sabato 30 aprile 2022

La nostra paura ...

Atti 6,1-7 e Giovanni 6,16-21

Il segno del pane e del pesce sembrava aprire ad una prospettiva di successo e popolarità, invece è l'inizio del cammino di Gesù verso Gerusalemme, e verso la gloria del l'innalzamento della croce. È in questo svelamento che i discepoli fanno esperienza della paura, della prova e delle difficoltà: i discepoli sulla barca devono affrontare una tempesta di giudizi e di negatività che contraddistingue la loro missione. Ma proprio in quei momenti il Signore ci raggiunge nel cuore della notte e ci invita a non avere paura. Davanti ad ogni tempesta, personale o comunitaria, che cosa fare se non invocare l’aiuto del Signore che ci soccorre nel pieno della notte, nella paura più intensa e tenebrosa. La paura rappresenta il peggior nemico dell’amore e della fede. Quante volte Gesù ha detto ai discepoli di non avere timore? Di fronte alla paura Gesù ci suggerisce di reagire sempre! Bisogna vivere e non rimanere fermi in mezzo alla tempesta; occorre guidare la barca, prendere una direzione ed avere una meta, remare ...
"Ma egli disse loro: Sono io, non abbiate paura!" Queste sue parole si accostano sempre alle nostre paure; ascoltarlo e credere alla sua presenza nella nostra vita questo Lui ci garantisce nella paura .

venerdì 29 aprile 2022

Sapienza e conoscenza

1 Giovanni 1,5-2,2 e Matteo 11,25-30

La nostra aridità, la nostra insensibilità, la nostra distrazione, ci impediscono di sentire come Dio si manifesta e si fa conoscere. Eppure, nella gioia stessa di Gesù, nella sua esultanza è possibile riconoscere come il Padre si rivelava a suo figlio, dentro quella esperienza straordinaria che era la sua natura umana. È infatti la natura umana di Gesù che esulta perché Dio si rivela nella piccolezza (ai piccoli), cioè agli umili, in coloro che si fanno piccoli per rendere grandi per amore i loro fratelli. È Gesù stesso che nel suo essere umile (piccolo) fa esperienza del Padre, della sua paternità, che è lo spazio in cui non solo si conosce Dio, ma si è da lui ristorati, confortati, accolti e amati. La nostra umiltà ci apre la vita, ci conduce nella vera sapienza. Esiste una falsa sapienza e falsa conoscenza di Dio che è la sapienza dell’autosufficiente, di colui che basta a se stesso; di chi nega l'importanza della relazione; di chi nega l’amore. In questo, siamo di fronte alla sapienza che distrugge la persona, una sapienza che sfocia nell’odio, dell’egoismo, nel vuoto, ma in questa sapienza Dio non si rivela, anzi si nasconde.

giovedì 28 aprile 2022

Libertà nell'amare

Atti 5,27-33 e Giovanni 3,31-36

Uno degli aspetti più belli nella vita di fede è la libertà. La libertà di fronte all'evidenza come di fronte al mistero. La nostra libertà per il Padre è cosa seria! Nessuno potrebbe negare che la libertà per Dio corrisponde al suo agire nell'amore.
Un agire per la nostra libertà che in Dio Padre trova eco e rispondenza nella crocifissione di Gesù, egli avrebbe potuto - come lo invitano a fare irridendolo i suoi aguzzini durante la Passione -, scendere e salvare sé stesso, e obbligandoci a credere in lui, ad amare lui; ma Gesù da testimonianza di un amore totale: l'amore della nostra libertà messa di  fronte alla possibilità di accogliere e amare colui che: "Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti".
Ecco che la misura della nostra libertà è l’amore testimoniato nella gratuità; nell'accoglienza di tutti; nelle scelte, negli atteggiamenti e negli stili di vita. Colui che è al di sopra di tutti, nulla impone di sè, neanche di corrispondere al suo amare. Questo è sconcertante, perché significa che l'amore per la nostra libertà, per Dio, è amore fino al sacrificio di sé stessi.

mercoledì 27 aprile 2022

C'è una luce che illumina

Atti 5,17-26 e Giovanni 3,16-21

Il dialogo tra Nicodemo e Gesù è tutt'altro che formale; Nicodemo mette in gioco tutto il suo desiderio di capire, di comprendere; Gesù guarda nel profondo del cuore di un fariseo; è in quell'incontro che si mostra la disponibilita ad amare e a essere amati. È da quell'incontro che Gesù prende per mano Nicodemo e comincia un cammino in cui centrale è l'esperienza di amare; dove la legge di Dio supera il giudizio, la giustizia e il condannare; per ricercare invece come realizzare la felicità.
Ecco che Gesù parla d’amore; dell’amore di Dio che ha donato il proprio Figlio per salvare il mondo; parla di un amore, che vuole proprio salvare il mondo attraverso di Lui.
Gesù non richiama l’obbedienza di una legge, non suggerisce una norma, ma ci richiama al fatto che un amore dato desidera essere corrisposto e che solo questo Dio vuole, nel rispetto della nostra libertà: cioè che noi accogliamo e abbracciamo la sua volontà di farci suoi figli.
Questo amore illumina la vita ... anche la nosrra ...

martedì 26 aprile 2022

Ma chi vuole realmente rinascere?

Atti 4,32-37 e Giovanni 3,7-15

Gesù dice a Nicodèmo (anche lui sarà sotto la croce): «Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto, ...».Anche a noi, oggi, Gesù ripete le stesse identiche parole. Ma cosa significa questo rinascere? Questo alto?
Potremmo cogliere questa nuova nascita nel battesimo, ma per Nicodèmo e anche per noi, il battesimo segna solo l'inizio di questa vita nuova, che viene dall'alto. Credo di tratti di un alto più immediato non legato esclusivamente alla grazia sacramentale, quanto al desiderio.
Questo "alto", ha a che fare con Dio, con le verità di Dio, Gesù ne parla come di una realtà che gli appartiene. Lui infatti viene dall'alto, dal cielo; Gesù ci testimonia in questo essere dall'"alto" la sua relazione d’amore piena e gratuita con il Padre, dove tutto supera ogni misura umanamente accettabile.
Nicodemo resta incerto, titubante, meravigliato; pure noi, ma in più, sentiamo la distanza che la nostra esistenza umana porta in sé rispetto alla realtà del cielo.
Per nascere dall'alto occorre accettare di mettersi in gioco finanche a ridiscutere le nostre logiche e a sovvertire i nostri progetti. Non si può nascere dall'alto se si resta legati ciò che è in basso, sopratutto se ciò che é in basso ha per noi maggiore attrattiva rispetto all'esperienza di Gesù Cristo. Chi vuole salire al cielo - da dove Gesù viene a noi -, deve rinunciare alla tentazione di fare del mondo di quaggiù il proprio ambito di riuscita,  di potere e di superbia. Decliniamo questo concetto nel quotidiano e ci accorgeremo come è inizio di rinascita.

lunedì 25 aprile 2022

Amare nella prova e nel sacrificio

1 Pietro 5,5-14 e Marco16,15-20

Prima la pandemia e ora la guerra ...,  le nostre preghiere che sembrano non trovare breccia nel cuore di Dio. Dove sono oggi i prodigi che accompagnavano la fede di chi credeva?
Quale senso può avere oggi,  annunciare il vangelo della risurrezione quando è costante il disinteresse per il messaggio cristiano e l'abbandono della fede, vista ormai solo come retaggio bigotto di tempi passati.
Oggi come nel suo inizio, ciò che spinge a proclamare il Vangelo come tesoro di verità e come vera gioia, è l’amore per Gesù. Stare con Gesù: è questa la sorgente della fede! Non i segni straordinari. È la fede in Gesù che rende possibile il prodigioso e sopportabile ogni prova e sacrificio. Non  credere significa non fidarsi dell’amore del Padre. Un amore che trasforma il nostro amare, quando è capito e accolto nella vita. Credere significa non cedere alla tentazione del male: quella tentazione che ci fa dubitare della forza dell'amore. Non credere non è semplicemente frutto di un rifiuto, di una ostinata negazione, ma di una privazione. Chi non crede non riesce a fare esperienza di essere amato da Dio e non si capacita di fare dell'amore il principio primo della propria esistenza. É questa trasformazione nell'amore che ci eleva al cielo, come Gesù stesso è nel cielo.


domenica 24 aprile 2022

Dal racconto alla realtà

At 5,12-16; Sal 117; Ap 1,9-11.12-13.17-109; Gv 20,19-31

Quale é il senso delle Scritture che oggi abbiamo, letto anzi proclamato e ora, dopo avere ascoltato, ci apprestiamo ad attualizzare e interiorizzare?
Molti di noi, ascoltando questi brani, cercano risposte alle loro domande, altri pensano d'essere di fronte a racconti con un senso morale nascosto; altri ancora rileggono questi testi pensandoli frutto di fantasia dubbiosi sulla testimonianza della verità storica.
La Chiesa custodisce e insegna la verità rivelata contenuta nelle Sacre Scritture, proprio a partire da queste Parole, riconoscendo in esse non una forma espressiva perfetta, non sempre adeguata rispetto al mutare dei tempi, ma ugualmente capace di trasmettere una verità biblica, che è la vita stessa di Dio Padre, e che nella nostra umanità si è manifestata nell'incarnazione di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Per questo la Parola non va solo compresa, studiata e pregata, ma va riconosciuta e accolta in tutto il suo mistero, che va oltre alla forma che nel tempo l'ha graficamente fissata. Se la parola si fosse dovuta scrivere oggi, avremmo infatti i vangeli virtuali, e la digitalità segnerebbe certamente e diversamente la modalità espressiva, ma non la possibilità di comunicarsi della rivelazione.
Dopo questa premessa, forse ancora un poco fumosa nella mia testa, la liturgia della parola di questa domenica della divina misericordia, seconda dopo Pasqua, potrebbe essere percepita proprio all'insegna della incredulità circa ciò che vuole comunicarci.
Il raccontato nel Vangelo di Giovanni, rappresenta l'anello di congiunzione tra i primi discepoli che hanno visto il Risorto perché erano presenti e noi che non l’abbiamo visto, e che mai lo vedremo in quella realtà storica. Ma proprio per questo siamo coinvolti rispetto alla testimonianza del vangelo.
D’altronde tutta la nostra cultura si fonda sulla testimonianza altrui, e oggi vediamo quanto le testimonianze possono essere manipolate e possono condizionare la verità dei fatti. Per cui, ciò che imparo, lo imparo da altri, questo è il presupposto per affidarci a ciò che io mai sperimenterò.
Anche noi, tutti i giorni, siamo sollecitati e provocati a credere alla testimonianza di altri. Tommaso per principio non crede, vuol vedere e toccare di persona, egli rappresenta la nostra incredulità rispetto alla testimonianza.
Ecco allora che il vangelo non è una semplice narrazione, o una storia, ma questo vangelo vuole metterci di fronte a Gesù, che con la sua testimonianza e presenza reale, vuole rompere il muro dell’incredulità, che molto spesso noi stessi costruiamo, con la nostra invidia, autosufficiente superbia e autoreferenzialità.
C’è qualcosa di irripetibile in questo racconto quando diviene testimonianza di Gesù vivo e reale, che supera il racconto stesso per diventare anche la nostra realtà concreta, non virtuale o di fantasia.
Gesù venne e stette in mezzo a loro, come era al centro della loro paura, ora è in mezzo a noi. Lui sta al centro della comunità, nell'essere noi comunità tra di noi e con lui. Lui non accusa, non rimprovera, non abbandona, “ma sta in mezzo”, per essere concretamente pace e perdono. Quanto questo suo esserci tra noi, rappresenta l'unico e necessario del nostro mondo di oggi: pace e perdono. Ma come Tommaso, anche noi non crediamo a Gesù ... e lo vediamo nei tanti cristiani che in tutto il mondo non costruiscono la pace di Gesù.
"Pace a voi", é come una carezza sulle nostre paure, sui nostri sensi di colpa, sui sogni non raggiunti, sulla tristezza e sul male che scolora i nostri giorni. La Pasqua, non sono semplici “apparizioni del Risorto”, ma è l'incontro, con tutta la realtà nuova di Gesù vivo, con la potenza del suo incontrarlo. Otto giorni dopo Gesù torna lì: li aveva inviati per le strade, e li ritrova ancora chiusi in quella stessa stanza, nelle loro paure nei loro dubbi. Ma per andare nel mondo come discepoli, occorre mettere il dito nel foro dei chiodi e la mano nella piaga del costato; la risurrezione è la concretezza di un dramma che si apre alla certezza di un amore per sempre, che è la gloria di Dio, il suo folle amore per noi. Alla base ci sta il superamento della nostra umana ragionevolezza.

sabato 23 aprile 2022

Un racconto essenziale

Atti 4,13-21 e Marco 16,9-15

A differenza degli altri Vangeli, Marco, si esprime con estrema essenzialità, facendo estrema sintesi dei vari fatti accaduti; quei fatti che nei Vangeli trovano ben altri spazi narrativi.
L'evangelista fissa alcuni punti:
- Gesù è risorto il primo giorno dopo il sabato;
- Gesù è apparso prima a Maria di Magdala; poi a due discepoli in cammino e poi agli undici;
- Gesù rimprovera l'incredulità e invia i discepoli.
È evidente che la semplicità di Marco in realtà raccolga come lo scandalo della Croce e della Resurrezione abbia subito generato una forma di incredulità (dubbio/timore/paura). Ciò che era accaduto non corrispondeva nel pensiero comune a quanto collegare all'insegnamento del Maestro di Galilea: la vera conoscenza di Cristo si basa infatti sull’amore. Ma è proprio in questa frattura che Marco pone le conseguenze dell'aver vissuto e seguito Gesù durante il tempo in cui ha "predicato il nuovo annuncio". Non si tratta di ripetere delle parole, ma di agire e fare della propria vita la sequela di Cristo: da Lui arriverà la forza per compiere "miracoli" nella nostra vita quotidiana.
Finché Gesù era vivo, il suo messaggio e il suo agire traevano forza dalla sua stessa persona reale; oggi che non è più tra di noi, gli undici e con noi tutta la Chiesa, siamo mandati ad annunciare al mondo la stessa esperienza di amore della quale sono stati investiti/rivestiti. Marco fa seguire alla essenzialità del racconto, l'essenzialità della missione.

venerdì 22 aprile 2022

Conversione e perdono

Atti 3,11-26 e Luca 24,35-48

Dopo aver sperimentato che non è sufficiente ridirci le stesse cose sulla risurrezione, cioè raccontare tra noi il vangelo, dobbiamo arrivare a comprendere che quando ascoltiamo la Parola di Dio, quando la leggiamo, la riscriviamo; quando ne facciamo una dottrina, una norma, un catechismo … ma non la sperimentiamo come parte della nostra vita, determiniamo le condizioni per cui quella Scrittura non ferisce il cuore e rimane lettera morta, rimane un racconto come altri.
La narrazione del risorto, ci vuole condurre a offrire il nostro cuotidano come spazio per un incontro confidente e intimo con Gesù. Offrire il quotidiano significa esprimere i dubbi, le paure, la tristezze, significa vivere accompagnati anche dall'incertezze, circa il risorto. Ma da tutto questo è Gesù che farà nascere il desiderio di accogliere in noi la sua proposta di vita. Il risorto non vuole convincerci della sua verità, quanto della "convenienza" della sua proposta. La verità della risurrezione, infatti, è affidata alla testimonianza di chi ne ha fatto esperienza; mentre la convenienza della proposta è affidata direttamente a noi. La sua proposta determina un nuovo incontro tra i discepoli e Gesù risorto (tra noi e lui); la sua proposta é una missione che nell'immediato lascia tutti perplessi: "... nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati ...". Questa è la proposta del risorto: una vita piena e aperta al cambiamento (conversione al vangelo) e capace di perdono (disponibile alla amorevolezza e alla tenerezza).

giovedì 21 aprile 2022

Postumi della risurrezione

Atti 3,1-10 e Luca 24,13-35

Nel Vangelo dei discepoli di Emmaus, nelle parole dei discepoli - un resoconto dettagliato - troviamo la sintesi perfetta di ciò che quella mattina, è accaduto scoprendo che la tomba era vuota. La descrizione di Luca riporta tutti gli elementi che contraddistinguono la narrazione di quel momento. Tutto questo possiamo ricondurlo alla nostra memoria, a cio che noi possediamo come testimonianza di chi ci ha preceduto nella fede: la tomba è vuota; Gesù è vivo.
Il secondo momento della narrazione lucana è la vicinanza di Gesù risorto: una presenza non riconosciuta e piena di incognita, ma ugualmente spiegata e rivelata attraverso la Scrittura. Anche a noi la Scrittura, ci conduce a incontrare sempre il Signore e ciò che riguarda Lui. Questa esperienza di narrazione e comprensione è straordinaria, essa ha origine da Gesù e prosegue come esperienza della comunità che custodisce la Parola.
Il vertice della narrazione é comunque ciò che accade durante la cena: Gesù non solo ripete i gesti e le parole della cena pasquale, ma in quel gesto - prima di sparire dalla loro vista -, si consegna a loro nel segno del pane spezzato. È il risorto che per la prima volta compie quel gesto e si consegna. Spesso attribuiamo la ripetizione del gesto eucaristico alla comunità che si pone in obbedienza al "fate questo in memoria di me"; ma dopo Emmaus, dobbiamo riconoscere che quando spezziamo il pane è Gesù vivo e risorto che si consegna sempre e di nuovo.

mercoledì 20 aprile 2022

Un invito a mangiare

Atti 4,1-12 e Giovanni 21,1-14

Nel racconto della scoperta della "tomba vuota" e dell'apparizione alle donne in Matteo, si dice che: "... le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: Salute a voi!. Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno". Il vangelo di Giovanni sembra quasi dare continuità a questo invito, trascurando le apparizioni del Risorto a Gerusalemme. Credo, anche io, che questa narrazione di Giovanni voglia mettere in evidenza l'esperienza della prima comunità di discepoli, che si radica in Galilea, piuttosto che una cronaca realistica e descrittiva dell'incontro col Risorto.
Giovanni fa nuovamente riferimento alla vita ordinaria dei discepoli, alla attività di pesca, ma anche a un vivere in comune di sette di loro, che bene può prefigurare una consolidata esperienza comunitaria. Ecco allora che, quella pesca straordinaria, quell’invito a mangiare il cibo preparato da Gesù e quello portato da Pietro ...; tutto sembra ricondurre ad una esperienza post-pasquale di una comunità concreta che rinnova nei segni la venuta del Signore. Egli, come Risorto, porta sempre abbondanza: di amore e di fede. Una pienezza custodita dai discepoli nei gesti di tenera vicinanza di Gesù e che il Signore condivide anche nel suo modo particolare di donarsi, di consegnarsi.
É in questo essere comunità di discepoli che si vive l'esperienza della conoscenza del Risorto: "sapevano bene che era il Signore", e nel prendere insieme il pane e il pesce si realizza la vicinanza quotidiana del maestro, come Risorto.

martedì 19 aprile 2022

Dove ti abbiamo sepolto

Atti 2,36-41 e Giovanni 20,11-18

La percezione della vita risorta con Cristo, nel corso dell'anno si attenua, col venir meno della tensione che la Liturgia della chiesa è capace di suscitare. Ma in questo, ciò che ne soffre maggiormente è la nostra esperienza di fede che subisce quegli alti e bassi che, riconosciuti, dicono tutta la nostra fragilità e il nostro limite, mettendo in evidenza le pieghe della nostra vita dove continuiamo a seppellire Gesù risorto.
La fede in Gesù, spesso, si manifesta nel momento in cui siamo affacciati al baratro. Siamo vicini alla fine, ci sentiamo senza speranze e senza forze, privi di punti di riferimento: e allora ci aggrappiamo a Lui. E Gesù ci salva. Ma poi Gesù ci chiede di più. Ci chiede di non radicare la nostra vita in lui come fosse solo il “nostro” salvatore, ma come l’interlocutore privilegiato della nostra vita che Lui ha trasformato, e di comprenderlo come amore che ci ha investito. Il suo è un amore per ciascuno e per tutti. Un amore che non va trattenuto ma comunicato, diffuso, donato. Le esperienze di Risurrezione non sono supportate dell'intelletto, ma si manifestano spontaneamente nelle esperienze di amore che viviamo nel quotidiano.

lunedì 18 aprile 2022

Mistificazione della realtà

Atti 2,14.22-33 e Matteo 28,8-15

Colpisce la mia attenzione, oggi, leggendo il vangelo, come le fakenews non sono solo una invenzione dei nostri tempi, ma come anche, allora, la tomba vuota di Gesù, diviene occasione per mistificare la realtà dei fatti.
In questi giorni ci hanno insegnato da una parte che non si tratta di una guerra ma di una operazione militare: per cui è stata cancellata la parola guerra. Mentre per altri la guerra è condizione imprescindibile della pace, ottenuta cavalcando e armando la legittima difesa. In mezzo, lo stravolgimento dei fatti e della realtà.

Di fronte a questo scatenarsi della propaganda la prima vittima è la verità. La “verità di fatto”. La propaganda di guerra, soprattutto oggi, distorce i fatti, li nasconde o sopprime, o li sostituisce con “immagini” false, mutilando o rovesciando di senso lo stesso linguaggio, abolendo ogni criterio rendendo ogni fatto e avvenimento passibile di invenzione, menzogna o mistificazione. Questo è lo sfondo del vangelo, ma anche della prima fakenews circa il risorto e la risurrezione. Ma il racconto del vangelo non si ferma di fronte alla mistificazione; il vangelo ci propone la risurrezione nella vita, e nella quotidianità. C'è un'altra notizia di cui dare annuncio, è la notizia che le donne vengono a portare al gruppo degli undici. In questo primo giorno della settimana che segue la Pasqua, dobbiamo ricominciare a guardare e a vivere la vita quotidiana riempita di quella fede che nasce dal riconoscimento del risorto come colui che cambia la nostra storia e la riempie di speranza e di amore per il prossimo. La luce della Resurrezione si pone di fronte alla mistificazione e macchinazione dei farisei, che vogliono occultare il mistero di un corpo umano che è anche Dio e che ha portato la nostra umanità a comprendersi in relazione alla sua dignità celeste, e all'essere tutti figli di Dio.


domenica 17 aprile 2022

Annuncio nella fragilità

Veglia Pasquale - Lc 24,1-12


Abbiamo iniziato la Quaresima con l'invito del papa: "Non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti" (Gal 6,9-10a).
Magari ci abbiamo anche provato, a fare del bene; e in quel bene abbiamo coltivato il desiderio che tutto avrebbe generato quel cambiamento che speriamo, quella pace che, se il mondo non può darsi, tutti la chiediamo al principe della pace, a Gesù.
Ma la pace sembra proprio lontana dalla possibilità di fiorire nel cuore degli uomini, ma soprattutto nel cuore di quegli uomini che credono di contare, al punto che si permettono di decidere chi può vivere, cone si deve vivere e chi invece deve morire e in quale modo occorre morire.
In un grido che rompe il rumore dissonante del nostro tempo, le parole di papa Francesco: "L’aggressione armata di questi giorni, come ogni guerra, rappresenta un oltraggio a Dio, un tradimento blasfemo del Signore della Pasqua, un preferire al suo volto mite quello del falso dio di questo mondo". Sono le uniche che si alzano in modo chiaro e soprattutto senza bandiera di parte e risuonano come parole che si riempiono dei sentimenti di Cristo. Il papa non ha mai nominato né Putin e neppure la Russia; ci ha messo di fronte il conflitto, con le sue atrocità disumane e i suoi crimini; ha sempre sostenuto con gesti concreti le martoriate vite di tanti civili ucraini. Una posizione contestata da chi sperava in uno schierasi a favore di una parte, e quindi parole spesso criticate dalle varie parti politiche, ma le parole del papa non sono il linguaggio della diplomazia. Le sue parole pongono la Chiesa in una solitudine pasquale, una solitudine rappresenta la Chiesa sotto la croce, e sulla croce con il suo Signore. Ma è anche l'unico posto in cui la Chiesa può stare se vuole tentare di essere per il nostro tempo un ponte di pace, occasione per promuovere la pace, non come conseguenza della capitolazione di una parte rispetto ad un'altra.
È in questo clima che la Chiesa e noi credenti siamo arrivati alla notte della Resurrezione. Ora, le parole di papa Francesco riecheggiano gravemente dando voce allo stesso annuncio che le donne portarono ai discepoli il mattino presto, del giorno dopo la Pasqua: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato!"
Di fronte a tanta distruzione; con negli occhi la morte di bambini innocenti, nelle orecchie il grido di donne e di giovani mamme; con nel cuore lo sguardo affranto e disilluso degli anziani soli e abbandonati a sé stessi; con la tristezza di coloro che dovono prendere in mano un'arma per difendersi e uccidere i propri fratelli ... e nel dilagare di un informazione che si dimostra chiacchiere e solo propaganda ...ecco come risuona strano un annucio affidato a una Chiesa che in parte si mostra pure divisa per quella parte che cerca di legittimare azioni umanamente deprecabili
Ecco che l'annuncio della resurrezione ancora una volta si riveste di fragilità, come allora quando venne portato agli amici del Signore, un annuncio di donne a dir poco scartate, e creduto una loro farneticazione. Ma Gesù fa annunciare la Resurrezione proprio a quelle donne, ed oggi proprio noi, alla nostra inadeguatezza; un annuncio fragile ma ugualmente pieno della sua forza, della sua Risurrezione.


Una storia per questo giorno: LA PROPAGANDA


Al tempo della propaganda antireligiosa, in Russia, un commissario del popolo aveva presentato brillantemente le ragioni del successo definitivo della scienza.


Si celebrava il primo viaggio spaziale.
Era il momento di gloria del primo cosmonauta, Gagarin.
Ritornato sulla terra, aveva affermato che aveva avuto un bel cercare in cielo: Dio proprio non l’aveva visto.
Il commissario tirò la conclusione proclamando la sconfitta definitiva della religione.
Il salone era gremito di gente.
La riunione era ormai alla fine.
«Ci sono delle domande?».
Dal fondo della sala un vecchietto che aveva seguito il discorso con molta attenzione disse sommessamente: «Christòs ànesti», «Cristo è risorto».
Il suo vicino ripeté, un po’ più forte: «Christòs ànesti».
Un altro si alzò e lo gridò; poi un altro e un altro ancora.
Infine tutti si alzarono gridando: «Christòs ànesti», «Cristo è risorto».

venerdì 15 aprile 2022

Venerdì Santo - Gesù è crocifisso e muore ... e chi con lui...

Passione secondo Giovanni: 18,1-40.19,1-42

Meditiamo in questo venerdì Santo la Passione del Sigmore e le parole del papa.
"Quando si usa violenza non si sa più nulla su Dio, che è Padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli. Si dimentica perché si sta al mondo e si arriva a compiere crudeltà assurde. Lo vediamo nella follia della guerra, dove si torna a crocifiggere Cristo.
Sì, Cristo è ancora una volta inchiodato alla croce nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati mandati a uccidere i loro fratelli. Cristo è crocifisso lì, oggi".
Sono queste le parole del papa che da domenica scorsa accompagnano gli avvenimenti e la storia di questi giorni. Mercoledì, all'udienza generale ha inoltre aggiunto:
(...) “è sempre attuale un grande racconto di Dostoevskij, la cosiddetta Leggenda del Grande Inquisitore. Si narra di Gesù che, dopo vari secoli, torna sulla Terra. Subito è accolto dalla folla festante, che lo riconosce e lo acclama. “Ah, sei tornato! Vieni, vieni con noi!”. Ma poi viene arrestato dall’Inquisitore, che rappresenta la logica mondana. Questi lo interroga e lo critica ferocemente. Il motivo finale del rimprovero è che Cristo, pur potendo, non ha mai voluto diventare Cesare, il più grande re di questo mondo, preferendo lasciare libero l’uomo anziché soggiogarlo e risolverne i problemi con la forza. Avrebbe potuto stabilire la pace nel mondo, piegando il cuore libero ma precario dell’uomo in forza di un potere superiore, ma non ha voluto: ha rispettato la nostra libertà. «Tu – dice l’Inquisitore a Gesù, accettando il mondo e la porpora dei Cesari, avresti fondato il regno universale e dato la pace universale». «Se c’è qualcuno che ha meritato più di tutti il nostro rogo, sei proprio Tu».
Ecco l’inganno che si ripete nella storia, la tentazione di una pace falsa, basata sul potere, che poi conduce all’odio e al tradimento di Dio e a tanta amarezza nell’anima. Alla fine, l’Inquisitore vorrebbe che Gesù gli dicesse qualche cosa, magari anche qualche cosa di amaro, di terribile. Ma Cristo reagisce con un gesto dolce e concreto: gli si avvicina in silenzio, e lo bacia dolcemente sulle vecchie labbra esangui. La pace di Gesù non sovrasta gli altri, non è mai una pace armata: mai! Le armi del Vangelo sono la preghiera, la tenerezza, il perdono e l’amore gratuito al prossimo, l’amore a ogni prossimo. È così che si porta la pace di Dio nel mondo. Ecco perché l’aggressione armata di questi giorni, come ogni guerra, rappresenta un oltraggio a Dio, un tradimento blasfemo del Signore della Pasqua, un preferire al suo volto mite quello del falso dio di questo mondo.

giovedì 14 aprile 2022

Giovedì Santo, tutti invitati all'ultima cena

Es 12,1-8.11-14; Sal 115; 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15 

Questa sera, facciamo la memoria rituale della Cena del Signore, di quella cena che Gesù fece per fare la Pasqua e dalla quale si incamminò verso la passione di crocifissione e morte, ma anche nella risurrezione dalla morte. Capire questo momento è importantissimo, perché rappresenta lo snodo storico in cui il mistero del Dio incarnato si rivela e consegna completamente alla nostra umanità.

"Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi". "Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me".

Sono queste parole, che oggi risuonano più che un imperativo esistenziale quanto cone una esplicita consegna che Gesù fa di sé stesso; rappresentano lo sfondo in cui il vangelo di Giovanni rievoca il gesto di Gesù di lavare i piedi ai dodici. Non va dimenticato, infatti, che tutto si compie durante la cena pasquale: "Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine". Che cosa vuole mostrare Gesù in quella cena pasquale?

Tutto il suo agire, il suo "amare fino alla fine" - significa un amore compiuto e pieno - esprime il senso e il contenuto dell'essere servo, cioè fare di sé stesso "il servo", il mettersi a servizio, cioè donare sé stesso con gratuità e amore. Gesù vive questo servizio nel dono di sé; il suo corpo e il suo sangue sono il suo donarsi: quando lo riceviamo, in realtà non dimentichiamolo, Lui si dona. In Giovanni il donarsi si esprime nel gesto supremo della spoliazione, nel piegarsi e nel toccare e lavare i piedi ai dodici ...

Toccare e lavare l’umanità ..., l'umanità tutta ... Toccare significa fare comunione con la vita di ogni uomo, per redimerla, cioè amarla concretamente, ed invitare ogni discepolo ad essere parte del medesimo amore.

Oggi possiamo vivere, il servire (spoliazione) ..., il donare (ti offro il mio corpo e il mio sangue) ..., l'amore (la mia vita fino ... alla fine).

Ecco allora che i gesti che compie non sono solo belli, o ad effetto, ma descrivono i suoi desideri, il suo darsi, il suo raccomandarsi a noi ...

L'evangelista Giovanni ci dice che il Signore ci ha amati, nella realtà concreta del nostro mondo, fatto di attese e sconfitte; di slanci e delusioni; di amore e di rifiuti; di gioia e durezze di cuore. Ma lui in questo mondo ci ha amati fino alla fine, cioè fino alla pienezza del dono di amare: dare la sua vita, donarla sulla croce.

É possibile amare allo stesso modo? É possibile per noi imitarlo nell'amare?

Ognuno si eserciti nel prendere un asciugamano e una brocca d'acqua, si chini sui piedi dei fratelli, li lavi, li asciughi e li baci. Sentimentalismo? No, concretezza dell'esperienza di amare. Il gesto di Gesù ci chiede di amare nella concretezza e fino alla fine, cioè senza nulla trattenere e riservare nell'amare. E aggiunge, Gesù: "Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi". Gesù non compie un gesto spettacolare fine a sé stesso, ma perché noi tutti, suoi discepoli, facciamo uguale, come lui ha fatto.

Tutto ciò che Gesù vive in quella ultima cena si unisce a quanto nel passato hanno vissuto i padri da Abramo a Mosè e poi via via fino a noi; ecco che il rito della cena ci permette di partecipare, realizzare e non dimenticare il compimento della salvezza.

Ora di quel compimento noi ne siamo parte.

Ciò che accadde in quella cena, allora é molto più di un semplice rituale antico, e neppure una attualizzazione o come si dice un memoriale. 

Gesù ci rivela e consegna sé stesso, in tutto ciò che lui è, a partire dai suoi sentimenti, da ciò che dimora nel suo cuore.

Per noi non ci sono scuse o giustificazioni; il nostro criterio, la nostra strada, il nostro percorso umano non può che essere quello tracciato dal suo amarci.

Perché é così importante amare?  Perché nell'amare tutto realizza, e a chi ama, tutto è possibile.

Amare fino alla fine, amare anche chi ti sta per tradire. Spogliarsi per lavare i piedi. La Misericordia di Dio è un atto tale ed estremo che sconvolge i nostri piani e la vita e ci promette una meraviglia: essere parte con Gesù, in Gesù, grazie a Lui.

È questa intima unione con il Signore, che rendere sacra la vita; spogliandoci di noi stessi e dei nostri superflui attaccamenti e possessi, recuperiamo il gusto della vita dei fratelli, senza scandalizzarci di loro, ma impariamo a comprendere la spogliazione che porta a piegarsi e a toccare la loro umanità.

Oggi di fronte a ciò che accade che cosa possiamo fare? Non certo benedire le armi o i soldati per mandarli a combattere una guerra pazza e inutile; non possiamo nemmeno trincerarsi nella giusta legittima difesa, quasi fosse, l'ultima nostra possibilità; non possiamo neppure finanziare e sostenere una guerra fatta da altri, per salvaguardare il nostro futuro e benessere. Oggi occorre che i credenti esprimano nella loro vita cosa vuol dire amare concretamente come Gesù stesso ci ha testimoniato.

Ecco allora che le parole del papa di domenica possono essere la giusta chiave di lettura della nostra realtà: «Nulla è impossibile a Dio, anche far cessare una guerra di cui non si vede la fine, una guerra che ogni giorno ci pone davanti agli occhi stragi efferate e atroci crudeltà. Preghiamo per questo. Siamo nei giorni che precedono la Pasqua, ci stiamo preparando a celebrare la vittoria del Signore Gesù Cristo sul peccato e sulla morte, non su qualcuno e contro qualcun altro, ma oggi c'è la guerra perché si vuole vincere così, alla maniera del mondo perché così si perde soltanto».

 

Giovedì Santo: impariamo il servizio e l'amore

Giovanni 13,1-15


"Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi".
"Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me".
Sono queste parole, che oggi risuonano più che un imperativo esistenziale quanto come  una esplicita consegna che Gesù fa di sé stesso; rappresentano lo sfondo in cui il vangelo di Giovanni rievoca il gesto di Gesù di lavare i piedi ai dodici. Non va dimenticato, infatti, che tutto si compie durante la cena pasquale: "Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine".
Tutto l'agire di Gesù, il suo "amare fino alla fine" - cioè un amore compiuto e pieno - esprime il senso e il contenuto dell'essere servo, cioé fare di sè stesso "il servo", mettersi a servizio,  cioè donare sé stesso con gratuità e amore. Gesù vive questo servizio nel dono di sé; il suo corpo e il suo sangue sono il suo donarsi: quando lo riceviamo, in realtà non dimentichiamolo, Lui si dona. In Giovanni il donarsi si esprime nel gesto supremo della spoliazione, nel piegarsi e nel toccare e lavare i piedi ai dodici ...
Toccare e lavare  l’umanità ..., l'umanità tutta ...
Toccare significa fare comunione con la vita di ogni uomo, per redimerla, cioè amarla concretamente, ed invitare ogni discepolo ad essere parte del medesimo amore.
Oggi viviamo, il servire (spoliazione) ..., il donare (ti offro il mio corpo e il mio sangue) ..., l'amore (la mia vita fino ... alla fine).

mercoledì 13 aprile 2022

Trenta monete d’argento

Isaia 50,4-9 e Matteo 26,14-25


Che cosa ha rappresentato per Giuda vivere insieme a Gesù e al gruppo dei Dodici per tre anni? Cosa ha voluto dire stringere una relazione di amicizia con un uomo che hanno chiamato "maestro"? Cosa ha significato imparare a farsi servi per amore, guardarsi dentro e scoprire davanti a Lui la verità se stessi?
Per Giuda tutto questo deve essere stato qualcosa di lacerante, soprattutto quando è giunto a maturare l'idea di consegnare il maestro e chiedere una ricompensa per il suo tradinento: trenta monete d'argento. Questo "racconto" rappresenta il dramma di una umanità fragile e ferita, che smarrisce il senso della verità e che nella più assurda solitudine diviene incapace di chiedere perdono. 
Cosa significa vendere Gesù? Credo che a volte siamo disposti a vendere Gesù: per soldi, per un riconoscimento sociale, per codardia, per assecondare i nostri interessi e desideri o quelli di altri. Ma forse siamo disposti anche solo ad accantonarlo, perché con fatica riconosciamo il valore della sua amicizia; della relazione che nel tempo abbiamo costruito e della rivelazione che lui ci ha fatto di se stesso.
Tutto questo è premessa per  Gesù e i discepoli a celebrare quella cena pasquale. Ecco, che quella cena è un rito di alleanza anche per noi, tra la nostra povertà (tradimento compreso) e la sua sua grandezza (un amare che non si estingue).

martedì 12 aprile 2022

Pronti a tradire

Isaia 49,1-6 e Giovanni 13,21-33.36-38


Anche e se non è facile mettersi nella scia di Pietro e proclamare la propria fedeltà e disponibilità a seguire il maestro ovunque, in realtà il tradimento è già compreso nella permessa: "Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà".
Ciò che Giovanni fa emergere nell'ultima cena, sono i sentimenti: del discepolo amato; di Giuda il traditore e di Pietro, che rinnega e che piangerà lacrime di conversione.  Sembra di stare davanti alla totale inadeguatezza dei discepoli, inadeguatezza a causa della nostra indole umana, incline a rimangiare le promesse e le dichiarazioni fatte pur anche solennemente.
Ecco che Gesù si turba come, ciascuno di noi, e prima di tutto per il tradimento dell’amico. Lui che ha detto non c’è amore più grande di chi dà la vita per gli amici non poteva non soffrire di fronte a quanto accadeva.
La sofferenza di Gesù è la conseguenza dell'amore rifiutato, della salvezza/amicizia offerta in un pezzo di pane e rigettata nel buio di quella notte. Gesù non smette di offrire sè stesso, egli ci ama, anche se lo rinneghiamo, anche se tradiamo, anche se lo rifiutiamo, Lui non ci rifiuta. Capire questo significa andare oltre il moralismo, il perbenismo, la buona educazione ricevuta; è superare lo scandalo del tradimento e il rinnegamento, per continuare a decidere di poter mettere il nostro capo sul cuore di Gesù e ascoltare il suo battito ... Che esperienza unica è ascoltare i battiti del cuore di chi si ama!


lunedì 11 aprile 2022

Amici del Signore

Isaia 42,1-7 e Giovanni 12,1-11

È consolante leggere questo Vangelo; non solo parole sapienti, riflessioni teologiche, miracoli o segni della presenza di Dio, ecc...
È consolante entrare in quella casa di Betania, la casa di Lazzaro, Marta e Maria e vedere un Gesù rilassato, pienamente a suo agio, senza l'ansia di dover rivedere qualcosa di sè, ma semplicemente, come un amico starebbe in nostra compagnia. Che bella immagine di normale amicizia traspare dal Vangelo di oggi. Sottolineerei alcuni tratti che danno le coordinate per vivere con verità e intensità la nostra amicizia con Gesù e di base le amicizie, tra di noi.
"Fecero una cena per lui ...": occorre coinvolgersi, non lasciare nulla al caso; se viviamo l'amicizia, questa è lo spazio in cui ciò che precede è l'accoglienza festosa e grata dell'amico.
"Maria prese trecento geammi di profumo ...": è un gesto tenero e pieno di dolce attenzione; oserei dire che è un gesto che suscita commozione, è un prendersi cura dell'amico con quella preziosità che corrisponde all'amore che gli riconosciamo.
"Non sempre avete me ...": l'amicizia deve anche essere lo spazio della nostalgia, dell'attesa rinnovata e del ritorno dell'amico. L'amicizia si colora di attesa e di separazione, per potere con gioia e desiderio riabbracciare l'amico.

domenica 10 aprile 2022

Domenica delle Palme - 2022

Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Lc 22,14-23,56


Una Quaresima di guerra e una Pasqua di Risurrezione insanguinata.
Siamo completamente immersi nella concretezza reale della passione del Signore.
Come è strano vivere questi riti, percependo che sono incapaci di cambiare la realtà dei fatti. Come era bello e forse illusorio vivere la Settimana Santa con i pensieri e sentimenti pieni di una gioia legata alla soddisfazione della vita, alla serenità o alla complessità di un quotidiano comunque denso di possibilità. Ma ora tutto è infranto, tutto ci proietta nella precarietà. E i riti rischiano di essere solo ripetizioni commemorative fini a sé stesse, se non abbiamo la concreta esperienza del risorto che abita anche questo nostro tragico tempo di disumanità. D'altronde a leggere bene la narrazione della passione, ci accorgiamo, oggi come allora, di essere di fronte a un vero dramma umano; al tradimento dell'amicizia e dell'innocenza; al sopravvento dell'ingiustizia e della malvagità; gli eventi ci proiettano in un baratro di barbarie, di male e sofferenza inaudita, che ha un simbolo universale: la crocifissione.
Certamente questo tempo di emergenza ci ricorda la nostra fragilità, ci insegna a ridare valore alla vita; a non considerare il mondo un bene da sfruttare. Tutto ciò che accade ci fa riscoprire il bene comune, riapre la porta della nostra interiorità, ci suggerisce la nostalgia per la preghiera e il gusto del meditare e del deserto. Sono giorni in cui ognuno di noi si sente incalzare da qualcosa che ci preme dentro ed è più del senso del limite e della nostra impotenza di fronte agli eventi; preme lo spirito, ci incalza il mistero di Dio.
È possibile in questa situazione parlare di Speranza? Non è forse una provocazione?
Oggi, in questa Settimana Santa, ciascuno di noi rivolga lo sguardo a Cristo Crocifisso e dal legno della croce alimenti la speranza che Dio Padre mai smette di prendersi cura della sua Creazione, e degli uomini, mentre noi l’abbiamo spesso maltrattata e gli uomini, traditi. Anche se tradito, Gesù è risorto il terzo giorno.
Vivere con speranza vuol dire sentire di essere testimoni del tempo nuovo, in cui Dio “fa nuove tutte le cose” a partire dall'esperienza di amare.
Da questa doppia emergenza (pandemia è guerra) possiamo entrare in una consapevolezza più grande: quella di essere coinvolti e responsabili gli uni degli altri. Base del vivere civile e del vivere cristiano. Questi giorni “cupi” possono invece costituire un’opportunità per compiere un cammino di vera conversione, “un viaggio di ritorno a Dio”, per imparare ad affidarsi alla sua misericordia infinita.

sabato 9 aprile 2022

Fatica, paura e profezia

Ezechiele 37,21-28 e Giovanni 11,45-56


Quello che Gesù ha fatto a Betania (ridare la vita a Lazzaro), è un fatto che accade troppo vicino a Gerusalemme perché nessuno dei capi religiosi e del popolo se ne disinteressi totalmente. Il cliema si fa incandescente, e come conseguenza, anche questa volta Gesù sfuggì a chi lo voleva uccidere. Le parole di Caifa non rappresentano solo una costatazione profetica di compimento delle Scritture, ma sono una vera e propria condanna a morte, con l'aggiunta di una giusta motivazione, in questo caso, politica. Ma nonostante questo, le sue parole portano in sé stesse proprio la profezia delle Scritture, e ci svelano esattamente la volontà del Padre, che ha donato e mandato il Figlio affinché, con la sua morte, fossero superate ogni divisione tra gli uomini e nell'amore si potesse sperimentare la comunione. Quando la vita si fa complicata, anche noi preferiamo la fuga dalla realtà che sembra schiacciarci. Ma ugualmente una tale esperienza è portatrice di Profezia! Anche la nostra esperienza ci parla di sacrificio di fronte a un bene prioritario: tante volte sacrifichiamo il bene per la tranquillità, la libertà per la schiavitù, e preferiamo una vita ordinaria alla libertà e alla responsabilità che la Parola che ci invita a fare nostra. Da lì a poco Gesù tornerà a Gerusalemme!


venerdì 8 aprile 2022

Lapidiamo Dio

Geremia 20,10-13 e Giovanni 10,31-42


Gesù fugge oltre il Giordano; una informazione veritiera che ci suggerisce il grave clima di tensione che le parole e l'agire di Gesù hanno acceso nel rapporto con scribi, farisei, sacerdoti e capi del popolo. Hanno raccolto pietre per lapidarlo; la bestemmia - ciò che Gesù ha detto di sé: "essere figlio di Dio"; averlo detto per giunta nel Tempio -,  è per tutti loro qualcosa di impossibile, insopportabile, inaccettabile, che provoca la reazione dello zelo religioso.
Cerchiamo di stare dentro questa situazione, nei sentimenti e nei pensieri di Gesù. Da quando Gesù ha difeso la donna peccatrice, tutto in lui è proiettato nel rivelare il volto vero della misericordia; nel farci avvicinare a un Padre buono come Dio. Nel suo cuore c'è solo un desiderio: farci incontrare il Padre, quel Dio che non conosciamo, o che abbiamo ingabbiato e annullato nella istituzione religiosa.
Siamo troppo abituati a pensare che Gesù è il figlio di Dio, e a non pensarlo anche oggi come bestemmia rispetto alla nostra disumanità: ogni volta che si smarrisce il cuore del nostro essere figli di Dio, cioè la nostra dignità umana, le parole di Gesù risuonano come una bestemmia. Il cristianesimo è una bestemmia: Dio ama l’uomo, si fa simile a lui e dona la propria vita a colui che gliela toglie. La nostra disumanità condanna (lapida) Dio, in quanto amore.

giovedì 7 aprile 2022

Gesù e il Padre

Genesi 17,3-9 e Giovanni 8,51-59

Il capitolo ottavo di Giovanni inizia narrando della donna da lapidare, che Gesù ha perdonata; lo stesso capitolo termina col tentativo di lapidare Gesù dopo essersi rivelato. C’è una stretta connessione: Gesù è lapidato perché, rivelando la sua intimità con il Padre, rivela un Dio diverso da quanto proposto e garantito dalla ortodossia giudaica.
Gesù ha rivelato la verità che fa liberi: la conoscenza del Padre come amore, che mi permette di essere figlio amato e di amare i fratelli; questa è la verità che fa liberi, cioè la libertà è amare i fratelli. Ma in noi c'è anche una grossa falsità e che ci rende schiavi ed è la falsa immagine del Padre, la falsa immagine di Dio.
Ecco che la Parola di Gesù ha la pretesa di aprire alla vita, cioè di farci superare la falsità, la morte e il peccato. Egli è la luce della vita; per ricomprendere la verità e la realtà delle cose. Tutto il capitolo è un ritornare al senso prioritario della sua Parola, ma l'esito del tentativo è che vogliono lapidarlo, prefigura la sua stessa morte. Ma è proprio la sua morte che rivela la piena verità delle sue parole e la sua intimità con il Padre: quel Padre che ha le sue stesse caratteristiche; di lui che si è fatto servo dei fratelli, di lui che dà la vita per i fratelli.


mercoledì 6 aprile 2022

Rimanete fedeli alla mia parola

Daniele 3,14-20.91-92.95 e Giovanni 8,31-42

Parole estremamente taglienti, che puntano il dito su un dato inequivocabile: "cercate di uccidermi". Dopo l'esperienza iniziale della Galilea, dove Gesù ha riscontrato la popolarità, a breve nel confronto con l'autorità religiosa, Gesù patisce il dolore immenso del rifiuto e dell’indifferenza di chi non vuole accettarlo come Figlio del Padre, mentre il suo solo desiderio era di donarci suo Padre e quindi la vita e l’amore eterni.
Tutto il dialogo di oggi, anche se in una chiave che evidenzia un difficile rapporto tra la comunità dei discepoli di Giovanni e l'ortodossia della comunità giudaica - sviluppatosi anche nei decenni successivi -, pone in evidenza come la fedeltà alla Parola determina la differenza nel discernere la verità circa l'identità e la missione di Gesù.
Rimanere fedeli alla sua parola; rimanere nella relazione figliale che Gesù ci assicura, garantisce la nostra libertà. Rimanere in Cristo significa garantire il rapporto privilegiato con la sua parola: affidarsi ad essa con amore fiducioso ed aperto. Così come ha fatto Abramo che tutto ha lasciato fidandosi della promessa del Padre. È in questo abbandono, ovvero in questo rimanere, che risiede la vera fede.

martedì 5 aprile 2022

Un amore crocifisso

Numeri 21,4-9 e Giovanni 8,21-30


Il cuore del Vangelo di oggi è: "Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete Io-sono". Io-sono è il nome di Dio, è l'espressione più vera e forte del Dio con noi, del suo esserci per noi, con noi e in noi.
Nella croce che innalza il suo Figlio, il Padre sarà accanto alla nostra umanità ferita e piegata dalla morte. La croce ci fa conoscere una immagine rivoluzionaria di Dio, quella del Dio che dona sé stesso, offre sé stesso, sacrifica sé stesso per amore; perché ci ama.
Nessuna religione ha mai immaginato un Dio come lo vediamo sul patibolo della croce.
Un Dio, in Gesù Cristo, che si costringe ad amarci, senza nessuna certezza di essere corrisposto nel suo amore; non si può amare per forza. Perché l’amore è libertà. Ma l'amore è anche il superamento e ciò che può sanare, riempendo, ogni baratro umano di solitudine e paura, lì dove si annida il rifiuto di amare e dove si fa solo esperienza del vuoto attorno a sé.

lunedì 4 aprile 2022

Cosa illumina la luce

Daniele 13,1-9.15-17.19-30.33-62 e Giovanni 8,12-20


Siamo ancora nel Tempio (dopo il brano di ieri) nel contesto della festa delle Capanne, c'è gente, cè fermento. Dopo quanto accaduto con la donna adultera c'è anche un certo disorientamento in alcuni, in altri turbamento ... ma in molti, forse, anche una grande gioia, quella che si ha quando una luce nuova illumina la vita e ne svela il senso.
Giovanni non esita nel riportarci come Gesù in questo momento apre alla sua autocomprensione: "io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina belle tenebre, ma avrà la luce della vita". Certamente non è un concetto semplice. Ma proviamo ad immaginare una vita senza luce; immaginiamoci di essere in un bosco di notte senza torcia e proviamo a muoverci ... ecco ora capiamo cosa vuol dire la luce.
Ecco questa è la luce esteriore che permette all’uomo di orientarsi, di non perdersi, di sapere dov’è, da dove viene, dove va, di avere relazioni con le cose e le persone: è importante la luce, perché senza luce vivere diventa in un certo senso complicato. Ma nelle parole di Gesù, egli si spinge più oltre, egli vuole dirci di sé che è lui la luce interiore. La luce, che più di tutte, da il senso e che serve alla vita; una vita senza senso, è una vita persa, angosciata, vuota, oscura, e tutti conosciamo anche questo buio interiore.

domenica 3 aprile 2022

Rinnegare la misericordia?

Is 43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11

 

«Il clericalismo è una vera perversione nella Chiesa. Il pastore ha la capacità di andare davanti al gregge per indicare la via, stare in mezzo al gregge per vedere cosa succede al suo interno, e anche stare dietro al gregge per assicurarsi che nessuno sia lasciato indietro. Il clericalismo invece pretende che il pastore stia sempre davanti, stabilisce una rotta, e punisce con la scomunica chi si allontana dal gregge. Insomma: è proprio l’opposto di quello che ha fatto Gesù. Il clericalismo condanna, separa, frusta, disprezza il popolo di Dio».

«Il clericalismo dimentica che Dio si è manifestato come dono e si è fatto dono per noi»: un dono da condividere «come dono e non come possesso nostro». Il dono divino, che «è ricchezza, apertura e benedizione», non può essere chiuso e ingabbiato in una dottrina o in tante leggi: non può neppure essere ridotto alla stregua di una «ideologia moralistica» talmente «piena di precetti» e di casistiche da risultare talvolta ridicola».

Quando invece accade che scribi e farisei (i pastori) si impossessano del rito, del culto, del senso religioso e anche della manifestazione di Dio; ecco che subito incorrono nel clericalismo, e mettono l'uomo contro Dio.

Ma anche noi cristiani e discepoli di Gesù non siamo immuni da questa malattia. Ecco allora che questa pagina di vangelo diventa ben più di un racconto spicciolo sulla misericordia.

Siamo di fronte a un dramma umano, una scena sconvolgente densa di emozioni estreme e provocanti, e poi al momento critico tutti se ne vanno, lasciano cadere dalle loro mani quella pietra pronta a scaricare in un solo colpo di rabbia tutto lo zelo per la Legge ... per ciò che crediamo ci richieda la legge di Dio.

Ma perché si è arrivati a tutto questo?

Forse per distogliere il vero significato dell'adulterio come infedeltà e tradimento dell'amore che Dio ci offre e ci chiede di corrispondere. In Deuteronomio al capitolo sesto, ogni pio israelita confessa che Dio occorre amarlo con tutto il cuore, la mente e la forza ecc...

Quanta infedeltà rispetto all'amare Dio? Quanto Israele è adultero ... è un popolo dalla testa dura  ... Quanto ciascuno di noi è adultero nell'amare?

Ecco che dai più anziani, tutti se ne vanno e lasciano cadere le pietre della loro ipocrita giustizia, dalle loro mani. È il recupero della saggezza, della verità ... dell'essere misericordia.

Questa immagine ci riporta, oggi, immediatamente, a quanto arriva come notizia delle donne afgane, o di altre parti del mondo in cui sono sottoposte a maltrattamenti disumani. Di fronte a questo, quali sono i sentimenti e gli atteggiamenti di Gesù che siamo chiamati a recuperare e a fare nostri?

Quello che Gesù ci fa toccare è come viene bistrattato l'amore di Dio, e come a tanto amore corrispondono spesso, ferite e dolore. Si arriva appunto ad odiare una donna fino a trascinarla seminuda, lacera e piena di vergogna di fronte a Gesù. Ma é su tutte queste storie che si posa uno sguardo d’amore. Lo sguardo di Gesù, uno sguardo che supera la legge di Mosè, per applicare la legge dell’amore e del perdono, proprio dove tutti hanno riconosciuto il "flagrante adulterio".

Ecco che Gesù ci chiede di rivedere i nostri comportamenti, perché ogni uomo e ogni donna hanno diritto di essere amati prima di essere presi a sassate: “Misericordia voglio, non sacrifici”.

sabato 2 aprile 2022

E noi cone ti conosciamo?

Geremia 11,18-20 e Giovanni 7,40-53


E noi cosa conosciamo di lui, o come vogliamo conoscerlo; magari riscrivendo la sua vita a nostro piacimento?
Più gli anni passano e più diventa chiaro che non si può conosce Cristo solo con lo studio. Non lo si conosce essendo teologi o esperti delle sacre scritture. Lo si conosce, ascoltando la sua voce, che dalla bibbia ci chiama; lo si conosce amando; lo si conosce vivendo l’intimità con Lui come Lui la vive nel Padre. L'intimità ci permette di superare il pregiuduzio circa quelli che provengono dalla "galilea".
Il Signore, quindi, non è e non può essere un soggetto/oggetto di studio, ma è il frutto di un incontro: come il caso di Nicodemo. Non si può conoscerlo a parole: bisogna viverlo, amarlo, adorarlo.

venerdì 1 aprile 2022

Relazioni complicate anche con Gesù?

Sapienza 2,1.13-22 e Giovanni 7,1-2.10.25-30


Quante reazioni, emozioni, contrasti e paure ha provato Gesù nel suo esporsi pubblicamente ai giudei, scribi e farisei, e anche quale carico di reazioni hanno vissuto coloro che lo hanno ascoltato, quelli che hanno visto i segni, quelli che lo hanno seguito e quelli che lo hanno rifiutato. Noi, spesso, siamo un poco troppo semplicistici nel considerare il vissuto di Gesù e di tutti gli altri, forse troppo secondo stereotipi.
Questa lettura ci introduce  nel dolore, nelle prove, nella sofferenza che non hanno un valore in se stesse, ma conducono, ed esprimono il sacrificio, l’amore e la donazione, il voler fare la volontà del Padre. Giovanni ci sta coinvolgendo nell'intima conoscenza di Gesù e ci sta legando in un rapporto sempre più profondo di amicizia e amore, quello che altri, a quel tempo rifiutarono categoricamente.