lunedì 31 dicembre 2018

1 Giovanni 2,18-21 e Giovanni 1,1-18
Un giorno come mille, e mille anni come un giorno solo!

Questa mattina questa frase della 2 lettera di Pietro mi sembrava più appropriata della solita è paganeggiante espressione di "auguri di buon anno!"
Infatti, tutti noi, abbiamo ricevuto l'unzione dal Santo per camminare nel tempo attraverso la verità. La nostra esistenza, allora non sarà mai un rincorrere i giorni e gli anni, in una prospettiva di possibile felicità, ma deve essere una visione piena, una occasione divina: il tempo è come una "dilazione" dell'eternità: è eternità, ovvero la vita di Dio che non si dona in un istante ma che moltiplica gli istanti del suo donarsi.
"Figlioli è giunta l'ultima ora" ... Si è giunta ed è questa; non nel senso di una privazione e di una angosciante assenza, ma nella considerazione della pienezza: il tempo dell'eternità si tinge della presenza incarnata del Figlio di Dio, si corona di esultanza; è annuncio di giorno in giorno della salvezza, cioè del gusto del "tempo" di Dio.
Affidandomi alla fantasia spirituale, oggi vorrei essere sulla Luna, e alzando lo sguardo tra la terra e l'infinito, vorrei risuonare le parole del prologo di Giovanni: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita ..."
Già pregusto quel brivido di timore e stupore, di abbandono e consolazione ... Immerso nell'universo della maestà del Padre ... A lui la gloria per i secoli dei secoli. Amen!

domenica 30 dicembre 2018

1 Samuele 1,20-28 / Salmo 83 / 1 Giocanni 3,1-2.21-24 / Luca 2,41-52 
Stava loro sottomesso ...

Una pagina, quella del Vangelo, dove con lo stile sobrio, attento e discreto, di Luca, ci è data una immagine della famiglia di Giuseppe e Maria alle prese con un adolescente che, come tutti gli adolescenti, è capace di generare non pochi turbamenti, ansie e scontri.
Fare famiglia, educare un figlio ... Non certo cose facili per una giovane coppia, neanche per Giuseppe e Maria. Per sostenere la scelta di Giuseppe, l'evangelista Luca mette in campo un sogno e un angelo a rivelare che in quella scelta si sarebbe manifestata la volontà di salvezza di Dio. Ma non è certamente stato facile neppure per Maria: come giustificarsi di fronte a Giuseppe, e come comportarsi rispetto alle convenzioni sociali di un piccolo paese di pastori dell'alta Galilea. 
Ma è proprio nella quotidianità di una vita insieme, accompagnata dalla presenza di Dio "il segreto" della famiglia di Nazareth. Credo che Maria e Giuseppe superato il turbamento iniziale abbiano deciso di prendere sul serio il loro cammino di santità, attraverso l'esperienza del loro essere copia, di essere padre e madre.
Prendere sul serio il loro cammino di santità ... Questo è il segreto di una famiglia cristiana che non si fa da sola, ma che si sostiene con i doni della grazia di Dio e che lotta contro i peccati, i limiti, le fragilità.
Una santità declinata nelle vicende di ogni giorno ... Per cui, quel salire ogni anno a Gerusalemme, dice ben di più di un semplice o importante e tradizionale pellegrinaggio. Esprime una piena sintonia con una presenza di Dio, che nei comandamenti e nella legge poneva il germe della felicità; una  presenza che di per sé era benedizione di Yhwh.
Ciò che accade a Gerusalemme non credo sia stato un caso isolato in quegli anni nelle vicende della famiglia di Giuseppe e Maria. Come contemperare l'imprevedibilità di un adolescente e quella illuminata arroganza (certe esternazioni di Gesù, avrebbero giustamente meritato una punizione) con la pazienza di colei che custodiva nel cuore e accompagnava la crescita umana e di fede del figlio di Dio. Educare il figlio di Dio, mica roba facile da fare. Noi lo diamo per scontato ... Ma se toccasse a noi? Ma in verità tocca proprio a noi partire da Giuseppe e Maria per ridirci che:
- La Famiglia è ancora attuale non è superata: di fronte al tentativo di disgregazione della famiglia in atto nel mondo occidentale: separazioni; divorzio; convivente; unioni di fatto ... Il panorama è di una fluidità tale che pensare la famiglia come stabilità e indissolubilità di vincoli che generati nell'amore costituiscono il fondamento della vita e delle relazioni di un gruppo determinato,  sembra proprio parlare di realtà vecchie e quasi andare alla preistoria della evoluzione umana.
Nel nostro mondo parlare di famiglia sembra quasi affermare una esperienza contraria alla libertà (mi devo imporre una limitazione alle relazioni, alle possibilità di scelta) e alla possibilità di felicità ... Quanti sacrifici occorre fare per il coniuge, per i figli, per il lavoro ecc ...
Ma è possibile che indifferenza, la disgregazione sociale, il mancato sostegno che si respira sia proprio il frutto di questa deriva dei valori legati alla famiglia?
Un cristiano allora, sa riconoscere nella famiglia oltre che il fondamento maturale, il dono di grazia che è lo spazio della santità ordinaria che si esprime anche "nell'ordinario quotidiano lavaggio dei piatti". Questo significa che distrugge la famiglia, deformarla, spogliarla della sua identità, ha inevitabilmente delle ricadute rispetto alla nostra natura umana e anche rispetto alla dimensione sacrale della vita.
- Il ruolo educativo della famiglia è in ordine alla dimensione umana e della fede: (stava a loro sottomesso).  La Madonna e san Giuseppe insegnano ad accogliere i figli come dono di Dio, a generarli e educarli cooperando in modo meraviglioso all’opera del Creatore e donando al mondo, in ogni bambino, un nuovo sorriso.
Dalla pagina del Vangelo emerge la fatica e l'impegno a educare i figli. Un Gesù adolescente, inquieto, il figlio di Dio, pure lui ha dato filo da torcere ai genitori. La pazienza di fare crescere, senza riversare inutili attese e aspettative; la forza di ricondurre all'obbedienza, non per coercizione, ma per ragionevolezza di fronte allo sragionare compulsivo di chi è giovanissimo; tutto questo esplicita il cammino di vita cristiana, ed è occasione di contemplazione e del mistero di Dio nella vita.
- La famiglia deve riscoprirsi ed esser spazio di fede e di amore: (Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.). È nella famiglia unita che i figli portano a maturazione la loro esistenza, vivendo l’esperienza significativa ed efficace dell’amore gratuito, della tenerezza, del rispetto reciproco, della mutua comprensione, del perdono e della gioia. O ci sono troppi figli feriti, dalle ferite degli adulti e dei genitori, che si sono rivelati inadeguati al ruolo di generare la famiglia e di essere genitori. Adulti, vittime di una realtà sociale e di un mondo che spesso li ha ingannati. Tante situazioni possono aiutare a gestire le difficoltà, ma la medicina per curare le ferite è l'amore che si genera nei vincoli di sangue, quei vincoli che nascono nell'amore tra un uomo e una donna.
Rinnoviamo il segno della "luce della Sacra Famiglia"! Possa essa generare un clima di vera vicinanza tra le famiglie e alle famiglie; solo la fede e solo il Signore possono aiutarci in questo percorso di vera riscoperta umana di ciò che è bello seppur fragile: la famiglia.

sabato 29 dicembre 2018

1 Giovanni 2,3-11 e Luca 2,22-35
Nel Natale ... "già appare la luce vera".

È facile attribuire a Simeone la veste del vecchio saggio, e quindi concludere che le sue parole si addicono alla piena maturità e conclusione di una vita improntata alla conoscenza di Gesù, ma questo significa spesso deresponsabilizzarci.
La Parola di oggi, in questa ottava di Natale, esercita tutto il suo potenziale: "Il comandamento antico è la Parola che avete udito. Eppure vi scrivo un comandamento nuovo, e ciò è vero in lui e in voi, perché le tenebre stanno diradandosi e già appare la luce vera". Quella Parola che ha annunciato attraverso i profeti, la venuta del Messia - ora giunta la pienezza del tempo - è il luogo teologico della presenza storica del Figlio di Dio. È in questa sua piena manifestazione che è una "Parola nuova"; nuovo comandamento per la vita morale, nuovo cammino Spirituale e nuova grazia per portare a pienezza la nostra stessa natura; infatti la novità è in Gesù ("e ciò è vero in Lui") a cui la Parola si riferisce e da cui la Parola ha origine; "e in noi" che ascoltiamo la Parola e la facciamo parte della nostra vita.
Anche i miei occhi vedono la tua salvezza preparata da te e offerta a ogni uomo, perché tu sei luce che illumina ("luce per rivelarti alle genti") e rivelazione della presenza di Dio Padre ("gloria di Israele"). La nostra esistenza cristiana fa costantemente esperienza della tenebra nel limite morale e nella fragilità del peccato e della stessa nostra natura umana, situazioni che si caricano di colpevolezza, altre che evidenziano un limite e la mancanza di libertà e volontà. La novità della Parola, la sua luminosità è il percorso di umanizzazione attraverso l'imitazione di Cristo. La nostra natura diventa umana, sempre più umana, nel fare proprio il comandamento che è la Parola, e realizzando nella vita quel rimanere in Lui che come dice Giacomo nella 1 lettera: "Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato", così in lui l'amore di Dio è perfetto!

venerdì 28 dicembre 2018

1 Giovanni 1,5-2,2 e Matteo 2,13-18
Santi innocenti
Tra fede e storicità

Oggi la chiesa ricorda nella Liturgia i Santi innocenti. Prendendo l'immagine del Vangelo di Matteo, ci viene proposta una pagina particolare in cui storia e tradizione su Gesù tendono a identificarsi. Profezia di Geremia; Betlemme, città di Davide; censimento; nascita di Gesù; il re Erode; spietatezza di un monarca (ucciso anche i suoi figli); testimonianza dei Magi; fuga in Egitto ecc...Tutto questo condensato in una manciata di versetti. Quanta tradizione? Quanta storicità?
La liturgia della Chiesa si fonda molto sulla Tradizione, la quale, ha sempre una radicalità in una certa storicità dei fatti narrati. Molti degli studi recenti, sulla storicità dei Vangeli - suffragati anche dalle recenti scoperte archeologiche - mettono in evidenza la stretta relazione tra il Gesù della fede e il Gesù storico e come la narrazione dei Vangeli non è aliena da questa tensione. Così anche i vangeli dell'infanzia, non sono racconti di fantasia o tradizione abilmente strutturata per suffragare certe tesi della tradizione antica. Ecco che la strage degli innocenti si lega alla drammaticità degli eventi legati alla nascita di Gesù, e soprattutto alla figura spietata di un re (Erode il grande), che in più circostanze non si è fatto scrupolo di fare uccidere anche dei bambini. Ma la Liturgia non celebra la storicità, ma rivela il senso pieno della fede, portando alla luce il mistero di Dio e la salvezza che si evince dalla testimonianza di tutti coloro che associati al sacrificio di Cristo versano il sangue per amore della verità. I santi innocenti innalzano, oggi, dall'altare la voce di tutti i perseguitati, ingiustamente oltraggiati nel loro corpo fino ad essere soppressi, per spregio della verità e dell'amore; tutti sono misticamente e realmente uniti a Cristo: "È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo".

giovedì 27 dicembre 2018

1 Giovanni 1,1-4 e Giovanni 20,2-8
Festa di San Giovanni Evangelista
Il verbo della vita!

Il racconto del Vangelo, oggi ci riporta alla testimonianza oculare dell'evangelista stesso. Evidente è il tono narrativo: la dinamicità di quei minuti che sono riempiti della corsa di Maria Maddalena che dal sepolcro va al cenacolo; il grido di angoscia: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro ..." ; a cui corrisponde, in successione, che nessuno dei discepoli conosce il luogo in cui Gesù si trovi in quel momento, e soprattutto che altri potrebbero essere artefici di quella sottrazione: "... e non sappiamo dove l’hanno posto!" È una situazione di sconforto quella che avvia la narrazione dell'ultimo capitolo del Vangelo nella sua prima redazione. La scena, senza interruzioni, si trasferisce al sepolcro, sempre di corsa. La distanza tra i due luoghi è colmata dalla corsa di Pietro e Giovanni, che trascina nel sepolcro ogni discepolo. Tutti arriviamo per primi al sepolcro e ci accostiamo increduli, ma attendiamo che arrivi Pietro. È Pietro il "notaio" di questa situazione surreale, egli è colui che garantisce ogni altra testimonianza: "... entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte". 
Pietro osserva come in quel luogo di sepoltura qualcuno ha compiuto un gesto che è fuori posto: ha piegato il sudario e lo ha riposto a parte. Perché questa annotazione? Perché ci testimonia l'imbarazzo e incredulità rispetto all'evento. Qualcuno in quel sepolcro ha compiuto un gesto che solo un vivo può fare, un gesto che esprime una esplicita volontà, quella di segnalare una presenza attiva, viva ... L'inquinamento delle "prove" della morte!
Per i due discepoli (Pietro e Giovanni) quel segno rappresenta la conferma che Gesù ha vinto la morte, che egli è vivo! Questa testimonianza oculare (essi stessi hanno visto) è fondamento della loro fede e della fede delle loro comunità: "... quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita –  (...) –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi ..."

mercoledì 26 dicembre 2018

Atti 6,8-10.7,54-59 e Matteo 10,17-22
Santo Stefano primo martire
Eco della buona notizia ...

Appena ieri abbiamo ascoltato la voce dell'angelo che diceva: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore". Questa è la buona notizia del Natale che diviene riconoscibile nel corpo di un bimbo, nel corpicino di Gesù, che avvolto in fasce giace in una mangiatoia nella stalla fuori Betlemme. Il salvatore è dato, donato, quasi come un cibo da condividere, un cibo destinato a tutti i poveri, a tutti gli affamati, a tutti gli scartati. La mangiatoia è una immagine stupenda della mensa del Signore "chi mangia di me, vivrà per me". Ecco allora che Stefano, come pastore del gregge del Signore, anche lui è convocato dalla buona notizia del salvatore del mondo. Invitato alla mangiatoia del Natale per gioire della visione del messia bambino, ora ne da testimonianza attraverso il suo servizio di amore, di carità, attraverso il servire la "mangiatoia". Distribuite nelle tavole della mensa dei"poveri",  il cibo che il corpo stesso del Signore. Stefano è testimone della buona notizia annunciata dagli angeli, al punto che per lui il cielo non è solo quello della notte di Natale, ma per lui i cieli sono aperti fino a contemplare la gloria di quel bambino. Esiste un legame mistico, tra il Natale di Gesù, ciò che accadde in quella notte, e la testimonianza di Stefano;testimonianza resa al suo Signore e Salvatore, fino al sangue versato per e come Cristo: "E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato", ma nulla può arrestare la testimonianza della buona notizia!

martedì 25 dicembre 2018

Santa Messa del Natale del Signore
"... è apparsa la grazia di Dio,
che porta salvezza a tutti gli uomini ..."

Tutta la triplice liturgia di questo Santo giorno di Natale: la Messa solenne di questa Notte, quella della Messa dell'aurora di domani mattina e quella della Messa del giorno di Natale, ci consegnano una esperienza concreta, ci consegnano il Dio con noi, colui che i profeti hanno annunciato ci è dato, è nato davvero, non è una favola di altri tempi.
I vangeli ci riportano il momento in cui Maria, sua madre "Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia ..."; una nascita che non resta nascosta agli occhi dei poveri, dei diseredati, dagli scartati del mondo per bene, cioè i pastori che sostavano con le greggi nelle grotte vicino a Betlemme (a Beit Sahur), essi "Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro".
Quella nascita rappresentò da subito qualcosa che ancora oggi - nonostante il mondo per bene della civiltà occidentale si prodighi per esiliarlo dalla vita umana - ci provoca nel bene, ci interroga nel nostro essere uomini e donne figli di uno stesso Padre: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità ...".

Ecco che allora come oggi, la nascita di Gesù rappresenta un fatto che trova nella nostra storia un momento di estrema concretezza; così come sono concreti il parto di Maria e come lo è la difficoltà legata agli avvenimenti: il viaggio, il censimento, la grotta, la mangiatoia; sono concreti pure Giuseppe, i pastori, gli abitanti di Betlemme che vedono quel bambino; sono concrete le visioni, le voci di angeli che raccontavano in terra la gioia di Dio in cielo; è concreta la carne di quel bambino, come di ogni nato di uomo, che è, ora, la concretezza della carne di Dio!
Questa concretezza ci porta alla gioia di Dio sulla terra, La gioia di Dio in cielo ... è ora sulla terra, nel suo figlio fatto uomo: "et verbum caro factum est". Ecco la grazia e la verità. In esse dobbiamo intendere il donarsi di Dio all'umanità e ad ogni uomo, e la verità di un evento, di un fatto che è vero nella carne, nella carne dell'uomo.
Ecco che il Natale mi porta a riconoscere la carne di Dio nella carne del fratello. È la carne dell'uomo che oggi risuona del mistero del verbo incarnato.
Cercare Dio, oggi significa cercare Dio e il suo essere nell'uomo! Dove c'è l'uomo, lì c'è Dio.

L'Arcivescovo di Modena, Monsignor Erio Castellucci, mio insegnante di Ecclesiologia al tempo del seminario, nel suo messaggio natalizio così unisce la concretezza della nascita di Gesù alla realtà di oggi, dice:
 La stalla di Betlemme diventa il centro del mondo, l’incrocio dell’accoglienza della vita nascente e l’ospitalità dei poveri.
La stalla di Betlemme diventa la casa della vita nascente e della vita indigente.
L’accoglienza di una vita spuntata dal grembo e di una vita uscita dal barcone sono gli indicatori del grado di civiltà di un popolo.
Non l’uno o l’altro, ma l’uno e l’altro.
Betlemme unisce ciò che spesso gli uomini dividono, e i cristiani stessi separano, schierandosi tra due file contrapposte: quelli che difendono la vita del grembo e quelli che difendono la vita del barcone. Come se fossero due vite dotate di diversa dignità, come se le fragilità fossero di serie A e di serie B.
La vita è vita: punto. Che sia nel grembo o sul barcone, trae la sua dignità dal fatto che esiste, che c’è, e non dal corrispondere ai criteri esterni imposti da una società.
(..) Sono inaccettabili per la coscienza perfino le leggi e le norme dello Stato, quando permettono e programmano lo scarto della vita nel grembo o nel barcone, quando legalizzano sommariamente i respingimenti di chi chiede di vivere, venendo alla luce o sbarcando sulla terraferma.
(...) Concentrandosi nella Notte di Natale su quella stalla, la Chiesa riaccende una semplice e grande verità: la vita va accolta. Alla porta della locanda del cuore umano non si può appendere il cartello: “chiuso per indifferenza”. 

Ecco che allora che la bellezza di questa notte è la concretezza della nascita di Gesù! Essa mi interpella sul mio essere cristiano, e sul come esserlo. 


Non pensiamo di fuggire alla tristezza e all'angoscia del nostro tempo, se rinneghiamo la sacralità della carne dell'uomo. Ci saranno pure tanti colpevoli compromessi, ci sono pure i mercanti di profughi con cui misurarci, ma se chiudo la porta all'accoglienza anche di un solo uomo, anche del peggiore, in quella esclusione rinuncio ad accogliere il mistero di Dio.
Santa Messa del giorno di Natale
Isaia 52,7-10 / salmo 98 / Ebrei 1,1-6 / Giovanni 1,1-18

Nel prologo (ovvero l'inizio, il principio) del Vangelo di Giovanni possiamo ricoprire, non solo una prosa teologica che descrive in modo solenne il mistero del "Dio con noi", ma anche alcuni aspetti della storia di Gesù, che Giovanni e la sua comunità hanno custodito, e che sono oggi per noi fonte di verità; sono rivelazione del pensiero di Dio.
Partiamo dalla "Luce vera" che venne nel mondo. Giovanni paragona alla Luce di una aurora il venire nel mondo del figlio di Dio. Questa Luce non è solo uno strumento per illuminare, questa luce diviene parte del mondo, dotando il mondo di luce. Il mondo con Cristo è capace di irradiare il mistero di Dio, è capace di conquistare spazio alla tenebra.
Al di là di ogni rilettura storica, e contemporanea, la luce che è Cristo permette a ciascuno di riconoscere che la sua vita, la sua esistenza è da Dio, e che ha un senso, una dignità e un valore proprio perché è da Dio. Nessuno si dà vita da solo. La Luce permette di vedere come la tanto declamata e desiderata eternità è possibile solo a partire da questa vita, da questo esistere nel tempo, nel nostro tempo.
È da questa prospettiva che Gesù, Luce, sorge come il sole nascente, ed è a partire da questo suo sorgere che di pari passo si leva pure la nostra responsabilità personale o corresponsabilità rispetto al mondo.
Nonostante la non accoglienza di Gesù, e la non accoglienza in generale, la Chiesa cioè i cristiani non possono mai declinare la propria responsabilità di essere segno dell'amore di Dio per l'uomo.
Noi cristiani sappiamo di essere figli di Dio, ma non basta saperlo, occorre anche viverlo, sentirlo. Cosa significa essere figlio di Dio?
Dice Giovanni, a coloro che credono in lui, in Cristo, ha dato di essere figli di Dio. Non dipende dai singoli, ma è dono che diviene evidente ed è dato nella fede (relazione esistenziale). Essere figli, passa attraverso il desiderio di appartenere a Cristo, di essere parte con Lui del mistero di salvezza. È essere dei suoi che permette di sentirsi figli ... voluti (esistiamo nella sua volontà); amati (il Padre ci tiene nel suo grembo, nella sua tenerezza misericordiosa ); generati (alimentati dal dono della sua vita divina).
Se sono voluto, amato e generato, non potrò mai essere indifferente rispetto al mondo, e alle vicende degli uomini e donne di questo nostro tempo. Se sono indifferente è come se stessi spegnendo la luce che è in me; come se stessi spegnendo la luce che è Cristo in me.
Giunto a questo punto è chiaro come per la comunità di Giovanni, diventa importante riconoscere che Gesù abita in loro e in mezzo a loro che ha realmente preso la carne dell'uomo come segno della eternità. La carne è il cardine della salvezza, cioè della vita eterna, la vita di Dio.
Il sole che sorge irradia grazia e di verità, ecco perché il figlio di Dio non può essere portatore di menzogna e di tenebra, se lo è, lo è solo perché rinnega la luce e oscura il sole nascente dall'alto.
La Chiesa oggi, guardando con intensità il verbo di Dio fatto carne, riscopre la sua luce che si irradia dal volto di ogni uomo, perché siamo tutti amati da Dio. Anche i clandestini, sono amati da Dio, anche i profughi sono amati da Dio, anche i diseredati sono amati da Dio, anche colori che noi scartiamo sono amati da Dio.
Potrò io essere indifferente a questo amore? La luce di Cristo, illumina questo amore e lo rende riconoscibile è ripetibile.

lunedì 24 dicembre 2018

2 Samuele 7,1-16 e Luca 1,67-79
Vigilia del Natale
"ha suscitato per noi un Salvatore potente nella casa di Davide"

Come è bella la Parola della Vigilia del Natale; quale attesa viene a compiersi ... superiore a ogni solstizio invernale. Nelle parole di Zaccaria riportate come preghiera e cantico di lode, Dio trasforma tutta la sua potenza e la forza delle sue promesse nella tenerezza misericordiosa ... che viene a viene a visitarci dall'alto come il sole che sorge (il vero sole invitto "sol invictus"). La tenerezza misericordiosa ci riporta tutti nelle viscere materie del nostro essere concepiti e generati alla vita. Ci riconduce al grembo vitale di Dio Padre, al calore di un amore divino che è eternità beata, premessa della nostra vita e compimento della nostra eternità: è l'amore che ci salva ... È il salvatore potente.
Questa tenerezza misericordiosa non è una novità del Vangelo; essa ha nel Vangelo, che è Gesù Cristo, una piena rivelazione, ma era già anticipata nelle profezie dell'Emmanuele, del Dio con noi. È la tenerezza che traspare anche nelle parole di Natan, quando parla a Davide, ormai Re forte e potente. A Lui Dio parla richiamando alla memoria quel ragazzetto, gentile di aspetto, fulvo e dagli occhi belli, che conduceva al pascolo le pecore di Iesse suo padre. Dio ricorda a Davide come lo ha scelto non per la forza ma per il suo cuore, e che il criterio di Dio era la tenerezza misericordiosa che ha pietà di ogni infedeltà, angoscia del popolo (gregge) di Israele. È proprio nella tenerezza misericordiosa che Dio Padre assicura al suo consacrato una discendenza e un casato: "io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio".
In forza di questa tenerezza misericordiosa, oggi 24 dicembre, ci prepariamo a offrire/dare la nostra umanità al Padre, perché anche in noi il verbo di Dio trovi il suo casato (trovi casa/trovi dimora), oggi ci immergiamo di nuovo nel grembo misericordioso della tenerezza di Dio Padre: Buona confessione!

domenica 23 dicembre 2018

Michea 5,1-4a / Salmo 79 / Ebrei 10,5-10 / Luca 1,39-45
Un abbraccio per Natale 

Di fronte al declino della civiltà post Cristiana, in cui la "buona notizia" della nascita del Salvatore rischia di non essere più presa sul serio e di tradursi in una fake news, l'immagine del Vangelo ci riporta a una condizione necessaria per vivere in modo pieno e dare testimonianza al nostro vivere questo Natale.
Forse crediamo che il mondo torni ad essere cristiano nella Santa notte; il nostro mondo a ben poco di cristiano ... nemmeno la superficialità di una spolverata di zucchero a velo.
In una scuola materna il 18 dicembre scorso è andato in scena la rappresentazione natalizia, un vero tripudio di fantasia e di plagio dei contenuti!
Che cosa è il Natale?
Il Natale è il male dilaga nel mondo e colpisce la natura ferendola e uccidendola, sono dei diavoletti gli artefici di questo male. Ma Zeus (divinità pagana del mondo greco) manda i suoi elfi e gnomi a lottare contro i diavoletti e a vincerli, in modo che la natura possa rivivere e rifiorire. A questo punto il trionfo di Zeus si manifesta con l'arrivo del principe del mondo salvato: Babbo Natale che porta i suo dono per rallegrarci!
Complimenti, un vero capolavoro di incultura ione del nulla e dello scetticismo.
Complimenti per l'ipocrisia di fondo ...
Ma non c'è da meravigliarsi ... Perché al di là di una cultura post Cristiana ora possiamo parlare anche di neopaganesimo cristiano. Non c'è da stupirsene se c'è chi oggi in Italia ha venerato il Dio Po' del nord del paese ... Di credenti che riescono a fare sintesi tra un credo professato male e un paganesimo che ha ancora tutto il suo fascino, sembra, ma  che è certamente più facile e meno esigente di una vera scelta di fede, con tutto ciò che comporta per la vita.
Giunto a questa quarta domenica di avvento, mi sorge una domanda: "vogliamo celebrarlo realmente il Natale, oppure ci accontentiamo dei regali?
Parlare di Dio che si fa carne significa ripensare tutto il nostro modo di considerare gli altri uomini ... La loro dignità; i loro diritti inalienabili; la giustizia come primario valore da perseguire. Ci mette in coscienza di fronte alle aberrazione dei totalitarismi, nazionalismi, dei sovranismi e delle strumentalizzazioni religiose per suffragare un pensiero che ben poco hanno più di cristiano ... Anzi nulla ...
Credo che il Vangelo di oggi possa dare una immagine importantissima per chiunque voglia dare un senso pieno al Natale: un abbraccio tra due donne che vivono la loro storia personale immerse nell'esperienza della fede e di Dio. Chiunque, non importa l'età (anche a settant'anni), ha bisogno del conforto di un abbraccio, di essere tenuto stretto, di un'espressione concreta d'amore. Spesso diventiamo troppo riservati, troppo timidi per mostrare i nostri veri sentimenti. E allora li nascondiamo dietro una maschera fredda e severa, per la paura di lasciar intravedere la nostra vulnerabilità a coloro che amiamo; è solo il calore umano che ci può salvare dal grande freddo di quest'epoca.

sabato 22 dicembre 2018

1 Samuele 1,24-28 e Luca 1,46-55
Il grazie esistenziale!

Oggi ricevo un bel regalo - "grazie!"-, ma ecco che tutto si esaurisce nel possedere l'oggetto donatoci; il grazie oggi, è una formalità, è una espressione di buona maniera.
Nella storia di Israele, nella rivelazione del Regno dei Cieli, in tutto ciò che riguarda la Salvezza, il "grazie" non è conveniente alla forma, ma esprime una nuova condizione di esistenza.
Nella prima lettura di oggi, la gratitudine risuona ancora come la grazia ricevuta, che diventa a sua volta occasione di dono: ciò che ho ricevuto senza alcun merito e per puro dono di amore (il figlio, Samuele), ora, è quel figlio "richiesto" per il Signore. Anna, la mamma di Samuele ha vissuto la grazia ricevuta (il figlio) come una continuo ringraziamento, come restituzione aggiornata del dono. La gratitudine diviene così partecipazione/restituzione della mia stessa vita rigenerata/rimotivata nel dono ricevuto. 
Anche per Maria, accogliere il mistero di Dio, diviene occasione di gratitudine. Maria a differenza di Anna, non ha chiesto nella preghiera nessun figlio; forse ha solo chiesto di essere felice, di poter essere una buona moglie per Giuseppe; forse ha affidato a Dio l'uomo (ragazzo) di cui era innamorata; al più si sarà affidata a Dio per compiere sempre la sua volontà! Per lei la grazia/dono, è la vicinanza unica e irripetibile di Dio, attraverso quella Parola Angelica (verbum Domini) che si fa carne. Ed ecco che la sua vita si trasforma in un dono; non è semplice accoglienza di un dono misterioso, è la sua stessa vita che diviene dono, cioè offerta in gratuita per dare forma alla salvezza dell'uomo.
Ecco che Maria si dona per amore al Signore, e con il figlio suo, diviene essa stessa un meraviglioso grazie che si eleva dal nostro mondo alla fonte dell'amore eterno: "L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ..."
Oggi, anche io, provo a vivere questo giorno, in tutto ciò che pierò, con gratitudine!

venerdì 21 dicembre 2018

Cantico 2,8-14 Luca 1,39-45
Il senso del nostro "attendere/accogliere"

La liturgia a tinte forti tratteggia questi giorni in preparazione al Natale come Avvento, ovvero attesa. Attesa del Signore che viene a visitare il suo popolo, ma ancor di più di una attesa si tratta di un accogliere il "verbo incarnato" (et verbum caro factum est). Accogliere è più appropriato di attendere; attendere pone in rilievo la successione del tempo, proiettata nel momento del compimento, accogliere mette in evidenza la nostra predisposizione a fare spazio a colui che viene; questo è indubbiamente meglio!
Il primo capitolo del Vangelo di Luca - inizio del Vangelo dell'infanzia - ha come protagonista l'accoglienza: tutti coloro che vivono l'avvento del Messia in realtà si pongono nella concreta esperienza di coloro che accolgono, che imparano e si misurano con il suo "esserci"!
Nulla è al caso, Maria, la principale protagonista di questa accoglienza è il riferimento della accoglienza di tutti coloro che attendono con fede e speranza (Elisabetta,Zaccaria, Giovanni, Giuseppe, i vicini di casa, i pastori, le città della giudea ...); l'accoglienza supera l'attesa coinvolgendoci attivamente nel preparare la nostra vita, nell'abitare in noi stessi alla presenza del Figlio di Dio
Maria stessa sperimenta questa accoglienza e si confronta con essa anche proprio nel fare spazio in lei alla cugina Elisabetta, anch'essa in stato di accoglienza. L'accoglienza non annulla la condizione ordinaria del quotidiano ma ne diviene parte in tutti i suo aspetti di grazia e di limite. Anche il limite diviene spazio in cui maturare l'accoglienza: il mutismo di Zaccaria; la fatica di Giuseppe; il turbamento di Maria ...
Accogliere significa permettere al Signore di cambiarci, di cambiare il corso delle nostre "cose" quelle alle quali tanto siamo affezionati e con le quali ci leghiamo affettivamente ed effettivamente. Accogliere e abituarci alla sua presenza! Non è normale abituarsi alla presenza di Dio; questo passo di disponibilità chiede alla nostra natura umana una esperienza di affidamento che mette in evidenza la nostra pigrizia spirituale. Maria per prima, si alza in fretta e si mette in cammino verso le montagne della giudea ... superando le sue "pigrizie" e imparando che accogliere il Messia è questione di ogni giorno della vita.

giovedì 20 dicembre 2018

Isaia 7,10-14 e Luca 1,26-38
L'annuncio

La nostra fede personale è costellata di atti di affidamento e richieste di segni capaci di dare conferme e sicurezze; è tutta una "cosa" umana ...
È una esperienza che ha talmente bisogno di concretezza, al punto di produrre tutta una serie di immagini per rappresentare umanamente il mistero; ed ecco che il concepimento, ossia l'incarnazione del verbo, diventano evidenti nell'Angelo che annuncia alla Vergine la Parola ...
A volte occorre essere molto decisi e passare oltre le rappresentazioni per immagini e andare diretti al mistero. Luca ha cercato di fissare nelle lettere più che un incontro, un dialogo, una allocuzione interiore di Maria, la quale meditando le Parole e le promesse fatte ai padri, scopre, attraverso ciò che accade attorno a lei (la cugina già avanti negli anni che è incinta) che l'esistenza e la vita, in forza della fede, portano in sé una straordinaria possibilità di stupire. Sua cugina Elisabetta "aspetta" un bambino, un figlio atteso e sperato per anni ... ora è donato ... ed è accolto come una grazia di Dio.
"L'Angelo Gabriele fu mandato ..." ecco che la vita di  una giovane ragazza di Nazaret diviene cassa di risonanza della Parola, ed Ella si sente toccata e provocata al punto che ciò che accade in lei diviene timore (paura) e stupore (domande). Come giustificare quel bambino che è concepito in lei è che cresce al pari della consapevolezza della Parola di Dio?
Maria sperimenta quel "nulla è impossibile a Dio", e percepisce sé stessa come segno, per questo la sua Fede si apre al mistero e diviene capace di un affidamento progressivo, pieno, e durevole: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola".
Noi non siamo spettatori di un dialogo antico (l'Annunciazione) ma partecipi nella fede del mistero dell'Incarnazione. Anche a noi viene chiesto di ascoltare la Parola e meritarla nella vita perché possa radicarsi e incarnarsi in noi per essere evidente nei gesti e nei pensieri. Il figlio di Dio nel grembo di Maria ci interpella nella parole stesse dell'evangelista: "Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine".
Che cosa significano per noi queste parole? Quale relazione stabiliscono con il Dio dei Padri? Essere discepoli del figlio dell'Altissimo, cosa mette nella mia vita quotidiana? In quale misura il suo regno trova in me un "buon amministratore" affidabile?
Forse queste domande sono le stesse che risuonavano nel cuore di Maria e alle quali Ella si affida timorosa e stupita.

mercoledì 19 dicembre 2018

Giudici 13,2-25 e Luca 1,5-25
La nostra sterilità e la fecondità di Dio

Le pagine della scrittura di oggi descrivono il dramma di due donne che, con dolore, testimoniano la loro impossibilità di essere madri; le parole dell'Angelo del Signore, riapre alla speranza e alla certezza che la loro preghiera e il loro desiderio sarebbe stato lo spazio della fecondità di Dio. Cosa intendo per fecondità di Dio? Intendo la possibilità di esprimere il dono della vita. Nel figlio annunciato viene donata anche la promessa della vita divina, come manifestazione della salvezza, capace di generare i figli di Dio alla vita eterna. Le vicende reali della vita di Anna, di Manòach, di Elisabetta e Zaccaria ci permettono di comprendere come la nostra sterilità si rinnova in ogni ripiegamento e in ogni chiusura alla grazia (a partire dal dono della sua Parola). Oggi poi, nel dilagare del paganesimo cristiano, assistiamo alla rivincita del demonio (travestito di indifferenza e insensibilità, di superbia della vita e orgoglio, di odio e razzismo ...) rispetto alla nostra cultura scristianizzata. Il demonio è portatore di parole di sterilità; essa non più identificata nella privazione della vita eterna, viene invece adottata come condizione di una vita comoda (per i "beni" di cui si può godere).
Assistiamo inermi nelle recite natalizie, luogo educativo per i bambini, al ritorno delle divinità pagane protagoniste di una favola che si sostituisce al senso cristiano dell'incarnazione, a vantaggio di figure come diavoli, satiri ed elfi, e al principe del Natale che è "babbo natale". La sterilità assume il tratto del dramma, della incapacità umana di aprirsi alla vita di Dio. La sterilità è preludio della morte e della solitudine esistenziale. L'annuncio dell'Angelo, pur nel complesso delle vicende della vita, è "fecondità" perché è figura della generazione del Figlio di Dio - Gesù Cristo - e della vita e dei figli di Dio.

martedì 18 dicembre 2018

Geremia 23,5-8 Matteo 1,18-24
Dove questa storia ha avuto origine

Siamo troppo abituati al "racconto" del Natale per stupirci della sconcertante ingenuità di un evangelista come Matteo che affida il "mistero di Dio" e l'annuncio della "speranza" per il mondo - che si traduce nella scelta di fede per l'uomo - alla narrazione di una vicenda che a dir poco del fiabesco ... Certi scrittori di favole per bambini avrebbero fatto certamente di meglio.

Eppure Matteo non ha timore, e di fronte alla verità dei fatti, tutto riporta come le testimonianze di famiglia, quella di Gesù di Nazareth, hanno iniziato a tramandare. Infatti come ieri abbiamo scoperto l'importanza delle genealogie nel passaggio della fede da una generazione alla successiva, nello stesso modo ciò che è accaduto a Maria e Giuseppe, in riferimento alla nascita di Gesù, viene affidato a noi da generazione in generazione.
Questa testimonianza ci riporta prima di tutto alla concretezza, alla storicità e alla verità del mistero, e come questo si è "connesso" con la vita e la vicenda di una coppia di innamorati. Maria e Giuseppe erano già contenti per sè stessi, erano felici come tutti gli innamorati di poter unire le proprie vite per generare una famiglia e avere dei figli da amare e da crescere. La loro storia non ha nulla di diverso da tutte le storie di innamorati o  giovani che scelgono di fare  famiglia.
Ma ecco che come dice il profeta Geremia: "Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla  terra"; il Dio creatore prende l'iniziativa e li coinvolge in una storia che sembra "una cosa dell'altro mondo", ma che passa proprio attraverso di loro. Passa attraverso il grembo di Maria, immagine di tutta la sua stessa vita, quasi a dirci che ciò che è generato in lei non è una aggiunta divina, ma ma si genera a partire da Lei, da Maria. Ma questo è vero anche per Giuseppe, perché, pure se in modo diverso, ciò che accade, accade a partire dalla sua stessa vita, che come un sogno si infrange di fronte alla evidenza di Dio. Le "famose" evidenze divine che si impongono ... ovvero propongono con costanza.
La tradizione di Nazareth ci insegna a non dare per scontato la vita di questi giovani innamorati, che sposandosi hanno donato a Dio la propria esistenza e fatto proprio una proposta che solo con amore e con fede avrebbero potuto accettare. Matteo in realtà ha voluto raccontare una cosa "bella", perché fosse tramandata di generazione in generazione, per non perdere la "bellezza", ma per donarcela oggi.

lunedì 17 dicembre 2018

Genesi 49,2-10 e Matteo 1,1-17
Ripartiamo dall'inizio ...

Iniziando la lettura del primo capitolo di Matteo, si resta subito delusi e interdetti, rispetto al senso di questa ripetuta schierera di generazioni. Quale è l'intento dell'evangelista? Non certo quello di avvilire e scoraggiare il lettore al suo accostarsi al vangelo. Matteo è un Ebreo e mette subito in evidenza la sua preoccupazione, quella di fare sentire Gesù, il figlio di Dio, parte della nostra storia passata, origine del nostro presente e compimento di ogni promessa e attesa futura.
É una comprensione della storia e del susseguirsi degli avvenimenti molto diversa dalla nostra. Per Matteo la storia, il tempo, sono genetati nel "grembo" (cuore) di Dio, e tutto nasce e ha origine in tale amore fecondo che è la creazione. Non ha caso la struttura di Matteo richiama la "genealogia" del primo libro della Bibbia, quello della Genesi. La storia e gli avvenimenti che si susseguono, hanno quindi una sacralità, anzi esprimono e soprigionano sacralità ... Essi sono da Dio e di Dio. Dio stesso si rivela e manifesta nella pienezza del "tempo" ... Tutto questo serve a noi per ricollocarci rispetto al mistero del "Kayros" ...
La storia umana non è una cronaca di vicende o il susseguirsi di avvenimenti e fatti più o meno importanti. La nostra storia personale appartiene allo stesso flusso di "generazioni" che conducono anche il misterioso farsi carne del "verbo".
Ogni tanto occorre riprendere in mano i nostri giorni, la nostra vita e ritornare all'inizio del mistero per riscoprire la straordinaria benedizione di Dio su ciascuno di noi. Come padre/patriarca amorevole Giacobbe benedice i suoi figli svelando a loro la storia della salvezza attraverso la loro stessa vita; così Dio stesso benedice ciascuno di noi nel nostro esistere nel tempo, affidando a ciascuno il merito e il compito di condurre "il tutto", anche solo in un frammento (la nostra storia, e vita) verso il compimento che è sempre lui, Gesù Cristo.
Rileggiamo queste pagine come una litania di amore, come una staffetta il cui testimone è la benedizione amorevole del padre che di generazione in generazione si realizza. La cosa straordinaria è proprio che in tutto questo Gesù è completamente partecipe e inserito nel "cammino del tempo" ...
Questa comprensione della storia, ammettiamolo, è più bella della nostra!

domenica 16 dicembre 2018

Sofonia 3,14-18 / Salmo Is 12 / Filippesi 4,4-7 / Luca 3,10-18
L'amore non si camuffa ...

Che vita dobbiamo fare? È questa la domanda che tutti rivolgono a Giovanni ... Di fronte alle sue "minacce" circa il giudizio di Dio. Forse minacce ...
Ma nonostante tutto, è una bellissima domanda, perché mette in evidenza un desiderio di coinvolgimento e di "fare", per il regno dei cieli.
Le risposte che da' Giovanni vanno al cuore del Natale, del Natale di Gesù, oggi.
Perché è questo il motivo di tutto il nostro agitarci in queste settimane, andare dentro una realtà che riguarda Cristo, cioè il suo venire nel mondo e il suo coinvolgerci per il regno.
Risposte dirette, chiare e semplici, risposte che ci urtano, ammettiamolo ...
"Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto"
La povertà ci porta al cuore del Natale perché Gesù è povero, perché si è fatto povero ... Non ha tenuto nulla per sé ma ha donato tutto ciò che il Padre gli ha dato: la sua stessa vita, tutto l'amore possibile ... Tutto questo Gesù non lo ha tenuto ed sé.
"Non possiamo dimenticarci dei poveri, dei migranti, dei profughi degli scartati del mondo" ... non possiamo dimenticarcene, anche se per decreto Legge tutto questo non esiste più, di fronte al giudizio di Dio anche noi risponderemo del grido degli oppressi.
"Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato".
Attenzione che queste parole non vogliono dire: ciò che è giusto lo devi avere come paga o retribuzione di quanto fai. Non è forse invece un ripensare le nostre pretese, nei confronti di chi abbiamo attorno. Pretese verso noi stessi e nostre prospettive. Le nostre pretese spesso diventano arroganza. Le nostre arroganze si radicano come intolleranze. Le nostre intolleranze diventano giustificazioni della nostra disumanità. 
Gesù non ha mai preteso di cambiare l'altro per farlo simile a sé, oggetto di possesso. Questo Gesù non lo fa mai!.
"Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe".
Non trattiamo male nessuno, nessuno se lo merita, nessuno merita la nostra arrabbiatura ... Non disprezziamo, non neghiamo a chiunque il suo valore. E il suo valore è la sua dignità e la sua preziosità anche per me. È da questa stima che si cresce in umanità.

sabato 15 dicembre 2018

Siracide 48,1-11 e Matteo 17,10-13
Elia è già venuto ... 

È estremamente interessante il contenuto del Vangelo di oggi, perché presenta la rilettura degli eventi della storia alla luce della profezia. Attenzione, non si limita semplicemente a dire che un fatto annunciato profeticamente in antico (il ritorno di Elia) si è realizzato; il Vangelo si spinge a dire oltre. Il Vangelo rende attuale una trasversalità del tempo della salvezza, mettendo in relazione il tempo di Elia, con il tempo di Giovanni il Battista, con il tempo di Gesù, con il nostro tempo ... Si, perché non sono situazioni chiuse in sé stesse, ma sono espressioni che mettono in luce la salvezza che Dio Padre porta a compimento attraverso le vicende e la storia degli uomini.
Sapere leggere questa continuità e trasversalità, è il discernimento profetico che permette di vedere in Cristo il compimento di ogni attesa e il Figlio dell'Uomo che deve venire. Elia è profezia del tempo del compimento e della venuta del Figlio dell'Uomo; Giovanni è profezia della pienezza del tempo che accoglie la venuta del Figlio dell'Uomo: Gesù, trasfigurato, che scende dal monte, egli è il Figlio dell'uomo profeticamente annunciato e atteso; egli si rivela come misura della salvezza che si realizza nel tempo. Tutto questo per metterci di fronte alla mistica del Kayros (cioè del mistero del compimento della salvezza - il tempo di Dio - attraverso il tempo dell'uomo ) nonostante che per molti resta vero, nell'indifferenza e nella distanza, che " Elìa è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro".

venerdì 14 dicembre 2018

Isaia 48,17-19 e Matteo 11,16-19
Attenzione al redentore ...

Oggi risuona così la Parola di Dio: come attenzione, come una evidenza che sfonda la nostra inerzia spirituale e morale, e ci mette in guardia dal complotto della quotidiana alienazione; esiste un altro quotidiano; esistiamo come uomini dello spirito che rinnovano il mondo grazie al loro agire. San Giovanni della Croce, mistico carmelitano (memoria odierna), ci accompagna e testimonia come l'attenzione alle "cose di Dio" (ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi andare) genera attraverso il superamento della realtà un benessere interiore, una consistenza spirituale e umana che diviene evidenza di un cammino di santità e di perfezione: gusto e desiderio delle cose di Dio in sostituzione del gusto e desiderio delle cose di un mondo che si allontana da Dio. È in questo camminare verso Dio (esperienza di compimento) e con Dio (esperienza di santità) che si dispiega la nostra vita cristiana.
A chi paragonerò questa generazione? Queste parole del Signore affrontano l'inconsistenza del cammino spirituale di quegli uomini e donne che pur a contatto con il mistero nel suo compimento si incamminano per strade pericolose, non imboccano la via Santa, quella dei "redenti di Israele".
A chi paragonerò questa generazione a chi è simile, esiste qualcuno che si è comportato in modo eguale? Esiste qualcuno che di fronte agli appelli alla conversione della vita come un muro di gomma ha evitato ogni confronto? Esiste qualcuno che ricevuta la "buona notizia", abbia chiuso nel cassetto più interno del proprio cuore l'appello alla giustizia? Oggi ci accompagnano le parole di un canto:
Ho bisogno d’incontrarti nel mio cuore,
di trovare Te, di stare insieme a Te:
unico riferimento del mio andare,
unica ragione Tu, unico sostegno Tu.
Al centro del mio cuore ci sei solo Tu.

giovedì 13 dicembre 2018

Isaia 41,13-20 e Matteo 11,11-15
La grandezza dei piccoli ...

Essere piccoli ... Il più piccolo nel regno dei cieli ...
Tutti noi aspiriamo alla grandezza umana, ogni progetto che facciamo ci porta a dare compimento a un desiderio che inevitabilmente aumenta la nostra autostima, la considerazione di noi stessi, il nostro ruolo nel mondo e nella società ecc... Essere grandi è soddisfare il nostro gusto di "essere" e di "esserci"!
Gesù riconosce in Giovanni, in un modo esemplare (Amen, io dico a voi: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande  ...) il segno concreto del farsi piccolo e della sua vera grandezza. Giovanni rinuncia alla grandezza di vedere realizzato il proprio appello alla conversione; egli si spoglia di ogni pretesa di primogenitura rispetto all'annuncio del regno; egli si immerge nell'oblio a favore di Gesù riconosciuto come Messia ...
Gesù riconosce la grandezza del farsi piccolo di Giovanni; di Lui testimonia il rinunciare a sé stesso per offrire sé stesso per il regno dei cieli. 
Ogni discepolo di Gesù, ogni discepolo del Vangelo, ogni discepolo del regno, vede tracciato nel segno di Giovanni il compimento di sé, vede così la propria "grandezza": il continuo richiamo ad esistere per la gloria di Dio, per la felicità e la pienezza di tutti i suoi figli. Il regno dei cieli è il progetto di salvezza attraverso il quale Dio conduce la vicenda travagliata e convulsa (il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono) della storia degli uomini a compimento. Tutto in realtà trova il suo inizio nel farsi piccoli, nel farsi piccolo di Anna, di Gioacchino, di Elisabetta, di Zaccaria, di Maria, di Giuseppe, di Gesù, di Giovanni, di Pietro, di Andrea, di Paolo ... Ogni essere piccolo, ogni rinuncia a sé stessi edifica il regno dei cieli, ed è partecipazione al grande progetto di salvezza (vera felicità e amore eterno).

mercoledì 12 dicembre 2018

Isaia 40,25-31 e Matteo 11,28-30
Solo Lui è la nostra forza!

"... ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi".
A queste parole di Isaia: mettere ali, correre, camminare ... fanno eco le parole di Gesù del Vangelo di Matteo.
Fanno risonanza perché traducono il senso dello "sperare nel Signore" proprio quando la vita si rivela come prova, crisi, delusione, affanno e angoscia. Sperare non può essere semplicemente attendere che tutto passi, e arrivi la "desiderata consolazione"! La Speranza si dipinge come azione esplicita del Signore: "io vi ristorerò"! Io sono la vostra pace, la vostra consolazione, la vostra meta, la vostra ricompensa ...
"Riposare noi, in Lui": facile quando la vita sorride, meno facile quando la vita sono lacrime e fatica. Ma di fronte a tante difficoltà Gesù chiede di metterci alla sua scuola ... La forza non viene da noi stessi, la forza è il frutto della Sua misericordia della sua compassione che porta sempre Gesù a caricarsi le fatiche di ogni uomo e donna semplicemente per loro amore. La Preghiera di richiesta, diventa: "Gesù, non riesco più da solo, ho toccato il fondo del mio limite, sii tu a farti carico di questo peso così grande!"
Non è forse questo atteggiamento la mitezza e l'umiltà che il Signore insegna con la sua stessa vita. Imparare da Lui non è forse accostarsi alla sua "mitezza e umiltà", cioè lasciare che la sua presenza ci accompagni, si accosti a noi, in modo da poter trovare  nel suo agire estremo la nostra pace. Non si reagisce con la forza delle decisioni, o la tenacia perseverante delle azioni; di fronte alla fatica che ci opprime ogni giorno reagiamo affidando a Gesù il nostro peso (giogo), che quando è divenuto il suo, diviene per noi dolce e leggero.

martedì 11 dicembre 2018

Isaia 40,1-11 e Matteo 18,12-14
Come un pastore fa pascolare il gregge ...

Al centro dell'Avvento, la Parola mette a fuoco il Pastore che cerca le sue pecore, con particolare cura verso la smarrita. Una immagine parabolica efficace per descrivere come il Padre attraverso l'esplicitazione della sua volontà: egli è Pastore di tutte le pecore e non vuole che nessuno si perda, che nessuno sia disprezzato e scartato.
La parabola è costruita sulla ricerca: il Pastore non si dà pace, perché c'è una sola pecora che si è smarrita. La pienezza del gregge e del suo ruolo di Pastore dipende proprio da questa ultima piccola pecora ...
Ma se la Parola interpreta la volontà di Dio nella realtà per edificare il suo regno, non è questa stessa parola un itinerario di conversione rispetto alla pastorale autoconservativa, e alla mancata attenzione ai "piccoli" che normalmente in ogni comunità oggi rappresentiamo come i lontani:
- coloro che sono stati scartati o che si sono messi al limite;
- coloro che non essendo consonanti (alle regole e convenzioni) vengono disprezzati;
- coloro che non potendoli eliminare fisicamente (è peccato) li eclissiamo dal nostro sguardo.
Ci sono pecore smarrite perché il gregge le rifiuta, altre perché sono troppo diverse, altre ancora perché il gregge non vuole vederle. Ed ecco che la comunità, che sarebbe lo spazio privilegiato della comunione, della carità e della appartenenza al regno di Dio, rischia ogni giorno di scartare i piccoli perché piccoli; di disprezzare i piccoli perché non disposti ad essere misurati con i soliti metri di misura; a eliminare i piccoli lasciando che si disperdino sui "monti".
"Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri".

lunedì 10 dicembre 2018

Isaia 35,2-10 e Luca 5,17-26
Non scoraggiamoci ... "Perdoniamo"

L'uomo paralitico del Vangelo, per un istante è divenuto il cuore dell'universo, il centro di ogni interesse: tutto si svolge, attorno a lui, su di lui e in lui. C'è tutta la sua vicenda personale, di limite, di malattia e di sofferenza; c'è la solidarietà di amici e compagni che lo portano fino a incontrare Gesù; c'è un paese intero, una comunità che diventa il luogo in cui quelle storie personali non sono più vicende anonime; ci sono i saggi i sapienti, quelli che capiscono tutto ... e che credono di capire tutto; c'è Gesù, la sua presenza accanto, la sua parola che lascia sempre inquieti ... C'è l'esperienza della fede, dell'uomo, degli amici, della gente, dei saggi, di Gesù stesso ...
A partire da tutto questo, è il perdono che determina la rilettura di ogni esperienza, di ogni identità, ed imprime il segno della salvezza. L'evangelista ci porta dentro ad una esperienza rivoluzionaria: la straordinaria possibilità del perdono, quando questo è di Dio, quando questo si muove pure dalle nostre relazioni. C'è chi con fede crede che il perdono rigenera la vita vera; c'è chi pensa che tutto questo sia una "bestemmia"; Gesù ci invita a essere parte del suo perdono, della sua misericordia. Q osi il perdono diviene strumento e conduzione della profezia dei tempi nuovi ... Quelli citati da Isaia.
Il desiderio di perdonare e di essere perdonati è una percezione del cuore che diviene scuola di umanità. Non priviamo mai nessuno del perdono che possiamo donare.
"Tutti furono colti da stupore e davano gloria a Dio; pieni di timore dicevano: Oggi abbiamo visto cose prodigiose".

domenica 9 dicembre 2018

Baruc 5,1-9 / Salmo 125 / Filippesi 1,4-11 / Luca 3,1-6
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

Non molto tempo fa, ad una comunità ebraica molto osservante fu annunciato che nella notte solenne di quel sabato il Messia sarebbe arrivato. Avrebbe cominciato la sua missione proprio dalla loro comunità. Il giorno di sabato, si radunarono tutti. Le donne avevano preparato la cena, osservando ancora più scrupolosamente le prescrizioni della tradizione e della Legge, gli uomini avevano provato a lungo la musica, i canti e le danze. Sapevano che in quella notte, finalmente, il Messia sarebbe arrivato. La festa incominciò… Mezzanotte: di lì a poco l'avrebbero visto! L'una del mattino: il suo arrivo era imminente. Le due: i cuori battevano più forte. Le tre: la stanchezza cominciava a farsi sentire. Le quattro: alcuni cominciarono a perdersi d'animo. Le cinque: sonnecchiavano e sbadigliavano tutti… Non arrivava ancora… A mezzogiorno, il Messia bussò finalmente alla porta! Entrando disse educatamente: "Scusatemi, ma ho incontrato un bambino che piangeva e mi sono fermato a consolarlo".
Finché ci saranno bambini che piangono, il Messia non arriverà. Questo nostro mondo è pieno di gente che piange. Così anche quest'anno il Messia sarà in ritardo o forse non riuscirà proprio ad arrivare. E anche questo sarà un Natale come tutti gli altri.

SE VOGLIAMO CHE IL MESSIA ARRIVI DAVVERO...
Se vogliamo che Gesù arrivi davvero, occorre che ci convinciamo della necessità di consolare le lacrime dei bambini, cioè di abbassarsi i monti dell'odio, colmare i burroni della sofferenza e raddrizzare le strade storte dei nostri pregiudizi.
Altrimenti anche quest'anno sarà come tanti altri Natali anonimi ...
Occorre sapere dare un nome ai nostri monti, occorre riconoscere i nostri burroni, occorre recuperare l'orientamento della strada buona.
Dio non ci salva senza di noi, per cui il vedere la salvezza è partecipare all'opera di Dio.
Dio abbassa il monte dell'orgoglio e della presunzione, della durezza e del pregiudizio perché egli si presenta come il Dio della Misericordia. Dio colma i burroni della nostra gelosia e invidia, dell'indifferenza e dell'egoismo perché egli si presenta come colui che si offre gratuitamente e chiede di essere accolto. Dio raddrizza la nostra strada e ne fa la via Santa perché egli non conosce scorciatoie se non puntare diretto al nostro cuore. Nel nostro cuore non può trovare casa la menzogna, la durezza, la discordia. Il nostro cuore è un cuore umano, ma da figli di Dio; proprio per questo contiene l'indicazione della strada che ci riporta a ciò che è essenziale e vero. Queste indicazioni risuonano in noi ogni volta che ci apriamo alla Parola del Signore Gesù.
Giovanni Battista, ci dice che se lasciamo che la parola di Dio venga si di noi, se ascoltiamo, se ci affidiamo, se speriamo ... Allora anche noi inizieremo a percorrere una strada, che dal nostro deserto porta a Dio. Se ci metteremo in cammino per spianare i monti, per riempire i burroni, per raddrizzare le strade, incontreremo Gesù che abbassa i moti, riempie i burroni raddrizza le strade ... Consola i "bambini" ... i piccoli, i poveri, gli esclusi, i fragili ... Chi ha bisogno della misericordia di Dio.
È la volontà di Dio, la parola del Vangelo di oggi ... Essa dice tutta la "volontà di Dio": come duemila anni fa; è attuale oggi, seconda domenica di Avvento. La salvezza di Dio non si arresta e non trova ostacoli insormontabili. Nonostante i monti della nostra storia, nonostante i burroni della durezza del cuore, e neppure si arrende all'inadeguatezza dei sentieri curvi della nostra vita.
Il giovane Giovanni Battista, poco più che trentenne, si è lasciato incantare, nel deserto, dall'eco della Parola e si è messo in cammino, ha incontrato Gesù e la sua gioia fu quella dell'amico dello sposo, fu una gioia grande! Fu il più bel Natale della sua vita!