domenica 30 giugno 2019

1 Re 19,16.19-21; Sal 15; Gal 5,1.13-18; Lc 9,51-62
La nostra chiamata, la libertà: "l'amore gli uni per gli altri"

Siamo stati chiamati a libertà, e questa chiamata la possiamo realizzare amando.
Nell'immagine della prima lettura, Eliseo viene avvolto nel mantello del profeta Elia, e alla fine Elia pronuncia una frase, una sorta di oracolo per e su Eliseo: "Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te". Che cosa ha fatto realmente? Lo ha chiamato al suo servizio, lo ha unito alla sua azione profetica per fare di lui un profeta; ha segnato esistenzialmente la sua vita. Nessuna costrizione, nessun obbligo in questa nuova relazione che nasce dalla chiamata, solo una grande libertà che si innalza verso Dio.
Paolo nella seconda lettura in modo esplicito, senza mezzi termini afferma che siamo stati chiamati a libertà, ovvero che la nostra vocazione/chiamata al servizio di Dio è la condizione in cui si esprime realmente la nostra libertà di corrispondere all'amore ricevuto, e di esprimere l'amore ai fratelli. La Chiesa è quindi la fucina di questa libertà e di questo amore, perché nella Chiesa amare a sempre a che fare con il prossimo, con i fratelli. La libertà che si sprigiona nell'amare i fratelli vince ogni schiavitù: è la schiavitù più grande che può sperimentare il discepolo del signore è negare il diritto dei fratelli ad essere amati, è presumere di possedere la verità gridando più forte di qualsiasi altro, fino alla triste esperienza del disprezzare, del disinteressarsi, dell'insultare ... Queste sono le maledizioni della schiavitù di chi non è benedizione, di chi non è avvolto dal mantello di Elia.
Concludo con un riferimento al Vangelo, che è sempre scuola di somma libertà. La chiamata a seguire il maestro (ogni vocazione) è un cammino verso la città di Dio, verso Gerusalemme. Un cammino di liberazione dai nostri attaccamenti e "obblighi". Chi si incammina scopre che amare Gesù vuol dire amare i fratelli (proprio tutti) e che tutto questo comporta una vera conversione esistenziale (confrontati con i tre coinvolti in questa chiamata, né rimarrai sorpreso).

sabato 29 giugno 2019

Atti 12,1-11; 2 Timoteo 4,6-8.17-18 e Matteo 16,13-19
Solennità dei Santi Pietro e Paolo
Tu sei il Cristo ...

Non ci è voluto molto a Pietro e agli altri per arrivare a questa conclusione ... Dopo aver vissuto pochi mesi insieme a Gesù questo gruppo di pescatori si ritrova a Cesarea di Filippo con il maestro: è il momento in cui al gruppo è chiesto di fare sintesi di dare un senso al loro stare insieme, al loro essere Chiesa. La chiesa nasce dalle parole di Gesù, ma anche dall'essere gruppo, dall'essere insieme al Signore.
Gesù pone una domanda che a prima vista sembrerebbe quasi una "vanità": "La gente chi dice che io sia?" Ma in realtà l'obiettivo è bel altro: "Voi chi dite che io sia?"
Perché solo nella chiara consapevolezza di Lui ogni discepolo può dare senso alla propria missione, alla propria vita, alla propria umanità.
Le parole di Paolo nella seconda Lettera ai Corinti sono la più bella risposta che l'apostolo delle genti da' alla domanda che Gesù sempre rivolge a chi chiama a seguirlo: "... io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede".
Mettendo insieme Pietro e Paol, noi possiamo dire:
Tu sei il Cristo, l'unto di Yhwh, colui che dona la vita per il mondo (essere versato); tu sei il Cristo, l'unto di Yhwh colui che tornando al Padre (lascio questa vita) dona lo Spirito alla Chiesa; tu sei il Cristo, l'unto di Yhwh, colui che ha combattuto la battaglia della vita, è salito a Gerusalemme al termine del suo cammino, ed è rimasto fedele alla volontà del Padre per realizzare in sé la nostra salvezza.
Essere il Cristo, significa essere unzione, essere predilezione, essere appartenenza ed essere segno della gloria di Yhwh, rivelazione del mistero ai piccoli e ai poveri. Tutto questo rimane per quell'amore speciale di Pietro a Gesù, nella Sua Chiesa. Ecco la vocazione della Chiesa accolta da Pietro: rivelare e testimoniare il Figlio del Dio vivo cioè  "Dire sempre Gesù!"

venerdì 28 giugno 2019

Ezechiele 34,11-16 e Luca 15,3-7
Solennità del Sacro Cuore di Gesù 
Lasciamoci trovare ...

Quando ripensiamo questa parabola, immediatamente ogni riferimento va a qualcuno che si è allontanato dal Signore, dalla comunità, dalla Chiesa; rispetto al quale Gesù si atteggia come colui che si mette sulle sue tracce per recuperarlo ...
Ma se in realtà quella "pecora dispersa sono proprio io?"
Non è forse allontanamento dal gregge quella sorta di giudizio che spesso accompagna le nostre relazioni comunitarie? Non è forse smarrimento la pretesa di avere maggior titolo rispetto agli insegnamenti della Chiesa?
In realtà ogni nostro allontanarci corrisponde generalmente a un indurimento del cuore e a un raffreddamento dell'amore. Ecco che la parabola scatta oltre la difficoltà umana mettendo accanto e davanti a noi, non la competenza di un pastore, ma la tenerezza del Figlio di Dio. Ogni nostro smarrimento, ogni durezza, ogni raffreddamento non viene risolto nell'ordine del confronto e dello spiegare e del parlare, ma della tenerezza!
Ti vengo a cercare, prendo l'iniziativa perché tu smetta di pensare di essere solo e quindi smarrito. Ti trovo, e ti carico sulle mie spalle; io mi faccio carico di te, mi prendo a cuore la tua fatica, la tua difficoltà. Ti ricolloco nell'ovile perché ogni smarrimento si supera nella comunione: la comunione rigenera le relazioni in ordine alla gioia che l'altro rappresenta: se non ci fosse sarei solo, smarrito disperso.

giovedì 27 giugno 2019

Genesi 16,1-12.15-16 e Matteo 7,21-29
Un solo fondamento, una sola roccia ...

Più che una sicurezza psicologica le parole di Gesù sono una garanzia della fedeltà di Dio all'uomo. Ogni uomo, credente e non credente fa esperienza della propria fragilità e inadeguatezza - lo ridico perchè questa condizione non è un accidente, ma è parte della nostra natura -; anche chi per natura è più forte e si sente sicuro, porta in sé stesso il segno della fragilità e dell'incompiutezza; per cui per ogni uomo è verità che "Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa".
Ma Gesù non si limita a registrare l'esperienza di una natura ferita, egli ci riporta nella dialettica con il "regno dei cieli". Porsi cioè nella volontà di Dio, in quel progetto di salvezza che tutto e tutti coinvolge per recuperare la relazione figliare con il Padre, cioè renderci coscienti della nostra felicità che è la vita eterna. La nostra umanità fragile e ferita, è porta della eternità ovvero della beatitudine. Ma dalle parole del Signore questo è vero non solo come prospettiva di un giudizio finale, ma come condizione della vita presente che si rigenera e rinnova attraverso l'obbedienza e accoglienza della "Parola". La Parola di Gesù ci colloca e stabilisce nella definitività della Parola (rivelarsi) di Dio. Questa forza è come la roccia, non viene meno, non si deforma e neppure è soggetta alla fragilità umana. È interessante notare come nel racconto di Genesi di oggi, la forza della Parola, come "promessa" di Dio accompagna stabilmente e si manifesta proprio nel susseguirsi degli avvenimenti della vita di Abramo e della sua famiglia. Abramo è emblema di quella fragilità esistenziale che è la mancanza di un figlio, una vita sterile, a cui è negata la fecondità. Ma tutto ciò che avviene per Abramo, comprese le sue contraddizioni - sembra quasi di essere di fronte a un dramma teatrale - avvengono sulla scena della fedeltà di Dio, "la roccia della promessa e delle sue Parole", della sua volontà.

mercoledì 26 giugno 2019

Genesi 15,1-12.17-18 e Matteo 7,15-20
Il frutto di Abram ... I frutti di Cristo!

"Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni."
Noi siamo i frutti di Cristo; il Signore l'albero buono, che costantemente nel tempo non nega i suoi frutti buoni necessari alla vita del mondo. Frutti necessari in una realtà che esprime tutta la sua inadeguatezza rispetto alla verità, all'amore, alla bontà ... Una realtà, compresa la nostra, in cui prevale il cinismo, e la prepotenza di rendere ridicolo anche il singolo dramma umano. Una realtà, nella quale in forza della legge e del diritto si è portati a denigrare e rinunciare ai valori umani e cristiani in quanto portatori di un frutto, il cui sapore è la giustizia, la pace e la fraternità. I frutti buoni, non sono frutti di soggettività, essi sono la conseguenza di un vincolo eterno che è generato nella nostra natura umana attraverso la fedeltà di Dio al patto di vita che fin da Abram, Dio padre a sigillato. Nelle pagine di Genesi, dove in mondo esemplare viene descritto il patto tra Dio e Abram, si nota come esso maturi fino a imprimersi nella stessa carne di Abramo: nel segno della circoncisione. Esse danno il senso del frutto buono, come novità e pienezza. Il frutto propone e rappresenta la numerosa discendenza; esprime la paternità universale del patriarca Abramo; si identifica in Isacco, nel figlio della promessa ... Il frutto rappresenta il segno di una realtà benedetta, che ancora partecipa al mistero di amore del creatore ... Ecco la bontà dei frutto dell'albero buono, di cui anche noi discepoli di Gesù siamo parte e portatori.

martedì 25 giugno 2019

Genesi 13,2.5-18 e Matteo 7,6.12-14
La via ... mai facile da percorrere ...

Il desiderio profondo che ciascuno sente nascere in sé, è quello relativo alla "via" della propria vita. Il racconto di Genesi, possiamo rileggerlo proprio in questa chiave: sia Abramo che Lot, infatti, cercano la "via" di realizzazione della propria esistenza, è tutto di loro, persone e cose, ne vengono ad essere coinvolti. Non si esprime un giudizio morale, ma si dà informazione sull'esito del loro discernimento. Ma anche questa scelta "geolcalizzata" in realtà porta con se delle conseguenze di straordinaria rilevanza. la scelta di Sodoma come luogo di residenza, legherà la vita di Lot al mistero di iniquità e al giudizio di Dio sul male di quella città, con la conseguente devastazione della valle del Giordano. La scelta di Abramo di abitare nei pressi di Ebron, colloca il Ptriarca al centro di quella terra che da quel momento sarà teatro di vicende storiche e politiche che ancora oggi non hanno trovato soluzione. Quella via che sembrava una scelta facile e opportuna di dimostra invece estremamente complessa e carica di conseguenze ...
In realtà nessun uomo può restare fermo sulla strada del mondo. La vita di ogni essere umano è cammino: sotto certi aspetti ciascuno è viandante, pellegrino, profugo ...
Ancora di più il discepolo di Gesù, sa e conosce, che la strada per eccellenza è quella percorsa dal e col maestro, con il Signore. Il Vangelo non esita a dare con chiarezza consistenza alla strada, a descrivere come varcare la soglia di casa per iniziare a percorrerla: "Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!".
Occorre farsi piccoli, farsi semplici, sperimentare la propria inadeguatezza ... Ed ecco che la strada diviene accessibile, la porta per varcare la soglia si apre con minor fatica. I Cristiani delle origini, avevano un modo nascosto per indicare Gesù e parlare di lui, lo chiamavano "La via", d'altronde Lui stesso disse di sé: "io sono la via, la verità è la vita...). Il cammino di ogni uomo è un migrare nelle età, è un pellegrinare delle esperienze, è essere un profugo che cerca nella vita la sua vera casa, la casa del Padre Suo.

lunedì 24 giugno 2019

Isaia 49,1-6 e Luca 1,57-66.80
Natività di Giovanni Battista
Storie di vita vera

Maria, rimase con Elisabetta sei mesi, prima che partorisse Giovanni. Elisabetta diede alla luce il figlio atteso e desiderato da anni; pure Zaccaria, ora partecipa di questa attesa grazie a quel silenzio necessario del suo dubbio, pronto a trasformarsi in lode al Dio dei Padri e Signore di misericordia; ed ecco che anche lui si consegnerà alla volontà del cielo: "Giovanni è il suo nome". Il racconto di Luca ci informa circa i retroterra della vita di Gesù, ci offre un lettura particolare nella vicenda della famiglia del "Battista", parente di Maria e Giuseppe. Non è solo la vicenda di Gesù, di Maria e Giuseppe che ci consegnano al mistero eterno di Dio attraverso l'incarnazione del figlio. È la storia di ogni uomo che si intreccia alle vicende del cammino della Salvezza e la rivela, manifesta e ... costruisce ... Si, mi verrebbe proprio di dire "costruisce", e non semplicemente perché ciascuno di noi nella sua libertà determina gli avvenimenti, le scelte e le situazioni della vita, ma perché la nostra esistenza rappresenta ed è lo stesso sazio divino-umano dell'esserci di Dio, e il suo esserci è storia di Salvezza. Non è forse per le parole di San Paolo - nel discorso ad Atene At 17,28 - che sappiamo che: "in lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe divina noi siamo"
Giovanni non è solo il precursore del Signore, la sua esistenza, come quella della sua famiglia, al pari di quella di Maria e Giuseppe, sono l'esserci di Dio Padre e parte rivelativa della salvezza. Quando nella nostra fede, siamo "bloccato" dalle nostre "formalità" non gustiamo la salvezza come esperienza della nostra esistenza, ma soprattutto diventiamo incapaci di testimoniare come hanno fatto "i loro vicini, che furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: Che sarà mai questo bambino?"

domenica 23 giugno 2019

Genesi 14,18-20 / Salmo 109 / 1 Corinzi 11,23-26 / Luca 9,11-17
Solennità del "Corpus Domini"
Il nostro Corpo (di) in Cristo!

Di fronte al corpo di Cristo, posso starci in profonda adorazione, in contemplazione del mistero e meditazione della verità rivelata, e dopo tutto scoprire che nulla cambia per me, che io resto nella mia condizione umana e il corpo di Cristo, nella sua trascendenza.
Ecco allora come nel vissuto della Chiesa il corpo è il Sangue di Gesù hanno assunto una significatività legata alla fede concreta, alla relazione sensibile con la realtà.
Un'ostia insanguinata, un corporale macchiato di sangue, del pane che diviene muscolo cardiaco, ecc... Tutti segni che non solo riportano alla corporeità di Gesù, ma anche alla nostra carnalità umana.
Il segno del pane, già nel Libro della Genesi riecheggia il mistero della salvezza:
Melchisedek, Re di Gerusalemme, offrì al Dio altissimo un sacrificio di pane e vino, e benedisse Abram in nome del Dio altissimo. Quel Dio altissimo che Abram ancora non conosceva e che da lì a breve sarebbe diventato il suo unico Dio. La risposta alla chiamata che Dio fa ad Abram è la decima dei beni, il dono delle proprie cose per farle di Dio. La fede di Abram si sviluppa nel concreto, nella realtà degli avvenimenti di cui lui stesso è protagonista.
Ma pure nella seconda lettera ai Corinzi, Paolo, non rivendica a sé nulla del segno del pane e del vino, ma tutto è stato a lui trasmesso a partire da quella cena dove il pane spezzato e il vino versato, diventano spazio materiale che anticipa il sacrificio della vita del figlio di Dio. Ecco che Paolo ribadisce che in ogni eucaristia si annuncia la morte del Signore, finché egli - risorto - venga. Venga concretamente a partire da quel segno.
Così pure la moltiplicazione dei pani e dei pesci, di Luca - quasi una immagine scenografica, di quanto Giovanni ci riporta del discorso sul pane della vita - ci conferma nel desiderio di Gesù di fare del suo corpo, del pane del cielo, il cibo che genera la vita di Dio. Ma questo cibo non è semplicemente generato nella liberalità del creatore, ma è frutto del concorrere della libertà, della verità e dell'amore.
La libertà di essere disposti ad accogliere Gesù: la folla non si distacca da lui, non vogliono andarsene altrove.
La verità, che deriva dal confronto con la sua parola che mette a nudo la realtà, smascherando schemi e impostazioni puramente soggettive e umane, a favore della verità piena. Una verità che non riguarda solo l'intelletto, ma che coinvolge chi crede in lui: "Voi stessi date loro da mangiare" ... E poi lui stesso Non si sottrae al segno e quindi "prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla."
In ultimo l'amore: questo pane e questi pesci sono generati dalla tenerezza di Gesù, dal suo sguardo di amore per ciascun uomo; uno sguardo che è anche oggi per ciascun uomo (senza esclusioni) e anche per ciascuno di noi.
Come i vangeli ci rivelano, il corpo di Cristo è il vero pane del cielo, è l'impasto ottenuto con amore e fedeltà dalla farina macinata, che è l'umanità; unita all'acqua della vita di Dio. Una rappresentazione che vuole essere una provocazione: il corpo reale di Gesù, il suo stesso corpo risorto e mistico che è la Chiesa, appartiene a mondo reale, umano, è la realtà stessa che si impasta col mistero, nel tempo della nostra esistenza.
Come cristiani questo essere noi stessi protagonisti ci fa gioire e ci fa soffrire; ci fa vivere e vi fa morire; ci fa essere partecipi e responsabili della consacrazione del mondo.
Ecco allora che io quando consacro  il pane e il vino, non posso non stupirmi e muovermi completamente in me stesso verso un mistero che mi attrae e mi avvolge di amorevole presenza, così come diciamo nella Seconda Preghiera Eucaristica:
"Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale. Ti preghiamo umilmente: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo".
Il corpo e il sangue di Gesù fa tutto in noi e di noi; lasciamo che anche di noi il Signore faccia pane, pane da spezzare, pane da donare, pane di comunione ... Pane del cielo!
Concludo con queste parole di San Tommaso d'Aquino ...
Panis angelicus, fit panis hominum.
Dat panis coelicus, figuris terminum.
O res mirabilis, manducat Dominum
Pauper et servus et humilis.
"Il pane degli angeli diventa pane degli uomini;
Il pane del cielo dà fine a tutte le prefigurazioni:
Qual meraviglia! Il servo, il povero, l'umile mangia il Signore".

sabato 22 giugno 2019

2 Corinzi 12,1-10 e Matteo 6,24-34
Quando la debolezza è il punto di forza!

Quanto associamo all'idea di debolezza, lo stato di sofferenza fisica o impossibilità muscolare di fare qualcosa, di attivarsi per il raggiungimento di un fine. Esiste pure una debolezza, l'Astenia, che progressivamente accompagna il declino e il congedo dalla vita in certe patologie quali i tumori. La debolezza riempie lo spazio della fragilità umana ... fino a esserne l'unica rappresentazione. Sia il Vangelo di oggi che la vita di Paolo, invece, introducono la debolezza come esperienza, della vita di fede e del cammino spirituale. Nel Vangelo la debolezza traduce la fragilità circa l'appartenenza a Dio o alla ricchezza; la debolezza è condizione di fragilità ridetto alle preoccupazioni del quotidiano: "non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?" Di fronte alla nostra "debolezza" il Vangelo ci riporta a questa solida certezza: "Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta".
La nostra debolezza risiede proprio nel farci carico della preoccupazione del mondo! Io assocerei la debolezza a una sorta di sfiducia esistenziale, per mancanza di esperienza di amore di Cristo. Paolo nella sua vita è affondato nelle sue debolezze, e in tutte quelle vicende che la sua fragilità gli ha procurato; eppure proprio da quelle esperienze è evidente per lui la presenza forte e corroborante di Cristo. Ecco perché grida: "Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte".

venerdì 21 giugno 2019

2 Corinzi 11,18.21-30 e Matteo 6,19-23
La vita per il Signore ...

La nostra esistenza può essere il tempo e il luogo del nostro naufragio, a volte dovuto colpevolmente, altre volte causato dalla nostra fragilità ed inadeguatezza.
La vita cristiana si propone come superamento della contingenza, per divenire un vero accompagnamento dell'esistenza.
Accumulare tesori in cielo, non equivale solo al tesorizzare le opere buone! La lampada dell'occhio non si identifica solo con l'agire morale!
Non si entra nella vita cristiana, come se si aderisse a una associazione o a un gruppo di interesse e impegno sociale, culturale o spirituale: "Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore".
La vita stessa del cristiano, del discepolo di Gesù, è il tesoro più bello e affascinante che strada facendo ogni discepolo scopre. San Paolo, a un certo punto nella Seconda lettera ai corinzi esplode in un "vanto" che è ben altro che vanità! Si infiamma nel riconoscere lo straordinario e spettacolare evento del suo esistere per il Signore, ed enumera tutte quelle esperienze che agli occhi del mondo sono fallimenti, ma nella vita per il Signore rappresentano il tesoro di una esistenza che è relazione viva e vera con il "cielo". Solo la luce di Cristo e che è Cristo, illumina adeguatamente il mistero dell'uomo, e lo introduce nella comprensione autentica del senso della propria chiamata, della propria vita.
Ogni giorno il nostro cuore è abitato da situazioni, volti, parole azioni ecc... Ma ogni giorno il nostro cuore, ovvero la nostra vita, se Cristiana, necessita di un approdo certo, in quel tesoro che da senso ad ogni ricchezza, l'amicizia con Gesù; in quella luce che illumina la tenebra della nostra debolezza e che solo Gesù rappresenta.

giovedì 20 giugno 2019

2 Corinzi 11,1-11 e Matteo 6,7-15
Un po' di follia!

Potessimo pure noi provare un poco di follia come Paolo. Non si tratta di giustificazioni e tanto meno di pretese circa il dovuto per il ruolo di "apostolo", ma come lui stesso dice e riconosce: "Forse perché non vi amo? Lo sa Dio!"
Il modo in cui Paolo ama la comunità di Corinto: con passione, con partecipazione, con fuoco vivo e zelo apostolico, allo stesso modo Paolo ama la Chiesa di Gesù!
Come lo Sposo ama la Sposa, cioè gratuitamente: non si ama la sposa per interesse, per guadagno, aspettandosi il giusto contraccambio; ma là si ama nella gratuità del dono a partire da sé stessi per sperimentare un totale è libero abbandono, che nulla pretende e nulla esige. Questa gratuità corrisponde allo sponsale abbandono confidente dell'accoglienza reciproca nell'amarsi.
Come Paolo, anche noi, possiamo e dobbiamo sentirci parte di quell'amore passionale per la Chiesa di Cristo, che Paolo chiama appunto "follia": "vi ho promessi infatti a un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta".
È follia amare la chiesa come vergine casta da presentare a Cristo come Sposa? Un briciolo di questa follia deve esserci nel cuore di ogni battezzato, per alimentare una fede viva, e per rendere credibile l'espressione di ogni singola vocazione è ministero.
In forza di questa "follia", ora possiamo anche pregare con le parole del Vangelo, con il "Padre nostro ...", senza timore di dire, come Gesù, "Padre" e, "nostro". Questa preghiera ripetuta nella Chiesa, è la principale dichiarazione di amore che ogni giorno possiamo rinnovare.

mercoledì 19 giugno 2019

2 Corinzi 9,6-11 e Matteo 6,1-6.16-18
Dio ama chi dona con gioia!

Il riferimento che Paolo fa alla colletta (offerta a sostegno della Chiesa di Gerusalemme) ci offre lo spunto per comprendere la relazione che si genera tra la grazia di Dio, la generosità come atteggiamento e il cuore umano; ovvero la conversine della nostra natura. L'istinto naturale di conservazione, la tutela della vita ci spingono a difenderci e a mettere in primo piano la nostra individualità. Tutto questo esprime il nostro ego-ismo. Ma l'esperienza umana di amare, mette in crisi ogni ego-ismo aprendo alla straordinaria possibilità della grazia, della generosità e del dono di sé stessi: non più un "io per me", ma un io per chi rende me stesso felice. Quale grazia! Questo è il mistero di Dio come amore che si rivela, manifesta e realizza attraverso l'esistenza, cioè l'esserci delle cose. Educare, formare, plasmare la nostra umanità, è opera della conversione esistenziale permanente; ciò esprime la conformazione all'uomo nuovo Gesù Cristo. "Colui che dà il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, darà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia"; il superamento dei nostri ego-ismi ci dispone al contagio della grazia! 
L'esercizio dell'elemosina permette di toccare concretamente il distacco o l'attaccamento del cuore rispetto agli idoli della ricchezza ...
Il denaro, i beni ... sono ricchezze alternative alla vera ricchezza, preziosità che è Dio, che è l'amore di Dio Padre che in Gesù diviene esperienza umana di comunione e condivisione. Ecco perché il Vangelo di Matteo sottolinea di stare attenti "... a non praticare la giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli". 
La gratuità e il dono, dilata il cuore; un cuore "grande" dispone al dono di sé ed ad amare; l'amore di ciascuno si scopre e riconosce parte dell'amore di Dio in Cristo ... Questa è la nostra vera ricompensa e ricchezza!

martedì 18 giugno 2019

2 Corinzi 8,1-9 e Matteo 5,43-48
Ricchi per la carità di Cristo!

Ciò che Paolo racconta dell'esperienza della colletta in Macedonia, ha qualcosa di straodinario, e nello stesso tempo di normale. Le comunità cristiane della Macedonia, con estrema libertà e immediatezza hanno accolto l'invito alla colletta per i "santi" i fratelli di Gerusalemme, superando ogni timidezza ed egoismo per il quale prima si deve corrispondere alle proprie necessità poi a quelle degli altri. Invece dal cuore della comunità è emerso un senso di carità che, facendosi strada nella tribolazione, ha evidenziato la gioia di prendersi cura delle necessità materiali di altri fratelli. È l'esercizio dell'amore che testimonia la gioia che dilata e dilaga dal cuore delle comunità; hanno così sovrabbondato nella ricchezza della generosità!
Ma questo è il cristiano: il discepolo di Gesù sovrabbonda in tutto, perché non agisce per calcolo opportunista; non vive l'esistenza con avidità auto-conservativa; non accumula con miope spilorceria  per il bisogno di alimentare il proprio "ego".
Il discepolo di Gesù, si scopre ministro e amministratore della vera ricchezza: "... la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà!"
La fede in Gesù, superando la limitatezza del precetto e vissuta pienamente, si esprime come partecipazione alla carità di Cristo, che ha manifestato in se stesso l'unico principio esistenziale capace di trasfigurare il mistero del Padre: "Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti".
Ecco allora l'invito ad essere perfetti come il Padre, significa essere amore come il Padre; essere carità come il Padre ... è la nostra vita ci meraviglierà per la risposta che saprà dare nella nostra realtà!

lunedì 17 giugno 2019

2 Corinzi 6,1-10 e Mateo 5,38-42
Conversione in corso ...

Ripensando a Paolo, non poche volte attraverso le sue lettere, percepiamo cosa significhi vivere in stato di conversione. Lui che era un uomo integerrimo secondo la Legge, in cui l'"occhio per occhio" costituiva la base del concetto di reciprocità, ha sperimentato il cambiamento, la rivoluzione integrale che si scatena diventando discepoli del Nazareno. Se l'occhio per occhio, compensa e soddisfa il bisogno umano di giustizia (vendetta), di orgoglio e stima di se stessi, la proposta di Gesù, che è il Vangelo, mostra come la compensazione crea solitudine, mentre la vera soluzione di ogni conflitto di ogni problema è nella capacità relazionale di prendersi cura della fragilità e della crisi. Ma io vi dico di prendervi a cuore la cura della fragilità del fratello; io vi dico di prendervi a cuore la crisi che genera sofferenza e animosità; prendetevene cura, considerando il fratello in crisi sofferente per causa tua più importante di ogni soddisfazione o giustizia. Accogliere questo superamento della realtà ti porta a vedere la conversione in corso in te stesso/a.
Questo processo è espressione della conversione esistenziale che produce, non una volta, ma in continuo nella vita, l'uomo nuovo. Ed ecco che Paolo è un uomo nuovo grazie a quella vicinanza a Gesù che è conformarsi a Lui, al punto che con meraviglia quasi non lo riconosciamo più. Da uomo della Legge, a uomo del cuore. Nella Seconda Corinzi, Paolo stesso ci dice come ragiona, cosa prova l'uomo nuovo, il discepolo secondo Gesù: "Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga criticato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio ..."

domenica 16 giugno 2019

Proverbi 8,22-31 / Salmo 8 / Romani 5,1-5 / Gv 16,12-15
Santissima Trinità 
Mostraci il padre e ci basta ...

"Quando verrà lo Spirito di verità, vi guiderà… parlerà… dirà… prenderà… annunzierà".
Ci guiderà alla verità tutta intera, alla verità di tutta la nostra vita: la verità è in-finita; nell'Infinito il Leopardi descrive l'infinito verità come: "interminati spazi", ma non in senso cosmico, ma intendendo l’interezza della vita.
Ora siamo di fronte a uno sterminato esercito umano di incompiuti, di fragili, di incompresi, di innamorati delusi, di licenziati all’improvviso, di migranti in fuga, di sognatori che siamo noi; questa immensa carovana, incamminata nella vita, negli "interminati spazi", è misteriosamente attratta da una esperienza che si sprigiona da dentro dalla propria esistenza.
Ecco che la conoscenza del mistero è il cammino, la strada che Uno, Gesù, ci mostra per raggiungere il compimento di noi stessi.
Il Vangelo di oggi, capitolo 16 di Giovanni, prolunga i discorsi dell'ultima cena, dandovi eco, in modo di per sé strano, ma estremamente importante: noi umani, per l'intelligenza e ragione di cui siamo dotati, abbiamo bisogno di conoscere e di "possedere" il mistero a cui apparteniamo. Più che parlare di Trinità, oggi occorre riconoscere il suo riecheggiare in noi del mistero; ecco allora che la Trinità, non è la "dottrina" Cristiana, ma l'esistenza stessa che vi ci fa percepire la vita come esserci per amore, e come un esserci che proviene da un amore più grande. Gesù questo amore infinito (interminato) che esiste e in cui esistiamo lo chiama Padre, e le relazioni che stabiliamo con un tale amore sono relazioni da figli.
Per semplificare, ciò che Gesù rivela del mistero di Dio Padre, è un Dio a tutto tondo, potremo dire a 3D (tre dimensioni) ... Che bello, tre dimensioni (altezza, larghezza e profondità) per tracciare un unico punto ... Come dire tre persone per rappresentare l'unico Dio.
Come dire ora, ancora una volta, cosa è la Trinità?
Per spiegare ragionevolmente il Dio Padre, Figlio e Spirito, occorre mettersi di fronte alla glorificazione che il Padre fa di Gesù. In questi giorni ho letto un articolo circa la riproduzione scientifica tridimensionale dell'uomo della Sindone. Che se vogliamo possiamo prendere come prototipo del Cristo.
"Questa statua è la rappresentazione tridimensionale a grandezza naturale dell’Uomo della Sindone, realizzata sulle misure millimetriche ricavate dal lenzuolo in cui fu avvolto il corpo di "Cristo" dopo la crocifissione". Con margini limitati di errore, possiamo dire di trovarci di fronte alle reali fattezze del Cristo crocifisso.
"Secondo questo studio, Gesù era un uomo di bellezza straordinaria. Longilineo, ma molto robusto, era alto un metro e ottanta centimetri, mentre la statura media dell’epoca era di circa 1 metro e 65. E aveva un’espressione regale e maestosa".
Che cosa è la Trinità: è Dio, nella sua divinità, natura ed essenza, ed esistenza ... Tutto il mistero si manifesta nella "glorificazione del Figlio".
Per comprenderne ... Accoglierne un po' il mistero propongo un esercizio di spiritualità:
La Trinità è bellezza; come era bellezza il volto e il corpo di carne di Gesù ...
Esercizio di bellezza: contemplazione del crocifisso.
La Trinità è forza e prestanza; come era forte e prestante Gesù vissuto nel tempo e nella storia ...
Esercizio di forza: la perseveranza (tenacia nella prova) e la fortezza (virtù del bene come arma).
La Trinità è regalità maestosa; tutto ciò che Gesù rivela di divino ha a che fare con la regalità del regno dei cieli ... È un regno vicino a noi ...
Esercizio di regalità: accogliere la volontà di Dio ... In quella volontà è la nostra piena felicità ...

sabato 15 giugno 2019

2 Corinzi 5,14-21 e Matteo 5,33-37
Giurare o amare?

Impegni solenni, attestazione di veridicità, propositi e proponimenti ... Questo ed altro è ciò che il termine "giuramento" sottende, ma nel testo del Vangelo al giuramento si unisce un riferimento alla "testimonianza" di enti o valori ritenuto sacri (cielo, terra, Gerusalemme). Vorrei tradurre tutto questo con l'orgoglio di assumerci un impegno di fronte a Dio ... Questo riferimento del capitolo quinto di Matteo, lo possiamo intendere un esplicito collegamento alla concezione semitica del giuramento come "Berith": che rappresenta il contenuto del patto o alleanza. Nella cultura delle popolazioni cananee, era identificata con una divinità, protettrice del patto e dell'accordo che si sanciva ...
Certamente l'idea del patto e della fedeltà alla parola data sottende, anche, tutta la cultura ebraica dell'alleanza, appunto "Berith". Quale orgoglio, nell'impegnarsi di fronte a Dio, quale presunzione nell'avvicendamento a sé la divinità. Nel pensiero di Gesù il giuramento è inutile, e tutto si semplifica nel "Si, e nel No", nel rispondere con la coerenza dell'essere... "Tutto il resto è presunzione che viene dal maligno!" Affermazione estremamente forte, ma se ci pensiamo bene corrisponde all'idea del "Si" di Dio all'uomo, che l'uomo ha veicolato nella categoria alleanza, ma che in Dio corrisponde al suo essere amore. Il "Si" esprime, in un certo senso il realizzare l'esperienza di essere amore, quindi di donarsi, di aggiungere; il No corrisponde al sottrarre tale esperienza, ed è la privazione del mio essere amore. Anche questo esprime la vita nuova che è il Vangelo, così come il brano di Seconda Corinzi di oggi ci condivide. È il Si di Gesù che ci possiede, perché tale amore coinvolge e rinnova nella vita di Dio tutto il nostro essere e non solo. Tutto è in Cristo, per Cristo e con Cristo ... "Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove".
Di fronte a questa appartenenza che ci riconcilia con Dio, cosa serve giurare? Basta un "Si" di amore, e tutto è compiuto!

venerdì 14 giugno 2019

2 Corinzi 4,7-15 e Matteo 5,27-32
Legami di sangue ...

Da una parte il Vangelo d'oggi offre una immagine di salvaguardia: è meglio che muoia di noi una parte piuttosto che tutto venga gettato nella Geènna ... Come dire: nel percorso di maturazione umana e di fede ciò che ci impedisce di crescere, è necessario sacrificarlo piuttosto che tutto venga compromesso. È qui è facile comprendere come certe nostre autogiustificazioni e certi nostri attaccamenti alla condizione di "non figli di Dio" rappresentano quello scandalo che è già causa mortifera della vita di fede. Faccio un esempio: tacitare il Vangelo, in ordine al valore della vita umana in tutta la sua espressione come: aborto, eutanasia, rifiuto di accoglienza del rifugiato, indifferenza al sofferente ... è scandalo! Sono queste condizioni accettate, ricercate ed estremamente diffuse nella società della performazione, dell'uomo forte, del prima noi e poi gli altri; esse rappresentano un evidente scandalo rispetto alla conformazione a Cristo della "carne" del discepolo. Non si può conciliare un discepolo di Cristo con l'idea che possa odiare, che ami selettivamente e che la cui carità si fermi a "quelli della propria casa"
La lettera ai corinzi di oggi, offre una immagine suggestiva, quella della nostra fragilità umana - i vasi di argilla - capaci però di custodire la potenza di Dio. Ecco allora che la mia crescita umana non è semplicemente togliere ciò che è di scandalo, di impedimento all'espressione della vita nuova in Cristo, ma lasciare che la pazienza in Cristo, nelle prove del quotidiano, si manifesti come vita di Cristo nella nostra carne mortale. La nostra maturazione umana non è quindi conseguenza di volontarismo o di rigore morale (se fosse così si sgretolerebbe di fronte alle molte convenienze); ma è trasformazione attraverso la grazia, ovvero la potenza di Dio in noi. Ciò avviene quando l'amore per sé stessi, provocato dall'amore di Cristo, si trasformerà in amore in Cristo e ai fratelli. La pazienza è veramente la virtù di chi non semplicemente aspetta, ma di chi si lascia portare sulle spalle di Cristo crocifisso ... Gesù in questa pazienza, in questo portarci, ci provoca ...

giovedì 13 giugno 2019

2 Corinzi 3,15-4,1.3-6 e Matteo 5,20-26
Il Vangelo di Cristo è immagine di Dio

La vita cristiana, cioè stiamo parlando della qualità della nostra vita quotidiana, porta in sé stessa un mistero affascinante: "E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore". Per Paolo, è proprio il misurarsi ogni giorno con le scelte e le fatiche che ci sono "date", che produce il nostro conformarci o meno al Vangelo. Questo misuraci genera il volere, o meno, essere di Cristo, suo volto, immagine del volto di Dio. Ciò significa che in questo processo di conformazione, passo dopo passo ci avviciniamo al pensiero di Dio, ai sentimenti di Dio, al compiere la Sua volontà. Condizione non scontata, se ci guardiamo interiormente con attenzione, perché in noi prevale, quell'istinto auto-conservativo, per cui giustifichiamo noi stessi, e salvaguardiamo il nostro orgoglio rispetto a tutto il resto; ma è proprio questo che dimostra come l'IO personale rappresenta spesso quel velo che offusca e mette in ombra il volto di Dio in noi.
Con questo non c'è da scandalizzarci delle inadeguatezze e incoerenze, esse fanno parte del cammino di maturazione umana a cui nella fede siamo chiamati.
Ora mi piace rileggere l'ultima frase del Vangelo di oggi, come un appello alla libertà e non certo alla costrizione: "In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!"
La conformazione alla carità di Cristo mi fa scoprire il valore del fratello, e il suo essere al mio stesso livello e sguardo, è colui che si pone di fronte a me e che riflette me stesso. In lui riverso il mio orgoglio, oppure riverso la gloria del volto di Dio: il Vangelo di Cristo. Nello stesso tempo scopro che il mio avversario, il vero avversario da "battere" o trasformare in amico è il mio "IO". Sono io stesso il limite alla mia conversione al Vangelo, e la misura del mio giudizio, quando mi autoesclude dalla misericordia (la misura) di Dio.

mercoledì 12 giugno 2019

2 Corinzi 3,4-11 e Matteo 5,17-19
Nuovi ministri per un ministero di gloria!

Riprendendo il cammino del Tempo Ordinario, ci accostiamo a una Parola che da subito si rivela come possibilità e novità. Siamo di fronte a una proposta!
Dio sembra voler scompigliare costantemente le carte di questa partita; lo Spirito non si limita a consolare e dare sicurezza, ma agisce con forza strategica nel suscitare fermenti nuovo che innalzandosi dal passato, si inseriscono nella realtà dando luci e orizzonti nuovi. Ecco perché un discepolo di Gesù, interrompe il suo discepolato se si limita alla ripetitività del "si è sempre fatto così". Un discepolo porta in sé il nuovo; il senso della novità; della vita nuova che esprime la "condizione risorta", come modalità e normalità. Non è un'indole rivoluzionaria e anticonformista, ma è una tensione alla "Gloria"! La vita nuova che si irradia dal sepolcro è la vita del risorto! Manifestazione della gloria ... , presenza ..., regno di Dio. La novità traduce e rivela la vita risorta ...
Del "nuovo" non dobbiamo temere le conseguenze, perché il nuovo che il discepolo - che ciascuno rappresenta - non è negazione o "abolizione della legge e dei profeti", ma il loro compimento attraverso la Parola del Signore. Il nuovo non è una provocazione ma la rivelazione dello spirito è un invito al discernimento nello Spirito del Risorto.
La paura dei "discepoli conservatori", non si può esprimere solo con l'espressione anacronismo, ma è un sottrarsi alla fiducia in Cristo.
Questa espressine di Corinzi ben interpreta le nostre resistenze alla novità dello Spirito e ciò che ne consegue: "Non che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, il quale anche ci ha resi capaci di essere ministri di una nuova alleanza, non della lettera, ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito invece dà vita".

martedì 11 giugno 2019

Atti 11,21-26;13,1-3 e Matteo 10,7-13
San Barbaba Apstolo
Apostolato, la nostra missione comune!

Ieri il papa in una udienza ha concluso affermando: "E, per favore, non cadiamo nella tentazione di “clericalizzare” i laici. I laici sono messaggeri, sono missionari a pieno diritto. La qualità del vostro servizio pastorale – come anche del mio! – è proporzionale alla qualità della vita spirituale e della preghiera; ma pure al vostro sentirvi partecipi della missione della Chiesa universale. La missionarietà è l’atteggiamento fondamentale del nostro ministero. Il Signore Risorto vi doni di tenerlo sempre sveglio e rinnovato, con la forza dello Spirito Santo". Si rivolgeva ai cappellani e ai laici che prestano assistenza spirituale negli aeroporti.
Ma quel "non cadiamo" nella tentazione di  clericalizzare i laici, credo vada ben capita. Per questo la festa dell'Apostolo Barnaba è di grande aiuto. Il Vangelo di oggi è pure gli atti degli apostoli, sono espressione di una Chiesa apostolica, non clericale. L'apostolicita si esprime e manifesta nella missionarietà: esser mandati per il Vangelo (annunciatori e testimoni dell'amore di Dio: la salvezza) è l'universale missione di chi battezzato ama Cristo e i fratelli. È questo suo amore che ne genera un'ulteriore: l'amore alla Chiesa.
In Atti degli apostoli, l'esperienza di Barnaba si dissolve nella esperienza missionaria della comunità di Antiochia, e nella dimensione carismatica e ministeriale che sgorga dalla comunità tutta: è tutta la comunità che prega, che digiuna, che impone le mani, che invoca lo Spirito. Poi, Le parole del Vangelo, non sono per i preti ... ma per i discepoli di Gesù, per chiunque voglia seguire il maestro. Clericalizzare significa svuotare l'identità del discepolo da una parte e dall'altra infrange la comunione ecclesiale, generando una distinzione che, non esiste se la Chiesa è "differenza" (sarebbe un inutile privilegio); ma esiste solo se la Chiesa è "comunione".

lunedì 10 giugno 2019

Genesi 3,9-15.20/Atti 1,12-14 e Giovanni 19,25-34
La duplice consegna ...

Il testamento spirituale di Gesù, prima di morire in croce è una duplice consegna, alla Madre e al Discepolo Amato.
Non siamo di fronte a un accomodamento; quasi che Gesù si preoccupi di garantire una sussistenza alla madre ormai anziana, e neppure è una ultima raccomandazione al discepolo di cui si fidava particolarmente. Nelle parole di consegna reciproca emerge da un lato l'affidarsi ancora una volta - l'ultima per certi versi - di Gesù come figlio, un riconoscersi bisognoso del grembo materno da cui è stato generato, e in quella sua personale relazione, si unisce anche nel discepolo amato, ogni uomo, amato dal Padre è parte del corpo stesso di Gesù. Maria Made della Chiesa trasforma il suo stare iconografico - serio e ieratico - nella immagine plastica, tenera e commossa, della Pietà. È l'immagine, eterna, della madre che accoglie fra le sue braccia, e sul grembo il corpo ferito del suo figlio, del suo Gesù. In quel corpo è già misticamente presente ogni Discepolo Amato e ogni uomo figlio di Dio. Maria Madre della Chiesa supera l'immagine istituzionale della Chiesa per mostrare una maternità universale, per la Chiesa del suo figlio, per generare la nostra identità missionaria: la Chiesa non è le nostre Chiese, chiuse e spesso recinti per eletti; ma è la Chiesa mondo, dove vivono i figli di Dio, buoni e meno buoni, ma pur sempre parte del corpo mistico, rappresentato nel corpo trafitto del Signore. Nella memoria di Maria madre della Chiesa, questa duplice consegna rinnova la nostra appartenenza a quel corpo mistico che sulla croce si abbandona tra le mani di chi lo ama, recuperando il dramma del peccato di origine e lo smarrimento per la propria nudità: "Adamo, dove sei?" Sono tra le braccia della madre, sono nel grembo della Chiesa.

domenica 9 giugno 2019

Atti 2,1-11 / Salmo 103 / Romani 8,8-17 / Giovanni 14,15-16-23-26
Pentecoste
Spirito Santo ... connessione virtuale ...

Se l'amore è semplicemente follia, come diceva Shakespeare, è inutile tentare di spiegarlo, esprimere giudizi sui modi infiniti delle sue espressioni. Distinguere tra sentimento vero e illusione. È un po' come accade per gli amori che nascono nelle chat, in WhatsApp. Ritenuti impossibili, assurdi, inconsistenti. Eppure sono emozioni vere, in modalità "live". Emozioni che hanno ben poco di digitale, perché coinvolgono allo stesso modo di quelle "reali".
Un esperimento ha dimostrato che è possibile far innamorare due sconosciuti; messi l'uno di fronte all’altra, solo attraverso lo strumento delle domande e delle risposte, sempre più personali. Tanto basta, sembra, per cadere nell’amore! Ma tutti hanno riferito di aver sperimentato momenti di intensa vicinanza e intimità con il proprio partner sperimentale, fino a poco prima completamente estraneo.
Cosa scatena l'amore umano?
Alcune condizioni rivelate dall'esperienza fatta dicono che per generare e manifestare l'amore occorre:
- la fondamentale disponibilità verso l’altro; 
- gli argomenti affrontati sempre più coinvolgenti;
- l’assenza di distrazioni e quindi il concentrarsi l’uno sull’altro; 
- provare la sensazione di essere capiti;
- scoperti, toccati nei nostri aspetti più intimi;
- il rendersi conto di poter parlare liberamente di cose profonde e segrete.
È tutto questo che fa ritrovare legati e "connessi".
Se tutto questo viene messo in ballo anche nelle relazioni virtuali ... Perché dubitare dell'amore di Dio ... Sono le stesse dinamiche umane, relazionali e personali:
- Dio sempre si cura di noi, si potrà mai dimenticare una madre del suo bambino ...
Gesù non si sottrae al dialogo, anche di notte quando incontra Nicodemo ...
... fissato lo lo amò ...
- ... come quando una donna adultera si sente compresa nella sua fragilità e non condannata alla lapidazione ...
 ... Pietro mi ami tu più di costoro ...
- ... il dialogo tra Gesù e la Samaritana ...
Dobbiamo molto imparare da come siamo fatti, da come è la nostra natura umana; è questa nostra natura che rivela la dinamica dello Spirito, che ci permette di intuire e percepire lo Spirito di Dio come presente nell'esperienza dell'amore di cui siamo capaci.
Siamo di fronte a una dinamica esistenziale che si innesca quando lo Spirito Santo si rende evidente nell'esprimere l'amore a Gesù, a Dio hai fratelli; l'amore che è lo Spirito Santo non è quindi una rappresentazione iconografica di fiammelle, e tantomeno una espressione di conferma della fede (cresima).
L'amore che è lo Spirito Santo è esperienza concreta che non genera amore e neppure nasce nell'amore, ma è amore nel suo esserci.
Ed ecco che scopriamo che noi siamo fatti di amore, ma non semplicemente per amare. Siamo nati da un gesto di amore sensibile, umano e passionale; vibriamo di gioia incontenibile attraverso i gesti di amore; la felicità ci raggiunge ben oltre i desideri nell'arte di amare. L'amare Dio è quindi sensibile, umano e passionale ... Ed è necessario che lo sia! È in questa epifania di una Pentecoste perenne che si rivela lo Spirito Santo, che è amare!
Ecco allora che la rivelazione dell'amore è:
- la profonda apertura e disponibilità a ciò che è altro da noi ... apertura pure a Dio;
- intimità profonda e coinvolgente, condivisione del tutto di noi;
- percezione esistenziale e non semplicemente virtuale del sentimento; 
- concretezza dell'esperienza dell'amore nella vita.
Alla luce di questa introspezione, proviamo ad attualizzare in noi stessi quel: "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui".
L'amore nasce da un vissuto di intimo; l'amore di Dio, che viene da Dio e che rivolgiamo a Dio non è esente da questa condizione esistenziale di intimità.
Ma è questo amore che converte, è questo amore che ristabilisce la comunione, che dispone alla comprensione, alla generosità e al servire l'uomo.
È questo amore che recupera ogni scartato, che ci spinge ad amare il prossimo e a non chiuderci in Chiesa ma a fare Chiesa il mondo intero. È questo amore che testimonia la bellezza del mistero, che in forza dello Spirito dimora in noi. Amando testimoniamo che Gesù dimora in noi e che si offre a noi, ed è Pentecoste sempre!

sabato 8 giugno 2019

Atti 28,16-20.30-31 e Giovanni 21,20-25
La speranza di Israele ... e nostra ...

Il Vangelo di Giovanni e gli Atti degli Apostoli sono giunti a conclusione, lasciandoci due "perle"; esse sono le chiavi di lettura della vita di fede; della testimonianza che come discepoli possiamo e dobbiamo dare, e del discernimento nello Spirito.
Il Vangelo si conclude con un: "noi sappiamo che la sua testimonianza è vera...". Si tratta di un "noi" comunitario; è la comunità di Giovanni che seduta ai piedi del Discepolo Amato, di colui che ha sperimentato da vicino l'amore di Gesù per lui, vi ha corrisposto, per come ha potuto con la vita ... ecco che la vita del discepolo testimonia una condizione unica, personale e speciale: "Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi!"
Unica e personale, perché mostra come l'amore di Gesù per Giovanni è fedele e accompagna, riempendo tutta la vita del discepolo. Giovanni non cessa mai di perpetuare il suo chinare il capo sul cuore di Gesù ... In quell'ascolto confidente che condivide amore e tenerezza. Di questo non si può essere gelosi, perché è condizione personale di ogni discepolato ... È da qui che la comunità si riveste di identità (condizione speciale) ad immagine di Giovanni e raccoglie, dilatando, l'invito alla sequela: "Tu seguimi!"
Gli Atti, chiudendo sulla vita dell'Apostolo, ci consegnano le ultime parole di un innamorato di Cristo, e di un amato da Gesù: "... poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena." È bellissimo percepire le catene di Paolo, come il legame di amore che ci lega inscindibilmente, nella vita e per il suo compimento al maestro: "l'unica e vera speranza di Israele - e nostra -, Gesù Cristo!"

venerdì 7 giugno 2019

Atti 25,13-21 e Giovanni 21,15-17
...  alcune questioni relative alla loro religione e a un certo Gesù ...

Paolo si appella affinché la sua causa sia sottoposta a "Cesare", è così il suo caso finì a Roma. È questa la prospettiva che si apre dinnanzi all'Apostolo delle genti: dare testimonianza della sua fede in un "certo Gesù, morto, che egli sosteneva essere vivo."
Il vertice, l'apice della fede, è la testimonianza suprema attraverso la vita stessa. Non si compie questa testimonianza per eroismo o per dovere religioso; si compie questo solo se si è legati a un amore grandissimo per Gesù; se abbiamo ascoltato le sue parole e se quindi l'amore di Gesù per noi ci ha fatto gustare la comunione e l'unità nello Spirito con il Padre. Paolo da "bravo fariseo", osservante della Legge dei padri, in Gesù ha contemplato il mistero di amore che è Yhwh, ed è così entrato nella vita nuova, la vita del discepolo. Quanto Il Vangelo di oggi ci racconta del dialogo tra Gesù Risorto e Pietro diviene condizione particolare di ogni "chiamato" a seguire il Maestro da vicino ma anche condizione universale di ogni credente. Nel dialogo appassionato tra "l'amare" di Gesù e il "voler bene" di Pietro, si delinea la dinamica inadeguata della nostra risposta all'amore del Maestro, ma anche la sua misericordia che ci accoglie e ci accompagna nel cammino dell'amore a Dio (primo dei comandamenti).
Non ho mai letto  questa "frase" in modo rivelativo della condizione di che è condotto ad amare, ma nella vita di Pietro, alla sua ruvidezza di amare a suo modo il Maestro (quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi) segue la condizione nuova di chi cresciuto nell'amore si abbandona all'amore del Maestro (ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi); questa è vera sequela! Risposta autentica alla chiamata e alla vocazione personale.

giovedì 6 giugno 2019

Atti 22,30;23,6-11 e Giovanni 17,20-26
Coraggio! Dammi testimonianza!

Il capitolo 17 di Giovanni, progressivamente entra nel vivo dell'addio di Gesù; non solamente in una dimensione sentimentale e affettiva, ma nella percezione concreta dell'andare presso il Padre e soprattutto dell'essere stato mandato nel mondo.
È il mondo il punto di incontro tra il venire di Gesù, il suo ritornare al Padre e la testimonianza dei discepoli.
È il mondo nella sua complessa realtà (positiva e negativa) che si confronta con la venuta del foglio di Dio: "... e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me". Il mondo con fatica si sente amato da Dio, piuttosto si sente abbandonato, separato, scettico, disilluso. Neppure l'amore riversato da Gesù per il mondo sembra riuscito a convincere l'uomo della misericordia (gloria) del Padre: "E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità ....".
Questo mondo, amato dal Padre e amato attraverso Gesù; questo mondo nel quale Gesù è mandato, non è sto semplicemente il teatro di una rappresentazione divina della passione, morte e risurrezione. Questo mondo corrisponde alla pienezza e concretezza dell'amore nel suo esprimersi come esistente. L'invio di Gesù non è una aggiunta successiva, come il suo andare al Padre non ne è una sottrazione. Il mondo è realmente il "guazzebuglio", di libertà e negazione, di slancio e prigionia, di forza e debolezza di amore e desiderio, di passione ed esistenza, di vita e di morte. Sarebbe riduttivo descrivere e definire il mondo semplicemente come chi non accoglie, chi il Padre ha mandato. Ecco allora che il nostro essere con Gesù e di Gesù - come ogni suo discepolo - ci colloca in quella comunione: "perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi ..."  che da significato alla nostra testimonianza. Noi infatti riconosciamo di non essere testimoni semplicemente di parole o di fatto passati, ma di una esperienza reale di amore che riverbera in tutto ciò che esiste.

mercoledì 5 giugno 2019

Atti 20,38-38 e Giovanni 17,11-19
Ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia ...

Uno strano e suggestivo accostamento tra Atti e Giovanni ci conduce a meditare oggi il primato della comunione, come espressione di amore ricevuto da Dio e da custodire nella nostra quotidianità. Paolo nel salutare la comunità di Èfeso, esorta tutti nel vincolo della corresponsabilità (gregge e pastori) che si è generato nel sangue di Cristo. Una comunità non è quindi una semplice affiliazione o aggregazione ideale, essa rappresenta il frutto della comunione al mistero della vita donata di Gesù, in croce, per il mondo. Ogni riduzione comporta lo svilimento della vita della comunità, del sentimento di amore che deve prevalere rispetto alle singole manifestazioni e desideri. Ben consapevole di questo, Paolo affida la comunità alla "parola della grazia" cioè a quel Vangelo che chiama alla vita nuova in Cristo e genera la fecondità della stessa comunità dei discepoli.
Non è questa esperienza una chiara manifestazione di come Gesù stesso, nella preghiera di cui il capitolo 17 di Giovanni ci dà testimonianza? In questa preghiera percepiamo la relazione amicale che istituisce il gruppo apostolico. Esso è germe della Chiesa, principio generante di tutte le comunità di credenti. Esso esprime il vivo desiderio di costituire la comunità dei credenti, come realtà che appartiene al Padre: "Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi". Il nostro esistere come Chiesa ha il suo radicamento nel nome stesso di Yhwh, cioè in quel "io sono colui che è ... accanto a te". L'esserci del Padre è concretezza dell'amore di Gesù fino al dono estremo della vita per noi. Questo dono della vita ci accomuna (fa comunione) nell'unica realtà che è il mistero stesso di Dio.
Spesso, presi dalla vanità del mondo, sviliamo il mistero di Dio a cui apparteniamo e lasciandoci sedurre dai nostri progetti, dimentichiamo che noi siamo consacrati (dedicati in modo esclusivo e riservato al Padre) da Gesù nella verità.

martedì 4 giugno 2019

Atti 20,17-27 e Giovanni 17,1-11
... perché conduca a termine la mia corsa ...

Paolo nel brano degli Atti, ci apre il cuore alla sua esperienza di discepolo, non lo fa per vantarsi ma per "catturarci" nel vincolo di un amore grande ed appassionato per il Signore. La testimonianza di Paolo sembra proprio sgorgare direttamente dall'intima vicinanza al Signore in quella ultima cena alla quale Lui non ha partecipato.
Ciò nonostante le parole di Gesù "Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato", sembrano essere l'origine della sua stessa testimonianza, delle sue raccomandazioni, della sua consegna agli anziani di Efeso giunti a Milèto: "Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio".
Il Vangelo della grazia! Quale espressione più bella, reale e incarnata, se non questa che nasce dal vissuto di Paolo e che meglio traduce la stessa esperienza del Signore, quella di dare la vita al mondo: "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. (...) Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola". Anche ciascuno di noi, come Paolo, può sperimentare come sono vere le parole di Gesù quando esse diventano le parole del vissuto, dell'esperienza quotidiana, quando anche noi ci mostriamo disponibili ("la nostra corsa") a farci partecipi del Vangelo della grazia.

lunedì 3 giugno 2019

Atti 19,1-8 e Giovanni 16,29-33
Si, abbiamo ricevuto lo Spirito Santo!

Leggendo il brano di Atti, è immediato, capire che, il battesimo in Gesù determina condizioni nuove e genera una relazione divina prima neppure immaginata: la vita nello Spirito Santo. Paolo chiede infatti, se avessero ricevuto lo Spirito ... Realtà che questi "crenti" non conoscono assolutamente.
Mi piace anticipare già da oggi la conseguenza esistenziale del dono (da parte di Gesù) dello Spirito Santo ai credenti, per renderli discepoli: vivere nel mondo e nelle sue tribolazioni grazie alla "potenza" cioè alla forza che ha origine nello Spirito.
Nel Vangelo, Gesù, nei discorsi dell'ultima cena - così come Giovanni li raccoglie -, anticipa ai discepoli la sua esperienza di solitudine e di esodo dal mondo: "Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me". È il tempo (la ora) per Gesù del discernimento nello Spirito. Ma questa realtà non appartiene solo al Signore nella sua passione, essa è di ogni uomo, di ogni credente, anche a noi Gesù non risparmia parole che ci introducono nel medesimo mistero: "Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo". La tribolazione e il travaglio appartengono all'esistere nel mondo, potremo dire sono realtà dell'esistenza. Questo tribolare è simile al travaglio di un largo dal quale nasce la speranza, la vita nuova. La relazione tra lo Spirito e le tribolazioni, il nostro travagliare, rivela la nostra relazione con lo Spirito Stesso. Di fronte alle prove della vita noi reagiamo spesso di "pancia"  - come credenti che non coscio - istintivamente e con il sentimento. La realtà (le tribolazioni) il discepolo la affronts con il cuore, cioè alla luce dello Spirito. Quando la pancia prende il sopravvento, tutto si esprime in attimi fuggenti; il capire nello Spirito è la serena fermezza del perseverare.