martedì 31 agosto 2021

Venne, viene e verrà

1 Tessalonicesi 5,1-11 e Luca 4,31-37

 
In Paolo sembra farsi strada la venuta del Signore come un evento tremendo di giudizio, dove ciascuno troverà le conseguenze del proprio agire e delle proprie scelte. Egli trasmette una immagine alquanto cruenta del giorno del Signore. Una venuta inaspettata e improvvisa, come quella di un ladro di notte, è anche la sua prima venuta, nel nascondimento di Nazareth; il Suo passaggio in una terra lontana e marginale ha comunque lasciato indelebili segni.
Le parole di Paolo riprendono molte espressioni dei vangeli, immagini delle parabole, immagini proprie dell'attesa della venuta ultima del figlio dell'uomo.
Ciò che dobbiamo rielaborare è questa distinzione così netta tra venuta nel tempo e ritorno finale, in cui il tempo intermedio rischia di essere un abisso di assenza, di latitanza. Ecco allora che le parole di Paolo non vanno proiettate in un futuro lontano da noi, ma nel nostro presente: cerchiamo oggi di dimorare di più nella presenza di Dio, ogni giorno. Consoliamoci gli uni gli altri e impegniamoci a edificarci l’uno con l’altro. È questo stile che Paolo suggerisce a chi desidera incontrare il Signore, che in realtà costantemente viene come un ladro di notte, improvviso, a riempire e a dare compimento alla realtà creata. La sua venuta porta la luce nella notte e nelle tenebre per realizzare, già da ora, il grande giorno di Dio.
Anche se non sappiamo quando, il Signore ritornerà, anzi egli già viene ogni giorno e continuerà a venire fino alla pienezza dell'ultimo giorno.

lunedì 30 agosto 2021

La morte non è più morte

1 Tessalonicesi 4,13-18 e Luca 4,16-30


Nessuno parla volentieri della morte, nessuno si reputa capace di dire a un malato terminale che sta morendo. La ragione non è tanto per il bene dell’ammalato, ma perché noi stessi non vogliamo pensare alla morte. La parola morte difficilmente fa parte del nostro vocabolario, anzi cerchiamo espressioni diverse per dirla senza citarla: è partito da noi, è mancato ai nostri affetti, è in cielo ecc ... In definitiva abbiamo paura di confrontarci con la morte, la nostra è quella degli altri. In un credente questa paura permane quando non abbiamo in noi una speranza reale. 1 Tessalonicesi, attraverso le parole di Paolo, dopo aver ampiamente trattato dell'amore per Dio e tra i fratelli, si concentra nel cercare di dare consistenza (l'importanza di non restare nell'ignoranza) al contenuto della vita eterna. Vincere la paura della morte cercando di capire cosa succede dopo la morte, affinché possiamo avere pace quando ci troviamo ad affrontare la morte, sia la nostra che quella dei nostri cari. Paolo sposta il centro di osservazione dal morire all'essere in Cristo per sempre. La morte in sé tende a offuscare e spegnere il desiderio di essere con il Signore; tutta la vita credente è un cercare di vivere in pienezza la relazione vera con il Signore, in ragione di lui vivo è risorto, ma ecco che la morte, improvvisamente, quasi cancella ogni traccia della tensione alimentata in una vita intera.
È questo esito disarmante e drammatico che Paolo cerca di farci comprendere per poterlo evitare, ricentrando il nostro sguardo sulla pienezza di vita che sappiamo riconoscere se uniti a Cristo vivo.

domenica 29 agosto 2021

Puro o impuro ... Ma è il nostro cuore

Dt 4,1-2.6-8; Sal 14; Gc 1,17-18.21-27; Mc 7,1-8.14-15.21-23


Domenica scorsa il papa all'Angelus ha detto: "Gesù afferma che il vero pane della salvezza, che trasmette la vita eterna, è la sua stessa carne; che per entrare in comunione con Dio, prima di osservare delle leggi o soddisfare dei precetti religiosi, occorre vivere una relazione reale e concreta con Lui. Questo significa che non bisogna inseguire Dio in sogni e immagini di grandezza e di potenza, ma bisogna riconoscerlo nell’umanità di Gesù e, di conseguenza, in quella dei fratelli e delle sorelle che incontriamo sulla strada della vita".
Dal discorso di Gesù sul pane del cielo che dona la vera vita, papa Francesco ci porta alle conseguenze dell'eucaristia (il pane del cielo) nella nostra vita di oggi.
Da queste parole sorge un evidente sospetto: Dio padre è nella umanità di Gesù ... e di conseguenza in quella dei miei fratelli e nella mia. Allora la mia umanità è veramente lo scrigno del mistero del Dio incarnato; e il mio cuore quindi rappresenta veramente la porta per introdurmi al cospetto dell'onnipotente?
Da un sospetto a un dramma! Ma se il mio cuore è di pietra, se il mio cuore è indurito ... Quale casa trova Dio in me da abitare, quale umanità è riempita di mistero?
Credo che effettivamente questo discorso ci debba mettere tutti in crisi ... Noi che il più delle volte ci limitiamo a vivere la superficie della fede - osservare dei precetti -, la superficie delle relazioni - buon giorno, buona sera ... Tutto bene ... -, la superficie dei sentimenti - ti voglio bene ... ma poi concretamente cosa vuol dire?-.
Ciò che ci impedisce di mangiare e gustare "il pane" che ci dona la vita vera, e di vivere l'eucaristia nel nostro quotidiano è il nostro essere asserviti delle norme, ai precetti morali, ma senza lasciarci toccare minimamente dall'esperienza di amare. In altre parole: Il nostro cuore (noi stessi) indurito, schiavo dell'egoismo, può anche fare delle belle liturgie, senza però vivere ciò che celebra. Il grande pericolo, per i credenti di ogni tempo, è di vivere una religione dal cuore lontano e assente, nutrita di pratiche esteriori, fatta di formule e riti; che si compiace dell’incenso, della musica, degli ori delle liturgie, ma non sa soccorrere gli orfani e le vedove, non si commuove per gli afgani, come non si preoccupa dei migranti dell'Africa o dei terremotati di Haiti.
Il cuore di pietra, il cuore lontano insensibile all'uomo, è la malattia che il Signore più teme e combatte. Il vero peccato che commettiamo è l'indifferenza, cioè il rifiuto di partecipare al dolore dell’altro.
Ciò che Gesù ci propone con il Vangelo è il ritorno al cuore, una religione dell’interiorità: "Non c’è nulla fuori dall’uomo che entrando in lui possa renderlo impuro, sono invece le cose che escono dal cuore dell’uomo…"
Per rieducare il nostro stile di vita credente, anche oggi possiamo accompagnarci con tre parole: impurità, interiorità e cuore.
Per capire L'impurità partiamo dal concetto opposto, cosa è la purezza per Gesù? Non è di certo quella che pensano Scribi e Farisei ... La purezza del cuore non si ottiene con un rito. La purezza del cuore è la verità del nostro pensare - il bene dei fratelli -, il giudicare - comprendere senza puntare il dito - e amare - in concreto a partire dalla benevolenza, cioè vedere il bene.
La purezza del cuore è la condizione che più ci avvicina e ci lega al mistero del Dio incarnato, perché l'esondazione di amore divino che è l'incarnazione, ci provoca a desiderare la purezza del cuore. La purezza è come una benedizione continua nella vita dell'uomo, nel suo corpo, nella sua sessualità e nei suoi sentimenti ...
Mentre l'impurità è - come dice Gesù - tutto ciò che noi siamo capaci di generare dal nostro cuore, come realtà tossica. Ebbene sì, noi possiamo anche generare un amore tossico, capace e di spegnere e uccidere il vero amore. Siamo capaci di generare pensiero distorti, pur di giustificare e nostre bramosie, i nostri desideri e appetiti. Il nostro cuore può generare l'odio, la gelosia, l'arroganza, cioè, ciò che rende la nostra umanità disumana.
L'interiorità, come Gesù richiama quando ci dice da dentro e non da fuori ... rappresenta lo sguardo attento e costante al nostro cuore. Nell'interiorità avviene il cambiamento dei pensieri, l'educazione dei sentimenti la crescita nell'amore. Nell'interiorità il Vangelo, ogni giorno è capace di rigenerare nell'amore anche solo una piccola durezza o fragilità. Ecco allora che a partire dall'interiorità del cuore riesco a prendermi cura di me stesso e dei miei fratelli.
Ecco che il cuore - terza parola - è cosa molto seria, molto importante. Ciascuno faccia attenzione alle fibrillazioni - le accelerazioni legate alla istintività, quegli scatti impulsivi capaci di causare tanto danno -; attenzione alla durezza che è una sclerosi cardiaca - una rigidità che ci rende insensibili incapaci di compassione -; attenzione agli infarti - i blocchi dai quali non ci riprendiamo e che si rivelano fatali ... Irrimediabili per la nostra esistenza, anche cristiana.








Inviato da iPad

sabato 28 agosto 2021

L'amore fraterno secondo Paolo.

1 Tessalonicesi 4,9-11 e Matteo 25,14-30


"Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato" (Gv 15,12), rappresenta il comandamento nuovo, che Gesù secondo Giovanni, affida ai discepoli nel contesto dei discorsi dell'ultima cena. Nella visione complessiva delle ultime volontà, quasi un vero e proprio testamento, il comandamento ne esprime la modalità di attuazione, il vertice e la sintesi.
Non è allora fuori luogo allora per Paolo, appellarsi a questo amore, come condizione che già appartiene alla comunità dei Tessalonicesi, al punto che per Paolo è superfluo trattarne: "riguardo all’amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva".
Ma se pure ciò fosse vero, Paolo mette in evidenza come nell'amore fraterno occorre crescere costantemente, non va mai dato per scontato, o per raggiunto. L'amore fraterno va costantemente alimentato e custodito. Per Paolo la crescita nell'amore fraterno non è questione intellettuale o sentimentale; si cresce nell'amare attraverso l'esperienza di amore. Ecco allora tre raccomandazioni paoline che non sono per nulla ovvietà:
- fare il possibile per vivere in pace: il senso in lingua greca sarebbe quello di impegnarci attivamente ad avere una vita tranquilla. Una raccomandazione strana, ma a pensarci bene necessaria; come è infatti possibile amare i fratelli se la mia vita è disordinata, caotica o sconvolta, come avrò mai occhi, attenzione e cuore per loro se io stesso non ho serenità in me? Ecco che l'auto disciplina nell'amarmi, mi permette di amare meglio il prossimo.
- occuparvi delle vostre cose: non certo in senso egoistico o di autoreferenzialità, Paolo scrive questo. In altre parole, dovremmo curare le varie responsabilità che Dio ci ha dato nella vita, ed è in questa cura che scopriremo anche la benevolenza come condizione di cui prenderci cura in modo concreto; la concretezza del volere bene all'altro.
- lavorare con le vostre mani: L’idea è quella di non essere pigri, ma di essere diligenti nel nostro lavoro, non certo per raggiungere un fine o una retribuzione, ma come per scopre nel lavorare, nell'agire, lo spazio dell'agire di Dio attraverso le nostre mani. Come è bello allora riuscire a fare, gratuitamente, qualcosa per un fratello, per l'altro.

venerdì 27 agosto 2021

Una bella morale

1 Tessalonicesi 4,1-8 e Matteo 25,1-13


Per Paolo la santificazione della corpo, coinvolge tutta la dimensione psico-fisica della persona.
Oggi in una realtà che vive profondamente la distanza da di Dio, la cui volontà sembra principalmente una limitazione alla libertà personale, mentre tende ad esaltare ogni libertà e compiere ogni cosa, superando gli anacronismi della "purezza del corpo", fino al punto di tollerare o vivere la normalità della "fornicazione" (parola per i più incomprensibile), che senso ha proporre la santificazione del corpo?
Dobbiamo liberarci del formalismo morale a vantaggio di una visione che possa accogliere la santificazione dl corpo come camino che realizza la volontà di Dio.
Dice Paolo: "come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più".
La santificazione non è una limitazione attraverso norme morali che avvallano la purezza del corpo, ma essa corrisponde a una crescita in umanità e in tutti gli ambiti della persona. Le dimensioni, corporee, affettive, psicologiche, sessuali e anche genitali, per un discepolo di Gesù sono coinvolte in un percorso di maturazione e di crescita, in ordine all esperienza di amare. Non si tratta semplicemente di astensione da atti e abitudini, ma di interiorizzare la vera possibilità che l'amare apre nella vita cristiana.
Dio chiamandoci alla santificazione immette in noi la vocazione alla purezza come cammino di crescita umana nella possibilità di amare. Non leggiamo questa lettera, solo con la consueta mentalità dei farisei e di coloro che risolvono tutto sotto l'aspetto del moralismo. La santificazione del corpo è invece un vero percorso e processo morale.


giovedì 26 agosto 2021

Una catechesi reale sull'amore

1 Tessalonicesi 3,7-13 e Matteo 24,42-51


Paolo si trovava ad Atene e preferisce mandare Sila e Timoteo a prendersi cura dei credenti delle varie chiese. Per questo, Paolo, separato da loro, non potendo ritornare a trovarli, desidera tanto sapere loro notizie, e voleva tanto aiutarli in qualche modo, e quindi scrive la lettera.
Egli dopo averli esortati ad accogliere il Vangelo, ne va subito al cuore: l’insegnamento di Dio è chiaro, e l’esempio di Cristo è chiarissimo: quale esperienza di amore vive la comunità?
Sappiamo bene che questo insegnamento e quell'esempio vanno contro la mentalità del mondo, e che non corrispondono alla nostra natura umana. Noi che siamo egosti, vogliamo cercare quello che va a nostro vantaggio, cerchiamo il nostro interesse, e il mondo ci incoraggia a essere così.
Allora come dobbiamo fare? Come possiamo amare come dovremmo? Come possiamo superare la nostra tendenza naturale ad essere egoisti?
Fermiamoci a riflettere su tutto quel che Cristo ha fatto per noi, su ciò che rappresenta per noi. Seguiamo le orme di Cristo, e scopriremo la forza del bene per altri.
Paolo si propone come esempio, di amore e di cura da imitare: un amore che è costoso.
In quale modo siamo provocati dall'amore di Paolo per i Tessalonicesi?
1) amiamo abbastanza per parlare di Cristo, colui che ha dato tutto per salvarci?
2) il nostro amore ci porta ad avere gioia e ringraziamento per gli altri?
3) il nostro amore ci spinge a pregare per gli altri?

mercoledì 25 agosto 2021

Vi abbiamo donato la parola di Dio

1 Tessalonicesi 2,9-13 e Matteo 23,27-32


Di fronte ai Tessalonicesi, Paolo era stato accusato di non essere un uomo di Dio, ed è per queste accuse che Paolo mette in evidenza la sua azione missionaria e il suo modo di agire, privo di interessi personali. Paolo vuole mettere in risalto la sua esperienza egli si sente  un vero uomo di Dio, e ogni suo intento era rivolto ad annunciare il Vangelo di Cristo.
Diversamente da altre situazioni, Paolo si difende dalle accuse, per infondere nei Tessalonicesi il desiderio di vivere e credere le verità che egli ha loro insegnato.
Nello stesso modo in cui i Tessalonicesi si fidarono di Paolo, noi oggi possiamo fidarci della Paola di Dio. Sappiamo mettere in sintonia e contatto la nostra vita e la quotidianità con la parola di Dio che abbiamo ricevuto? Sappiamo comprendere la Parola dentro ciò che accade oggi? Perché per un credente la cosa importante è confrontare tutto con la Parola di Dio. Tenendo presente, sempre, che Gesù Cristo ha dato tutto per noi attraverso e per mezzo di quella Parola, vissuta è custodita da coloro che ne furono Testimoni.

martedì 24 agosto 2021

San Bartolomeo

Ap 21,9-14 e Giovanni 1,45-51


Oggi la Chiesa ricorda l'apostolo San Bartolomeo. Nel Vangelo è chiamato anche Natanaele, e il racconto di oggi è la cronaca del suo primo incontro con Gesù, dove emerge da un lato la larga considerazione che aveva il maestro di Galilea: "Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?", e dall'altro, la risposta di Filippo, che traduce per tutti un invito esplicito alla sequela: "Vieni e vedi"”.
Per affrontare l'incontro con Gesù, occorre lasciarsi condurre dal desiderio di andare e di vedere. Occorre accettare di entrare in relazione, quel "vieni" che Filippo esplicitamente consegna a Natanaele, è un invito esplicito a uscire da se stesso dalla propria autoreferenzialità e autosufficienza, per accettare colui che è altro. Solo questa condizione di apertura della vita permette di vedere quel maestro con uno sguardo privo di pregiudizio.
Mettersi nella sequela di Gesù, come Filippo invita a fare, forse è facile da dirsi, meno facile realizzarsi, se non fosse che non tutto dipende da Filippo o da Natanaele stesso, una parte infatti dipende proprio da Gesù: il suo sguardo, le sue attenzioni, la sua Parola. È questo l'aspetto che spesso trascuriamo in ordine alla sequela, il coinvolgimento del Maestro nel condurci a sé, o meglio ancora la volontà del Padre nel condurre i discepoli a Gesù, attraverso Gesù. Oggi potrei riflettere su ciò che Gesù fa, e ha fatto, per condurmi a sé ...

lunedì 23 agosto 2021

Il Vangelo è un attestato di amore.

1Ts 1,2-5.8-10 e Matteo 23,13-22


Iniziamo questa mattina la lettura della prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi, e terremo come attenzione, considerarla scritta direttamente a noi, oggi, non una lettera del passato. Paolo ci fa le lodi, perché dice, riconosce in noi una fede piena di opere, una carità instancabile è una speranza che non conosce cedimento. Ecco che già qui potremmo avere qualche cedimento nella nostra autoconsiderazione. Può veramente, Paolo, rallegrarsi di noi?
Il secondo aspetto che Paolo immediatamente ci condivide è la sua convinzione circa lastra elezione: cioè possiamo veramente essere certi di essere figli di Dio? Oppure dobbiamo sperarlo senza averne la certezza?
Paolo afferma che siamo amati da Dio, e sappiamo che questa condizione non dipende dal nostro amore verso Dio, ma solo dal suo amarci. Ma questo amore come ci viene donato, come ci viene incontro? Paolo dice: "attraverso il Vangelo che vi ho annunciato!"
Che diamo amati da Dio, ne è prova il Vangelo di cui siamo depositari. Il Vangelo è rivelazione della salvezza, dell'amore di Dio padre per noi, se in tutto è il Vangelo di Gesù Cristo. A questo punto come considero il Vangelo?

domenica 22 agosto 2021

Dove vuoi andare ...

Gs 24,1-18; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69

 

La domanda di Gesù non può lasciare tranquilli, né i discepoli e la gente che lo seguiva, ma neppure noi oggi i credenti di questo tempo, attraversato da una transizione epocale e pandemica mai vista prima di oggi, forse paragonabile solo all'incertezza delle invasioni barbariche.

Se dopo il discorso di Cafarnao, sul pane della vita, la gente fatica a comprendere le parole e non si fida di un Gesù che non si limita a dare del pane da mangiare ma vuole dare la sua vita, appunto "Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?"

Per cui appena intuisce un coinvolgimento esistenziale, sceglie più facilmente di andarsene e di ritornare nella quiete precedente, pur con tutti i limiti e le fatiche di una vita spesso grama e povera di speranza, sceglie il disimpegno. Oggi assistiamo a un ulteriore abbandono, motivato non dalla forza o esigenza delle parole, ma da una secolarizzazione che è entrata pesantemente in ogni ambito della vita personale e della cultura.

Oggi per molti, le parole di Gesù, non sono esigenti, perché per la maggior parte dei battezzati le stesse parole sono ininfluenti, non segnano pressoché nulla, rapidamente vengono recepite con gli occhi ma non hanno risonanza nel vissuto; per altri sono sconosciute.

Alla Secolarizzazione, alla scristianizzazione, e alla irrilevanza di Cristo oggi aggiungiamo l'effetto globalizzazione e pandemia. Di fronte a questi fenomeni, le conseguenze immediate sono quelle di un generale e progressivo disimpegno.

Non solo gli scandali sessuali, o gli intrecci tra soldi e fede, allontanano il popolo di Dio dal sentirsi parte della Chiesa, ma anche una sorta di annullamento di quella religiosità che ha sostenuto un senso comune di appartenenza.

Un esempio esplicito: non andare a messa la domenica, infrangere il precetto.

Fino a prima della pandemia era un deterrente per non mancare alla celebrazione della comunità, ora si è visto che da un lato si può essere dispensati pure dalla autorità, ma sorprendentemente, anche se non vado a messa non succede nulla: nessun fulmine dal cielo, nessun incenerimento.

Forse non è il precetto che salva l'andare a Messa la domenica, quanto il desiderio di fare comunione con amici e fratelli di una stessa comunità, per ascoltare insieme a parola di Gesù e cibarsi del pane della vita.

Allora, che senso hanno le parole durissime di Gesù?

Esse dicono una delusione circa la nostra sequela?

Non credo!

Gesù conosce bene la nostra inadeguatezza, la nostra codardia e soprattutto quella inamovibilità rispetto al lasciare spazio nella nostra vita alla sua.

Quel pane di vita, mangiato e rimangiato, a fatica scalfisce a nostra durezza, fintanto che non facciamo esperienza, del nostro vero limite.

Volete andarvene anche voi? Più che durezza in Gesù c’è una profonda tristezza, nella constatazione di una crisi durissima. Come quella di oggi, ad esempio.

Ma c'è anche un appello esplicito alla libertà di ciascuno: siete liberi, andate o restate, ma occorre scegliere, si può tergiversare.

Anche io sono chiamato a scegliere di nuovo: andare o restare. Cosa rispondo?

Vediamo cosa ha risposto Pietro: Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.

TU, Gesù, corrisponde a una immagine religiosa della mente o a un vero TU personale? Questo è il punto di partenza di ogni risposta. La domanda che Gesù pone è quella di un Tu personale. Il TU di Pietro dice: prima di tutto, certamente prima degli altri.

HAI PAROLE: Dio parla; la sua parola c'è indipendentemente dalla ricettività del nostro orecchio.

Le parole di Gesù interpretano e danno senso alla realtà è alla vita. Ma per farlo, devono entrare ed essere accolte, anche se spigolose, anche se fanno male.

Tu hai parole DI VITA. Parole che fanno più viva di prima la mia vita, che portano incremento d’umano, ad ogni parte di me. Le parole di vita di Gesù coinvolgono il mio umano ...

Finalmente qualcuno che si prende a cuore il mio essere "umano".

E poi sul più bello Pietro butta lì: le tue sono parole sono di VITA ETERNA,cioè che ci fanno vivere scelte e amori e che ci parlano è ci portano la vita di Dio in noi e la nostra in lui.

Con le tue parole, con la tua vita, Signore, dai eternità a tutto ciò che di più bello portiamo nel cuore.

 

Oggi, quali possono accompagnare questa settimana?

Direi: Disimpegno; Tu; Vita.

Non escludiamo la tentazione di andarcene; anche perché pure noi siamo immersi in questa tentazione o provocazione del mondo. Guardiamo in faccia ma tentazione, non lasciamola lavorare sottotraccia, in una silenziosa normalità che conduce al DISIMPEGNO.

TU, cosa rappresenti realmente? Se sei una realtà personale devo fare i conti con la tua concretezza ieri, oggi e domani. Il Tu, non permette sconti o rimandi, ma interpella sempre.

VITA, la mia vita al suono delle tue parole mi sembra più viva, più autentica. Potrei fare a meno di te, delle tue Parole, ma a quel punto il vuoto del silenzio lo colmerei solo con un ulteriore silenzio è un ulteriore desiderio inesaudito di pienezza.



Inviato da iPad

sabato 21 agosto 2021

Nulla è per caso ...

Rut 2,1-11; 4,13-17 e Matteo 23,1-12


Raramente ci addentriamo nei testi dell'Antico Testamento, ma tra tutti i "libri storici", Rut, rappresenta una vera particolarità, la narrazione teologica, infatti non sovrasta i personaggi dei racconti, ma è la narrazione della loro vita che diviene lo spazio in cui emerge l'agire di Dio. Il racconto si fa avvincente perché ci sono personaggi che mettono la loro vita a servizio del bene comune, di una causa più grande, pur manifestando nella loro umanità, contraddizioni e fragilità.
Rut, segue l'invito di Noemie va a spigolare nei campi. Alla sera torna a casa con un sacco colmo d’orzo. Ma la gioia delle donne si illumina ulteriormente alla scoperta del padrone del campo: Booz! Il campo in cui Rut è andata a spigolare appartiene a Booz, un loro lontano pa­rente. Già qui si intravede come la provvidenza di Yhwh si manifesta in quella legge del "levirato": Booz è l'uomo che può esercitare il diritto di riscatto, cioè deve garantire alla vedova la discendenza. Ecco che la vicenda si tinge della passione dell'amore: Rut e Booz sono persone mature, hanno alle spalle un passato. Sanno aspettare. Sanno cosa si deve dare e ricevere per gustare le profondità dell’amore. Sanno es­sere l’uno per l’altro, come ogni vero incontro d'amore.
È questa esperienza che apre l'orizzonte di possibilità; loro neppure immaginano che la loro felicità è destinata ad andare ben oltre quell’abbraccio: saranno i bisnonni di Davide, il futuro re d’Israele; saranno i pro­genitori di Giuseppe, marito di Maria, la mamma di Gesù. Quanto accaduto in quel campo non era avvenuto per caso.


venerdì 20 agosto 2021

La rivincita delle donne

Rut 1,1-22 e Matteo 22,34-40


Quando nel Vangelo di Matteo leggiamo la bellissima genealogia, ad un certo punto emerge anche il nome di questa donna, Rut. Ecco che allora diviene chiaro come la salvezza di Dio passa attraverso l’uomo e la sua storia concreta. Il Signore si china sulle ferite dell’umanità, e le vicende narrate nel libro di Ruth evidenziano che l'amore del Signore per i più poveri (vedova straniero), si manifesta nel tessuto usuale della vita.
La cosa sorprendente è proprio che la storia dei singoli si fa capace della provvidenza di Dio, che pone gesti a favore dell’uomo, che lo rende veicolo dei suoi progetti. Ognuno degli attori della nostra storia è mediatore di salvezza per gli altri come Rut lo è per Noemi, ma anche Noemi per Rut; Booz il Go’el; Obed per tutti. Il libro di Ruth ha una forte valenza profetica. Esso è richiamo esplicito contro le discriminazioni in atto nel nostro mondo, un invito a considerare la figura della donna bella sua originalità e peculiarità rispetto alla salvezza operata da Dio. La grande tesi del libro di Ruth è che Dio si fa provvidenza per l’umanità attraverso l’umanità stessa. La liberazione dei più deboli, il riconoscimento e la difesa della loro dignità, da ogni forma di schiavitù e prevaricazione tocca a noi, singolarmente e comunitariamente. Non sono concesse deleghe o supplenze.

giovedì 19 agosto 2021

Dipendiamo dalla grazia di Dio.

Giudici 11,29-39 e Matteo 22,1-14


Come molti uomini biblici, la fede di Jefte non era perfetta; egli infatti aveva un concetto sbagliato di Dio. Immaginava che fosse necessario comprare da lui dei favori, pur sapendo che solo Yhwh poteva salvare il suo popolo e mettere i nemici nelle sue mani, Jefte credeva fosse necessario fare un voto per poter ottenere il suo aiuto. Ma è in forza di questa sua credenza che Jefte fece un giuramento terribile: sacrificare la sua unica figlia. Solo le religioni create dagli uomini portano in sé l'idea di scambiare con Dio favori per ottenere ciò che si chiede, nella fede biblica questa narrazione contrasta con l'irruzione di Yhwh che opera per grazia. Dopo la vittoria, Jefte torna a casa sua onorato dal popolo; quel giorno sarebbe stato il più importante della sua vita. Ma è proprio il tentativo di voler comprare il favore di Dio che trasforma quel giorno in una sciagura, quel voto è di per sé assolutamente sbagliato. Ciò che Jefte vive è una religiosità idolatrica, che riflette il comportamento religioso di chi si rivolge agli idoli pagani e non al Dio di Israele. La drammaticità del racconto non fa altro che sottolineare la necessità di quella risolutiva conversione del cuore che solo apre a comprendere un Dio di totale gratuità e amore: non sarai mai capace di fare qualcosa per Dio, ma dovrai stupirti e riconoscere quello che Dio fa per te; per ciò non quello che io faccio per Dio, ma ciò che Dio fa per me.

mercoledì 18 agosto 2021

Le parabole che ci descrivono

Giudici 9,6-15 e Matteo 20,1-16


Nella prima lettura, oggi, siamo di fronte a una parabola dell'Antico testamento, una narrazione che si colloca all'apice di una vicenda drammatica per quanto spiegata. Abimelek, figlio crudele di Gedeone, nella sua smania di potere, vuole farsi ungere re dai signori di Sichem. Ma per raggiungere il suo svolto fece uccidere tutti i suoi settanta fratelli, sulla stessa Pietra. Una vera strage, dalla quale riuscì a scampare solo il fratello minore Iotam; il quale raggiunta ma sommità del monte Corazin (monte che diverrà sacro per i samaritani) griderà agli abitanti di Sichem il suo apologo: la parabola che stiamo meditando. A tre piante: ulivo, il fico e a vite, che rappresentano il vertice della regalità, della bontà, della sapienza nella cultura biblica antica, fu chiesto di diventare re del mondo vegetale, delle piante, ma nessuna accettò, rivendicando come quell'investitura avrebbe comportato una rinuncia a svantaggio di tutti. La richiesta fu portata anche al rovo, una pianta parassita, che porta solo spine. Ebbene questa pianta, nella sua arroganza e spregiudicatezza al pari di Abimelek, non rifiuta di regnare sulle piante e di minacciare anche i maestosi cedri del Libano.
Una parabola che mette in luce l'arroganza dell'umano al pari del rogo, e anche la presunzione di voler in ogni modo sostituire la signoria e regalità di Dio rispetto al mondo, tentando ogni sorta di pretendente, anche con eccellenti virtù.
La carriera, il potere, il controllo e il possesso delle situazione e della vita dell'altro, sono lo spazio in cui sperimentiamo il nostro arrivismo e le false umiltà che ci caratterizzano.
Non è forse la nostra invidia della bontà di Dio che ci provoca di fronte a certe nostre durezze?

martedì 17 agosto 2021

Una storia antica che costantemente si ripete

Giudici 6,11-24 e Matteo 19,23-30


Il brano della prima lettura di oggi ci introduce nella vocazione di Gedeone figlio Ioas che si trovava sotto al terebinto, di nascosto per paura dei madianiti a battere il grano. Il periodo storico in cui versava Israele non era dei migliori anzi, il popolo aveva abbandonato l'alleanza con Yhwh e si era rivolto ad altri dei; siamo in un periodo di grave apostasia.
È in questo contesto che Gedeone riceve la "chiamata" di Dio: "il Signore è con te, o uomo forte e valoroso!"
Dio a volte opera in modi strani, non sempre a noi chiari; Dio parla al cuore della persona, e lo fa nel contesto della vita reale, qualunque essa sia.
"Oggi mentre ero al lavoro queste parole improvvisamente hanno raggiunto il mio cuore all’improvisso mentre ero anche io sotto il terebinto della paura e del fallimento, ma Dio parte sempre dai nostri fallimenti per iniziare di nuovo".
Spesso pensiamo che di fronte sul nostro limite, e a causa del nostro peccato, Dio ci possa rigettare, ma non è mai così. Dio parte proprio da quel limite è da quel peccato per esser il Dio con noi, per incoraggiare, per portare la sua presenza accanto a tutti noi.
La chiamata di Gedeone non si esaurisce in un incontro personale, ma divine il segno di quella salvezza che Dio mai rinuncia a portare a compimento, sempre.


lunedì 16 agosto 2021

Il vero idolo di Dio

Giudici 2,11-19 e Matteo 19,16-22


Per la loro condotta ostinata e per il persistere nelle loro pratiche, il popolo di Israele sperimenta in più riprese l'infedeltà al patto di alleanza con Dio, che con i Padri in vari momenti aveva solennemente accettato. Ciò che infrange il patto è il volgere il cuore ad altre divinità. Certamente dopo l'ultima solenne affermazione di fedeltà al patto, a Sichem, non ci saremo mai aspettati che la storia di questo popolo si costellasse di tanti atti di infedeltà. Ma perché allora è così difficile perseverare nell'amore a quel Dio che ha liberato, ha prediletto, ha condotto e ha introdotto nella terra delle promesse fatte hai padri? Quale è il fascino degli idoli?
Per rispondere a questa domanda mi lascio condurre nel concetto di idolo presente nel mondo antico. L'idolo è una immagine, una raffigurazione reale - una statuina - che pone la divinità nel mondo. Ma perché adorare l'uno invece di un altro?
Anche l'uomo è un idolo di Dio, è nella realtà immagine e somiglianza di Dio - rappresenta la statuina (idolo) di Dio - possiamo dire con certezza che l'uomo nella creazione rappresenta l'idolo di Dio Padre creatore. Ma se questo idolo rinnega l'origine della propria immagine, per auto affermare se stesso? Fatto questo non può fare altro che fare esperienza del proprio non essere Dio; del proprio limite e della fragilità, ecco allora la necessità di dare alla nostra immagine di idolo, una nuova paternità, una nuova origine. A quel punto può anche andare bene un Baal, un Astarte, un Vitello d'oro ... la ricchezza o le molte ricchezze possedute. Non è facile per l'uomo custodirsi idolo di Dio, neppure oggi, e mettersi alla sequela di Gesù.

domenica 15 agosto 2021

Un segno nel cielo ...

Ap 1,19;12,2-6.10; Sal 44; 1 Cor 15,20-26; Lc 1,36-56

 

Che cosa è un "segno glorioso nel cielo"?

Il Segno è una indicazione che rimanda ad altro ... Il segno di una donna, che rimanda a Maria madre di Dio e al frutto del suo grembo, colui che facendosi carne realizza pienamente e perfettamente la salvezza.

Glorioso, significa che non rispecchia sé stesso ma la presenza di Dio. La gloria esprime la presenza di Dio come amore concreto di cui possiamo fare esperienza. La gloria si rivela come amore, e l'amore tra noi e con Dio manifesta la gloria: Presenza di Amore.

Nel cielo ... Che cosa è il cielo? Ciò che è altro dalla terra o ciò da cui proviene anche la terra?

Non è il cielo lo spazio di Dio che tutto avvolge e tutto sostiene? Non è il cielo il compimento e l'origine delle promesse di Dio ad Abramo? Guardando il cielo tutto assume un alone di mistero ma pure di una originaria nostalgia: il cielo stellato segno di immensità e dell'amore fecondo di Dio Padre.

Fatta questa premessa ora Possiamo concentrarci nell'espressione più forte di Apocalisse: "Ora si è compiuta la salvezza". Che cosa significa?

La salvezza ora è compita e si realizza sempre in continuità nel tempo.

È la nostra fede, la nostra esperienza di chiesa, il nostro vivere la comunità che esprime la salvezza nel suo realizzarsi continuamente.

Gli eventi passati, in questa prospettiva, non sono mai solo semplici nostalgie, ma nemmeno vetrine museali per conservare per un gusto intellettuale o solo affettivo.

Ecco allora che il Vangelo ci introduce nel modo in cui Maria è parte eminente della storia di salvata e come a partire da lei quella storia avvolge tutti i tempi.

Maria Assunta al cielo, come ogni altro segno glorioso di Dio, ci ricorda e rende attuale, semplicemente e sempre, che "Dio invece è sceso. E ha dato la sua vita".

"Dio è sceso sulla terra, e oggi ci dona la sua vita ..." Oggi ci dona la sua vita!

Forse oggi questo dono della vita di Dio interessa a ben pochi, ma non importa, perché questo è il segno che resta anche attraverso la nostra testimonianza e il nostro vivere come comunità cristiana la fede in Gesù Cristo. Ecco questo è il messaggio della parola oggi: accogliamo la salvezza come dono della vita di Dio, oggi!

Maria accoglie la salvezza perché riconosce l'amore di Dio in ciò che le accade e, in forza di ciò, riesce a gridare a tutti gli uomini le grandi cose che Dio porta a compimento.

Maria ha percepito Dio mentre entra nella storia, nel suo venire come vita nel suo grembo di ragazza che dice il suo sì; come pure nella vita e nel grembo di un’anziana che rifiorisce; Maria sente Dio che danza nella gioia di un bimbo di sei mesi ancora nel grembo della madre. Oggi Maria vede Dio lì dove la vita umana è difesa, salvata e onorata. Ecco che il cantico di lode della vergine raggiunge tutte le generazioni. Perché è Lui, Dio, che agisce nella nostra piccola e insignificante avventura umana. Maria comprende che il motivo della sua gioia non è quello che lei fa per Dio, ma quello che Dio fa per lei; non quello che io faccio per Dio, ma ciò che Dio fa per me. Ecco allora che la salvezza è che lui mi ama, non che io lo amo. E che io sia amato dipende da lui, non dipende da me. (è questa la salvezza)

Dei segni gloriosi della salvezza, allora è piena anche la nostra storia presente, ed è su questi segni, con novità e fantasia, che possiamo camminare per vivere la nostra appartenenza a Gesù Cristo.

Tre parole che oggi possono aiutarci a vivere questa solennità e il messaggio di Dio: ti ringrazio (per non dire ti magnifico) Signore per il tuo segno in ciò che mi accade; ti ringrazio (ti magnifico) Signore per la memoria che posso fare della mia storia vissuta in questa Chiesa, in questa comunità; ti ringrazio (ti magnifico) perché in tutto questo tu ti fai mia salvezza.

Segno, memoria e salvezza!

sabato 14 agosto 2021

Una città, un luogo, una promessa ... per sempre

Giosuè 24,14-29 e Matteo 19,13-15


"La città di Sichem, risalente al secondo millennio a.C., diede origine ad una forma di città-stato conosciuta da fonti egiziane, le Lettere di el-Amarna". Il riferimento a questo luogo è molto importante perché ci riconduce ad Abramo che attraversò il paese fino a Sichem, fino alle querce di More, dove Dio fece ad Abramo la promessa della terra e dove Abramo costruì un altare al Signore. Ma è anche il luogo del pozzo di Giacobbe ecc... Il discorso di Giosuè deve perciò essere compreso in questa continuità, come un adempimento di quella stessa promessa. L'altare che Abramo allora costruì, ha ora nella pietra che pone Giosuè come testimonianza, il pieno riconoscimento alla fedeltà dell'alleanza tra Dio e il suo popolo. Ci sono dei momenti nella vita della Chiesa, di una comunità, di un singolo credente, in cui è necessario fermarsi, guardare indietro e ripercorrere la storia che ci ha condotti fino a quel punto. Occorre saper analizzare i propri errori e riconoscere che comunque c'è una "fedeltà a Dio" che ci ha protetti per tutto il cammino che abbiamo fatto. La scelta che Giosuè fece a Sichem, si rinnova costantemente nella vita del popolo, come esigente rinuncia agli idoli del passato e del presente. Anche noi siamo parte di questa assemblea di Sichem e parte della alleanza che il popolo di Israele a più volte promesso e che per noi, ora in Gesù, trova nel dialogo con la Samaritana, al pozzo di Giacobbe la piena comprensione, quale è il fine della alleanza se non la vita nuova, che scaturisce dall'acqua viva!


venerdì 13 agosto 2021

È sufficiente diventare come il maestro...

Sapienza 5,1-16 e Matteo 10,24-28

Solennità di San Cassiano patrono diocesi di Imola


A volte ci capita di strafare, e spesso nel nostro vivere la fede, il nostro stare in comunità e appartenere alla Chiesa, esageriamo, sia nelle aspettative che nelle pretese verso gli altri. Guardiamo a Gesù con meno enfasi e con meno pretesa perfezionista, quasi da dovere imitarne le "performance". Non dobbiamo semplicisticamente imitare Gesù, come discepoli, possiamo attingere all'immenso tesoro del maestro, la sua vita con noi, e lasciare che la vita di Gesù si leghi alla nostra vita quotidiana. Ci saranno esperienze di vita che più facilmente ne verranno trasformare e rinnovate, altre che per i limiti e le ferite che portiamo, non riusciremo a cambiare, ma nonostante questo la vita di Gesù le avrà ugualmente sfiorare e fatte sue. Questo non per giustificare i nostri limiti, ma per riconoscere che tutto di noi è davanti al maestro. Ancora una volta occorre la docilità della vita, che non è una concessione rispetto alla nostra autoreferenzialità, ma è l'approccio nuovo e inedito per essere come il nostro maestro. 
"Ogni istante che Dio ti dona è un tesoro immenso. Non buttarlo.
Non correre sempre, alla ricerca di chissà quale domani.
Vivi meglio che puoi, pensa meglio che puoi e fai del tuo meglio oggi.
Perché l’oggi sarà presto il domani e il domani sarà presto l’eterno". (A. P. Gouthey)


giovedì 12 agosto 2021

Ci condonò tutto il debito

Giosuè 3,7-17 e Matteo 18,21-19,1


Un dialogo, frutto della ingenuità di Pietro e della franchezza di Gesù.
Da una parte Pietro, cerca un paravento, un appiglio alla propria incapacità di perdonare; esperienza che diciamolo chiaramente è anche la nostra.
Esistono per tutti noi relazioni complicate, ferite profonde, rigidità che non riusciamo a vincere, a superare a riempire di perdono. Sono quelle situazioni che ci mettono con le spalle sul muro, e che ci fanno sentire tutta la nostra inadeguatezza rispetto al Vangelo di Gesù. Di fronte a questo limite, il nostro tentativo di superamento cerca una giustificazione: "Signore, (...) quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?"
Rinunciare al proprio limite, non è per nulla facile. Il Vangelo non insegna solo il perdono e la misericordia; Gesù nella parabola parte da un dato di fatto: a ciascuno è perdonato tutto il debito. Fosse è proprio questo che ci sfugge quando siamo nella impossibilità di perdonare. È il peso del nostro debito, il legame, (vincolo), con il nostro limite dal quale non sentiamo la liberazione, che ci impedisce di perdonare realmente al nostro fratello.
Le parole di Gesù ci portano all'interno della vera esperienza di perdono, dentro al superamento delle nostre "fatiche". Il perdono non è una concessione rispetto alla morale giudicante; il perdono, tra due persone che prima di tutto si riconoscono uniti nella fratellanza, rappresenta il primato dell'amore rispetto al tutto della loro relazione. Quando non amiamo, le ferite restano! È l'amore al prossimo la chiave di svolta!
Una consolazione: l'amore di Dio ci precede e ci condona a tutto!

mercoledì 11 agosto 2021

Non cerchiamo giustificazioni ...

Deuteronomio 34,1-12 e Matteo 19,15-20

Santa Chiara d'Assisi

Molte volte nel leggere questa pagina di Vangelo mi sono accontentato di giustificare il percorso di riconciliazione anche lì dove non trova un esito favorevole; d'altronde mi dicevo: “ho fatto tutto il possibile, o messo in gioco tutte le mie possibilità e anche quanto il Vangelo chiede di fare, per cui, cosa altro potrei fare?”
Per una volta mettiamo al muro la paura dell'altro. Il percorso della riconciliazione, così come lo descrive il Vangelo, lo porto fino in fondo solo se, in realtà, ne ho una convenienza, se sono consapevole che mi porta a un vantaggio personale. Dobbiamo ammetterlo. Ci sono relazioni e situazioni critiche  per le quali non siamo disposti a giocarci nulla per darvi soluzione.
Il nostro cuore non è solamente il fulcro dell'amore e del perdono, è anche il luogo del nostro limite, lo spazio delle ferite, l'origine delle durezze. Credo che prima di tutto dobbiamo prenderci cura del cuore. Metterci di fronte alla vita vissuta e a tutto ciò che il cuore custodisce; ma attenzione, mai farlo da soli! La cura del cuore va fatta in due - come minimo -, perché non sarò io a curare me stesso, ma l'amore dell'amico, del fratello. È quella cura di vicinanza e di compassione che ha il potere di sciogliere i nodi del dolore e legare nell'amore per sempre. È nella vicinanza e nella condivisione che le voci diventano una preghiera che il Padre non può non esaudire. 

martedì 10 agosto 2021

Contemplando il cielo stellato

2 Corinzi 9,6-10 e Giovanni 12,20-26

San Lorenzo diacono, martire


Questa notte, in tanti guarderemo le stele, ci spingeremo con lo sguardo verso lo spazio siderale; e come diceva Giacomo Leopardi nell'Infinito: "... Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là di quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete, (...) e mi sovien l'eterno". Ma il nostro guardare il cielo non sarà mai uno sforzo oltre noi stessi, ma parte sempre dal nostro cuore, dal centro della nostra vita, dagli affetti più cari dalle nostre ferite e dai nostri desideri. Tutto questo viene proiettato nell'infinito cielo che ci avvolge come mistero, e come amore, presenza e vicinanza di quel Dio che Gesù Cristo dal cielo porta per sempre sulla nostra terra. È nel guardare il cielo che il nostro sguardo rivela che siamo alla ricerca del mistero che chi pervade, quel mistero di amore che si comprende solo nell'esperienza del dono di sé stessi e nel dono della vita, come chicco di grano che muore nella terra per produrre il frutto di una vita nuova e piena di gioia.
Due frasi accompagnano quindi questa giornata: "Dio ama chi dona con gioia"; e "Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna". Il cielo stellato illumini questa notte fatta di cercatori di stelle cadenti.

lunedì 9 agosto 2021

Come è bello un Dio che ama

Osea 2,16.17.21-22 e Matteo 25,1-13

Santa Teresa benedetta delle Croce


Le parole di Dio rivolte al profeta Osea, misticamente velate nel dialogo all’amore del proprio cuore, rappresentano quelle parole che ciascuno desidera per sé.
Il desiderio di una vera appartenenza nell’amore quale superamento di ogni timore ed esitazione. Essere amati ed amare quanto ci inebria!
La condurrò nel deserto, luogo di solitudine e di seduzione. Dio si paragona a un amato che seduce la propria amata. Parlare al cuore è fare riecheggiare nell’intimità dell’esistenza parole capaci di dare suggestione, pienezza, gioia, compimento. La seduzione per Dio non è un atto finalizzato a una sottrazione, quasi un sedurre per predare, ma è un corteggiamento esemplare per conquistare la propria amata.
Quando la nostra relazione con Dio assume i toni di un dialogo di amore? Quando ci spogliamo della fede teologale fatta di prescrizioni, norme e pregiudizi, per lasciarci riempire dalla fede esperienza di incontro con l’amato?
Il profeta Osea si fa araldo per il suo popolo di questa esperienza di fede, e tanto dovrà soffrire per questo. Ma anche l’evidenza dice che solo l’amore di Dio è capace di dare vero senso ad ogni nostra attesa ed esistenza: “... e tu conoscerai il Signore.”

domenica 8 agosto 2021

Il pane del cielo è una domanda su come amiamo

1Re 19,4-8; Sal 33; Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51

 

Papa Francesco in un Angelus del 2014 ha detto: "... nel discorso sul “pane di vita”, tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, egli afferma: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".

Gesù sottolinea che non è venuto in questo mondo per dare qualcosa, ma per dare sé stesso, la sua vita, come nutrimento per quanti hanno fede in Lui.

Tutto l'agire di Gesù è in questa direzione, fino a compiersi per Giovanni nel gesto della lavanda dei piedi e delle parole che ne seguono. La comunione con Gesù alimenta in noi il dono che ciascuno è chiamato a fare di sè stesso, se vuole essere come il suo maestro.

Che cosa è nella nostra vita il pane del cielo, l'eucaristia di ogni domenica?

È l'amore di Cristo per noi: ecco l'Eucaristia. Amore che si dona, amore che rimane, amore che si comunica, amore che si moltiplica, amore che si sacrifica, amore che ci unisce, amore che ci salva.

La comunione ci suggerisce di vivere relazioni aperte, sincere e vere, capaci di perdono e di comprensione. Relazioni che superano il giudizio e si caricano della possibilità del cambiamento. Quando le nostre relazioni hanno queste caratteristiche?

Credo quando si è disposti sempre a mettersi in gioco e a rinunciare alla propria presunzione di essere già arrivati alla meta: sono nato imparato, mi sono fatto tutto da me stesso, non sono mai stato di peso ad alcuno.

Un aspetto unico e assai bello della nostra fede è la sua intima connessione con la vita. Per questo Dio, accade nella nostra esistenza concreta, attraverso dei segni reali e metafore profondamente radicati nella nostra esperienza umana. Dio vuole farci capire e desiderare quanto è arricchente e capace di dare senso alla nostra vita l’incontro personale con Lui.

Ecco allora che l'eucaristia domenicale lo possiamo riconoscere come l'incontro personale con lui.

Ogni volta che partecipiamo alla Santa Messa non solo ci nutriamo del Corpo di Cristo, ma la presenza di Gesù e dello Spirito Santo in noi agisce, plasma il nostro cuore, ci comunica atteggiamenti interiori che si traducono in comportamenti secondo il Vangelo.

Fatta la comunione dobbiamo disporci prima di tutto ad attrezzare il cuore alla docilità, non posso custodire l'orgoglio!

La docilità alla Parola di Dio è fondamentale per piegare il pregiudizio. Poi dalla stessa comunione nasce il gusto e la consapevolezza della fraternità tra tutti noi, la comunione mi libera dai settarismi, dalle divisioni. È sempre dalla comunione deriva il coraggio della testimonianza cristiana, la fantasia della carità, la capacità di dare e costruire speranza per i miei fratelli sfiduciati ed esclusi. In questo modo l'Eucaristia fa maturare uno stile di vita cristiano. La carità di Cristo, accolta con cuore aperto, ci cambia, ci trasforma, ci rende capaci di amare non secondo la misura umana, sempre limitata, ma secondo la misura di Dio.

E qual è la misura di Dio?

La misura è di essere Senza misura! La misura di Dio è senza misura. Tutto! Tutto! Tutto! Non si può misurare l’amore di Dio: è senza misura! E allora diventiamo capaci di amare anche chi non ci ama: e questo non è facile.

Amare chi non ci ama… Non è facile! Perché se noi sappiamo che una persona non ci vuole bene, anche noi siamo portati a non volerle bene. E invece no!

Dobbiamo amare anche chi non ci ama! Opporci al male con il bene, perdonare, condividere, accogliere. Grazie a Gesù e al suo Spirito, anche la nostra vita diventa “pane spezzato” per i nostri fratelli. E vivendo così scopriamo la vera gioia!

La gioia di farsi dono, per ricambiare il grande dono che noi per primi abbiamo ricevuto, senza nostro merito.

sabato 7 agosto 2021

Come si può amare Dio

Deuteronomio 6,4-13 e Matteo 17,14-20


Se mi guardo interiormente ed esteriormente, il mio amare traduce un sentimento che nasce spontaneamente in me e si manifesta in una totalità di espressioni, fisiche, di scelte e attenzioni concrete, che coinvolgono tutto me stesso. Amare è desiderio di altro da sé, al punto di volersi annullare (donare) nell'altro. Amare è gratuità, è abbandono, è confidenza, è tenerezza, è stima, è priorità, è ... tutto ciò che pone me stesso dopo ciò che ho scelto e accolto come amabile sopra tutto.
Se non mi sono sbagliato nel definire l'amore, come faccio ora, ad amare Dio? Come faccio ad amare Gesù? Amo un ricordo passato, una testimonianza, un libro di Scritture ... una Parola?
Per amare Dio, o meglio per imparare ad amare Dio credo sia necessario sperimentare la ferita del tradimento e il vuoto, cioè il nostro limite nell'amare, è il dramma di non sentirsi corrisposti nell'amore.
È in quel vuoto che riecheggia un desiderio assoluto di sentirsi amati e non traditi, e l'unico che può amarci per primo, incurante dei nostri tradimenti, è solo colui che dandoci la sua vita, amandoci, ci ha generati: Dio.
Dice il Deuteronomio: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze".
Amare con tutto il cuore è bellissimo, perché si percepisce come il nostro cuore può contenere uno “spazio” infinito di amore per colui che amo, e quindi in quello spazio, che è infinito posso anche sentire l'amore di Dio per me.
Amare con tutta l'anima, significa con tutta la mia vita, con tutto il mio esistere; quando appunto sento di potermi fare dono per l'amato/a, questa condizione inaudita nasce dal dono di amore (da Dio) che è origine della mia stessa esistenza.
Amare con tutte le forze, con tutte le energie, tutte le possibilità, anche con tutte le fragilità e i limiti ... La forza è una attrazione indomabile dell'esperienza di amare.
Amare è bellissimo, perché ti riporta sempre a ciò che è vero ... a Dio e ai fratelli, ti riporta in te stesso.

venerdì 6 agosto 2021

Quando il nostro volto si trasfigura?

Daniele 7,9-10.13-14; 2 Pieto 1,16-19 e Marco 9,2-10 - Festa della Trasfigurazione 


Quando Pietro ripercorrendo i giorni vissuti insieme al maestro riesce a ricomporre e rileggere tutta l'esperienza del Monte della trasfigurazione, arriverà a dire: "... vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo ... ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza".
Ha udito, ha visto e ha condiviso qualcosa di straordinario rispetto a quel Gesù che era con loro, e di tutto questo, ora, si sente testimone oculare. La fede in Gesù prende progressivamente spazio rispetto alla suggestione esperienziale. La fede in quel maestro e amico di Galilea, permette di ascoltare la voce del Padre, di vedere il volto di luce del Figlio dell'Uomo e di annunciare un incontro che da solo è capace di dare senso nuovo alla vita di ciascuno. Anche io, posso partecipare al mistero della trasfigurazione nel momento in cui passo dalla meraviglia, alla fede in colui che incontro, in colui che sul monte mi rivela sé tesso. Accogliere questa rivelazione di Gesù, significa iniziare a conoscerlo, e da quella conoscenza nasce la fede in lui, che diviene anche conoscenza profonda di sé stessi. La conoscenza di sé stessi, alla luce la fede in Gesù, non è mai semplice interiorizzazione, essa rappresenta l'occasione per adeguare la propria vita alla vita del maestro, è questa novità che possiamo chiamare la nostra trasfigurazione.

giovedì 5 agosto 2021

Acqua dalla roccia

Nm 20,1-13 e Matteo 16,13-23


Nessuno può pensare di realizzare le promesse di Dio, separatamente e autonomamente da Dio. La condizione del popolo nel deserto è estremamente drammatica: la fatica,  la disillusione, il non vedere all'orizzonte la meta, suscita un senso di sfiducia e una forma di ribellione: "Magari fossimo morti quando morirono i nostri fratelli davanti al Signore! Perché avete condotto l’assemblea del Signore in questo deserto per far morire noi e il nostro bestiame?"
A volte nella nostra quotidianità non riconosciamo nulla che ci permetta di trovare un appiglio e una consolazione che ci rinsaldi rispetto alle promesse di Dio e alla sua vicinanza. Lo scoraggiamento ci conduce progressivamente a rinnegare il vincolo di amore con il Signore (Patto) che in certi momenti siamo stati capaci di accettare e custodire.
Ma la nostra roccia, non è semplicemente una pietra dura nel deserto da cui con un colpo di bastone Mosè fa sgorgare una sorgente di acqua; la nostra roccia è Cristo.
Lui è il nostro appiglio nella fatica e nel disorientamento di ogni deserto. È Cristo-roccia la sorgente dell'acqua cioè della vita, anche lì dove tutto ci può parlare di morte e di fallimento.
Un appiglio è cosa piccola, ma è fondamentale per rimanere aggrappati e saldi, un appiglio può essere sorgente di vita.

mercoledì 4 agosto 2021

La conquista della evangelizzazione

Nm 13,1-35 e Matteo 15,21-28


Gli esploratori, coloro che Mosè invio a vedere la terra di Canaa, la terra della promessa, tornarono e portarono con loro la paura, e suggerirono la rinuncia alle promrsse di Dio: "Non riusciremo ad andare contro questo popolo, perché è più forte di noi".
Rinunciare alle promesse, è l'estremo della infedeltà di ogni uomo rispetto all'amore di Dio, è come dire non mi interessa essere amato da te.
Anche oggi la Chiesa è chiamata a esplorare questo nostro mondo e a mettersi in cammino insieme agli uomini e le donne che incontra e di cui si deve fare compagna di viaggio. È questa ma promessa che Gesù ha fatto, a noi: "di essere con noi se,pre fino alla fine". Ma essere con noi per quale motivo, per fare cosa?
La vocazione della Chiesa, ovvero la sua profezia è evangelizzare. La conquista della Terra di Cana, il compimento delle promesse, per noi oggi è l'evangelizzazione. Rinunciare ad evangelizzare è rinunciare all'amore di Dio per noi.
Anche in un tempo di trasformazione e transizione come il nostro, questa è la nostra vocazione: "La vocazione propria della Chiesa è di evangelizzare, che non significa fare proselitismo, no. La vocazione è evangelizzare. Di più: l'identità della Chiesa è evangelizzare.

Papà Francesco ricorda che il cambiamento nella Chiesa avviene grazie al “discernimento della volontà di Dio nella nostra vita quotidiana e avviando una trasformazione guidati dallo Spirito Santo”, “dono di Dio nei nostri cuori”. Questo è il punto di partenza della evangelizzazione, una riforma che passa da noi stessi e che cambia ogni cosa. Senza idee prefabbricate, senza pregiudizi ideologici, senza rigidità, ma avanzando a partire da un'esperienza spirituale, un'esperienza di donazione, un'esperienza di carità, un'esperienza di servizio.


martedì 3 agosto 2021

Dalla mitezza di Mosè alla nostra ...

Numeri 12,1-13 e Matteo 14,22-36


Non solo il popolo brontola ed è scontento, ma tra i più scontenti ci sono anche quelli che nel tempo erano stati vicini e consiglieri speciali di Mosè: Aronne e Maria, fratello e sorella, esclusi dalla lista dei 70 anziani con i quali Mosè condivide il "governo" del popolo.
Una ulteriore polemica, ma moto utile comprendere come così come Mosè anche noi possiamo essere criticati e giudicati dagli altri per le nostre scelte personali e per le decisioni che attuiamo. 
Il commento del testo a questa lamentela è lapidario: Mosè era un uomo assai umile, più di qualunque altro sulla faccia della terra. Il termine umile traduce l'ebraico: poverobisognosomite. Questa vicenda ci permette di scopre più a fondo Mosè nel suo intimo umano, la sua mitezza. Non abbiamo più davanti il condottiero impavido, l'uomo temprato dal deserto, la guida impassibile che non indietreggia di fronte a nulla; ora davanti a Dio, Mosè rivela tutta la sua mitezza di cuore. La mitezza non è debolezza, non è modestia, la mitezza non è verso se stessi ma è un atteggiamento nei confronti degli altri, la mitezza rivela il bisogno che abbiamo dei fratelli, la mitezza permette all'altro di non sparire di fronte a me, di non essere schiacciato da me.