venerdì 30 settembre 2016

Giobbe 38,1.12; 40,3-5 e Luca 10,13-16
Tiro, Sidone ... Cafarnao, e ciascuno di noi

Queste parole di Giobbe: "Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell’abisso hai tu passeggiato?" Ci introducono nella nostra relazione di fede, e nella memoria di oggi, San Girolamo. Questo grande santo ha dialogato con Dio Padre, attraverso le parole dei profeti; ha parlato di Cristo avendo posato il suo cuore nella Parola fattasi carne; ha dato sé stesso allo spirito, e attraverso lui, lo Spirito, ci ha aperto alla comprensione del mistero di Dio. Tutto questo rappresenta la Sacra Scrittura: introduce nel mistero rivelato dalla Parola. È Dio stesso che ci introduce nella conoscenza di sé stesso, in una relazione di amicizia che è vera conversione esistenziale. Più si è amici di Dio, più si conosce Cristo, più si lascia spazio allo Spirito, allora, si rinuncia alla propria solitudine e si cambia il cuore grazie all'amicizia, alla conoscenza e alla inabitazione.

giovedì 29 settembre 2016

Daniele 7,9-14 e Giovanni 1,47-51
I cieli aperti ...


Se dalla terra guardiamo i cieli, oltre al fascino e al desiderio di infinito, percepiamo la distanza e quasi l'impossibilità di accedervi. In questa logica nasce l'immagine dei cieli aperti, di una realtà infinita e divina che deve trovare una via di comunicazione con chi è sulla terra. In tutto questo, bisogna notare che ciò che sono i cieli viene narrato sulla terra. Come dire che la vita dell'uomo e del creato risuona delle realtà del cielo; un cielo senza la terra sarebbe privo della sua completezza. Nelle parole di Gesù a Natanaele, sono rivolti due chiari inviti: a vedere il re di Israele nella sua pienezza e verità; ma questo vedere si lega a quello del figlio dell'uomo e al vedere i cieli aperti. Gesù nella sua umanità porta il cielo aperto sulla terra, questo è ben più di una porta aperta; è una condizione che non si chiude. 

mercoledì 28 settembre 2016

Giobbe 9,1-16 e Luca 9,57-62
Volpi e aratri...


A una prima impressione sembrerebbero parole durissime, ma per chi ha messo mano all'aratro, risuonano come consolazione. Sì! La consolazione di sentirsi uniti al Signore per quel l'annuncio della parola; per quel operare al regno dei cieli che è stata la sua vita terrena, il suo agire in Galilea e Giudea fino alla croce. La proposta è di mettere mano all'aratro, ed operare per il regno. Fintanto che un discepolo non investe tutto il suo coraggio per il Signore, non avrà mai la gioia di pregustare la meta, gioia che invece appartiene a chi dell'aratro fa il suo indicatore di cammino. Chi mette le mai sull'aratro ha il coraggio di corrispondere al "seguimi/seguirò", ma solo questo coraggio permette di conoscere Gesù nel suo agire, e ci permette di superare una "sequela" da osservatori e accompagnatori "volponi".

martedì 27 settembre 2016

Giobbe 3,1-23 e Luca 9,51-56
La meta del cammino


Ci scoraggiamo per la fatica del camminare, e nelle situazioni di crisi smarriamo il perché del cammino e la visione della meta. L'amarezza e lo sconforto di Giobbe, fanno da sfondo a una vicenda umana che riconosciamo spesso condizione di molti; al punto che la morte, come condizione estrema sembra la soluzione liberante e complessiva. Ma per Gesù la morte non è la meta del cammino, la meta è Gerusalemme. La meta del suo camminare, dalla Galilea, dove le folle lo acclamano; attraverso la Samaria, dove sperimenta il rifiuto; è la città di Dio, la città del Signore degli eserciti; la sua dimora per sempre. Il cristiano attraverso Gesù impara a conoscere la meta e a non confonderla con un tratto del cammino, anche se un tratto impegnativo e che segna profondamente. L'indurimento del volto: "la ferma decisione", rappresenta la consapevolezza di una scelta già fatta fino in fondo, ma la scelta risoluta non esclude la prova e la fatica.

lunedì 26 settembre 2016

Giobbe 1,6-22 e Luca 9,46-50
Il Signore ha dato il Signore ha tolto


Sia benedetto il nome del Signore! Giobbe non attribuì a Dio nulla di ingiusto. Noi invece siamo a sindacare spesso gli accadimenti della storia imputando a Dio le sue responsabilità ... È un modo di porsi diametralmente opposto rispetto al suggerimento della scrittura. Come diametralmente opposto è l'atteggiamento di Gesù rispetto ai suoi discepoli verso coloro che operano autonomamente in nome del Signore stesso.
Sia benedetto il nome del Signore! Questa esclamazione si tinge di "gioiosità" e soprattutto di intimità, quasi quasi a suggerisce di iniziare ogni nostra giornata non con una domanda rivolta a Dio, ma con una esclamazione di lode. Prendiamo la "parte" di Dio e non di chi rivendica qualcosa da Dio.

domenica 25 settembre 2016

Amos 6,1.4-7 /  Salmo 145 / 1 Timoteo 6,11-16 / Luca 16,19-31
Quale valore ha il tempo e la vita ... 

Come ogni parabola, deve provocare, smuovere e introdurre un ragionamento nuovo. Ciò che in questa immagine ci provoca, è il confronto tra la ricchezza del ricco, descritta in tutta la sua ingiustizia: "indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti"; e la povertà descritta con una puntualità disarmante: "Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe". Il confronto si traduce nell'indifferenza della ricchezza verso la povertà. 
È la stessa indifferenza di un mondo che non vuole vedere la povertà che sovrabbonda. Ma questa indifferenza e cecità, possono anche trasformarsi in muri, ma non frenerà il disperato tentativo del povero di entrare nello spazio del ricco. Il povero cercherà sempre di toccare ciò che è del ricco, perché quella ricchezza ... In parte gli appartiene.
Ma la parabola rimbalza immediatamente dalla lettura della realtà ai valori che la determinano. Noi cristiani non possiamo porci nella logica mondana asservendoci alle ideologie dominanti. Noi discepoli del Signore dobbiamo pesare, con estrema cautela le orale rivolte a Timoteo da Paolo: "Tu, uomo di Dio ... tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni".
Ora la parabola orienta il nostro sguardo non più sulle realtà del momento ma sul destino eterno. Mettendo in evidenza quella correlazione tra la nostra esistenza nel tempo e il nostro compiersi nell'eternità. Non due situazioni in contrapposizione e neppure in una semplice successione; ma due situazioni di vita in cui l'una e l'altra gettano luce sul reciproco senso. Ciò che hai vissuto nella realtà è come l'hai vissuta, da consistenza alla vita eterna. Una eternità beata, non è quindi il semplice frutto o la giusta ricompensa di una vita terrena buona; una eternità beata è il modo in cui una vita terrena beata si realizza fuori dal tempo. "Ogni uno si scalda alla legna che ha tagliato", questo impone al presente una dimensione valorale inaspettata... Ma comunque veritiera.

sabato 24 settembre 2016

Qoelet 11,9-12,8 e Luca 9,43b-45
Si è consegnato nelle nostre mani


Quando Gesù afferma che si consegna agli uomini, coro che ascolta restano meravigliati, ma non comprendono. Per loro, come anche per noi, sfugge il senso della consegna ... Perché la consegnare significa anche tradire ... La consegna rappresenta l'esperienza estrema di ogni atto di amore. Chi ama di consegna all'amato; ma chi ama si  consegna anche alla possibilità del sacrificio di se stesso, perché il sacrificio di sé diviene esperienza di vita donata. Nel tradimento, si cela nella iniquità del rifiuto dell'uomo, la passione dell'amore di Dio Padre che ci consegna il figlio come segno di amore. 

venerdì 23 settembre 2016

Qoelet 3,1-11 e Luca 9,18-22
Il Cristo deve risorgere!


L'immagine immediata è quella di una classe di studentelli interrogati dal Maestro. La risposta della classe è corretta, già ascoltata anche nelle parole di Erode. Una risposta scontata, forse semplicemente, perché era di senso comune ... Tutti dicevano di Gesù quelle cose. Ma quando il Maestro, pone la domanda in modo più insistente e puntuale: "ma voi ...", la risposta diventa di senso pieno, carica di rivelazione. Pietro nemmeno si rende conto della portata delle sue parole, questo a confermarci che Dio "ha posto nel loro cuore la durata dei tempi, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine" (Qoelet 3,10-11). Pietro è testimone di come accanto al senso comune della gente, si accompagna anche lo svelamento pieno di Gesù come Cristo; Figlio dell'uomo; Salvatore del mondo, attraverso la sua morte e risurrezione. Possiamo comprendere Gesù a trecentosessanta gradi solo se inseriamo anche la Sua piena consapevolezza circa la salvezza che il Padre opera attraverso di Lui.

giovedì 22 settembre 2016

Qoelet 1,2-11 e Luca 9,7-9
Cose da risorto... 


La comunione di vita con il maestro si traduce in un tirocinio che porta i discepoli ad essere inviati per iniziare in ogni villaggio l'annuncio della buona notizia e guarendo i malati. Di fronte a questa "novità" che si diffonde, crescono anche le domande e le resistenze. Ciò che lascia perplesso Erode, sono proprio le opere compiute da Gesù. Perplessità condizionata anche dal dire della gente, che attribuisce tali opere a un soggetto (profeta, ritorno di Elia, Giovanni battista) vivo o risorto. 
Il movimento generato da Gesù e dai suoi discepoli sta dimostrando la sua efficacia, al punto che Erode cerca di vederlo. Oggi la novità generata dal Vangelo, non si cerca di vederla, anzi, la si eclissa con un nuovo paganesimo di indifferenza. Non si distrugge il senso religioso con l'opposizione, ma prosciugandone il desiderio con l'indifferenza.

mercoledì 21 settembre 2016

Efesini 4,1-7.11-13 e Matteo 9,9-13
"Non venni a chiamare i giusti ma i peccatori"

Frase molto nota e rassicurante, sembra una giustificazione per i nostri limiti e una via di scampo per tanti considerati "peccatori", ma attenzione a non farla troppo facile.
Certamente, Scribi e Farisei, moralisti, non sanno più cosa significa la parola misericordia e si attengono solo alla formalità della legge; ma le parole di Gesù, di conseguenza impegnano il peccatore alla misericordia e al sacrificio. La convivialità non è un semplice "vogliamoci bene!". Essa esprime la "chiamata" del peccatore, passa attraverso il nostro essere peccatori, proprio perché facciamo esperienza di peccato, cioè di una esistenza carente rispetto all'amore di Dio e alla esperienza della sua fedeltà; Gesù propone di accostarci alla sua parola, di accogliere il cambiamento dovuto al Vangelo. Matteo è l'esempio di un peccatore che accolta la parola sceglie la vita da discepolo: lui stesso diviene sacrificio gradito, e lui stesso fa della Misericordia la sua condizione esistenziale. Anche Gesù, come il Padre, vuole Misericordia e in un certo senso anche il sacrificio cioè l'offerta della vita.

martedì 20 settembre 2016

Proverbi 21,1-6.10-13 e Luca 8,19-21
Ti vogliamo vedere ...

Quanto è grande e intenso il desiderio, di una madre, di vedere il proprio figlio?
La forza e l'intensità di quel desiderio corrisponde alle parole di Gesù: "Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica".
Il nostro desiderio di Lui si alimenta in un rapporto fedele e profondo con la Parola; esso si concretizza nell'ascolto. L'ascolto non è la funzione uditiva, ma è risonanza interiore nella vita e nella coscienza delle Parole del Signore. Ascoltare è realizzare che la Parola si compie in ciò che esprime. Ascoltare è sorprendersi di come la parola plasma e "rinnova tutte le cose". Ascoltare è obbedire, cioè vivere nella e della volontà di Dio, mettendo in pratica la parola: dalle lettere alla vita. 

lunedì 19 settembre 2016

Proverbi 3,27-35 e Luca 8,16-18
Diritti e rovesci ....

Criterio interessante quanto provocante: "non negare un bene a chi ne ha il diritto,
se hai la possibilità di farlo". Il diritto non è una mia concessione benevola, o una mia liberalità, il diritto, ad esempio, è insito nella dignità dell'essere umano in quanto tale. Già questo dovrebbe farci riflettere circa lo sguardo che abbiamo verso tanti uomini, donne e bambini che sono sulla faccia di questa terra, nella ricerca del riconoscimento della loro dignità, dei loro diritti. È questa la luce che non possiamo nascondere, noi servi del Dio vivente; non possiamo mettere la luce di Dio sotto un "vaso o sotto il letto", ma la luce è stata accesa perché sia luce a chiunque entra in questa nostra "storia".

domenica 18 settembre 2016

Amos 8,4-7 / Salmo 112 / 1 Timoteo 2,1-8 / Luca 16,1-13
Povertà, povertà, povertà!

Una liturgia della parola che permette di entrare con chiarezza nei principi della dottrina sociale del cristiano, cioè nel tentativo di comprendere come la realtà della ricchezza si colloca nella vita di chi è discepolo di Gesù. Ci sono diversi concetti di base che emergono: un uomo ricco, da lui e di lui è ogni ricchezza. Tutto per il cristiano è in Dio e di Dio, tutto è in relazione alla creazione, nulla si sostiene senza la relazione con Dio, uomo ricco, neppure la ricchezza che è il denaro (che non è una divinità). L'amministratore, gestisce un patrimonio che non è suo, lui lo deve fare fruttare, ma neppure i frutti sono suoi.
In base a questi due principi, già comprendo come sia relativo il concetto di proprietà ... Nel Medioevo, in un modo simile la Chiesa ha sviluppato un concetto alternativo con il quale gestire la proprietà: l'enfiteusi. I beni venivano affidati in modo indeterminato, a un amministratore che usufruiva dei beni come se fossero suoi, garantendo un minimo di affitto, un riconoscimento al proprietario .... Ma la proprietà della massa dei beni (detta mensa vescovile) restava della comunità, che li affidava alla responsabilità del vescovo portempore. In realtà tutto questo corrisponde al modo in cui è possibile vivere la "povertà evangelica".
I beni e la ricchezza, servono per sostenere la vita dell'uomo. La proprietà privata non garantisce la vita dell'uomo, ma la vita di alcuni. Il nostro principio moderno di proprietà privata, un diritto inalienabile ormai, si fonda su una sorta di egocentrismo egoistico. Per questo occorre ricondurlo cristianamente al senso dell'amministrazione oculata e caritatevole dei beni. Amministrare significa esercitare la carità economica, non semplicemente gestire. Anche l'amministratore della parabola intuisce questa necessità, e nel suo essere disonesto, in realtà fa delle scelte amministrative che vanno a sollevare i fratelli dal peso e dalla schiavitù legata al denaro.
La ricchezza e il denaro, sono pure a servizio della libertà, cosa invece che oggi sembra opposta, anzi, ricchezza e denaro inducono il sorgere di schiavitù.
Il discepolo deve educarsi all'amministrazione dei beni della creazione, non al possesso, deve vivere l'amministrazione come servizio all'opera di Dio, non come l'arte del proprio tornaconto.

sabato 17 settembre 2016

1 Corinzi 15,35-49 e Luca 8,4-15
Il seme è vita ...


Il seme gettato dal seminatore, in ogni modo non resta quiescente: quello che cade sulla strada diventa nutrimento per gli uccelli del cielo; quello caduto tra le pietre, germoglia come pure quello tra i rovi, cerca di esprimere la sua vitalità. Quello caduto sul terreno buono adatto alla vita, germoglia e produce frutto: produce possibilità di vita. Ciò che Gesù buon seminatore della parola ci dona, e ci affida, ha in sé una forza di vita che, anche nella minima possibilità, quella della strada, determina la vita (è nutrimento per gli inconsapevoli uccelli del cielo) di una umanità inconsapevole. Accostando le letture di oggi, dalla parabola posso accedere alle parole di Paolo, circa il seme della risurrezione: "... Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità ...". Il seme della parola dischiude alla vita eterna.

venerdì 16 settembre 2016

1 Corinti 15,12-20 e Luca 8,1-3
Compagni di viaggio ...


Nell'immaginario collettivo a fatica si riesce a concepire la quotidianità della vita di Gesù, forse, in forza della risurrezione lo collochiamo già risorto anche durante gli anni di ministero. La quotidianità invece ci parla di amicizia, di incontri e di elezione. Il gruppo di Gesù, non è il gruppo delle masse che lo seguono, è fatto dai dodici amici eletti, scelti nella famigliarità della vita di Cafarnao; poi ci sono diverse donne, legate a Gesù per le loro vicende personali, le quali vivono l'esperienza del "diaconato" in relazione a Gesù stesso e ai dodici; insieme o a partire dai loro beni. Questo gruppo così costituito collabora con Gesù e partecipa con lui all'annuncio del vangelo in città e villaggi.

giovedì 15 settembre 2016

1 Corinti 15,1-11 e Luca 7,36-50 (letture feriali)
Chi ama poco ...

I "segni" di chi ama sono: baci, lacrime, carezze e profumo. L'amore travalica sempre il sentimento è diventa esperienza. Simone il fariseo, non permette ai sentimenti di diventare esperienza; infatti la legge dell'ospitalità prevederebbe questa trasformazione e rappresentazione reale. Simone, più che inospitale è avaro di sentimenti e di "segni" ... Egli conosce la legge dell'ospitalità, ma è avaro e di se non vuole donare nulla, al limite poco! I suoi sentimenti sono stretti. La donna (una peccatrice ... una prostituta) mostra nel l'abbondanza dei segni la sua apertura all'amore. I suoi sentimenti sono larghi!
Ciò che determina i sentimenti, in questo caso, è la coscienza del proprio peccato. La consapevolezza, può diventare una opportunità rispetto all'amore che sana, all'amore di Gesù.

mercoledì 14 settembre 2016

Numeri 21,4-9 e Giovanni 3,13-17
Esaltazione della Santa Croce


La festa in onore della Croce venne celebrata la prima volta nel 335, in occasione della “Crucem” sul Golgota, memoria del ritrovamento della croce. Le vicende successive che riguardano la croce sono: il trafugamento nel 614 e il suo recupero nel 628; come pure il suo definitivo smarrimento nel 1187, quando venne portata nella battaglia di Hattin, dove i crociati, sconfitti, persero il regno di Gerusalemme.
Questa annotazione storica, serve per introdurci nell'idea del mistero che trascende la realtà. Non siamo di fronte a una commemorazione, e nemmeno a un rimpianto nostalgico dei gloriosi crociati, ma siamo chiamati a contemplare il segno della nostra salvezza. Il segno che rimanda a colui che nella croce e raffigurato (un uomo crocifisso), immolato (agnello di Dio) e riconosciuto (INRI). La croce non è più un simulacro o una reliquia, ma nelle parole di Gesù, è il segno che indica che "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna".

martedì 13 settembre 2016

1 Corinzi 12,12-31 e Luca 7,11-17
Il figlio non muore per sempre ...


Un evento della vita, carico di tutta la sua drammaticità, per molti una fatalità. Per Gesù, quel funerale, quel corteo di morte, è una proiezione del suo futuro... La sua commozione, il coinvolgimento viscerale per la madre, ci descrivono il dramma umano e come tutto ciò non sia indifferente al Signore.
"Non piangere" ... "Donna ecco tuo figlio" ... Questa vedova sconvolta dalla morte del suo unico figlio ci porta immediatamente ai piedi della croce, dove la Madre del Signore piange quel figlio che sta per morire. Il figlio unico, non è solo il figlio nella sua unicità, ma è segno della pienezza della vita e dell'amore: quel figlio non può morire. Gesù ridona il figlio unico nella vita alla vedova di Nain, così come ridona il figlio, "Giovanni", a Maria sua madre. Tutte queste immagini convergono in un unico concetto: il figlio di Dio è la vita e l'amore del Padre, quel figlio non può morire.

lunedì 12 settembre 2016

1 Corinti 11,17-33 e Luca 7,1-10
Una fede così grande ...

Questo centurione è veramente "singolare", costruisce la sinagoga di Cafarnao, ama il popolo, si preoccupa del suo uomo di servizio al punto che quando si rivolge a Gesù, non usa il solito termine per indicare il servo/schiavo, ma usa il termine schiavo/bambino/ragazzo. Ciò che è possibile affermare del centurione è che si tratta di un uomo che ama, che ha sentimenti, che vive relazioni profonde. È in questo contesto esistenziale che Gesù riconosce in lui la "fede", quella stessa fede di Israele. La fede è esperienza di Dio e della sua misericordia, la fede è espressione vitale di amore e fedeltà. La fede come adesione a un precetto, è una fede piccola.

domenica 11 settembre 2016

Esodo 32,7-14 / Salmo 50 / 1 Timoteo 1,12-17 / Luca 15,1-32
È misericordia solo se la fai!


Un pastore,  una donna è un padre ... Tre parabole, ma insieme svelano un unico concetto: è misericordia solo se si fa! Ormai, con abitudine diciamo che le parabole della misericordia ci rivelano il volto di Dio, il suo agire come misericordia.
Ma oggi vorrei che ogni immagine ci rivelasse qualcosa di se stessa.
- Dal pastore allora posso imparare che la misericordia è reale solo se arriva fino alla centesima pecora. La misericordia non si accontenta dei tanti gesti, delle tante opere che posso fare, e di cui posso anche compiacermi, ma per essere vera deve essere piena e raggiungere la centesima pecora, quella che si è perduta. Chi è quella pecora?
Quella pecora è il mio prossimo dal quale sfuggo, verso il quale dono indifferente; ma in realtà quella centesima pecora sono io, siamo ciascuno di noi, che deve fare esperienza di misericordia. La misericordia la si impara solo subendola.
- Dalla donna posso imparare che nel fare la misericordia devo coinvolgermi; e magari soffrirci come quella donna che è sconvolta è fuor di se perché ha perso una moneta. Come può fare, quella moneta, una delle sue dieci monete.  È angosciata, accende la lampada, si mette a spazzare tutto, in ogni angolo della casa, con determinazione e con volontà, cerca accuratamente ovunque. Questo agire che non si scoraggia, e non si arrende, è l'agire dei misericordiosi, che ricorrono all'amore fedele di Dio. Proprio questo coinvolgimento porta prima o poi a trovare la moneta perduta. Dove era finita? Era dentro la mia casa, era dentro di noi, lì dove il Signore ci ha usato misericordia. Era persa perché coperta dallo sporco del peccato e dai graffi che feriscono la vita. Il primo pezzo d'oro che è la misericordia lo trovo nascosto in me, e a seguire negli altri, ma è appunto un pezzo d'oro da trovare e da condividere con le vicine.
- Dal padre dei due fratelli, imparo che di misericordia abbiamo bisogno tutti, e che quel padre nulla trattiene per se, la vuole fare a tutti i suoi figli. In realtà tutti ci aspettavamo che il figlio minore si decidesse a tornare, e che il figlio maggiore abbandonasse le sue durezze. Perché non esiste che un Padre, che ama visceralmente il figlio minore, debba rinunciare a lui; non è possibile che un Padre che prega e si umilia davanti al figlio maggiore, offrendo tutto quanto possiede, tutto il suo amore, possa perderlo per una una orgogliosa incomprensione.
Fare la misericordia nella vita cristiana si impone non come un optional ma come una necessità: a partire dal bisogno di misericordia, il bisogno di chi la chiede; e il bisogno di offrire e donare misericordia.
Pensare una vita cristiana senza fare la misericordia non è possibile è concepibile. Sarebbe come pensare a Gesù senza l'amore ai nemici e la predilezione per i poveri.
Fare la misericordia, è allora, ben più di una o molte opere di misericordia corporale spirituale; fare la misericordia significa fare della vita, delle sue difficoltà e delle sue vicende lo spazio in cui la misericordia si impone come esperienza, così come nelle tre parabole di Luca.

sabato 10 settembre 2016

1 Corinti 10,14-22 e Luca 6,43-49
Varietà di alberi...


L'uomo è come un un albero, però un albero strano, con frutti buoni e cattivi insieme. Il limite della parabola è che l'immagine corrisponde solo parzialmente. Nelle immagini raccogliamo anche una suggestione, che l'evidenza della realtà spesso ci affida: ci sono fichi dolcissimo anche fra le spine. Quando ascoltiamo veramente le Sue parole, anche le spine fanno i fichi buoni, e dei frutti cattivi cerchiamo di fare il proposito per redimerli in buoni. Chi ascolta la parola di Gesù, tendenzialmente diventa quella parola, si fortifica e la sabbia cementifici. La fede nella Sua Parola ci conduce ad andare oltre il limite della fragilità che ci accompagna, dischiudendo l'universo di possibilità che è suo dono.

venerdì 9 settembre 2016

1 Corinti 9,16-27 e 6,39-42
Dal giudizio al servizio


La caratteristica del nostro maestro è l'essere "servo", questo non lo dobbiamo mai dimenticare per cui se saremo ben "preparati", saremo almeno dei servi come lui. "Preparati" ... effettivamente, qualsiasi discepolo ha questo come obbligo: imparare dal maestro e mettere in pratica ciò che gli viene insegnato. L'insegnamento non è quindi mai una nozione puramente teorico; nell'esperienza cristiana, ogni insegnamento prevede una espressione esistenziale; ogni "segno" che viene posto, si incide nella vita plasmandola. Il servizio (del servo), infatti, assume un ruolo esemplare nella vita del discepolo; tale servizio è capace di redimere anche quel giudizio duro e senza pietà che rappresenta uno degli aspetti più negativi della nostra umanità. Il giudizio, nel servire il fratello, si converte in un "accudire" con amore anche i limiti e le imperfezioni dell'altro ... In attesa di una vera reciprocità.

giovedì 8 settembre 2016

Michea 5,1-4 e Matteo 1-1-16.18-23
Rivoluzionaria come il Figlio...

"Buon sangue non mente": la docenza materna della B.V. Maria si accompagna alla tenerezza di Gesù, ma entrambi dimostrano che gli atteggiamenti suggeriti dal Regno dei Cieli, non sono debolezza, ma una forza che rinnova la storia a partire da quella vita umana che di generazione in generazione è spazio per la salvezza, cioè per l'amore di Dio Padre per ogni uomo. La Storia della salvezza, dove Maria è protagonista, è la stessa nostra storia, dove Dio sceglie i poveri; questa scelta risulta nella fede quella vincente, ma per il mondo è la perdente. Noi sulla scena di questo mondo, continuiamo a stare in quel paradosso per cui declamiamo la novità della scelta di Dio, e poi continuiamo a fare assegnamento sul prestigio, sul denaro, sull'astuzia e sul potere (cfr mons. Tonino Bello).

mercoledì 7 settembre 2016

1 Corinti 7,25-31 e Luca 6,20-26
Guai ... a chi ha già avuto ...


Per i ricchi, per chi è sazio, per chi ride, per chi è stimato e lodato ... guai!
Cioè peggio per loro, perché ciò che ha occupato la vita ha escluso la tenerezza, la misericordia, la compassione e la consolazione. Ci sono "grazie" del cielo che vengono escluse e emarginate dalle "opportunità" del mondo. Non lasciare che la ricchezza occupi tutte le tue preoccupazioni, non puoi prenderti cura dei "soldi" più che dei fratelli; ogni giorno tieni un po' della tua fame, per ricordarti che le fame è in gran parte del mondo; custodisci qualche lacrima per versarla nella tristezza di chi non ride mai o non può farlo; lasciati umiliare, se sei troppo "gonfio" sarà molto faticoso sgonfiarti per farti passare la porta del regno ...
Le logiche del Vangelo, sono sempre altre rispetto alla nostra sicurezza e convenienza; ma questo lo sperimentiamo anche nel piccolo delle nostre comunità dove prevale la comunità cristiana tipo "condominio" e la spesa al "supermercato dello spirito" ... Per cui  spesso siamo nei "guai!".

martedì 6 settembre 2016

1 Corinti 6,1-11 e Luca 6,12-19
Dove nasce la nostra moralità


Questa mattina le Parole di Paolo risuonano (in senso sonoro e visivo) di particolare bellezza: "né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati ...".
Noi non siamo quello che eravamo, ma siamo ciò che l'essere amati e aver amato Cristo è capace di generare. Da quella condizione di mistero scaturisce la nostra identità e dignità di uomini e donne, figli di Dio. Quasi come una litania oggi bisogna ripetete: "lavati, santificati e giustificati ... in Cristo". È attraverso questa "litania" che la nostra quotidianità tocca il Signore e permette a Lui di "guarire tutti/tutto", la forza cioè la grazia che rende santi non è semplicemente un "flusso buono", ma è lui stesso: toccare la "forza" ... Non sto parlando di "Guerre stellari", ma di fede e di vita!

lunedì 5 settembre 2016

1 Corinti 5,1-8 e Luca 6,6-11
Alzati e mettiti qui in mezzo!


Nel giorno di sabato, nella sinagoga, davanti ai capi, scribi e farisei; in quello spazio ideale che ha in sé tutte le caratteristiche della sacralità, Gesù, pone al centro l'uomo con la mano paralizzata. L'uomo al centro! "Lì nel mezzo"; in mezzo alle nostre cose, anche " in mezzo" a quelle che reputiamo sacre, c'è l'uomo ferito, avvilito, preda delle sua aridità,  incapace di corrispondere all'amore di Dio. Quello è l'uomo che tutti devono guardare, di cui si devono curare. Mettere in mezzo l'uomo, significa riconoscere quella parte di umanità - anche nostra - che necessita della Parola liberatrice di Gesù, la quale sciogliendo e sconfiggendo il male, ci dischiude nella pienezza delle cose sacre, del sabato e della comunione con i fratelli. Trattenere avidamente per sé questi doni - rifiutando la Parola liberatrice - ci trasformiamo in carnefici e uccisori, i quali tramando cercano cosa fare contro l'uomo: "Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù".

domenica 4 settembre 2016

Sapienza 9,13-18 / Salmo 89 / Filèmone 1,9-10.12-17 / Luca 14,25-33
Tra odio e povertà ...


Quell'odiare, detto da Gesù, mette non pochi in difficoltà, per cui gli studiosi si sono messi al lavoro e hanno scoperto, confrontando il senso, i significati i passaggi dall'aramaico antico, all'ebraico, al greco e al latino, che in realtà il contenuto più opportuno sarebbe "amare di meno", non allo stesso modo, amare con una preferenza, una priorità.
Sospiro di sollievo, infatti come sarebbe possibile che chi ci insegna ad amare il prossimo chieda di odiare i genitori, la moglie, i figli?
La proposta di Gesù è una provocazione: "tu Signore ti rivolgi a me, e per convincermi a seguirti, mi scuoti nel profondo" perché nulla di me sia differente alla tua proposta. Oltre alla  necessità di "odiare" i propri famigliari, l'evangelista Luca ci chiama a confrontarci con l'amare di meno la nostra vita, per desiderare la vita come quella di Cristo; e la necessità di amare di più la propria croce. Poi aggiunge che il discepolo deve progettare e inventare il modo attraverso il quale l'essere discepolo si costruisce nella realtà. Ma in ultimo tutto sfocia in un "dunque, ogni uno di voi che non rinuncia a tutti i di sé beni non può essere di me discepolo".
Cerchiamo di comprendere bene. Per essere discepolo di Gesù è necessario progettare il discepolato. Non è frutto di suggestioni o di facili entusiasmi. Un esempio può essere oggi, "Madre Teresa di Calcutta", quella piccola suora che oggi sarà innalzata alla gloria degli altari. Lei per capire come essere discepola del Signore, molto a progettato e  pensato nella sua vita. Non è stato subito facile capire in che modo Gesù le chiedesse di testimoniare il suo amore per lui. E quando Maria Teresa intuisce la strada, quella dei poveri di Calcutta, in quel momento il progetto prende forma e da forma alla realtà. Lei vivendo la povertà riesce ad essere vicina a quei poveri che erano realmente poveri.

Prendersi cura della nostra povertà.
La croce è la scelta dei poveri, fino all'ultimo povero. Gesù in croce ci sta per amore dell'ultimo povero dell'universo, anche quello deve salvare.
Quando madre Teresa di Calcutta dopo le ore passate per le strade portava a casa un moribondo, in realtà portava a casa il corpo esanime e ferito del Signore. La povertà di quell'uomo si attaccava alla sua vita, e lei non poteva che donare sé stessa.
Occorre che la povertà si attacchi alla nostra stessa vita. Occorre imparare ad amare i poveri. Occorre non chiudere gli occhi, con l'indifferenza e lo scarto per i fratelli.
Oggi chi sono i poveri dai quali posso trarre il contagio?
Sono i Cristiani di Aleppo; sono i profughi dalla Libia; sono i terremotati del centro Italia; sono quelli di cui so che un aiuto non guasta mai..

sabato 3 settembre 2016

1 Corinti 4,6-15 e Luca 6,1-5
"... sfregavano le spighe con le mani ..."


Un particolare, a dir poco eccessivo, che ci racconta una ovvietà: cioè come si faceva per liberare il grano dalla spiga, per poterlo mangiare, ma questo gesto semplice per i "moralisti" del tempo è un gesto gravissimo, che infrange la legge del riposo del sabato.
A fronte di questa rigidità e di questo rigore giuridico resta solo la certezza che Gesù è Signore (Kirios) del sabato (shabbat). Il sabato non è un divieto, il sabato è vita, è la festa delle nozze. Lo sguardo di Gesù precede ogni moralismo, e giunge a colmare il nostro bisogno di gioia, di vera felicità. L'uomo è fatto per il Shabbat, per il sabato, e non per essere rinchiuso in un moralismo, ma per fiorire in una morale.

venerdì 2 settembre 2016

1 Corinti 4,1-5 e Luca 5,33-39
Che cosa nessuno può chiedere ...


La legalità e formalità del culto e degli atti religiosi e di fede, imporrebbero una morale estremamente rigorosa: "I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere; così pure i discepoli dei farisei; ..."
La risposta del Signore è "nessuno!":
- mette una toppa nuova su un vestito vecchio ...;
- mette vino nuovo in otri vecchi ...;
- mette in sé stesso un vino scadente piuttosto che un vino buono ...;
Il criterio di novità penetra nella vita cristiana coinvolgendo tutto: sia le relazioni che, pur se vincolate da schemi e dinamiche vecchie, necessitano di una conversione che non si può realizzare con una toppa; sia il rapporto con le "cose" attraverso le quali viviamo: queste non sono adeguate alla novità del Vangelo, quindi anche l'utilizzo della realtà chiede un rinnovamento-conversione.
In ultimo il criterio di novità ci chiede di gustare il mistero di Dio, ciò che è buono non è solo nuovo, ma è ciò che ha il sapore del mistero. A questa "bontà non posso fare l'abitudine" e neppure vivere la frenesia dell'insoddisfazione del cercare sempre una novità che mi possa soddisfare e riempire.

giovedì 1 settembre 2016

1 Corinzi 3,18-23 e Luca 5,1-11
"Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio".

Da queste parole di Paolo alla comunità di Corinto,che vive le sue difficoltà di cammino, giunge per sempre la soluzione di ogni contrasto e fatica: la relazione Cristologica riorienta ogni possibile divergenza e fornisce ai discepoli le coordinate di priorità.
"Tutte le volte che perdono
quando sorrido, quando piango
quando mi accorgo di chi sono
è tutto vostro e voi siete di Dio.
E’ tutto nostro e noi siamo di Dio".

(Canto: Voi siete di Dio)

Quando Pietro sulla barca si butta ai piedi di Gesù, altro non sente se non l'essere tutto di Lui, del Cristo; e Gesù altro non risponde che lui è di Dio, quindi un pescatore di uomini, come Dio è pescatore di uomini!