L'amore la croce e il bicchiere ...

Quando il Vangelo di Matteo risuonava con queste Parole nelle prime comunità, le immagini e i pensieri che suscitava erano ben diverse dalle suggestioni molto devozionali a cui noi siamo abituati.
Alla fine del primo secolo, era certamente viva l'immagine del Cristo Crocifisso, la crudeltà a cui era stato sottoposto nella sua passione e morte. Erano altrettanto chiare a tutti i discepoli, le difficoltà dovute al clima di ostilità che da più parti stava montando rispetto ai discepoli del Nazzareno. Le Parole di Matteo acquistano allora, anche il sapore descrittivo della realtà che vive la stesa comunità di fede. Ma non possono esaurendo o escludere la loro originalità: l'amore, la croce e il bicchiere sono la sintesi dell'insegnamento di Gesù sul come essere suoi discepoli. Non si è discepoli perché si imparano delle cose da dire o perché si segue una dottrina; si è discepoli quando la propria vita corrisponde alla forza di amare; quando si carica la croce e quando è come un bicchiere di acqua fresca.
Un amore più grande non significa scartare le altre esperienze di amore, anzi, la comunità cristiana riconosce che solo l'amore più grande per il Signore è tale da alimentare e generare ogni possibilità di amare il padre, la madre e tutti gli altri ...
Caricarsi della croce, è cosa ben diversa dal sopportare una sofferenza. La croce per Gesù è lo strumento definitivo del dono di sé stesso. Caricarsi della croce è abbracciare la scelta di donare la propria vita ... costantemente ... evitando di trattenerla, egoisticamente per se stessi.
Corrispondere all'amore donando la propria vita, per il discepolo, è come essere un bicchiere di acqua fresca in una calda giornata di arsura estiva ... Quel bicchiere offerto a chi ha sete è un refrigerio inappagabile.
Le parole del Vangelo, se spogliate della loro rigidità coercitiva, ci condividono quell'essenziale che Gesù ha condiviso con i suoi. Non si può comandare l'amore per lui, e neppure per il padre o la madre o per tutti gli altri. L'amore è un rischio che correndolo trasforma la nostra vita e la rende più umana. La croce per Gesù è un segno di profonda unità con la nostra natura umana, fragile e ferita, ecco che per noi può diventare segno di comunione, perché solo donando la vita, quel dono può essere accolto. Un bicchiere di acqua fresca ... Nella sua semplicità ha un valore è un significato immenso, come la freschezza dell'amore del fratello, nella stanchezza e delusione del quotidiano.

sabato 27 giugno 2020

Lamentazioni 2,2-19 e Matteo 8,5-17
Non sono degno ... Ma di solo una parola ...

La nostra preoccupazione è generalmente quella di essere degni di qualcun altro. É un senso di inadeguatezza che caratterizza spesso il nostro modo di porci e di sentirci.
Le stesse parole del centurione tradiscino il suo pensiero e il suo stato d'animo.
Il brano di Vangelo, descrive ciò che accade all'arrivo di Gesù a Cafarnao, e nella sintesi serale veniamo a conoscenza di come Gesù ha incontrato la fragilità della gente di quella città. Malati, indemoniati, la suocera di Pietro, il servo del centurione ... "ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati", è evidente come la fragilità umana non crea un impedimento a Gesù per entrare in relazione con le persone. Anzi sembra proprio che si debba partire dalle fragilità per poter riconoscere e accogliere l'accostarsi del Signore: "... perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: “Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie”.
Senza peccare di spiritualismo autolesionista, occorre riconoscere come le fragilità corrispondono, in genere, alle ferite che un po' tutti portiamo nella nostra vita. Esse sono la conseguenza delle nostre scelte, della nostra libertà come anche dei condizionamenti e delle azioni altrui; ma proprio lì dove ciascuno sperimenta il proprio limite e la propria fragilità, la misericordia di Dio, cioè concretamente l'amore del Signore per noi, trova lo spazio per manifestarsi. È nella fragilità che misuro ciò che mi manca; che valuto ciò che è essenziale; che prendo coscienza all'amore gratuito di Dio di cui ne ho realmente bisogno. Quanto è meraviglioso sentire come le sue parole sciolgono i nodi del cuore, e spianano le fatiche della quotidianità: "di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito".

venerdì 26 giugno 2020

2 Re 25,1-12 e Matteo 8,1-4
Il Signore della fragilità 

La prima lettura di oggi, merita proprio una particolare attenzione. Da una parte possiamo leggerla come racconto e cronaca storica della distruzione di Gerusalemme, dall'altra con tutta la drammaticità della situazione, come un evento che esprime non solo il culmine della crisi del regno di Giuda, ma l'espressione della fragilità umana. Gerusalemme ne risulta ferita, colpita, distrutta. La città di a Dio, la dimora dell'altissimo è nel baratro della sua storia. Il popolo dentro di lei è abbandonato e deportato; i suoi capi uccisione e fatti prigionieri; le sue ricchezze e i suoi tesori sono trafugati e portati via. Le parole descrivono benissimo la crudeltà del momento; raggiungendo un vertice di dolore che sembra il grido di una città ormai desinata all'estinzione. La fragilità è stranamente la cifra che accompagna tutta la vicenda umana e della creazione. Parlare di peccato, porta direttamente a una implicazione morale e di colpevolezza, ma forse la conseguenza se non l'essenza più vera del peccato è la fragilità. Il destino crudele di Gerusalemme risulta così come il cumulo delle fragilità che di generazione in generazione si sono sommate fino ad esse un "guazzabuglio" difficilmente comprensibile.
Quando il Signore guarda la nostra fragilità, non si scandalizza, quando vede il lebbroso non fugge e neppure rincara il giudizio circa la sua condizione, ma ha una parola che lo salva. Gesù tende la mano e tocca la fragilità. Sembra quasi voler stringere ed estirpare il male che ci domina e ci avvilisce la vita. Gerusalemme ferita e distrutta sarà ancora riedificata. Dio abiterà ancora con gli uomini e le donne di quella città per fare di lei il segno della grazia e della predilezione. Non scandalizziamoci mai della fragilità, anche lì opera il Signore.

giovedì 25 giugno 2020

2 Re 24,8-17 e Matteo 7,21-29
Chiunque ascolta queste mie parole



In un mondo virtualmente costruito, dove tutto è immagine e visione, e l'ascolto è accessorio all'immagine, l'ascoltare, il leggere e lo scrivere sembrano ormai destinate a un ruolo puramente secondario. Nonostante questa tendenza di massa, la dimensione umana della relazione ha fondamento su tutta la dimensione comunicativa, la visione ne è solo una parte. Se privilegiamo solo un aspetto, perdiamo il contatto con un tempo trascorso, frutto di esperienza e vita in egual modo del tempo presente. Anche nel nostro Medioevo, si usava l'immagine, per comunicare e raccontare, ma tali immagini erano accompagnate, generalmente dalla voce, dalla parola, per cui il vedere era insieme un vero ascoltare. Le stesse parole di Gesù sono un invito a fare dell'ascolto uno strumento attuale ed esistenziale. Il vendere come susseguirsi di immagini rischia di essere solo generatore di un profondo vuoto e di mancanza di senso, al venir meno dell'immagine. L'ascolto invece interpella, chiede un profondo coinvolgimento. Chiede da subito non solo la disponibilità dell'orecchio ma prima ancora esige "un cuore che ascolta". È un cuore capace di ascolto che dispone l'uomo a riflettere, a ponderare, a costruire il proprio quotidiano in relazione alla parola. L'ascolto custodisce in sé l'accesso al mistero di Dio, che è mediato nella scrittura, questa se letta permette l'incontro con il Dio vivente. Per un credente l'ascolto è quindi costitutivo, lo è per Israele come popolo di Dio, lo è per la Chiesa - l'ekklesía - l'assemblea convocata dalla parola di Dio e riunita intorno al Cristo risorto e vivente, parola definitiva di Dio all'umanità. 

mercoledì 24 giugno 2020

Isaia 49,1-6; Salmo 138; Atti 13,22-26; Luca 1,57-66.80
Solennità: nascita di Giovanni in battezzatore
Giovanni è profeta della Parola

Come nella nascita di Gesù, i pastori andarono a Betlemme, videro il bambino e furono riempiti di gioia e lodavano Dio; così ora nella nascita di Giovanni la gente dei monti della giudea, non può che meravigliarsi di quanto accade e stupirsi dei "segni", dei quali però non può dare una spiegazione - "Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio" -. Una sorta di timore accompagna questa nascita e tutto ciò che accade: "Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?"
Questo inizio, lo possiamo accostare alle parole di Paolo della seconda lettura di oggi: "Dio suscitò per i nostri padri Davide ..."; "Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù. Giovanni aveva preparato la sua venuta ..."
È Dio che opera la salvezza e manda a noi la Parola che ci salva. Ma cosa vuole dire questa espressione? La Parola di Dio è pensiero e azione nel divenire concreto; la Parola di Dio si invera nella storia attraverso la vita stessa di coloro che chiama ad esistere e che invia a compire ciò che dice. Esiste un misterioso e stretto legame tra parola, storia e salvezza; un legame che il prologo di Giovanni riassume con: "In principio era il verbo, il verbo era presso Dio, il verbo era Dio. Il verbo era in principio presso Dio e nulla di tutto ciò che esiste  è stato fatto senza di Lui ..."
Dio "manda" la sua Parola! Dio non invia un contenuto spirituale o intellettuale e tanto meno è un invito a compiere la sua volontà, egli invia una esplicita possibilità di rendere la nostra esistenza luogo della sua presenza (dimora; Shekhinah; Kabod); e lo spazio dell'agire creativo e generativo. Questa forza della Parola inviata, nelle Scritture è tradotta con espressioni come: "Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno ..." (Isaia 49); "Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel grembo di mia madre ..." (Salmo 138); "Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio" (Luca 1). La Parola di Dio è intimamente unità al generare la vita e al compiersi dell'esistenza.

martedì 23 giugno 2020

2 Re 19,9-36 e Matteo 7,6.12-14
La porta della vita 

Giuda è un piccolissimo regno, dopo la distruzione di Samaria, Giuda si trova tra l'incudine è il martello, tra la potenza e l'espansione dell'Assiria ad oriente e l'impero egiziano a occidente. È in questo "conflitto egemonico" che si consolida la consapevolezza di essere un resto, una piccola nazione, ma soprattutto la consapevolezza di essere il popolo di Dio; un popolo che appartiene all'unico Dio vivo è vero. I momenti di crisi lungo il dispiegarsi della storia e delle vicende non sono mai fini a se stessi o inciampi casuali. Essi rappresentano sempre delle occasioni pre maturare consapevolezza e dare senso e significato. Una crisi non può essere solo un evento distruttivo; se lo fosse, la storia come evento di salvezza contraddirebbe il proprio fine e compimento. Leggiamo quindi in questo senso le parole del Vangelo:"non date le cose sante ai cani e le perle ai porci", parole che ci conducono a rileggere i segni preziosi come realtà da non disprezzare, anche se piccoli e uniti alla criticità. L'opera di Dio, si caratterizza per la sua mitezza e determinazione insieme, come anche per il nascondimento e la perseveranza. Parole del Vangelo che mettono in evidenza una reciprocità esistenziale, non tanto di convenienza. Quando la nostra esistenza si alimenta della tenerezza e dell'amore che riceve dal prossimo, tanto più è gratuita, tanto più diviene condizione di dono. È la nostra fragilità che segnando il nostro limite ci introduce nel mistero della grazia di Dio, che inizia proprio lì dove io cado, dove io vengo meno. Le crisi personali, come pure le crisi della storia umana, rappresentano l'occasione per accedere alla "porta della vita", cioè al mistero di Cristo salvatore, Signore della storia e nostra via, verità e vita. Una porta stretta, una via angusta, per dirci come la fragilità e la "crisi" appartengono al mistero della vita di Gesù, nel suo farsi uomo e assumendo le nostre fragilità. Ma pur nella sua apparente contraddizione, è questo il mistero di misericordia che ci salva, la via che conduce alla vita, e che da senso e compimento alla storia.



Inviato da iPad

lunedì 22 giugno 2020

2 Re 17,5-18 e Matteo 7,1-5
La storia, pagliuzze e travi ...

I fatti narrati nella prima lettura, rappresentano la sintesi di un periodo storico che va sotto il nome di guerra Siro-Eframita; rappresentano un po' come la cronaca degli avvenimenti che caratterizzano e condizionano la vita di Isaele e di Giuda in quel tempo. Questa premessa per darci la "cifra" dell'agire di Dio nella quotidianità della vita. Questo concetto non è una nostra conquista, ma appartiene al modo della rivelazione di Dio, al senso della storia come spazio di salvezza e in ultimo, come compimento, alla partecipazione della libertà e scelte umane nel dare forma agli eventi. Espressioni come: "Eppure il Signore, per mezzo di tutti i suoi profeti e dei veggenti, aveva ordinato a Israele e a Giuda: Convertitevi dalle vostre vie malvagie ...", non rappresentano un giudizio di condanna ma prima di tutto una invocazione alla conversione. Anche in quegli avvenimenti possiamo ritrovare e riconoscere il nascondersi di Dio, che non è mai un sottrarsi: "allontanò dal suo volto e non rimase che la sola tribù di Giuda". Tutto questo per dire cosa? Semplicemente per suggerire uno sguardo sulla storia capace di mistero, capace di accogliere l'opera di Dio e non ridurre il nostro vedere al semplice giudizio moraleggiante. Le Travi e pagliuzze del Vangelo, non sono semplici misure di grandezza morale, ma introducono al vedere il fratello nella sua pienezza; danno al nostro vedere un fine è una occasione di grazia ... Perché anche la storia umana è una occasione di grazia e spazio di mistero.

domenica 21 giugno 2020

Ger 20,10-13; Sal 68; Rm 5,12-15; Mt 10,26-33
Andrà tutto bene!

Quante volte in questi mesi ci hanno detto e ci siamo ripetuti: "andrà tutto bene!" Quasi una litania, che è anche diventata canzoni, per rassicurare la nostra paura. La paura che la morte potesse sorprenderci e distruggere il nostro quotidiano, le nostre speranze, i nostri affetti più cari. Ecco allora che quella scritta, sormontata da un arcobaleno, è diventata l'emblema di ciò che abbiamo vissuto e della speranza che abbiamo custodito nell'intimo. "Andrà tutto bene" è così diventato il simbolo della luce in fondo al tunnel della pandemia ... Questa frase non è una nostra invenzione, ma appartiene a una mistica inglese, Giuliana di Norwich, vissuta tra il 1342 e il 1416. Ella chiese a Gesù di partecipare alla sua passione; fu in quella mistica Unione che ebbe visioni dell'amore divino per lei e per il mondo. Fu Gesù stesso a suggerirle: "alla fine tutto andrà bene". Ma come può Dio, sommamente buono e sapiente, permettere tanto male e tanta sofferenza soprattutto per chi è innocente, per tanti anziani strappati dal virus all'affetto e alla cura dei propri cari?
Giuliana ci dice: "imparai dalla Grazia di Dio che dovevo rimanere fermamente stabile nella fede e quindi dovevo saldamente e perfettamente credere che tutto sarebbe finito bene..."  La mistica ci mostra come stare con fiducia e speranza nel misterioso disegno della provvidenza di Dio, che dal male è capace di trarre un bene più grande.
Quella frase che è sbocciata così, all'improvviso e senza alcuna campagna medica, lascia aperto il mistero di come Dio incontra la nostra vita e il nostro quotidiano e dialoga con noi; parole antiche di secoli, oggi divenute attuali e concrete.
Oggi questa frase concorda con le parole del Vangelo, dove per tre volte Gesù ci dice: "Non abbiate dunque paura ..." Tutto andrà bene!
Questa certezza non dipende dalle rassicurazioni dei virologi, degli scienziati, dei politici e degli economisti; la paura che ha attanagliato la nostra vita, e che ormai in tanti abbiamo archiviato - più per Decreto-Legge che per altro -, in realtà noi cristiani dobbiamo ricollocarla di fronte alla forza e stabilità della fede. Il coraggio che deve animarci non è quindi nutrito dalla certezza scientifica o dal futuro vaccino, ma dalla fede autentica. Noi non siamo eroi impavidi e senza paura, ma però siamo credenti e come tali opponiamo alla paura prima la fede, e da questa la ragione.
Questo tempo è per noi il tempo della fede, ecco allora le parole del Vangelo, le parole di Gesù danno concretezza al fatto che tutto andrà bene, perché se siamo amati, nessuna paura  soffocherà la nostra risposta all'amore gridato dalle terrazze; perché Dio ha contato tutti i capelli che abbiamo sulla testa; perché io valgo più di molti passeri, che stanno a cuore a Dio come i gigli del campo, opera delle sue mani, ma io, ... di più!
Tutto andrà bene perché nulla accade (nemmeno che i passeri cadano a terra) senza il Padre - ovvero - "Nessuno muore fuori dalle mani di Dio, senza che il Padre non sia coinvolto". Anche nelle sofferenze vissute nelle corsie degli ospedali - in quella anonima solitudine - noi riconosciamo il Cristo che viene inchiodato alla croce per la salvezza del mondo; ma anche questo è avvenuto nel cuore del Padre.
Per cui: non abbiate paura, voi valete più di molti passeri, voi siete nelle mani di Dio; voi valete; per Dio, io valgo. Ecco che di fronte la paura di non contare, Gesù ci mette la certezza del nostro: "tu vali di più". Solo la fede da vero spessore a queste parole, perché non siano uno slogan del momento: ma proprio lì, dove sperimento la fragilità, proprio lì inizia l'opera del Signore.

sabato 20 giugno 2020

Isaia 61,10-11 e Luca 2,41-51
Cuore immacolato di Maria
Un raggio di luce

Questa memoria mariana di carattere devozionale, porta in sé una esplicita concretezza circa l'amore di Maria e Giuseppe per il figlio Gesù.
Nel Vangelo di Luca il ritrovamento di Gesù nel tempio, suscita la consapevolezza di un fatto che coinvolge un adolescente, che non si cura troppo delle conseguenze dei gesti che compie, e che l'evangelista ammanta in una immagine di grande sapienza (Gesù in mezzo ai dottori della legge); come anche mette in evidenza la premura materna di Maria e la vigilanza di Giuseppe; nulla di diverso o di strano rispetto a ciò che normalmente avviene anche nelle nostre famiglie.
È in questo contesto di normalità che "sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore". Non si tratta di romanticismo o sentimentalismo, ma della memoria materna di una madre, che riconosce come la fedeltà di Dio alla sua promessa, trova nelle vicende della loro quotidianità spazi inaspettati nei quali risplende un raggio di quella luce che mostra a tratti il mistero della salvezza, e come questo mistero procede nella sua pienezza. Il cuore di Maria, diviene il luogo della sintesi dell'amore di Dio e dell'amore a Dio in quel bambino, ora adolescente e domani uomo. Il cuore di Maria sempre custodisce la rivelazione circa quel figlio che gli era stato annunciato e donato. Ma il cuore di Maria diviene, in questo momento, sorgente di intimo e vero amore materno anche per tutti noi.

venerdì 19 giugno 2020

Deuteronomio 7,6-11; Sal 102; 1 Giovanni 4,7-16; Matteo 11,25-30
Solennità del Sacro Cuore di Gesù 
Il Signore di è legato a noi ...

Ciò che spesso non teniamo in giusta considerazione ripercorrendo l'Antico Testamento è che "il Signore ama Israele e mantiene li giuramento fatto ai Padri". L'amore di Yhwh per Israele non è un comandamento , ma è una condizione di origine, è l'amore che Dio riversa nella sua scelta: "Tu sei un popolo consacrato al Signore, tuo Dio: il Signore, tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo popolo particolare fra tutti i popoli che sono sulla terra". È questa la vera immagine, il vero volto di Yhwh che Gesù ha interiorizzato e di cui ha sperimentato la pienezza: "Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe".
Anche per noi, parlare di Dio e fare esperienza della sua presenza nella nostra vita non può esse disgiunto dall'esperienza dell'amore. È questa l'esperienza matura di un uomo o una donna che fanno della loro esistenza il vertice della verità e il cuore di ciò che è assoluto, cioè della propria salvezza: "In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati."
Dio ci ha amato per primo, questo precederci nell'amore trova piena rivelazione nell'amore di Gesù per noi, un amore fino alla fine, un amore che chiama (vocazione) a sé: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero".
Ecco che la mia fede è riconoscere l'amore ci Dio per me! È la sua fedeltà al giuramento fatto ai Padri.

giovedì 18 giugno 2020

Siracide 48,1-14 e Matteo 6,7-15
Preghiamo insieme a Gesù ...

Voi dunque pregate così ...., pregate come io prego il Padre e non come quelli che non conoscono Dio come Padre; come quelli che fanno della preghiera uno sproloquio di parole o il cumulo dei propri desideri irrealizzati. La preghiera invece è una confidenza affidata a Dio, che è Padre e che pone costantemente lo sguardo su di noi, precedendoci nel cammino di tutti i giorni, ecco perché Gesù dice: "... il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate".
Solo se custoditi e costruiti dallo sguardo amorevole di Dio, le parole insegnate da Gesù assumono il senso della preghiera e non delle richieste infantili ... 
La preghiera diviene allora uno spazio di cielo, è il momento della mia vita in cui il regno dei cieli diviene attuale è presente attraverso una sintonia, unica e straordinaria, con il cuore di Dio. Gesù riempie sé stesso di questa esperienza rigenerante: essere nella volontà del Padre, la quale da senso al cielo e alla terra. Nel vivere la volontà del Padre, il suo Nome Santo, risuona di nuovo nelle cose, come il suo nome risuonò sul Sinai nella Legge data a Mosé. Quando diciamo Padre, tutto si riempie della paternità di Dio!
Ma quale è il senso della volontà di Dio che Gesù ha sperimentato ogni giorno del suo essere con noi, come uomo?
Nella volontà di Dio è la nostra esistenza, e il sostenere attraverso la vita umana il nostro destino di eternità, con un pane che ha la forma del cibo per il tempo e la sostanza di ciò che è la vita eterna. Nella volontà di Dio è la possibilità di condividere la sua stessa vita, cioè dell'amore, che si declina nel tempo, nelle esperienze nei sentimenti.
L'esperienza del perdono è in questo, pienezza dell'amore dato gratuitamente e accolto senza alcuna pretesa o come ricompensa. Nella preghiera la nostra umanità ferita dal peccato (dall'io pretestuoso) è curata direttamente dal Padre buono che versa in noi il balsamo del suo amarci. Quando riusciamo a vivere questa preghiera ... Chi non pregherebbe!

mercoledì 17 giugno 2020

2 Re 2,1.6-14 e Matteo 6,2-6.16-18
Lo Spirito di Elia ...

Eliseo ha concluso il suo tirocinio esistenziale con il suo maestro. Elia, come altri "amici di Dio" è portato al cielo con un carro di fuoco. Una immagine particolare, quella della assunzione, che ritroviamo anche altrove nei testi dell'Antico Testamento, che pone in relazione il tempo della vita terrena con il mistero dell'eternità di Yhwh. Tutto trova concretezza grazie alla relazione di amicizia che l'uomo di Dio ha custodito e vissuto. È questa relazione, il fondamento dell'insegnamento, che come eredità è stata chiesta da Eliseo, e passa al discepolo, quando raccolto il mantello, egli ripete il prodigio della divisione delle acque del Giordano.
Nella comprensione della rivelazione delle scritture, siamo introdotti oltre l'osservanza obbediente della Legge, ma in quella profondità del racconto che lega insieme l'esistenza umana alla manifestazione presente di Dio. Non c'è distanza, non c'è separazione o esclusione, Dio, ci attesta la scrittura, è parte attiva nella vita dell'uomo, è un partner di esistenza. A noi la possibilità di dargli concretezza, lasciando che il mistero tracci in modo indelebile l'agire, il pensare e il sentire.
Non è forse in questa traiettoria che posso comprendere le "raccomandazioni" del Vangelo? Il Dio che vede nel segreto, è il Dio che vive i giorni della mia esistenza e con me segna la loro pienezza: nell'agire della carità (dell'amore); nel pensare della preghiera del cuore (preghiera di intimità, non di formalità) e nel sentire del digiuno come occasione per liberarmi dalle inutili gratificazioni e appropriarmi dell'essenzialità e verità dei sentimenti.

martedì 16 giugno 2020

1 Re 21,17-29 e Matteo 5,43-58
Amare i nemici

"Amare gli amici lo fanno tutti, i nemici li amano solo i cristiani". Queste parole di Tertullliano esprimono la differenza cristiana nello stare di fronte agli uomini e donne di ogni tempo. Ma cosa porta con sé l'amare i nemici?
Il vangelo di Matteo è immediato: "Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste".
Amare ciò che non è amabile è principio di perfezione.
Dice papa Francesco: "Gesù chi chiede di essere perfetti nel fare nostra una sua legge speciale, una condizione di per sé difficilissima per la nostra natura umana. Ma proprio per questo è condizione di rinnovamento del nostro essere uomini e donne: siate perfetti".
Ma come posso riuscire ad amare i nemici? Posso riuscirci solo se prego per loro, se li metto al cuore del mio dialogo di amore con Dio Padre. Questo è sconvolgente ... pregare per chi ci fa soffrire ...
Ma a questo possiamo aggiungere anche che ciascuno di noi ha dei nenici ... Ma ciascuno di noi può diventare nemico di un fratello! 
Cosa vorresti essere per tuo fratello  ... Un nemico da odiare?
Non credo che la condizione di essere nemici sia desiderabile e accettabile ... Perché al cuore di ciascuno sta la fedeltà all'amore, e questa fedeltà passa, si almenta e rigenera nella preghiera.
Preghiamo allora perché il cuore indurito si converta; perché il cuore di pietra si trasformi in carne; perché il cuore vecchio e ostile si riempia di novità e amicizia. Questa preghiera è per i nemici, ma anche per noi stessi  ... Ecco questa preghiera è perfetta e fonte di perfezione è una preghiera nello Spirito.

lunedì 15 giugno 2020

1 Re 21,1-16 e Matteo 5,38-42
Non opponetevi al malvagio ...

Non è arrendevolezza, o codardia quella che viene proposta nel Vangelo, ma lo stile della carità superiore al limite umano. Non opporsi al male non è vigliaccheria ... Rinunciare alla propria vendetta, o meglio al proprio senso di giustizia, non è arrendevolezza e incapacità di lottare per ciò che è bene. La vita cristiana si illumina con l'esempio di Gesù e grazie al suo stile e modo per lottare il male e perseguire la giustizia.
Nell'Orto degli Ulivi, alla cattura, non chiede l'aiuto armato né di legioni di angeli, e neppure dell'amico Pietro, che già aveva impugnato la spada. Di fronte ai suoi "oppositori" e carnefici, Gesù ha anteposto la libertà di amarli senza condizione. Il male resta male anche se mi oppongo per giustizia e con forza rivendicando una legittima aspettativa. Vivere la carità nelle relazioni e situazioni di vita, implica quel superamento del nostro orgoglio (buono) e la rinuncia alla propria autodeterminazione. La carità superiore, ciò l'amore libero, è anche liberante rispetto alle aspettative di ciò che è giusto. È questo passaggio che sentiamo e viviamo con fatica e percepiamo per la nostra inadeguatezza e immaturità umana. Ogni passo nella carità superiore è un un passo in avanti nella imitazione di Cristo. Tanti martiri e testimoni della fede ci indicano proprio questo cammino di perfezione e santità. Quindi ... non sostentiamoci, ma viviamo lo schiaffo sulla guancia come occasione, il mantello, come opportunità e il cammino che scoperta del mistero di amore che ci accompagna.

domenica 14 giugno 2020

Dt 8,2-3.14-16; Salmo 147; 1 Cor 10,16-17; Gv 6,51-58
Un pane "corporeo"

Cosa significa ieri Gesù darci il suo sangue e la sua carne da mangiare?
Di fronte a questo, i giudei si ribellarono: "come può costui darci la sua carne da mangiare?"
Credo che il Signore abbia in quelle parole consegnato a noi il suo corpo, ci ha dato tutto sé stesso nel segno del corpo, per farci capaci di una comunione che non è astratta ma a cui ciascuno partecipa col suo stesso corpo.
Con il nostro corpo facciamo tante cose, viviamo tanti momenti, percepiamo la realtà ... Ma questo nostro corpo è ben di più di uno strumento di carne, di materia che si erge rispetto al resto delle cose. Per tanto tempo il corpo è stato forse un poco dimenticato anche dalla riflessione teologica, e per un certo modo di pensare esso ha rappresentato l'apice del limite e della corruzione. Ma per chi è credente e cristiano, la percezione del proprio corpo non può essere privata dell'intimo legame con il corpo di Cristo.
Ed ecco che allora tutto assume una visione completamente nuova.
Le due frasi di San Paolo ai Corinzi, che abbiamo ascoltato chi portano a stare davanti a ciò che celebriamo non per stare davanti a un poco di pane e vino, ma ci rivelano l'attualità e concretezza del corpo di Gesù: "Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?  Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane".Comunione con il Sangue; comunione con il corpo; siamo un solo corpo ... Il legame corporeo è origine del "sentire" percepire, conoscere, amare l'altro, al punto che anche il corpo di Cristo ci permette tutto ciò anche nei suoi confronti.
San Giovanni Paolo II, con le Catechesi "sull'amore umano", ristabilisce il valore e la preziosità del corpo, esso scaturisce dalla sua genesi;esso è creato dalle mani stese di Dio, e diviene segno visibile dell'immagine e somiglianza di Dio. Spogliando ogni antropomorfismo, cioè ogni rilettura e identificazione che riduce il corpo alla sola forma umana, il corpo risplende allora della presenza esplicita di Dio Creatore e Padre, manifestazione della sua Gloria (Shekhinah) e luogo della Kabod (presenza e pesantezza di Yhwh).
Ma non solo il nostro corpo, ma anche quello di Gesù, che è Dio, Figlio del Padre e uomo, con un suo corpo.
La Solennità del Corpo e del Sangue di Gesù, supera quindi ogni senso storico e liturgico rituale, e mette in evidenza la profondità del sacramento che rappresenta, che attinge alla vita reale e vera di Gesù; al suo corpo concreto; al mistero del Dio fatto uomo nel grembo umano di Maria. È la Gloria di Dio Padre che Gesù ci offre nel suo corpo, non certo un segno per una solenne Ostensione. Le parole del Vangelo di Giovanni sono eco del mistero di quella Cena nella quale Gesù percepisce il suo corpo e tutta la drammaticità e sofferenza che il corpo assumerà in sé. Parlare di offerta di sé stesso; parlare di amore e amicizia; parlare di riscatto e di versare il sangue ... apre a grandissimi orizzonti di intimità e di prospettive di fede.
Il valore delle parole è realmente diverso se queste esprimono la concretezza del corpo di Gesù e non delle semplici categorie intellettuali. Ma è proprio questa concrerezza voluta da Gesù che rende anche il nostro corpo capace di sentirsi intimamente unito al suo e al mistero che da Lui si sprigiona: la salvezza. "Adoriamo il Sacramento che Dio Pare ci donò ..."; cioè partecipiamo alla Gloria (presenza viva) del corpo del Signore risorto, vero corpo vera carne che nel segno è consegnato per generare in noi la stessa possibilità di dono: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno." Tutto questo è veicolato attraverso il corpo, e la comunione al corpo di Cristo.

sabato 13 giugno 2020

1 Re 19,19-21 e Matteo 5,33-37
La gioia di essere stati scelti!

Quale gioia quando sentiamo che qualcuno ci ha scelti! Quando ci sentiamo amati, gratuitamente e liberamente senza nessuna convenienza. Effettivamente fa piacere è consolante ed eleva la stima di sé non come orgoglio, ma come consapevolezza di un valore inestimabile. Ecco cosa è accaduto a Eliseo, quando è stato scelto da Elia come suo "erede". Nel gesto di Elia, nell'avvolgere con il mantello, Eliseo è completamente partecipe del suo "maestro"; entra a suo servizio. Questa espressione non descrive sfruttamento o schiavitù, ma il mettere sé stesso per l'altro, perché l'altro ha riconosciuto il mio valore, ed ecco che mi offro a lui. Ma questo riconoscimento, che è chiamata, e la conseguente risposta, è dialogo di amore. È questa la dinamica della vocazione, cioè della chiamata. È un dialogo di amore; da una parte riconoscibile nella scelta verso il prediletto, e dall'altra parte è un concedere e offrire sé stesso in forza dell'amore ricevuto.
Quando parliamo di chiamata, di vocazione, dobbiamo scrollarci di dosso certi preconcetti clericali e monastico-religiosi circa la parte migliore e la priorità della scelta. La vocazione è esperienza reale di amore; è risposta di amore per una pienezza raggiunta, anche solo e se fosse, in quel momento preciso. È per quell'amore che Eliseo "... si alzò e seguì Elìa, entrando al suo servizio".

venerdì 12 giugno 2020

1 Re 19,9.11-16 e Matteo 5,27-32
Lo zelo per il Signore!

Dopo le straordinarie parole della Montagna, il Vangelo di Matteo propone una serie di leggi morali e comportamentali che sembrerebbero stridere con lo spirito delle Beatitudini, o con l'alto valore ideale proposto da Gesù. Effettivamente sembra un ritorno all'esperienza farisaica di leggi e precetti di uomini. Ma se il "discorso della Montagna" è un faro che orienta, e i discepoli sono luce del mondo e sale della terra, allora le "leggi" che seguono devono per forza essere interpretate nello stile "nuovo" del Vangelo.
Come il profeta Elia che sale sul Monte e si pone alla presenza del Signore, anche ai discepoli di Gesù, per vivere la realtà del mondo, viene chiesto di salire sul Monte e di stare alla presenza orante del Signore - generatrice di beatitudine -: "Che cosa fai qui, Elìa? Egli rispose: Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, ..."
Lo zelo non è la rigidità di una formalità religiosa o uno scrupolo in eccesso; lo zelo è attenzione al mistero e a ciò che rivela. Ecco allora che l'adulterio esprime ben di più di un tradimento, ma dice che la vita dell'uomo è il luogo della fedeltà ancor prima del tradimento. Lo zelo è attenzione a custodire e alimentare l'amore fedele che contrasta la fragilità e l'infedeltà. Lo zelo è una vigilanza preventiva rispetto allo scandalo delle nostre inconsistenze! Nessun uomo nasce perfetto, ma la perfezione, ovvero la santità della vita è la conseguenza dello "zelo per il Signore", quell'amore che dispone il cuore a concedersi a Dio.

giovedì 11 giugno 2020

AT 11,21-26;13,1-3 e Matteo 10,7-13
San Barnaba Apostolo
Strada facendo, predicate ...

È bella questa espressione del Vangelo, è bella perché dice cosa e come intende, Gesù, l'annuncio/testimonianza del Vangelo.
"Facendo strada", in greco, "andando"; da il senso di una dinamicità dell'annuncio legato al cammino della vita e della quotidianità. Non è un annuncio come informazione, come nozione intellettuale, come catechismo o predica domenicale ...
Credo che la dinamicità proposta dal Vangelo, corrisponda allo stile di vita del Signore e della sua esperienza itinerante: di villaggio in villaggio, di città in città ... di persona in persona. L'annuncio difficilmente si genera nella staticità, nel legarsi alla realtà venendo a patti con la vita e facendo compromessi con il mondo. La dinamicità è la fecondità del Vangelo attraverso il quotidiano e lo stile di vita. L'apostolo porta il Vangelo, lo dona e lascia alla responsabilità dei nuovi discepoli il viverlo e così accoglierne i frutti per sé e per tutta la comunità. Esiste oggi questa dinamicità dell'annuncio nella comunità e della comunità?
Lasciamoci motivare dalle parole di Gesù per riprendere il filo di continuità con la dinamicità sperimentata agli inizi della vita della Chiesa? Credo possiamo intenderla come libertà rispetto ai condizionamenti sociali e culturali; come esperienza di gratuità e di dono. L'annuncio del Vangelo non si può teorizzare con modelli di sviluppo e strutturare o con dei e progetti per tracciare una sorta di programmazione. L'annuncio è proprio insito al cammino quotidiano e allo stile di vita dei discepoli. 

mercoledì 10 giugno 2020

1 Re 18,20-39 e Matteo 5,17-19
L'offerta del nostro sacrificio

La prima lettura di oggi, mi ha stranamente sollecitato: l'immagine dell'olocausto e del sacrificio mi porta a rileggere nella mia vita quale spazio occupa la presenza di Dio. Quel popolo che è muto che non risponde nulla, di fronte alla provocazione di Elia è sconvolgente, segno di di una aridità fatta di segni, superstizioni, riti e quant'altro di religioso, ma che in assoluto resta muto di fronte alla possibilità di corrispondere al Dio vero. A partire da questo, mi provoca la descrizione che Elia fa del dio Baal: "È occupato, è in affari o è in viaggio; forse dorme, ma si sveglierà». Gridarono a gran voce e si fecero incisioni, secondo il loro costume, con spade e lance, fino a bagnarsi tutti di sangue".
Situazioni, immagini, che richiamano atteggiamenti e stili di vita e modi di pensare che non sono lontani dal mondo di oggi. Anche le nel nostro tempo ci sono divinità a cui ci inchiniamo ma che nulla ci mostrano del Dio vero. La testimonianza di Elia prosegue nell'introdurci nell'offerta di noi stessi come esperienza di relazione intima e pieno affidamento.

martedì 9 giugno 2020

1 Re 17,7-16 e Matteo 5,13-16
Un Dio quotidiano.

La vicenda del profeta Elia a Sarepta di Sidone, custodisce e traduce una esperienza estremamente consolante della provvidenza e misericordia di Dio. Il Dio dei profeti dell'Antico Testamento è ben altro da ciò che per tanto tempo abbiamo detto e insegnato: un Dio giudice; lontano e separato; un Dio legislativo; un Dio guerriero; un Dio dalla pedagogia retributiva. Elia ci mostra un Dio intimo a Lui e capace di commozione per le sofferenze degli uomini, per la povertà estrema di questa vedova, e per la sofferenza che conduce al morire che grava su di Lei e sul figlio. È un Dio accanto che sia fa carico di un segno di amorevole cura: "La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà"; per dare anche un segno della misericordia infinita; il rinnovamento della realtà, la rinascita: "... fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra".
E' un Dio che scende nel quotidiano, nella vita comune e di tutti, e mostra quella famigliarità che attraverso Gesù è conosciuto come il modo vero, e sotto certi aspetti nuovo, della fede cristiana. La Gloria di Dio che rifulge dalla nostra vita, ma quando rifulge, non sarà mai uno "straordinario luminoso", ma è la famigliarità con il Signore, fatta di quotidianità insieme a Lui che permetterà di dare alla nostra umanità quel sapore nuovo del sale vero del bene, e quella luce capace di sbaragliare ogni ombra di male. Essere sale e luce non è conseguenza di atti morali esemplari, ma ha origine nella prossimità di Dio alla nostra quotidianità.

lunedì 8 giugno 2020

1 Re 17,1-6 e Matteo 5,1-12
Nella Sua parola ...

La prima lettura di oggi ci introduce nel ricordo del Profeta Elia. Erano tempi difficili, per l'umanità, momenti "bui" nei quali si alternarono vicende umilianti e di terribile prova, ad esperienze di grandissima levatura spirituale. Elia rappresenta l'inestinguibile presenza "accanto" di Yhwh per Israele per l'uomo in genere. Elia è l'uomo di Dio, espressione che unisce in sé sia la caratteristica positiva di uomo virtuoso, secondo Dio, come anche quella dell'uomo che appartiene a Dio e che fa della sua vita lo spazio esistenziale della fede. La Parola di Dio, non risuona in Elia come imperativo morale, ma prima di tutto come condizione e spazio di quotidiana esistenza: la Parola diviene cammino; traccia la strada; indica il luogo di dimora; si trasforma in vitto quotidiano e soprattutto condizione dello stare alla presenza del Signore. Anche per Gesù la Parola che annuncia, il Vangelo che proclama è per lui stare alla presenza del Padre. In questo senso le Beatitudini superano ogni prospettiva temporale e di proiezione retributiva futura e assumono la condizione di realtà e attualità. La Beatitudine è condizione permanente di chi è alla presenza del Signore; essa declina l'esperienza della vita e apre misteriosamente l'orizzonte della fede. Leggiamo in questa prospettiva il Vangelo di oggi; come Gesù e come Elia, la nostra umanità ci permette di essere alla presenza del Signore; ogni esperienza umana permette di comunicare al mistero di Dio Padre: Beati i poveri; chi piange; i miti; chi ha fame di giustizia; i misericordiosi; i puri di cuore; i pacificatori; i perseguitati dall'ingiustizia ecc...

domenica 7 giugno 2020

Es 34,4-6.8-9Sal Dan 3,52-562 Cor 13,11-13Gv 3,16-18
Domande a Dio

Nei tempi passati disquisivano sul mistero di Dio (uno e trino, sulla sostanza e natura) a suon di scomuniche e di dispute, coinvolgendosi anche in modo agguerrito nelle varie fazioni ...
Ma questo non impediva di accostarsi a Dio e al suo mistero con stupore e meraviglia; una bella esperienza di questo modo di percepire Dio ha lasciato traccia nella pienezza dei nomi che abbiamo ascoltato nella prima lettura: il misericordioso, lento all'ira, grande nell'amore. Dio, nel suo nome, rivela la sua stessa identità.
Oggi di fronte alla idea di Dio ... guai mai a percepirlo come domanda di senso, come il profondo anelito esistenziale che ricerca significato.
Di fronte alla domanda fatta a un giovane se era cristiano, credente e praticante ... la risposta è stata: "No io sono normale!"
L'esperienza della fede e del credere rischia di essere vissuta come una "malattia" dalla quale difendersi strenuamente.
Igienizzazioni, mascherine, guanti, distanziamento sociale ... tutto serve a sconfiggere il male che ci affligge, ma su questa scia, il nostro mondo sta portando tanti a pensare che l'esperienza religiosa e il credere in Dio sia una sorta di virus dal quale difendersi ... La religione fa male ... È nociva alla normalità della vita. Credere in Dio lede la libertà e la possibilità di agire secondo i propri impulsi e desideri.
Dio cosa sei diventato per l'uomo di oggi? Un peso, un ostacolo, un nemico?
Ed ecco che in questa realtà sociale e culturale ... Dio viene messo a margine, Dio viene igienizzato per renderlo innocuo ... Ovvero inutile alla vita e all'esistenza dell'uomo.
Ma se l'uomo smarrisce il mistero di Dio cosa resta di sé stesso?
Forse la normalità significa disumanità? Appiattimento e avvilimento?
In quel dialogo notturno - raccontato in parte nel Vangelo - Nicodemo cercava da Gesù delle risposte alle sue domande più intime, al senso della sua vita. Cercava una chiave di lettura rispetto a ciò che Gesù stava facendo e dicendo - cose per lui sconvolgenti -; cercava di capire più profondamente quel Dio dei Padri che era all'origine della sua fede.
Nicodemo è un uomo alla ricerca di sé tesso, per questo è anche un uomo alla ricerca di Dio.
In questo nostro tempo, la difficoltà di questa nostra cultura post-cristiana, ovvero 
post-credente, è data dall'impossibilita di convertire il cuore di chi è un ex credente 
cristiano. Al punto cha anche tantissimi battezzati, oggi giorno, hanno elaborato il concetto culturale della morte di Dio ... Che si traduce nella perfetta indifferenza per una  parte e come non necessario per l'altra.
Ma la cosa più assurda è che spesso Dio è morto anche per i praticanti. Un Dio morto è quello relegato alla preghiera a e all'osservanza morale dei precetti, significa che questo Dio non tocca minimamente i sentimenti e la vita vera.
La morte di Dio corrisponde alla indifferenza ... indifferenti alla bellezza; indifferenti 
alla bontà; indifferenti alla verità; indifferenti all’altro.
Tutto l’uomo è ripiegamento in sé stesso per paura dello spirituale ..., perché ciò che 
è di Dio ci spaventa, ci inquieta, ci sembra origine di qualche male; di fanatismo; di estremismo.
Non c'è speranza per un uomo che ha smarrito la propria identità, non riconoscendo 
al divino e allo Spirito che sostiene l'esistenza, l'origine di sé.
Per questo occorre ripartire dalla fede, con semplicità e senza la pretesa di una esperienza di massa. Riappropriarsi della vita come spazio della fede; leggere il desiderio come spazio della speranza e i sentimenti come scuola di amore; tutto questo genera le domande di senso, e le domande rivolte … a Dio.




sabato 6 giugno 2020

2 Tm 4,1-8 e Marco 12,38-44
Sto per essere versato in offerta ...

Dare un senso alla vita è l'esperienza più matura e piena di umanità. Essere umano non è questione di semplice genetica, di genere e specie, o di un processo evolutivo. L'umano corrisponde all'esperienza concreta di esistere nel tempo come vita di Dio. Questa pienezza corrisponde oltre che alla nostra fisicità anche alla nostra libertà, volontà e coscienza. San Paolo in tutta la sua vita ha in questo modo maturato la sua relazione di appartenenza a colui che lo ha chiamato a un amore pieno e totale stravolgendogli l'esistenza, cioè dando alla sua esistenza la possibilità di comprendersi pienamente in relazione al mistero di Dio.
Questo è un punto critico per ogni uomo, ed è il punto di svolta della maturità cristiana ... Non tutti lo percepiscono, non tutti lo comprendono ....
Per questo Paolo può affermare e testimoniare - ora, prigioniero a Roma -: "Io infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede". Questa frase sintesi della sua maturità umana esplicita tutto il suo progetto di vita, in uno stato di continua conversione al Signore. Paolo ha combattuto la buona battaglia della testimonianza; è ormai giunto al termine del suo cammino nel tempo, fatto di mistero e di azione; ha intimamente custodito la dimora di Gesù Cristo in se stesso, una fede fatta di sentimento e di amore, non più una fede farisaica.
Tutto questo egli offre a Dio, e pone nella Sua eterna volontà di amare; tutto di sé Paolo offre a Dio. Possedere la nostra umanità, nella sua interezza, corrisponde per noi oggi, all'esperienza del "vivere e non vivacchiare", è il non conformarci alla mentalità di questo mondo, non per contrastarlo e basta, ma per amarlo secondo Dio. Rileggere queste parole di Paolo al "figlio" amato Timoteo, risuona in me l'espressione: "non di tutti è la fede"; ma come è meraviglioso contemplare, nella vita di Paolo, la manifestazione della sua fede in Gesù.

venerdì 5 giugno 2020

2 Tm 3,19-16 e Marco 12,35-37
Conoscere le scritture dall'infanzia ...

La conoscenza della scrittura non si esaurisce nell'esegesi, nella comprensione delle parole e del loro significato. La conoscenza della scrittura si realizza attraverso una confidenza con la Parola che si intensifica attraverso l'esperienza della vita.
Così come quando si è bambini e la Parola, il Vangelo, diviene occasione di fantasia e di gioco; così come anche da ragazzi, la Parola apre alle domande della ragione; o come anche nell'adolescenza la Parola precipita nell'obblio dei sentimenti e dalle pulsioni; ed ecco che solo nell'età adulta, lì dove c'è vita dello Spirito, la Parola riacquista il ruolo di indicatore e di bussola del cammino della esistenza, e del discernimento della volontà di Dio; così infatti, la conoscenza della Scrittura non è frutto di studio, ma è principalmente esperienza di vita, nella e attraverso la Parola, e le Sacre Scritture.
Paolo a Timoteo, rivela come la conoscenza della Scrittura è conseguenza dell'esperienza della sua vita e della testimonianza che ha ricevuto nel tempo: "Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente."
La nostra aridità rispetto al Vangelo, è spesso solo sordità all'ascolto della Parola. Dice Paolo che la Scrittura, è "tutta ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona". Questa conoscenza non è intelletto ma è esperienza ed esistenza.
Gesù stesso nel Vangelo di oggi rievoca il Salmo 110, per mostrare (non per dimostrare) che Lui stesso è parte dell'oracolo profetico, e che anche ogni riferimento messianico o alla discendenza davidica, trova in quelle parole, non un anticipo di annuncio, ma una rappresentazione che lo colloca dentro la stessa vicenda di Davide e della sua predilezione agli occhi di Yhwh.

giovedì 4 giugno 2020

2 Tm 2,8-15 eMarco 12,28-34
Ricordati di Gesù Cristo ...

Cosa significa ricordarsi di Gesù Cristo?
Significa forse ricordarci di quelle cose che le nostre catechiste (sono soprattutto donne) ci hanno insegnato con pazienza nella fanciullezza?
Oppure è fare memoria di qualche Vangelo ascoltato di domenica, che in un qualche modo è rimasto ancorato alla nostra attenzione?
Entrando nell'esperienza di Paolo - che ricordo è prigioniero a Roma -, per Lui il ricordare si concretizza proprio nella esperienza che vive: "... come io annuncio nel mio Vangelo, per il quale soffro fino a portare le catene come un malfattore".
Per Paolo il ricordare - che suggerisce al suo amato Timoteo -, non è un esercizio di memoria, ma un riconoscere, e rendere sempre presente nel quotidiano, il suo impegno per l'annuncio del Vangelo. Paolo, ricorda Gesù Cristo nella misura in cui il Vangelo risuona nella sua vita. Ma non pensiamo che siano solo le parole che costituiscono il ricordo. Credo che ciò che rappresenta il ricordo di Paolo sia l'esperienza dell'amore di Dio e del prossimo. Paolo ha sperimentato l'efficacia, la gratuità e la potenza della Misericordia di Dio e come l'amore di Gesù lo abbia completamente custodito, nonostante tutti i suoi limiti, infedeltà e fragilità. Paolo ricorderà sempre quanto è stato amato, e quanto è stata grande la misericordia di Dio verso di Lui: "scelto è chiamato per la sua indegnità". Paolo ricorderà anche la grandezza dell'amore sperimentato verso, e insieme ai fratelli delle diverse comunità che ha fondato è incontrato. In definitiva ricordarsi di Gesù Cristo, significa, non soffocare in noi l'amore di Dio e per il prossimo.

mercoledì 3 giugno 2020

2Tm 1,1-3.6-12 e Marco 12,18-27
Custodiamo ciò che ci è stato affidato ...

Nella frenesia del quotidiano siamo spinti a passare da un "marito all'altro" dentro alle logiche del mondo, incapaci spesso, dello sguardo di Dio. Non dico che le ligiche del mondo siano "il male", ma sono spesso insufficienti, e normalmente non considerano lo sguardo di Dio, che come dice Gesù ai Sadducei, non conoscono la Scrittura e la potenza di Dio. Cosa intendo per "da un marito all'altro"?
Intendo da un progetto che si interrompe o finisce, da un impegno e da una fedeltà a una realtà nuova, che compensi e dia sensazione di pienezza; che dia una forma di senso a ciò che viviamo. È questa continua ricerca di dimensioni forti e costruttive che anticipa in noi il desiderio di assoluto, di vita, di amore ed eternità.
Ma una vita così si risolve in un'ansia che non trova pace!
La vita del cristiano non è fatta, se non per un solo "mariti", per una sola fedeltà, per un solo amore che apre all'unica eternità. È questo il significato delle parole di Paolo (Saulo) a Timoteo. Paolo, che nella sua vita ha sempre sentito l'attrazione per ciò che dava senso pieno all'esistenza, ora, in catene a Roma riesce a fare sintesi del vissuto. Nella comprensione anche di tutti i "suoi amori" arriva a testimoniare a Timoteo: "Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo." Il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe accompagna la nostra storia e ci chiama, tutti, a  "una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia"; è questa la vera esperienza di "sponsalità", quella che sgorga dalla fedeltà e dal costudire con gioia e tremore la nostra chiamata a essere del Signore.

martedì 2 giugno 2020

2 Pietro 3,11-18 e Marco 12,13-17
Quale è il nostro criterio ...

Dopo essere entrato a Gerusalemme; osannato e come il vero re di Israele - cavalcando un asino -, Gesù viene messo di fronte a un tentativo per "incastrarlo": creare una situazione di opposizione al potere romano, per poterlo accusare.
Non è certo facile muoversi all'interno delle complicate realtà sociali e dei rapporti di forza del "potere" umano. Ma è anche questa la realtà concreta della vita, e Gesù, mostra che non si sfugge la realtà, ma nella realtà occorre essere radicati nella esperienza di fede che sola, può illuminare l'agire quotidiano.
La realtà infatti può divenire talmente intricata che anche il "discepolo", rischia di rimanerne preso come chat uno potrebbe essere attratto nel potere di quella moneta, e divenire schiavo di Cesare, posseduto dalla mondanità e dal suo fascino.
Come muoversi quindi rispetto alla realtà? Gesù promuove da subito una sorta di dottrina sociale: correttezza, onestà e rispetto per il potere civile costituito, anche se ingiusto. È infatti, nel rapporto di lealtà, che si deve raggiungere il cambiamento di ciò che è ingiusto e proporre una giustizia più grande.
Di quale giustizia parla Gesù? Parla della giustizia di ciò che il discepolo riserva per dare a Dio non una tassa ma il meglio di sé stesso. Cosa possiamo dare a Dio e a coloro che amiamo? Quale è il meglio di noi, che supera ogni valore monetario e di possesso? Gesù ha ben chiaro che l'unica realtà di valore inestimabile che ogni uomo ha in sé e che può donare non per obbligo ma volentieri è l'amore ... 
Ecco allora che la risposta di Gesù risuona così: "date a Cesare il rispetto e la lealtà e a Dio l'amore per lui e per il prossimo". Bel criterio non credete?

lunedì 1 giugno 2020

Genesi 3,9-15.20 e Giovanni 19,25-34
Maria madre della Chiesa

Questa memoria mariana, il giorno dopo la Pentecoste, ci permette di capire il senso della Liturgia e dei riti della Chiesa. La religiosità si esprime nei riti, e nella Liturgia, cercando quindi una mediazione espressiva del mistero di Dio. Ma il mistero non si trattiene o si addomestica con riti e preghiere ... C'è chi crede di avere fede e di essere "persona religiosa" in forza dei riti e delle celebrazioni, ... lasciamoli pure in questa illusione ... Ma il mistero di Dio si manifesta nella vita ed attraverso la vita, e a partire dal nostro intimo.
Maria nella crocifissione del figlio entra nel mistero di Dio, del suo esserci accanto, in modo assolutamente intimo ed esclusivo. È in questa intimità che Maria riconosce la pienezza della sua maternità: non solo del figlio di Dio, ma di tutti gli uomini, di tutta la Chiesa. Gesù morendo, effonde lo Spirito che riempie ogni cosa, ed inizia così, a rinnovare l'universo. Questo rinnovarsi coinvolge subito Maria e il discepolo amato e in Giovanni, Maria, diviene madre sua e degli uomini di ogni tempo, razza e genere. Giovanni è il figlio amato, ma ora si ritrova a rappresentare tutti i figli di Dio dispersi, che costituiscono la Chiesa di Cristo. Dire Maria madre della Chiesa non corrisponde quindi a una formula litanica rituale; quella maternità si genera intimamente in Maria, nella passione e morte del figlio Suo; quella maternità fiorisce nella risurrezione come presenza di Gesù vivo nella comunità dei discepoli, la Chiesa. La maternità di Maria oggi anima la Chiesa per ciò che essa - per essere volontà di Dio - deve esprimere e donare al mondo: "vicinanza materna".