sabato 31 marzo 2018

Settimana Santa anno 2018
Sabato Santo

Ho trovato la XIV stazione, della Via Crucis al Colosseo, particolarmente idonea alla meditazione di questa giornata: "Gesù è collocato nel sepolcro"
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 41-42)
Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.
Non ti vedo più, Gesù, ora è buio. Cadono ombre lunghe dalle colline, e le lanterne dello Shabbat brulicano in Gerusalemme, fuori dalle case e nelle stanze. Battono contro le porte del cielo, chiuso e inespugnabile: per chi è tanta solitudine? Chi in una notte tale può dormire? Risuona la città dei pianti dei bambini, dei canti delle madri, delle ronde dei soldati: muore questo giorno, e solo tu ti sei addormentato. Dormi? E su quale giaciglio? Quale coperta ti nasconde al mondo? 
Da lontano Giuseppe di Arimatea ha seguito i tuoi passi, e ora in punta di piedi ti accompagna nel sonno, ti sottrae agli sguardi degli indignati e dei malvagi. Un lenzuolo avvolge il tuo freddo, asciuga il sangue e il sudore e il pianto. Dalla croce precipiti, ma con leggerezza. Giuseppe ti issa sulle spalle, ma lieve tu sei: non porti il peso della morte, non dell’odio, né del rancore. Dormi come quando nella paglia tiepida eri avvolto e un altro Giuseppe ti teneva in braccio. Come allora non c’era posto per te, non hai adesso dove posare il capo: ma sul Calvario, sulla dura cervice del mondo, lì cresce un giardino dove ancora nessuno è stato mai sepolto.
Dove te ne sei andato, Gesù? Dove sei sceso, se non nel profondo? Dove, se non nel luogo ancora inviolato, nella cella più angusta? Nei nostri stessi lacci sei preso, nella nostra stessa tristezza sei imprigionato: come noi hai camminato sulla terra, e ora al di sotto della terra come noi ti fai spazio. 
Vorrei correre lontano, ma dentro di me tu sei; non devo uscire a cercarti, perché alla mia porta tu bussi.

venerdì 30 marzo 2018

Passione di Nostro Signore secondo Giovanni (Gv 18,1-19,42)
Venerdì Santo

Dopo aver mangiato la cena Pasquale, come i sinottici (Matteo, Marco e Luca) ci testimoniano, tutti gli evangelisti concordano sulla preghiera del Signore nell'orto del Getzemani. In realtà per Giovanni è un giardino il luogo in cui Gesù, spesso anche con i discepoli, si fermava a pregare.
Ma questa notte pregare non è facile, le altre notti era Gesù che guidava la preghiera e i discepoli con insistenza gli chiedevano di insegnargli a pregare; ma questa notte pregare è difficile: Gesù si è messo in disparte, vuole stare solo. I discepoli non capiscono, di conseguenza non riescono a stare svegli e a mantenere il tempo della preghiera ... Nemmeno un'ora ...
Questa ora nel Getzemani, detta di agonia, è l’ora in cui pregare di fare la volontà del Padre sprigiona ogni tipo di reazione:
- un'ora tra ribellione e abbandono alla fedeltà del Padre ...; 
- un'ora, in un giardino che già si prefigura lo spazio della sepoltura, lo spazio della morte come condizione di esistenza;
- un'ora in cui l'immagine del calice affiora prepotentemente: è il calice che contiene il vino segno della vita donata, ma è pure immagine del necessario compimento della salvezza.
Nell'ora del Getzemani, Gesù ci mostra come affrontare le nostre pure, le nostre fragilità i nostri limiti. Ci insegna a soppesare il tempo della prova per comprendere che non sempre la vittoria è la soddisfazione alle nostre aspirazioni e dei nostri desideri.
Dopo questa ora di preghiera Gesù è pronto, egli sa che la volontà del Padre non è il suo morire, ma è morire per salvare; donare per amare; soffrire per dare senso alla vita. Ora Gesù può rispondere alle guardie: "Chi cercate" ... "Sono io!" ... "Io sono Gesù il nazareno!" Anche io ti cerco Signore, ma per trovarti devo ammettere, è necessario stare almeno un'ora in preghiera con te, per vivere la tua "passione".




giovedì 29 marzo 2018

Esodo 12,1-14 e Giovanni 13,1-15
Giovedì Santo - Messa della cena del Signore
Mi hai amato con tenerezza e passione! Mi ha lavato i piedi!

In questo brano del Vangelo di Giovanni, si percepisce sensibilmente l'amore di Gesù per la sua Chiesa. Non è un gesto rituale e neppure ad effetto, ma è il modo in cui Gesù ha voluto fare capire ai discepoli che loro erano la "nuova Chiesa" e che in quel suo spogliarsi per lavargli i piedi, il Signore stesso proponeva un segno di amore incondizionato. È lo sposo che con tenerezza si accosta alla sua unica amata Sposa, e dolcemente, le versa l'acqua sul corpo, la pulisce, la bacia e la asciuga. Tenerezza passionale! Sì, c'è proprio una vera carica emotiva e affettiva per giustificare una relazione di amore con la Sua Chiesa. Quel gesto del Signore risuona ogni Giovedì Santo come gesto che la Chiesa deve subire nel desiderio. Credo che solo quel gesto può convertirli cuore disinnamorato degli uomini di Chiesa. È Gesù che "amando i suoi che erano nel mondo lì amò sino alla fine ..." Fino alla fine di tutto; fino alla fine il suo amore è un appello di tenerezza e un invito a convertire il cuore indurito per farlo parte del cuore della sua Sposa amata: la Chiesa.
Non credo tutti possano comprendere cosa si prova nell'amare la Chiesa; cosa di prova nel cercare di stare ad amarla come Cristo l'ha amata; in pochi sanno cosa si prova ad essere l'amata del Signore.
Ma almeno ogni Giovedì Santo, attraverso il mio essere prete, attraverso il sacerdozio di Cristo, di cui sono stato reso partecipe, riconosco e sento nella mia carne un amore grande, e riconosco quanto sia immeritato. Quest'anno, qui a Gerusalemme, nel cenacolo, ciò che è stupendo è sapere e sentire che quel giovedì di duemila anni fa, Gesù ha fatto quel gesto, realmente ha amato i suoi, ha amato la Chiesa ed ha amato anche me! Mi ha lavato i piedi ..
L'amore di Gesù non ha confini ... e la Chiesa è sacramento (segno efficace) del suo amore. Amiamo la Chiesa come Lui l'ha amata, questo bisogna farlo noi tutti!

mercoledì 28 marzo 2018

Isaia 50,4-9 e Matteo 26,14-25
Dove vuoi che prepariamo per te ...

"Andate e ditegli: il Maestro vuole fare la Pasqua da te ..."
È questa sottolineatura che mi permette uno sguardo certamente non ovvio sul tradimento di Giuda e al complotto per consegnare il Signore. Per ogni discepolo del Signore, la celebrazione della Pasqua ripropone il compiersi del "Tempo", la vicinanza del Regno. Celebrare la Pasqua non è una bella cena a carattere religioso; fare la Pasqua è condividere con il Signore il donarsi della sua vita. Ma questo donarsi avviene in un duplice modo: liberamente Gesù si offre alla passione, in modo che il pane e il vino sono il segno di questo donarsi gratuitamente; forzatamente perché Gesù è consegnato, tradito da un amico". Gesù accetta che la volontà di salvezza del Padre possa realizzarsi attraverso un complotto e un tradimento. Il significato oggettivo e profondo di ciò che si celebra è che l'avvenimento della morte del Signore ora deve avvenire presso ciascuno di noi, in noi e attraverso di noi. Facciamo in modo che la Pasqua sia ora celebrata nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nei nostri gruppi.

martedì 27 marzo 2018

Isaia 49,1-6 e Giovanni 13,21-38
Satana entrò in lui ... Ma non era l'amore

Giuda che cosa stai facendo? Sinceramente non ti capisco, non ti approvo, tradire l'amicizia, essere geloso dell'amore che i tuoi amici hanno per Gesù, e dell'amore che il maestro ha per tutti ... 
Ti si sono accecati gli occhi; hai traviato il tuo cuore ... Non ti accorgi che stai morendo dentro te stesso?
Ti sei sentito deluso e hai tradito?
No, Giuda, non è questo il problema ... Il vero problema è che non sei riuscito ad amare Gesù! Non hai sentito cosa significa "mi ami più di costoro ..."
Anche a te Gesù chiede di amarlo, di amarlo in un modo esclusivo; ma questo amore non ti piace, non ti convince, perché non ti fidi di poter amare ... Ecco proprio questo è il problema, tu ami così poco, al punto che non ti fidi di un amore cosi grande che può vincere tutto, che può dare senso a tutto.
Giovanni, il discepolo amato, a suo modo ha amato Gesù più di tutti gli altri ...
Pietro il discepolo che tradisce, a suo modo ha amato Gesù più di tutti gli altri ... 
Tu ... povero Giuda, povero discepolo che non riesce ad amare, con quel bacio amerai Gesù meno di tutti gli altri. Ma ora è il tempo delle tenebre ... L'amore sarà come la luce: con il suo chiarore disperderà ogni tenebra.

lunedì 26 marzo 2018

Isaia 42,1-7 e Giovanni 12,1-11
Maria prese del Nardo purissimo ...

Colei che era stata ai piedi del maestro ad ascoltarne la parola, è colei che ora gli cosparge i piedi col profumo. Due immagini diverse ma complementari che ci vengono consegnate dalla tradizione del Vangelo. Se infatti l'ascolto della Parola permette il dimorare presso il Signore e del Signore in noi, con il profumo del nardo si rappresenta l'amore, quello vero e fedele, una fragranza che si diffonde e permette di riconoscere il Signore e il suo corpo destinato alla glorificazione.
Nella Bibbia il profumo del nardo esprime l'amore che non ha prezzo e si realizza diffondendosi. Nel libro del Cantico dei Cantici, il simbolo del nardo indica un amore immenso, senza paragoni. Lo sposo e la sposa del Cantico affermano che il loro amore è come profumo di nardo, vale a dire, prezioso, buono, bello, unico, che dà senso alla vita: "Mentre il re è nel suo recinto, il mio nardo spande il suo profumo" (Ct 1,12). Il simbolo del profumo del nardo, che scaturisce dal vaso spezzato, interpreta anche, in modo eccellente, il significato della passione e morte di Gesù come amore senza misura ed esprime anche la sua risurrezione, come amore che vince la morte. 

domenica 25 marzo 2018

Isaia 50,4-7 / Salmo 21 / Filippesi 2,6-11 / Marco 14,1-15,47
Domenica delle Palme - Marco 11,1-10
Narrazione della passione ...

Inizia con le "Palme" la solenne celebrazione la Settimana Santa.
Siamo arrivati a Gerusalemme! Questa volta non solo sentiremo il racconto della passione, non solo potremo immaginare ciò che il Signore a vissuto nella sua carne, ma potremo dire di essere nello spazio in cui il tempo ha consacrato il mistero del Dio fatto uomo per la nostra salvezza. È molto diverso fare memoria ed essere nel luogo in cui la memoria ha avuto origine. Con questo spirito rileggo le parole del Salmo 21, esse hanno allora il sapore della profezia e del mistero:
"Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama!».
Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori;
hanno scavato le mie mani e i miei piedi. Posso contare tutte le mie ossa.
Si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto."
Quest'anno mi è donato di "baciare il sepolcro del Signore nei giorni stessi della sua Passione, senza dimenticare che è dal dolore che viene la risurrezione". La fredda roccia della tomba è testimone del calore della vita che risorge. Baciarlo è molto, molto di più che un gesto di venerazione, baciarlo significa adorare, amare il mistero. 

sabato 24 marzo 2018

Ezechiele 37,21-28 e Giovanni 11,45-56
Verrà alla festa?

Oramai il tempo della liturgia scorre velocemente verso la Pasqua del Signore, e in questo itinerario non non sfugge la crescente ostilità che porterà alla condanna a morte di Gesù, ma anche e insieme la pienezza del tempo.
Profezia, segni, parole ... Tutto interagisce converge a Gesù. Dopo la risurrezione di Lazzaro, le nostre vicende umane sono state ampiamente visitate dalla presenza di Dio, al punto che per tutti è evidente che "se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui ...", anche noi ...
L'evangelista Giovanni evidenzia come ciò che è accaduto nella storia rivela come Dio porti a compimento le promesse fatte ai Padri; da ora in poi nulla potrà più essere uguale. Il tempo delle promesse è concluso, Dio raduna da ogni parte i suoi figli per farli eredi della sua stessa vita eterna: li libererà, li purificherà, saranno finalmente il suo popolo, per sempre. Questa è la prospettiva che deve accompagnarci nel rivivere e ripercorrere i giorni della Settimana Santa.
Buona Settimana Santa a tutti ... da Gerusalemme!

venerdì 23 marzo 2018

Geremia 20,10-13 e Giovanni 10,31-42
Tutto quello che Giovanni ha detto su di lui era vero ...

Capitolo decimo di Giovanni, una premessa che anticipa ciò che segue: la risurrezione di Lazzaro e la decisione di uccidere Gesù. Per Giovanni l'opera del Padre non sono solo le opere compiute da Gesù, la volontà del Padre si realizza nella persona stessa del Signore. Il Battista, di lui ha detto "che era l'agnello di Dio", colui sul quale sarebbe sceso lo Spirito. In questa immagine di condensa la messianicità: la consacrazione/unzione per sigillare il nuovo patto, quello eterno attraverso il sacrificio del nuovo agnello.
Dopo il tentativo di rivelazione del capitolo ottavo, dopo l'illuminazione del capitolo nono, dove il cieco nato intraprende, e ci indica il cammino per il vero discepolato, da questo punto in poi ogni discepolo, che è parte del gregge del Buon Pastore, è proiettato  e coinvolto pienamente nell'opera si salvezza. Infatti tutto ciò che da ora l'evangelista racconta è il dono della vita di Dio attraverso la vita stessa di Gesù. Questo è il punto di partenza per la fede; la fede non nasce dall'adesione a una idea, ma dal desiderio della vita eterna e quindi dal legame di amore con colui che ci è stato mandato a donarcela.

giovedì 22 marzo 2018

Genesi 17,3-9 e Giovanni 8,51-59
"Prima che Abramo fosse, Io sono!"

Queste parole del capitolo ottavo di Giovanni sono il vertice della autorivelazione di Gesù, al punto che evolvono nel tentativo da parte dei Giudei di lapidarlo.
È evidente il richiamo alla rivelazione di Yhwh a Mosè dal roveto ardente, come pure il fondamento dell'alleanza tra Dio e Abramo raccontata in Genesi nella prima lettura di oggi. Conoscere Dio ... La conoscenza di Yhwh sfugge al nozionismo teologico per esprimersi attraverso l'esperienza del suo rivelarsi, e Dio si rivela nel contenuto del patto, dell'alleanza: "Disse Dio ad Abramo: Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione."
Cosa significa essere fedeli alla alleanza se non viverla come Parola ascoltata?
Il Vangelo di Giovanni esplicita la fedeltà nell'ascolto e nel fare di conseguenza la Parola. Ecco che, così come l'alleanza e la legge sono garanzia di una lunga vita, in modo ancora più compiuto Gesù disse ai Giudei: In verità, in verità io vi dico: “Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno”.
La nostra vita battesimale, quella vita nuova, o dall'alto, si alimenta con l'ascolto della Parola, che è luce, acqua, vino e pane ... Ma tutto questo ci introduce nella gloria, nella presenza di Yhwh, nella sua stessa vita eterna, la nostra vita in Dio.

mercoledì 21 marzo 2018

Daniele 3,14-95 e Giovanni 8,31-42
Se crederete ... sarete liberi!

Dal capitolo sesto di Giovanni (dopo il lungo discorsi sul pane di vita) i capitoli settimo e ottavo sono una lunga sezione in cui Giovanni affronta e riporta la "grande questione" circa l'identità del Signore. Un rivelare la sua identità attraverso la comprensione del suo agire e della sua Parola. Per tutti coloro, infatti, che sono stati provocati dal Signore, inizia un itinerario che li porta a riconoscersi come discepoli (il capitolo nono, del cieco nato, racconta il passare dalle tenebre della menzogna alla luce che è Gesù). Essere discepoli, cioè illuminati, è possibile a partire del "rimanere" nella sua Parola; rimanere significa dimorare, stare, sostare, al punto che le Sue Parole non descrivono più qualcosa ma rappresentano qualcuno: lo stesso Signore.
Il rimanere nella Parola produce una immediatezza: "siete miei discepoli". Essere discepoli non è conseguenza di una formazione, o di una adesione al Signore al termine di un itinerario di conoscenza; la sua parola ci affida la verità - quella tutta intera - ci dona il Signore nell'immediato; ed è questo dimorare nella parola, cioè in Gesù che diviene momento propulsivo della nostra conversione, ossia dell'itinerario di liberazione: la verità che ci farà liberi! Verità è libertà sono cardine della vita del Signore e del suo compiere la volontà del Padre, condizioni esistenziali del Figlio dell'uomo, dell'uomo nuovo e quindi anche di ogni discepolo.
"Amen, amen ... Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero!"

martedì 20 marzo 2018

Numeri 21,4-9 e Giovanni 8,21-30
"... Faccio le cose che gli sono gradite ..."

Con tutto ciò che Gesù ha fatto, è inverosimile pensare come il suo consenso sia precipitato dalle stelle alla polvere della terra. Ma a leggere la storia del popolo di Israele, questa sembra proprio una costante: ogni volta che che la rivelazione di Dio Padre si fa prossima e si accosta alla vita degli uomini, questi si discostano e si allontanano. Un amico mi ha lasciato questo detto di Confucio: "quando fai qualcosa, sappi che avrai contro: quelli che volevano fare la stessa cosa, quelli che volevano fare il contrario e la stragrande maggioranza di chi non voleva fare niente". Credo che questa sia stata la condizione in cui si è trovato ad agire Gesù nel suo tempo ... E immagino anche il suo animo e la sua fatica umana. Peccato che questo suo agire non era suo ma di colui che lo ha mandato: era l'agire del Padre. Quante volte anche nella Chiesa, nelle Parrocchie di fronte alle azioni e all'agire pastorale, poniamo noi stessi e i nostri "saggi pregiudizi" distruggendo sul nascere l'agire di Dio. Fortunatamente chi fa le cose del Padre è sostenuto da un amore che consola è pur nella fatica non si scompone, pur accusando il colpo, del crollo del consenso.

lunedì 19 marzo 2018

2 Samuele 7,4-16 e Matteo 1,16.18-21.24
Solennità di San Giuseppe
Nel segno della Paternità!

Ho davanti agli occhi una immagine di San Giuseppe che con tenerezza accosta le sue mani alla sua sposa, che tra le braccia sorregge il bambino Gesù. Una immagine di paternità e sponsalità! Fin dall'antichità nelle Comunità cristiane, a San Giuseppe è stato riconosciuto il ruolo di custode del fanciullo Gesù e protettore della Chiesa Universale. Questo ruolo non esprime solo una devozione ma è il coinvolgimento di Giuseppe nella storia della salvezza. Se Maria infatti ne è parte per il mistero dell'incarnazione, ed esprime tutta la maternità verso Gesù e verso la Chiesa, Giuseppe ne è partecipe come espressione della Paternità di Dio verso il figlio e verso tutti i figli. Nell'abbraccio paterno di Giuseppe, ciascuno riscopre la tenerezza di Dio Padre, e riscopre i segni della paternità nella propria vita; paternità a volte ferite dal limite e a dalla fragilità ... è necessario per tutti, riconciliare in se la figura del Padre.

O San Giuseppe, la cui protezione è così grande, così forte, così sollecita davanti al trono di Dio, ti affido tutti i miei interessi e i miei desideri.
O San Giuseppe, assistimi con la tua potente intercessione, e ottieni per me dal tuo Figlio divino tutte le benedizioni spirituali attraverso Gesù Cristo, nostro Signore, di modo che essendomi affidato al tuo potere celeste possa offrire il mio ringraziamento e il mio omaggio al più amorevole dei padri.
O San Giuseppe, non mi stanco mai di contemplare te e Gesù addormentato tra le tue braccia; non oso avvicinarmi mentre Egli riposa accanto al tuo cuore. Stringilo in nome mio e bacia il Suo capo per me, e chiedigli di restituire il bacio quando sarò sul letto di morte. San Giuseppe, patrono delle anime che stanno per morire, prega per me. Amen.

domenica 18 marzo 2018

Geremia 31,31-34 / Salmo 50 / Ebrei 5,7-9 / Giovanni 12,20-33
Voglio vedere Gesù!

Anche io voglio vedere Gesù ... È questa la domanda che costantemente si rinnova ogni volta che celebro la Pasqua. A volte mi sembra di avere una visione più chiara a volte non riesco proprio a vedere nulla.
E così questi greci che sono saliti a Gerusalemme per la festa vogliono vedere Gesù mi sono molto simpatici, perché anche loro, prima di me, prima di noi tutti vollero vedere Gesù, e non per curiosità...
Non è curiosità, essi erano saliti per "adorare" durante la festa. Nel loro cuore è radicato un desiderio profondissimo, di prostrarsi al cospetto di Dio. È questo loro desiderio che si trasforma nel volere vedere il Suo volto.
Per me oggi vedere Gesù significa stare davanti al crocefisso e riempire il desiderio di vederlo con parole molto semplici: "Mi fido di te"!
Mi fido di te! Poche parole ... uniche!
Che cosa posso dire a un amico, a un amico vero, a chi mi ama e a chi devo amare se non: "mi fido di te!"
Ti vedo, ti vedo lí crocifisso, vedo il tuo corpo nudo, spogliato ... Quasi a dirmi che tu mi hai  dato tutto ciò che ti potevo prendere ... Anche le tu vesti ...
Vedo le tue mani e i suoi piedi trafitti dai chiodi ... I chiodi che ti tengono sospeso e innalzato sulla croce sono i miei peccati ma sono anche il mio modo di amarti e di amare, imperfetto ma che unito al tuo serve alla salvezza del mondo.
Vedo il tuo fianco ferito ... dal quale è uscita acqua e sangue ... Da te  esce la vita nuova; tu sei così la sorgente della vita di grazia, della vita battesimale e della vita che si alimenta nel sangue dell'eucaristia.
Vedo le spine che incoronano il tuo volto, esse sono insieme il segno della gloria del re, ma anche il costo dell'amore, della tenerezza donata senza contraccambio ... delle carezze date ai più piccoli ... Amare significa anche soffrire...
Vedo il tuo corpo, lo vedo come il mio, un corpo indifeso, offeso, ferito ... Il corpo di tanti malati, poveri, oltraggiati, profughi, schiavi ...
Vedo già, il corpo di un uomo che, avvolto in un lenzuolo, deposto in un sepolcro, ora è risorto ed è glorioso. Come il chicco che muore e che risorgendo produce molta vita che condivide con tutti.
Ti vedo, Signore ... e per questo ti dico "Gesù mi fido di te!" Dall'alto della Croce tu mi guardi e io ... "mi affido a te ... come al migliore degli amici".

"Nella passione redentrice del tuo Figlio, tu rinnovi l’universo e doni all’uomo il vero senso della tua gloria; nella potenza misteriosa della croce, tu giudichi il mondo e fai risplendere il potere regale di Cristo crocifisso".
(Prefazio I della PASSIONE DEL SIGNORE)

sabato 17 marzo 2018

Geremia 11,18-20 e Giovanni 7,40-53
All'udire queste parole, alcuni dicevano ...

Oggi, come allora, le opinioni su Gesù si moltiplicano. In questi duemila anni tante sono state le affermazioni circa Gesù, sul suo essere realmente esistito, sul suo essere solo umano, sul suo essere divino, sulla autenticità delle sue parole ...
Oggi ne aggiungo un'altra che come veleno insidia il cuore e la possibilità di riconoscere "parole" di straordinaria bellezza e forza: "mai un uomo ha parlato così!"
Questo fatto è accaduto alcuni giorni fa, durante una benedizione quaresimale a una famiglia: "Entrato nella casa trovo una mamma, la nonna che teneva in braccio una bimba di un mese e una bambina di circa 5 anni. Dopo il normale saluto e due "battute" di circostanza, invito alla preghiera ... ma, la bimba di 5 anni, si rifiuta di pregare insieme a mamma e nonna ... Alla richiesta del perché non vuole, la bimba risponde: "non voglio perché Gesù è morto". Chiedo spiegazione alla mamma, la quale mi dice che alla scuola materna gli hanno insegnato così, cioè che Gesù è morto e che non c'è più!
Gli hanno detto che Gesù è morto, senza dirgli che è risorto ed è vivo. Povera bimba, a cui soli 5 anni è stato seminato nel cuore il sospetto che la fede sia una falsità, una ipocrisia.
Se non ascolteremo la Tua parola di vita, Signore, dentro di noi si radicherà solo la rabbia per una vita che ci è matrigna e la paura di una morte che è annullamento di ogni speranza. La Tua parola, Signore, dischiude in noi il mistero della vita del Padre! Fa'  ... o Signore, che nessuno sia mai privato per sempre della tua Parola.

venerdì 16 marzo 2018

Sapienza 2,1.12-22 e Giovanni 7,1-2.10.25-30
Non era ancora giunta la sua ora.

Tutt'altro che un riferimento cronologico, il "non essere ancora giunta la sua ora" ci immerge in una attesa di compimento che significa: precedere nel desiderio il momento della glorificazione di colui che sarà innalzato.
In questa rapida successione di situazioni: Galilea, Giudea; festa delle Capanne, salita a Gerusalemme, il Tempio ... abbiamo la possibilità di accostarci a Gesù per condividere con lui i sentimenti, le emozioni, i pensieri e le sue Parole. Innanzi tutto, nella rivelazione che Giovanni fa del Signore, appare radicata come riferimento certo è principale per Gesù, nel libro della Sapienza: la Sapienza di Dio che è Parola che si fa carne e interagisce nella storia e nelle vicende degli uomini. La prima lettura di oggi è una pagina di estrema intensità per ripercorrere l'ora oscura e luminosa della glorificazione; passione morte e risurrezione: "Non conoscono i misteriosi segreti di Dio, non sperano ricompensa per la rettitudine né credono a un premio per una vita irreprensibile".
Conoscere Gesù intimamente significa accostarci anche noi alla "sua ora", senza pregiudizi e senza pretese; prima di tutto occorre mettersi in ascolto di colui che lo ha mandato: "Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato ". Oggi il tempo dell'ascolto richiede uno spazio di silenzio.

giovedì 15 marzo 2018

Esodo 32,7-14 e Giovanni 5,31-47
Come potete credere alle mie parole?

Tutto il Vangelo di Giovanni è una sorta di processo in cui si confrontano accusatori e imputati; un processo che rimanda al giudizio di colui che ascolta, per scegliere la tesi dei Giudei o la tesi di Gesù. In questa parte del capitolo quinto assistiamo a un monologo del Signore, che ha tutto il sapore di una arringa difensiva.
Tutto si incentra sulla testimonianza resa al Signore: quella di Giovanni il Battista; quella del Padre; quella di Mosè nella Legge (la Torah).
Giovanni è il riflesso della luce, ma non è la luce, la luce è la vita di Dio e Gesù ne è la piena rivelazione ma pure il pieno dono. Le opere che Gesù compie non sono sue, ma del Padre (... Signore mostraci il Padre ...). La parola non è semplice risonanza ma è il verbo di Dio (la Parola, il Verbo è da principio presso Dio ed è Dio...). È in questa chiave di lettura che il senso della testimonianza supera il livello del processo per divenire una auto-rivelazione. Si passa dalla difesa della propria persona di fronte alle critiche alla rivelazione di sé. Quella domanda fatta al Battista, "chi sei? Cosa dici di te stesso? Quella domanda aspetta ancora una risposta, ma in tutto il Vangelo di Giovanni la risposta si fa evidente.
Io sono venuto, perché mandato dal Padre: "Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete ...", questa espressione trova una relazione stringe de con il prologo nel dare forma alla missione del Verbo: "E la Parola carne divenne e pose la tenda fra noi, e contemplammo la gloria di Lui, gira come di unigenito da il Padre, pieno di grazia e di verità" (traslitterato Gv 1,14).

mercoledì 14 marzo 2018

Isaia 49,8-15 e Giovanni 5,17-30
Per questo i giudei cercavano di ucciderlo...

Dopo la guarigione del paralitico alla piscina di Betzatà, l'evangelista mette in relazione questo segno con la piena rivelazione del Padre. E Gesù, potremo dire, sfrutta questo momento per auto-rivelare se stesso come colui che è stato mandato (sottinteso dal Padre).
Con tre momenti successivi, quindi una rivelazione piena, nel Vangelo di oggi, Gesù procede nella prerogativa messianica e dopo ogni doppio "Amen" ritorna sulla sua identità.
"Ameno, amen" (in verità, in verità): "... il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre ...". Essere mandato è oltre il concetto di apostolo o di colui che deve compiere una missione per conto di un altro. Essere inviato possiamo intenderlo come: Gesù è l'agire del padre che si rende evidente e manifesto nel tempo dell'uomo.
"Ameno, amen" (in verità, in verità): "... chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna ..." Per vita eterna dobbiamo pensare non solo una vita che non finisce, ma alla vita che è del Padre, la vita di Dio; essa è comunicata/donata mediante e nell'ascolto della Parola.
"Ameno, amen (in verità, in verità): "... viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno." La vita di Dio è donata a coloro che sono amati "nell'ora della gloria": passione, morte e risurrezione di Gesù. I morti sono gli uomini in se stessi, per natura privi della vita di Dio.

martedì 13 marzo 2018

Ezechiele 47,1-9.12 e Giovanni 5,1-16
Quell'acqua che sgorga dal lato destro dell'altare.

Se ieri nella prima lettura Gerusalemme è stata creata per la gioia, oggi, le letture trasformano la gioia in un segno concreto ed efficace. L'acqua che il profeta vede uscire dal lato destro dell'altare, e uscire dal Tempio come un torrente che porta in sé la vita, rivela ed anticipa l'espressione di Gesù circa essere Lui l'acqua viva. Questa acqua è straordinaria, porta in sé pesce abbondantissimo e le piante fruttificano e sono rigogliose al punto che diventano cibo e medicina. L'acqua della vita sgorgherà dal costato di Gesù, dalla trafittura della lancia e sarà, per tutti, un fiume di grazia e di salvezza. Dono di grazia che nutre nel segno del pane; mistero di salvezza come misericordia infinita. In questa acqua che sgorga da Cristo, la Chiesa, da sempre, riconosce il sacramento del battesimo: sono le acque in cui immergersi; sono acque navigabili; sono acque non attraversabili a nuoto, ma in cui si muore al peccato; queste acque che sono capaci di vita e di salvezza. Ed è nel segno dell'acqua che rileggiamo il Vangelo della guarigione dello storpio. L'acqua di Betzatà è per lo storpio un'acqua inaccessibile, ma Gesù gliene fa dono perché l'esistenza di quell'uomo, potesse essere per tutti segno e testimonianza certa, della novità di vita per tutti coloro che salvati da Gesù si trovano a camminare nel mondo. Chi è stato immerso nell'acqua della vita, ha in se la possibilità di non peccare più. È il rapporto inseparabile con quel l'acqua che estingue in noi la sete dei desideri, della concupiscenza e del male. Faccio peccato proprio quando mi privo dell'acqua della vita e rimango nella sete ...

lunedì 12 marzo 2018

Isaia 65,17-21 e Giovanni 4,43-54
Segni, segni e segno!

Ormai lo sappiamo: i segni non sono i miracoli, ma sono la trasparenza e la rivelazione dell'agire di Dio Padre attraverso Gesù (attraverso la sua persona divina-umana) per toccare la vita di ogni uomo, per questo sono segni della "gloria". Un miracolo invece rappresenta per molti il superamento del limite, un atto della potenza che suscita meraviglia. Il segno dal canto suo, rivelando la presenza di Dio, conduce alla fede: chi è partecipe in un qualche modo del segno è provocato circa la sua stessa fede. Nel Vangelo di Giovanni, ad ogni Segno compiuto da Gesù segue l'esperienza del credere in Lui. È così quando a Cana Gesù cambia l'acqua in vino; è così a Tabga quando moltiplica il pane e quando cammina sulle acque; è così quando guarisce il paralitico alla piscina Probatica; è così quando guarisce il cieco nato; è pure crisi quando risuscita l'amico Lazzaro; ed è così anche di fronte alla guarigione di questo bambino: "e credette lui con tutta la sua famiglia".
Una particolare mi suggerisce un'altra riflessione: l'ora in cui - il padre - riconobbe che proprio a quell'ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive». Ancora una volta il tempo ospita il mistero del verbo fatto carne e della rivelazione della gloria. I segni sfuggono all'astrazione per rivelarsi nella concretezza; il segno che è Gesù stesso incide il nostro tempo per scandirne i momenti in cui la fede vince ogni titubanza e debolezza.

domenica 11 marzo 2018

2 Cronache 36,14-23 / Salmo 136 / Efesini 2,4-10 / Giovanni 3,14-21
Abbandoniamo l'oscurità!

In un commento di padre Silvano Fausti ho trovato questa considerazione: "Come è relativamente semplice spiegare i racconti quando esistono racconti nel Vangelo e avviene qualcosa, si cerca di capirlo, lo spieghi è tutto è chiaro; se voi notate in questo racconto avviene niente: è un monologo ... Avviene nulla, solo che Gesù vuole spiegare come si nasce dall'alto. (...) Ecco, allora vi accorgete che questo testo non ha bisogno di essere spiegato ... Se lo guardò con attenzione, mi spiega dentro, mi fa aprire tutte le mie pieghe, per farmi entrare nella profondità del mio spirito e farmi capire chi sono io e chi è lui. Siamo di fronte a una illuminazione".
Il dialogo tra Gesù e Nicodemo avviene di notte. Nicodemo è confuso, ha bisogno di una luce che lo guidi nel dare senso alla sua vita. Forse questo è vero anche per noi, ma c'è troppa tenebra attorno a noi, e forse ci stiamo abituando a usare degli occhiali scuri per filtrare ogni raggio di luce.
Nicodemo, in quella notte di cui racconta il Vangelo, viene attratto da una luce, è la luce di Gesù, egli riconosce nel Signore la vera luce del mondo; in quell'incontro scoprirà come quella luce permetta di vedere senza "filtri scuri" e di vedere quello che è di Dio.
A questo punto direi che anche per noi è necessario attrezzarci in ogni modo per abbandonare l'oscurità e la tenebra, e cercare la luce che brilla nelle tenebre, diversamente la tenebra oscurerà tutto di noi e in noi si spegnerà pure l'amore ... Ci trasformeremo in uomini e donne del buio e amanti delle tenebre.
Cosa può significare amare le tenebre?
L'evangelista Giovanni più volte dice che Gesù è la luce, lui è la luce della vita ... anche per la nostra vita. Per cui credo si possa affermare che amare (preferire) le tenebre significa prima di tutto non amare Gesù! Non desiderare di amarlo ... trascurarlo ... disinteressarsi ... dimenticarlo ...
Noi, non possiamo permettere al nostro cuore di diventare freddo e buio, é necessario amare la luce, occorre imparare ad amare a luce! A vedere grazie alla luce come la realtà prende forma.
Lasciate che le parole di Gesù ci illuminino significa essere nella luce, essere con la luce, significa amare Gesù e amarlo al punto che tutto si riveste di lui e quindi partecipare alla narrazione dell'amore di Dio.
Se amiamo Gesù ... e diventiamo sua luce anche noi saremo luce ... Luce per chi è nella tenebra.
Più volte Giovanni ci ha detto che Gesù è la luce, la sua vita, il suo stile, il suo amore per gli amici, il suo ascoltare, la sua forza per la verità ... Tutto questo è luce!
Se la luce di Gesù brilla in noi, cioè se vogliamo amare come lui amava, se desideriamo i gesti che lui faceva, se siamo disposti alla tenerezza e alla Misericordia, allora la luce non può non brillare in noi, e se anche in noi ci sono delle tenebre, la luce scaccerà la tenebra e si aprirà all'orizzonte l'amore di Dio ...

sabato 10 marzo 2018

Osea 6,1-6 e Luca 18,9-14
Il malefico confronto!

Quando iniziò una preghiera con il "grazie" non posso proseguire con un confronto negativo! Come potrò ringraziare Dio per non essere come ... come colui che apertamente disprezzo. Ogni giorno noi ci confrontiamo con gli altri, e usiamo la misura di noi stessi per "misurare" chiunque ci passi accanto nella vita. Come siamo umani ... Come siamo fragili e anche sciocchi. Ci sembra, in questo modo, di giustificare noi stessi attraverso le pratiche "buone", o almeno ritenute tali, che facciamo. Ciò che facciamo è terribile, segno di quel peccato di origine per cui Caino misurando Abele attraverso il gradimento del sacrificio diviene omicida del fratello. 
Siamo tutti farisei e pubblicani insieme! Io non sono come quel fratello che giudico, ma dovrei - a dire il vero - proprio essere un po' umile come lui. Io non sono "ladro, ingiusto, adultere e neppure come quel pubblicano" ... ma a questo punto scopro che non sono neppure capace di quell'umiltà e sincerità che fa del pubblicano un uomo vicino a Dio, desideroso e capace della sua misericordia: "abbi pietà di me peccatore".
Impariamo che il primo grazie che dobbiamo esprimere è: battersi il petto; è il grazie per la possibilità di poter dire: "O Dio, abbi pietà di me peccatore!"

venerdì 9 marzo 2018

Osea 14,2-10 e Marco 12,28-34
Accetta Signore la lode delle nostre labbra ...

Non tutti gli scribi sono ipocriti e induriti di cuore nella Legge; anche Gesù riconosce che tra loro c'è ne sono che non sono poi così lontani dal "regno di Dio".
Essere vicini al regno di Dio ... condizione riservata a chi è rivestito di misericordia e a chi accoglie la carità come dono, cioè come possibilità di avvicinarsi a Dio, al suo regno.
Il dialogo tra Gesù e questo giovane scriba, è stupendamente pieno di idealità; tutto è portato al grado più alto, a Dio, in un progredire verso il suo regno che ci fa percepire quanto sia importante vivere in se stessi il comandamento dell'amore.
Il comandamento in realtà ci riveste di Misericordia: "Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza". Tutto consegue dall'Ascolto di una Parola che è capace di coprire la nostra inadeguatezza. Noi abbiamo nel nostro intimo l'infedeltà; il cuore si indurisce; l'anima si appesantisce; le forze si disperdono. È l'ascolto della Sua Parola che ci può rivestire; ma non è un travestimento!
Non lo è perché l'Ascolto si fa dono di amore e diviene un imperativo esistenziale: "Amerai il tuo prossimo come te stesso", rispetto al quale tutto di noi si trasforma in forza della sua prossimità al "regno (mistero di amore) di Dio".
La lode delle nostre labbra altro non può essere che la narrazione dell'esperienza dell'amore che ci avvicina al suo regno. Ogni rifiuto dell'amore, e dell'amore al prossimo, è di per sé lontananza, e allontanamento dal regno di Dio.

giovedì 8 marzo 2018

Geremia 7,23-28 e Luca 11,14-23
... non mi hanno ascoltato ...

È facile pensare a queste parole di Geremia e relegarle alla realtà nella quale il profeta si trovava a vivere, quindi, ritenere che il contenuto sia rivolto agli abitanti di Gerusalemme e al popolo di Israele di allora.
Troppo facile ... forse anche volutamente troppo facile!
"Invece di ascoltarmi ... mi hanno girato le spalle ... sono diventati indifferenti alle mie parole al punto che non se ne curano più, questo è peggio di ciò che hanno fatto i loro padri che erano ribelli ..."
Non è forse sordità giustificare come invasione il problema della migrazione dimenticando l'ospitalità come principio fondante del rapporto con il forestiero?
Non è forse sordità giustificare come evoluzione sociale la "rottamazione" della famiglia, che è a fondamento dell'antropologia cristiana e credente?
Non è forse sordità alla parola di Dio l'indifferenza nella vita cristiana, e il dismettere ogni segno ed esperienza che confermi attraverso la religiosità la fedeltà a Dio? Siamo per la maggior parte discepoli ipocriti e tiepidi: "Dirai loro tutte queste cose, ma non ti ascolteranno; li chiamerai, ma non ti risponderanno."
Ma io come mi metto in ascolto? Come mi pongo in un ascolto che plasmi e trasformi il mio cuore e le mie durezze?
Perché ciò possa accadere, la Parla deve essere prima di tutto ascoltata e deve risuonare costantemente ... occorre farne memoria.

mercoledì 7 marzo 2018

Deuteronomio 4,1.5-9 e Matteo 5,17-19
La novità della legge di Dio

Come possiamo "rileggere" la Legge di Dio?
La Legge permette uno sguardo definito sulla realtà, sulle cose e sulle scelte che ciascuno è "obbligato" a fare. La Legge non è solo un "pedagogo" - direbbe San Paolo - ma la Legge di Dio è il fondamento esistenziale di chi entra nel possesso della terra che Dio a promesso ai padri; cioè la Legge garantisce la fedeltà a Dio e alle sue promesse, impedisce di deviare nella idolatria del possesso, della ricchezza, della vanità, dell'orgoglio e della presunzione. La legge ci protegge dall'indifferenza verso Dio e dallo smarrimento della memoria, dalla perdita di identità.
Oggi, in una realtà in cui anche i credenti sembra soffrano il "prurito" di fronte alla Legge, dove la fedeltà non è più rivolta a Dio e alle promesse dei padri, ma è un accondiscendere alla propria autoreferenzialità, l'io sono del Padre, che è fondamento della Legge e che ne comunica la sua vicinanza, è sostituito dal "io sono" di me stesso.
Questo è il presupposto che dice l'incomprensibilità del nuovo legislatore, del nuovo giudice, del nuovo Patto in cui non vi ci può limitare all'osservanza farisaica della legge, ma al loro compimento. Il compimento della legge è Gesù stesso, lui è il risultato della fedeltà alla legge di Dio, lui ne è il pieno compimento.
Per piacere, smettiamo di mettere sullo stesso piano le leggi degli uomini e la legge di Dio.

martedì 6 marzo 2018

Daniele 3,25.34-43 e Matteo 18,21-35
Mendicanti della misericordia 

Fintanto che non sperimentiamo l'essere piccoli e umiliati difficilmente comprenderemo il valore e il "peso" della Misericordia. Azaria, prima lettura, nella preghiera rivolta a Dio mette in relazione il trovar Misericordia con l'offrire a Dio la propria condizione purificata dall'essere un resto, piccolo e umiliato. Dio si muove a compassione, nella sua fedeltà, verso ogni uomo piccolo e umiliato. Piccolo è l'uomo che non si gonfia di sé stesso e che si pone nelle mani di Dio. Umile è l'uomo che si è spogliato della vanità, della sua sicurezza e forza; la sua vera forza è l'abbandono confidente al Padre.
Ma se la nostra preghiera è sporca di orgoglio, di ipocrisia, di vanità e si pone di fronte a Dio con la pretesa della sua Misericordia, siamo da compiangere. 
Nella parabola del Vangelo di Matteo, Gesù racconta come il Padre si muove a compassione di colui che viene schiacciato dalla spregiudicata arroganza del suo compagno. La Misericordia di Dio non è un condono, per cui tutto viene sanato, ma essendo amore, coinvolge l'esistenza a tal punto che ne deve essere trasformata.
La fonte della Misericordia è l'amore di Dio, questo sI impara per imitazione di colui che è misericordioso. I'ipocrisia di facciata dimostra la trama e la nostra infedeltà nell'imitazione della Misericordia del Padre.

lunedì 5 marzo 2018

2 Re 5,1-15a e Luca 4,24-30
Amministratori del dono di Dio ...

Le letture di questa giornata tratteggiano l'uomo di Dio, il profeta Elia ed Eliseo, essi sono il segno della provvidenza e della misericordia di Dio. Incontrare l'uomo di Dio significa fare esperienza di un Dio che partecipa alla vicenda della tua vita. L'uomo di Dio non è un mago, non è un chiromante e neppure un mistificatore del divino, l'uomo di Dio è un servo fedele, è il profeta che riconduce a Dio, al senso delle cose e all'essenziale.
Chi è oggi l'uomo di Dio?
San Paolo nella 1 Timoteo 6,11-16 dice: "Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni". Oggi, è necessario che ogni battezzato cerchi di essere un uomo di Dio, un uomo o una donna che  si lascia plasmare dal proprio rapporto con il Signore, per poterne essere poi "ministro" presso i fratelli.

domenica 4 marzo 2018

Esodo 20,1-17 / Salmo 18 / 1 Corinti 1,22-25 / Giovanni 2,13-25
La libertà che deriva dalla legge

Almeno una volta all'anno, come oggi, occorre riconquistare uno spazio di libertà ed eliminare il "consumo che ci consuma" ... ciò che ci consuma dal di dentro.
Gesù nel tempio scaccia fuori tutto ciò che "consuma" la libertà di quel luogo.
La sua rabbia, la sua forza ... Non sono reazioni isteriche o sproporzionate, quasi da integralista e da osservante della legge ...
Per vivere la Pasqua non puoi permetterti che il mistero della liberazione dal peccato sia consumato da una realtà che si è infiltrata nella religiosità e come un cancro da dentro la divora.
La nostra libertà cristiana, il nostro cammino di liberazione corre il rischio di non avere nessuna possibilità di riuscita. Perché confondiamo la libertà cristiana con il liberismo culturale.
Ma la nostra libertà è libertà dal male, e il cammino di liberazione è un percorso nel quale riscopri la bellezza e il senso di una vita secondo Dio, quindi evitando il peccato, imparando a rinunciare al male per vivere nella libertà.
Ma quando scendiamo a compromesso col peccato, è come quando si andava al tempio a fare un sacrificio e a giustificare il peccato con due tortore o col pagamento di qualche elemosina.
Gesù si arrabbia, umanamente mostra tutta la sua forza e determinazione ... Ma la rabbia di Gesù è proporzionata alla libertà che il suo gesto provoca.
Il cammino di liberazione passa in questa terza domenica di quaresima attraverso i gesti forti che scuotano ma nostra inerzia e le nostre schiavitù del quotidiano, quelle stesse schiavitù a cui come cristiano sono richiesto di fare rinuncia.

sabato 3 marzo 2018

Michea 7,14-20 e Luca 15,1-32
... ma nessuno gli dava nulla ...

Alcuni giorni fa, non ricordo bene, ho letto o ascoltato qualcosa sulla parabola del Figlio prodigo, ed era una affermazione pungente su come abbiamo adeguato ad arte queste parole di Gesù per giustificare la confessione. Infatti vediamo nella narrazione: il peccato; l'allontanarci da Dio; il ravvedimento; la contrizione dei peccati; il ritorno al Padre; l'accusare il peccato; e il perdono che diventa una festa. Ma il bello è che questa parabola non riguarda la confessione, così come la intendiamo noi.
Le parole di Gesù, in questa parabola, sono le parole del Padre rivolte a ciascuno di noi, proprio quando nella vita, da peccatori, ci troviamo e riconosciamo che "nulla" ci corrisponde, non ci viene dato nulla che soddisfi il nostro essere figli. La misericordia di Dio non è il perdonare i peccati, ma la vicinanza del Padre ai figli, una vicinanza che è amore incondizionato. Un amore sempre, per i figli peccatori e per quelli presuntuosi; per i figli infedeli e per quelli orgogliosi; per i figli indifferenti e per quelli ingrati. L'amore del Padre c'è sempre, perché dubitarne? Occorre farne esperienza! Ma dove? Come?
Chi frequenta Gesù inizia a credere che un amore così esista davvero! Chi frequenta Gesù inizia a pensare che bella Chiesa, nelle comunità cristiane, un amore così da qualche parte, se pur nascosto, ma è parente! Chi frequenta Gesù, senza scandalizzarsi, inizia a pensare che Dio Padre, sorride con amore dei nostri peccati: sdrammatizza perché a lui stiamo a cuore noi, i suoi figli ... tutti i suoi figli.

venerdì 2 marzo 2018

Genesi 37,3-38 e Matteo 21,33-43.55
La pietra scartata ...

Leggendo l'inizio della storia di Giuseppe occorre chiedersi se siamo di fronte a una narrazione che vuole essere un insegnamento oppure se in verità la narrazione fa riferimento a un qualche fatto accaduto realmente. Cosa cambia?
Cambia notevolmente la consapevolezza circa ciò che è accaduto! Si rinnova infatti nel racconto di Giuseppe quell'odio che anche noi mascheriamo e copriamo per giustificare il desiderio di uccidere il nostro fratello. Quante relazioni sono infiltrate di odio; quanti giudizi e pregiudizi sono animati da un odio ingiustificato; quanto odio è rivestito da durezza, indifferenza e desiderio di vendetta? La nostra natura umana è capace di generare l'odio al pari dell'amore; è la nostra inconsistenza radicata nel peccato originale. Ma questo odio cosa rappresenta? È assurdo ma rappresenta la ribellione all'amore, la ribellione verso chi ci ama. L'uomo, per portare a compimento sé stesso ha bisogno dell'amore, ma pur di non mendicare l'amore è disposto a scartarne ogni possibilità di esperienza. Ogni tanto occorrerebbe mettere a nudo le esperienze di odio che trovano dimora nel nostro cuore; occorre un buon esame di coscienza.

giovedì 1 marzo 2018

Geremia 17,5-10 e Luca 16,19-31
Maledetto è l'uomo che allontana il suo cuore da Dio!

Con una lettura molto lineare, il ricco della parabola di Luca è il tipico uomo che ha allontanato il cuore da Dio, al punto che nella morte, neppure, ci si ricorda il nome; di lui sappiamo solamente che fu sepolto. La sua è una tristissima vicenda, la sua "eternità" è di tormento, per una fiamma che non si estingue e che non trova neppure una goccia di acqua per quietare l'arsura. Con le parole di Geremia possiamo dire:"Sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere".
Lazzaro, al contrario rappresenta l'uomo che cerca di mantenere il suo cuore prossimo a Dio. Pur se nella vita ha sperimentato la sofferenza e lo scarto da parte di tutti "i ricchi", non ha smesso di darsi a Dio. Lazzaro pur nella prova estrema ha sperimentato in modo assurdo, la vicinanza di Dio, in un cane che ha leccato le sue piaghe.
Geremia direbbe di lui: "Benedetto l'uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d'acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell'anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti". Infatti Luca nella parabola ricapitola la vita di Lazzaro in queste parole: "Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti".