giovedì 30 giugno 2022

Aspettativa e miracolo

Amos 7,10-17 e Matteo 9,1-8

Ritornato a Cafarnao, il Vangelo di Matteo ci racconta il miracolo della guarigione del paralitico. Un miracolo che i sinottici descrivono con molta enfasi e note aggiuntive: il tetto della casa viene scoperchiato; il lettuccio viene calato davanti a Gesù ... tutti si pongono nella prospettiva del segno straordinario di guarigione che Gesù può fare. Perchè questa è la reale aspettativa della gente, e anche la nostra, nei confronti di Gesù. Noi infatti siamo portati a pensare al miracolo come a qualcosa di straordinario. Ma diversamente da noi, il Vangelo focalizza lo straordinario non tanto sul miracolo accaduto, quanto sulle parole del Signore circa il perdono dei peccati. Come dire: è questo è il vero fatto straordinario che supera ogni umana aspettativa.
Ma il racconto ci porta a chiederci se le parole di Gesù, sul perdono dei peccati, anche oggi sortirebbe lo stesso stupore e meraviglia?
Il nostro mondo è una realtà in cui la nostra umanità viene negata, e le nostre relazioni avvilite; il risultato è la paralisi. È questa la paralisi che ci penalizza tutti. Siamo nel mondo dell’autoreferenzialità e del tornaconto, senza spontaneità e senza amore. Tutto questo ci rende incapaci anche di riconoscere che cosa è il peccato. Oggi abbiamo proprio bisogno che Gesù entri nel nostro peccato nella nostra paralisi, per cambiarci e poterci far fare una autentica esperienza di perdono. Occorre scuotere la nostra umanità avvilita. Il peccato non è solo una questione morale, il peccato è ciò che ci impedisce di alzare lo sguardo oltre il nostro limite; peccato è, accontentarsi del limite.

mercoledì 29 giugno 2022

Obbligo di rispondere.

Atti 12,1-11 e Matteo 16,13-19
Santi Pietro e Paolo Apostoli 

La crisi dell'esperienza cristiana è certamente legata alla sua storicizzazione, cioè all'essere espressione di stili di vita, modalità espressive e concettuali fortemente determinate dal contesto storico culturale. Una rigida caratterizzazione che ha determinato il conseguente distanziamento e la mancata connessione con il processo di cambiamento in atto. L'esperienza credente sembra sempre più marginale, traducendosi in un esodo progressivo del senso Dio dalle domande dell'uomo dal suo quotidiano.
Esiste uno spazio di recupero sulla marginalità? Esiste una possibilità di riscatto del senso di Dio? In un occidente, dove il cristianesimo si limita a fare resistenza nel tentativo di conservare se stesso, non credo ci sia possibilità di recupero sulla marginalità, e sarà inevitabile l'esperienza di essere minoritari, cioè una parte, non troppo influente, rispetto a molto altro.
Oggi ogni credente, deve abbandonare il "fantasma" dei tempi passati; deve abbracciare con coraggio una sfida epocale ripartendo non dalla forza dell'essere una istituzione, non dalle mire dei progetti pastorali, ma dall'incontro personale e quotidiano con le persone; perché è nello spazio relazionale che le domande riacquistano senso e importanza.
La domanda che Gesù rivolge ai discepoli, non ha tempo, perché è personale, rivolta a ciascuno in una relazione profonda e intima. Gesù rivolge questa domanda per riaccendere nei discepoli, l'interesee per il mistero, e per portare a consapevolezza il significato della loro relazione con lui. Gesù provoca una connessione tra la quotidianità e il desiderio di felicità, di pienezza, di senso, cioè di salvezza. Gesù riporta in evidenza nella domanda il senso della personale vocazione. Riconoscere infatti chi è Gesù come colui che regna nella nostra vita, cioè come colui che nella nostra esistenza ha priorità di esserci, significa fare ripartire da lui il cuore della storia, il desiderio di vita e di eternità, come anche la forza propulsiva e trasformante degli affetti e dell'amare.
Chi sei per me Signore: tu sei il Cristo, la verità e l'amore attraverso il trascorrere del tempo.

martedì 28 giugno 2022

È necessario andare dall'altra riva ...

Amos 3,1-8;4,11-12 e Matteo 8,23-27

Ognuno di noi, è chiamato da Gesù a passare all'altra riva; tutti i discepoli sono coinvolti a salire sulla barca e, insieme, compiere ogni giorno l'attraversata del lago della vita. Nessun discepolo può pensare di mettere radici, cercare le sicurezze e le comodità nella vita di Cafarnao. Tutti dobbiamo passare un mare con notevoli tempeste; e in questo, tutti abbiamo un’unica certezza, quella che andremo a fondo per la nostra fragilità, perché tutti siamo mortali e limitati: è l’unica certezza che abbiamo.
Ieri abbiamo ascoltato come seguire Gesù introduce nella vita nuova del discepolo, ma questa sequela si caratterizza anche e proprio per questa attraversata, fino all'altra riva.
Come si fa a compiere questa attraversata, simboleggiata dal mare, che ci ripresenta la morte come l'unica esperienza indiscutibile?
È il problema fondamentale di ogni uomo. Solo la fede in Gesù morto e risorto ci permette di andare a fondo, cioè di vivere l‘acqua, la tempesta, la stessa morte, non come la fine di tutto, ma come la comunione col Signore che è morto e risorto per me. Per cui il problema della fede che si pone davanti a noi, è l'unico nostro vero problema.
Essere salvati da Gesù significa accostarsi a lui, ed essere certi che Lui è la salvezza.

lunedì 27 giugno 2022

Ancora nella sequela

Am 2,6-10.13-16 e Matteo 8,18-22

Non immaginavo che questa mattina, il vangelo del giorno richiamasse quanto letto, ascoltato e meditato ieri secondo il vangelo di Luca. Ma è proprio questa insistenza che rimette la parola di Gesù di fronte a una urgenza: la nostra risposta al Vangelo.
Seguimi, in realtà è la parola chiave per rileggere e comprendere tutto il Vangelo. Seguire Gesù, il maestro, il Signore, significa vivere un amore naturale, che ci corrisponde naturalmente; un amore che include tutti, rinunciando all'amore unipersonale e di autosoddisfazione. Un amare che apre visuali nuove circa la propria vita e il donare sé stessi, una esperienza umana che non è semplicemente la rinuncia di sé.
Noi dobbiamo seguire Gesù: questa sequela trova la sua piena realizzazione nelle relazioni interpersonali; ecco che seguire il Signore significa rinunciare prima di tutto alla pretesa di guardare con giudizio critico e moralistico la condizione umana dei nostri fratelli.
Di fronte alla disponibilità a seguirlo, Gesù pone sempre la priorità di vivere il Regno di Dio dove l'unica priorità è l'amore a Dio, ai fratelli e a sé stessi.
Gesù, modello di vita, si propone come prototipo dell'amare il Padre e di come si ama il nostro prossimo; perché non saranno le nostre ritualità religiose a farci crescere nell'amore, ma lui solo.

domenica 26 giugno 2022

Ti seguo liberamente

1 Re 19,16.19-21; Sal 15; Gal 5,1.13-18; Lc 9,51-62

La sequela del Maestro, oggi, ci pone molte domande, specialmente in questo tempo di guerra e di fronte a uomini che fanno scelte aberranti e distruttive, fuori da ogni logica di verità. La sequela ci obbliga a una presa di coscienza, ci richiede di metterci la faccia al punto di superare quella insipienza dei "buoni ad ogni costo", i quali hanno sempre mille ragioni per non uscire allo scoperto: sono intimorito da una scelta così radicale; devo andare a seppellire mio padre; devo salutare quelli di casa ...

E’ proprio la nostra realtà, così drammaticamente complessa che chiede al nostro essere credenti una presa di consapevolezza della nostra sequela.

La sequela di Gesù non permette una vita comoda, un credente in cristo non può vivere alla giornata; la sequela comporta l’autentica adesione a un cammino che, come insegna il maestro, ha una unica priorità: amare Dio, amare i fratelli e amare anche se stessi.

È logico che una adesione a priori comporta accettare l’imprevisto; certamente mette a rischio quella tranquillità che molti sperano ma che spesso è un estraniarsi dal mondo e dai suoi problemi.

Della sequela di Gesù fa parte anche l’inquietudine di chi cammina nei sentieri di Dio (vedi Eliseo).

Tutto questo è vero anche per lo stesso Signore: quando sceglie di fare la volontà del Padre e, con ferma decisione, superando certamente anche molte tentazioni, liberamente decide di andare a Gerusalemme: il volto si indurisce (non è uno sprovveduto, immagina cosa potrebbe accadere), ma ugualmente il cammino si fa deciso e spedito.

Tutto accade come scelta di libertà rispetto al fare suo il desiderio di amore, cioè di salvezza del Padre. Gesù lo assume fino alle estreme conseguenze: amare gli uomini che il Padre gli affida e dare a loro la vita di grazia che rinnova nell'amore la loro umanità.

La sequela non è quindi solo una questione di adesione a delle scelte dottrinali, ma è un intreccio di libertà, di vita, la nostra e quella di Gesù; come anche quella del Padre e dello Spirito. Ecco la libertà è lo spazio irrinunciabile della sequela del Signore, uno spazio che si riempie di ciò che chiamiamo genericamente grazia!

Quando decidiamo di metterci alla sequela di Gesù è perché scegliamo di farlo liberamente, senza tanti ma e senza tanti se, tanto più oggi che essere cristiani non comporta particolari vantaggi e non è più di moda; oggi non servono cristiani da tappezzeria.

La sequela è quindi un esercizio umano di libertà, che ripercorriamo nei tre incontri descritti nel vangelo.

“Un tale”: è immagine di tutti coloro che vogliono mettersi alla sequela; una immagine che mette in guardia circa la precarietà della sequela – la precarietà secondo la logica del mondo -.

D’altronde cosa pensiamo delle scelte radicali di alcuni giovani quando entrano in convento o seminario

Chi si mette alla sequela di Gesù sperimenta la sicurezza, che nasce nella fede: l’essere nelle mani di Dio, il quale mai abbandona nessuno. La rinuncia alle sicurezze del mondo - che spesso sono una forma di dipendenza e di schiavitù -. è ricambiata da una più grande libertà interiore.

Il secondo incontro è straordinario perché non parte da noi ma dal Signore stesso, dalla sua libertà, che chiama al discepolato. Di fronte a questo Gesù ci propone l'unico necessario: il Regno di Dio, cioè vivere il suo amore. Non possiamo trascurare che vivere per il Regno dona anche una libertà completamente diversa circa gli affetti umani: si è provocati in un modo diverso nell’esperienza di amare: l’inquietudine dei sentimenti.

Il terzo incontro pone al centro la libertà rispetto alle suggestioni dei ripensamenti e delle nostalgie. La scelta libera, non si lascia mai ingabbiare.

Sequela, scelta di libertà, sono lo spazio personale della grazia di Dio, del suo amare, che attraverso i discepoli trasforma l’umano e tocca il cuore dei fratelli.

sabato 25 giugno 2022

Cuore immacolato di Maria ... non riduciamolo a una sdolcineria.

Isaia 61,10-11 e Luca 2,41-51

Ormai sono quattro mesi da quando è iniziata questa guerra, e ormai in tanti si stanno abituando all'idea di convivere con questo dramma. No, non va bene così!
Rischiamo di diventare disumani, cinici e privi di compassione.
Occorre invece ritornare alle parole di papa Francesco nel giorno in cui ha riconsacrato la Russia e il Mondo al cuore immacolato di Maria: “Avvertiamo dentro un senso di impotenza e di inadeguatezza. Abbiamo bisogno di sentirci dire ‘non temere’. Ma non bastano le rassicurazioni umane, occorre la presenza di Dio, la certezza del perdono divino, il solo che cancella il male, disinnesca il rancore, restituisce la pace al cuore”. “Ritorniamo a Dio, al suo perdono”. “Perché in ciò che conta non bastano le nostre forze. Noi da soli non riusciamo a risolvere le contraddizioni della storia e nemmeno quelle del nostro cuore. Abbiamo bisogno della forza sapiente e mite di Dio, che è lo Spirito Santo. Abbiamo bisogno dello Spirito d’amore, che dissolve l’odio, spegne il rancore, estingue l’avidità, ci ridesta dall’indifferenza. Abbiamo bisogno dell’amore di Dio perché il nostro amore è precario e insufficiente”.
Il cuore di Maria è prima di tutto il cuore di una donna e di una madre. Un cuore che batte empaticamente con il nostro; che si commuove e che si dilata per fare posto all'esperienza di amare. È questo umore che come è capace di custodire gli avvenimenti della vita di suo figlio Gesù, così oggi custodisce con amorevole cura, anche tutte le nostre contraddizioni, fragilità e ferite, nell'attesa che il mistero di Dio, che accompagna la storia, nel rivelarsi,  mostri tutta la grazia che salva.


venerdì 24 giugno 2022

Ricerca e gioia: la novità di Dio

Ezechiele 34,11-16 e Luca 15,3-7
Sacro cuore di Gesù


Nella parabola della pecora smarrita, Gesù paragona Dio, e anche se stesso a un pastore. Nel suo tempo, i pastori erano persone povere, che lavoravano per i latifondisti e per tutti coloro che disponevano di una discreta ricchezza e che guadagnavano sulle loro spalle. Noi spesso abituati a rileggere in chiave romantica questa parabola, trascuriamo che perdere una pecora era un evento drammatico, che poneva in serio pericolo la propria fonte di lavoro e, di conseguenza, la sopravvivenza della famiglia.
Gesù confrontandosi con questo pover’uomo disperato, esce alla ricerca della pecorella perduta lasciando il gregge. È un comportamento nuovo e risolutivo, in opposizione a quanto nessun pastore avrebbe mai fatto; nessuno si esporrebbe al rischio di lasciare incustodite novantanove pecore per salvarne solo una. Ma nello stesso tempo, quella pecora smarrita è parte essenziale della sua ricchezza, della sua possibilità, della sua stessa vita. Ecco che dalla rigida logica e comprensione razionale, Gesù si distacca per rilanciare una visione completamete nuova sulla relazione intima ed esistenziale che è il nostro essere da Dio, dal Padre: Dio vuole custodire tutti noi e allo stesso tempo amare ciascuno, perché siamo membra viva del corpo di Cristo: nessuno può mancare o essere lasciato indietro, proprio nessuno!

giovedì 23 giugno 2022

Nascita di Giovanni il battezzatore (anticipata)

Isaia 49,1-6 e Luca 1,57-66.80

La nascita di Giovanni Battista è la storia di una promessa attesa e mantenuta nonostante il peccato, il timore, la poca fede dell’umanità.
È una nascita che conclude l'esperienza di aridità di Zaccaria e di Elisabetta. Un tempo in cui la vita è trascorsa nel risuonare della sterilità e della preghiera a Dio che non trova risposta. Ma quel bambino rappresenta l'originale inatteso, dice come la volontà di Dio, che è volontà di un Padre buono, giunge a pienezza proprio lì dove ormai non riponiamo alcuna speranza. L’evangelista Luca ci pone di fronte a un evento che si realizza nella vita di una coppia perseverante, anche nella difficoltà, nell'essere fedele a Dio, nel continuare a fidarsi di lui e nel pensare che la sua misericordia è veramente più grande del nostro cuore.
Zaccarìa (“Dio è memore”), dice tutto il ricordo di una fedeltà custiduta e rinnovata lungo tutta una esistenza; Elisabetta (“Dio ha giurato”), lo sguardo di Dio non si allontana mai dal nostro camminare, anche quando è un allontanarsi. Quando Dio si manifesta non opprime, ma esaudisce le suppliche. Così fu per i due anziani, desiderosi di una discendenza, ottenuta contro ogni speranza. Ma Giovanni rappresenta proprio la certezza che la speranza è il modo in cui Dio riempie di senso la nostra esistenza.

mercoledì 22 giugno 2022

Ci riconosceranno dai nostri frutti...

2 Re 22,8-13;23,1-3 e Matteo 7,15-20

D'altronde di chi sta parlando Gesù? A chi sono rivolte le sue parole?
Queste parole oggi, sono dirette a ciascuno di noi, affinché nel nostro discernere, giudicare e agire, tutto di noi non sia semplicemente una ricopiatura o un adeguarci a norme e precetti giusti e buoni, ma la nostra risposta esistenziale generata dall'ascolto del vangelo sia una vita profetica, una esistenza nuova che rifletta la vita di Gesù mestro, in quanto via verità e vita stessa; il tutto nella reciproca libertà, accolta e vissuta.
Questa conformazione rappresenta la vera esperienza del portare frutti buoni, ed è anche vera obbedienza,
Il frutto della nostra profezia, della nostra vita in Cristo, alla luce della sua parola, sarà dunque un frutto buono. Sarà un frutto col sapore della speranza, l'aroma della gioia e il gusto della pace. Sarà un frutto che riconosciuto diventa immediatamente desiderabile, un frutto attraente. Questo mi conduce a pensare che i nostri frutti esistenziali rappresentano la via dell'annuncio; come anche non soddisfano l'evangelizzazione, le tante nostre catechesi intellettuali.

martedì 21 giugno 2022

Cani, porci, porte strette e vie anguste

2 Re 19,9-11.14-21.31-35.36 e Matteo 7,6.12-14

Oggi il vangelo si presenta estremamente pungente e pragmatico, almeno così lo recepisco. Nelle parole di Gesù, appaiono due animali tradizionalmente “impuri”, il cane e il porco. Sono il riferimento a una immagine consueta per gli ebrei al tempo di Gesù: con il nome “cane” si identificavano i sacerdoti dei culti cananei della fertilità, “prostituti sacri” dei Baal.
"Cose sante e perle", più che a un riferimento alle norme e precetti del culto ebraico, dalle parole di Gesú, assumiamo il parallelismo con il Vangelo come dottrina pura e preziosa che può anche essere deformata se noi stessi non la accogliamo e custodiamo come tale.
Noi, discepoli del Signore, infatti, possediamo perle preziose e cose sante, che sono la relazione esistenziale con lui, data dal battesimo; la sua parola che è Vangelo e i segni che ci ha lasciato, i  sacramenti. Tutte realtà che non vanno semplicemente custodite e difese. Esse rappresentano la nostra vera ricchezza, ciò che rende la nostra vita preziosa e degna dei figli di Dio. Tutto ciò non va trascurato, o tralasciato, ma va alimentato, perché in realtà è il meglio di noi stessi; dove il volto di Gesù si rispecchia in noi  con maggiore evidenza. Ma nella vita non è sufficiente tutelare il nostro tesoro, di fatto percorriamo strade anguste ed è evidenza di tutti la ricerca di una qualche porta stretta. Per chi crede questa strettoia, non sempre facile, è la scelta di seguire il Signore. Una porta spesso difficile da trovare, perché corrisponde alla propria vocazione, ma è al tempo stesso necessario trovarla, per giungere alla meta del cammino.

lunedì 20 giugno 2022

Il giudizio ci logora

2 Re 17,5-8.13-15.18 e Matteo 7,1-5

Quale è il nostro metro di misura? Noi stessi, la nostra autoreferenzialità, i nostri sentimenti, le nostre reazioni.
Quale criterio utilizziamo per giudicare, per fare discernimento, per misurare ciò che l'altro è, per definire quanto ci provoca quando interagisce con noi?
Il nostro criterio è spesso un decuplicatire della realtà: ci segnala delle travi quando si imbatte in una pagliuzza. Questo parametro di misura è il nostro vero problema ...
In questo il vangelo, rileva, come Gesù è un fine psicologio che ben conosce l'uomo, la sua natura e le sue fragilità.
Ciò che ci penalizza è la nostra stramaledetta propensione al voler giudicare ...
Questo giudizio è tale che riesce a impoverire la meraviglia e lo sguardo di stupore che dovremmo avere gli uni per gli altri.
Non è una minaccia, o una ritorsione ciò che Gesù ci dice: "... giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi ..."
Questa attenzione, questo trattenerci, rappresenta la strada per guarire la nostra umanità da questa malattia che è la gratuità e la pesantezza del giudicare.

domenica 19 giugno 2022

Oggi lo stesso pane di ieri

Gen 14,18-20; Sal 109; 2 Cor 11,23-26; Lc9,11-17

E se questo pane ci venisse a mancare? Che cosa ci mancherebbe in realtà?
Se non potessimo più averlo come e quando vogliamo? Cosa cambierebbe per noi?
Una Chiesa senza Eucaristia, che Chiesa sarebbe? La nostra comunità senza Eucaristia che cosa sarebbe?
Una associazione religiosa, un gruppo di volontariato, una proloco di alta qualità?
A cosa serve sfornare il pane del Signorei?
Queste domande le poniamo davanti a noi ... e al contempo ci lasciamo interrogare dai testi della scrittura.
Una nota immediata è quanto il vangelo con ingenuità registra di quel segno:"Mandali via, è sera ormai, e siamo in un luogo deserto". Questa è la soluzione sbrigativa e senza troppi impegni e scomodi pensata dai discepoli. Ma Gesù non ha mai mandato via nessuno. Anzi vuole fare di quel luogo deserto una casa dove ciascuno possa saziare la propria fame, di pane, di pesce ... di Lui; possa saziarsi dell'amore di Dio.
In realtà cosa rappresenta il segno del pane, questa abbondanza, questa moltiplicazione se non il culmine della catechesi di Gesù sull’amore; il pane è il suo farsi amore, il suo dividersi, il suo spezzarsi, il suo moltiplicarsi, il suo esserci.
Gesù nel segno del pane moltiplicato, consegna sé stesso ai discepoli e attraverso i discepoli si dona alla folla. Gesù in quel pane ci ama.
È in questa prospettiva che le parole di Gesù risuonano con una forza inaudita e ci interpellano oggi come non è mai stato prima. In ogni Eucaristia si rinnova il "date loro voi stessi da mangiare".
L'amare non è una esperienza solitaria in sé stessa ... amare porta con sè, sempre il darsi, il donarsi all'amato, ai fratelli. "Dio stesso infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio", come anche "non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici".
Il pane è la forma dell'amore di Gesú per l'umanità.
L'amore di Gesù che si spezzò per sfamare nel deserto i cinquemila, questo pane oggi è lo stesso amore che diviene pane spezzato per tutti noi, segno di un amore fedele e irrinunciabile di Dio.
È un amore quello di Gesù che non si arrende neppure di fronte al nostro limite, alla nostra scarsità. Un amore che non si arrende difronte ai fallimenti e al non amore di cui è capace l'uomo.
Eccoci ...ecco perché è importante mangiare il pane di Dio, il suo corpo, il suo amore, perché solo in tal modo potremo riempire, la nostra scarsità con la sua abbondanza. Questo segno ci invita a pensare che ogni pane spezzato, ogni amore che si dona è causa di sazietà di qualcuno ... ciò significa che la vera fame dell'uomo può trovare in Gesù, sempre una sazietà .
Oggi, chi si nutre di questo pane non può andarsene come se nulla gli fosse stato donato e affidato. Oggi nutriti del pane, del suo corpo, del suo amore, anche noi siamo diventati pane per la fame di chi abbiamo attorno; siamo suo corpo, perché uniti a lui nella fede esprimiamo misticamente la sua presenza; siamo il suo amore che dopo averci nutrito, cioè amato, ci chiede di donarci, di essere amore per i nostri amici, i nostri nemici, amore per i fratelli tutti.


sabato 18 giugno 2022

Servi di due "Signori"

2 Cr 24,17-25 e Matteo 6,24-34

Una commedia di Carlo Goldoni, intitolata "Arlecchino servitore di due padroni" mette a nudo le dinamiche di chi non riesce a scegliere per sé il proprio "padrone" e che, per non svelare la propria ingenua doppiezza e perseguire il proprio intento, ovvero approfittarsi della situazione, intreccia e complica la storia all'inverosimile, creando solo equivoci e guai.
Il testo greco del vangelo dice proprio due "kirios", cioè Signori, d'altronde per Gesù e per ogni pio israelita è chiaro che di Signori non ce n'è che uno solo.
Ma chi è oggi il nostro Signore? Forse semplicemente noi stessi. Oggi giorno, l'autoreferenzialità rappresenta la prima vera idolatria, seguita dal possesso del denaro e delle ricchezze in genere, un pericoloso possesso, da cui si rischia l'essere posseduti.
La pagina del vangelo pone Gesù come il Signore, da scegliere, come colui a cui ci offrirsi come servi per ubbidirgli. È difficile per noi, oggi, pensare una relazione di questo tipo. Come possiamo allora rileggere e rimeditare questa immagine per noi?
Forse proprio a partire dal Vangelo, proviamo dilatare lo sguardo del Padre che per amore, esprime tutto di sé nel prendersi la cura di noi. Avere a cuore la nostra vita, la nostra riuscita e realizzazione, fa di Dio Padre il vero nostro Signore, rispetto al quale scatta tutta la nostra riconoscenza e amorevolezza. Gesù si pone nella medesima condizione, egli ci chiama a seguirlo, il che significa seguire lui come Signore e quindi abbandonare qualsiasi altro padrone perché incapace di prendersi realmente a cuore ciò che noi siamo.

venerdì 17 giugno 2022

Il tarlo della ricchezza

2 Re 11,1-4.9-18.20 e Matteo 6,19-23

Quando la "ricchezza" rappresenta il criterio esterno alla nostra vita, come il luccicare che ci abbaglia, ma ugualmente interessante e affascinante, le conseguenze per noi e sulle nostre scelte sono devastanti: si diventa degli accumulatori seriali e il cuore non è più libero ma vincolato alle compensazioni derivanti dalle "cose". Questo è vero sempre, indipendentemente da ogni riferimento spirituale o religioso.
Per quanto riguarda il nostro rapporto con la ricchezza, Gesù non ha dubbi nell'affermare che la vera ricchezza è la nostra relazione con il Padre. Non è questione di avere, ma di appartenere. Non è questione di possedere qualcosa, ma di non farsi possedere. Non si tratta solo di evitare i beni materiali, ma di rifuggire l'idolatria derivante dalla ricchezza. Quando la ricchezza non è più uno strumento ma un criterio, si genera in noi l'idea sbagliata del "tesoro": desideriamo spesso ciò che è fuori di noi, badando poco alle cose preziose che sono in noi, nel nostro corpo e nel nostro animo, e che ci fanno discernere il bene dal male.

giovedì 16 giugno 2022

La tua volontà ...

Sir 48,1-14 e Matteo 6,7-15

Sia fatta la tua volontà, si compia la tua volontà!
La nostra relazione con Dio si basa sulla sua paternità: siamo destinatari di un amore gratuito che rappresenta anche lo spazio di libertà della nostra risposta.
È questo amore, ed è in questo amore, che realizza, la volontà di Dio, che non sarà mai, quindi, un soccombere ai divini voleri; o un assecondare un progetto, anche fosse il migliore su ciascuno di noi.
È importante comprendere come la volontà di Dio, non è una costante antagonista della nostra volontà, quasi che tutta la nostra vita sia una continua schizofrenia a causa di una volontà non realizzata. Ciò provoca quella frustrazione e quei sensi di mancata pienezza, che molti portano in sé, proprio per una errata comprensione di ciò che è la volontà di Dio. Ma se Dio è quel padre che speriamo e affermiamo, allora, la sua volontà non può non accompagnare e sostenere la mia volontà. La sua volontà dimora nella mia volontà e si intreccia in un gioco di libertà che mai si sostituisce alla mia possibilità di accogliere e di assecondare un bene più grande, quando viene riconosciuto. La volontà di Dio si intreccia anche con il mio limite, con la mia fragilità; non si sostituisce alle mie inconsistenze, ma interagisce con esse nel continuo proporsi al processo della mia maturità umana.

mercoledì 15 giugno 2022

Nessuna ricompensa ... è giusta!

2 Re 2,1.6-14 e Matteo 6,1-6.16-18

Nel fare discernimento della vita, la Chiesa, che è madre, non ci invita a fare una disamina legalistica dei nostri peccati ma a vivere l’intimità con Dio alla luce di un autentico sentimento d’amore. Per questo non occorre e non serve fare segni ed opere perché sembriamo giusti davanti agli uomini, ma dobbiamo coltivare nel “segreto”, quell’intimità e quel dialogo dove risuona la nostra verità e dove siamo disposti al faccia a facia con Dio.
La giustizia infatti non è applicazione di norme e precetti, ma è una esperienza  esistenziale,  essa non va praticata davanti all’uomo ma dentro l’uomo. Cioè deve mescolarsi con le sue viscere, con la quotidianità della vita, deve farsi misericordia, spogliarsi del legalismo e trovare la piena realizzazione nel riflettere l’amore con cui Dio Padre, abita in ciascuno di noi.
Le parole di Gesù ci invitano ad una reale intimità con Dio, ad una più autentica relazione con Lui. Ogni digiuno, sacrificio o preghiera non realizzano nulla se vengono fatte per toglierci il senso di colpa causato dal nostro rimorso di coscienza e non ci aiutano, invece, ad approfondire il dialogo quotidiano, semplice, col Signore, perchè egli vuole il nostro cuore.

martedì 14 giugno 2022

Imperfettamente perfetti!

1 Re 21,17-29 e Matteo 5,43-48

Gesù ci conduce in un cammino che ci porta a guardarci i piedi, che sono le fondamenta sulle quali si regge il nostro corpo e che ci consentono di muoverci per conoscere il mondo e andare verso gli altri. La perfezione rappresenta non tanto il superamento di sè stessi rispetto ai proprio limiti, ma la quotidiana esperienza di riconoscersi fatti per amare. Ma amare il prossimo non basta: bisogna andare in fondo alla legge dell’amore che, nella sua pienezza, richiede gratuità e totalità: amare tutti, sempre, senza pensare di riceverne nulla in cambio. (Quanto è difficile!?)
Rivestirsi di povertà che è umiltà, dilata la nostra umanità rendendola capace di accoglierie ogni uomo come fratello, ma questo corrisponde a fare nostri proprio i criteri di perfezione che rappresentano la misericordia del Padre.
Gesù chiede di vivere pienamente il presente, amando chiunque ci sta accanto anche fosse un nemico. Si tratta di donarci con generosità alle persone che incontriamo ogni giorno, facendo tutto il bene che è nelle nostre possibilità. Allora saremo proprio perfetti, "quasi" come il Padre.


lunedì 13 giugno 2022

Non opporti al malvagio

1 Re 21,1-16 e Matteo 5,38-42

La nostra esperienza quotidiana ci parla di una umana e radicale propensione a ricercare la giustizia, anche nelle nostre relazioni, e a corrisponde con reazioni proporzionate ad ogni azione ricevuta; percepiamo come è concreto e forte l'occhio per occhio dente per dente. Provare ad affrontare la realtà e le relazioni con uno spirito diverso, impegna ciascuno in una vigilanza e attenzione che non sempre è così immediata. Eppure cio che Gesù vuole fare maturare nel cuore dei discepoli è proprio che l’amore va oltre la giustizia. Amare come criterio di reazione significa non solo donare se stessi, ma anche perdonare sempre; mai rifiutare l'opportunità di riscatto; riconoscere nell'altro il fratello con il quale costruire la fraternità dei figli di Dio.
Non opporsi al male, ci sembra illogico, irrazionale e soprattutto ingiusto, ma Gesù ha fatto proprio questo nel dare pienezza alla sua vita. Gesù ha portato a compimento la sua esistenza umana proprio ponendo l'amore a criterio del suo agire: non si è opposto al male, non ha reagito con violenza, è risultato umanamente sconfitto, eppure, l'esempio e l'esperienza del suo amare resta per noi criterio e modello per le nostre scelte e per il nostro agire.

domenica 12 giugno 2022

Legati a un mistero che ci libera

Pr 8,22-31; Sal 8; Rm 5,1-5; Gv 16,12-15

Solo fino a poco tempo fa, in molti pensavano, o forse ci si era adattati a pensare che la scienza avesse raggiunto una certezza sufficiente per poter spiegare un poco tutto circa l'origine dell'universo, circa le leggi cosmiche e quant'altro si nasconde nel mistero di ciò che ci avvolge e ci custodisce.
Teorie insegnate soprattutto nelle scuole, come verità, e forse anche nel tentativo di emarginare il dato religioso rispetto alla creazione da Dio e su Dio stesso.
Ma, visto che la ragione umana e la conoscenza sono un dono che sempre conquista nuovi spazi di indagine e di scoperta, oggi ciò che sembrava un assoluto, lo si riconosce come parziale e come verità incompleta ... perché alla luce di nuove scoperte a livello cosmologico e delle scienze naturali, gli scenari sono notevolmente cambiati, e torna possibile parlare di eternità, di mistero, di tempo, di creazione originaria e di uomo come fulcro di tutto ciò che esiste.
È in questo orizzonte in evoluzione, che oggi celebriamo un mistero che forse, anche noi davamo per scontato, quasi con rigore teologico, ma che per nostra ignoranza resta sempre un mistero in sé stesso, pur se rivelato: cioè la Santa Trinità. Ma cosa significa per noi parlare di mistero? Ne siamo capaci? Oppure siamo dei balbettanti e analfabeti del mistero che professiamo come credenti?
Per Gesù parlare di Dio è parlare della verità; una verità che, come tale, non si rivela mai al punto di essere posseduta in modo esclusivo, la verità è di per sé dono che si offre e che non rivela mai sé stessa pienamente, perché la verità è tale solo se si coniuga con l’amore, con la coscienza dell’altro e con la capacità di portarne i pesi, cioè di condividere insieme e di essere parte della reciproca esistenza quotidiana. La verità non ha nulla a che fare con le regole e con la rigidità di ciò che è preconfezionato.
La missione principale della Chiesa è quella di guidarci sempre più nell'incontro personale con Dio Padre; con la tenerezza e la docilità che provengono dallo Spirito che ci ha lasciato Gesù, che non impone, ma che illumina. Dice papa Francesco: “Ci sarà lo Spirito a prolungare la missione di Gesù, cioè a guidare la Chiesa avanti. Gesù rivela in che cosa consiste questa missione. Anzitutto lo Spirito ci guida a capire le molte cose che Gesù stesso ha ancora da dire. Non si tratta di dottrine nuove o speciali, ma di una piena comprensione di tutto ciò che il Figlio ha udito dal Padre. Lo Spirito ci guida nelle nuove situazioni esistenziali con uno sguardo rivolto a Gesù e, al tempo stesso, aperto agli eventi e al futuro”
E in questo “camminare” e “accompagnare” ciascuno di noi, lo Spirito Santo ci dona intuizioni e risorse capaci di riconoscere (anche in questo tempo travagliato e di transizione), che Gesù sempre ci precede nella Galilea di questo mondo.
Travaglio e transizione, come anche oggi vive la Chiesa. Che cosa riconosco nella fede se non che Trinità significa assenza di solitudine e infinito movimento d’amore. In Dio c'è reciprocità, scambio, superamento di sé, incontro, abbraccio, al punto di poter affermare che l’essenza di Dio è comunione. Il dogma della Trinità non è una teoria dove si cerca di far coincidere il Tre e l’Uno, ma amore che si riconosce nel nostro amare; è sorgente di sapienza che dà senso alla vita. E se Dio si realizza solo nella comunione, così sarà anche per l’uomo, visto che dell'uomo dice: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza».
A immagine e somiglianza della comunione, di un legame d’amore, del mistero singolare e plurale.
Ora capisco perché la solitudine esistenziale fa paura.
Ora capisco che quando sono con chi mi vuole bene, quando so accogliere e sono accolto, realizzo la mia vocazione di comunione.
La festa della Trinità dà quindi senso ultimo all’universo. Davanti alla Trinità mi sento piccolo ma abbracciato, in un vincolo di amorevole comunione.

sabato 11 giugno 2022

Annunciare sempre il vangelo

Atti 11,21-26; 13,1-3 e Matteo 10,7-13

Annunciare il vangelo non passa mai di moda. Ma di questo annuncio, che fa la differenza è proprio lo stile. Non possiamo illuderci che questo annuncio si diffonda attraverso il catechismo dei bambini, o che tutto si esaurisca nella catechesi permanente dei pochi adulti (ormai stramaturi) che ancora frequentano le parrocchie.
Il vangelo da' alcuni tratti intramontabili dell'annuncio: "Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date ..."
Occorre avere il coraggio di fare strada con la gente di ogni tempo, entrare nel loro quotidiano con la semplicità di chi non ha la pretesa o la preoccupazione di convertire, ma semplicemente di fare strada insieme. L'annuncio allora non sarà una predica, ma una esperienza di vicinanza, di accoglienza, di tenera compassione dei limiti e delle fragilità. Il vangelo non siaccompagna con la perfezione, non serve per essere perfetti (come generalmente lo intendiamo noi), ma per incontrare Gesù, il Cristo e con lui tessere amicizia con il Padre. Ecco perché il regno dei cieli si fa vicino ed entra nelle pieghe della nostra quotidianità. Ecco allora che come conseguenza immediata dell'annuncio del vangelo, troviamo la gratitudine per ciò che si è ricevuto e la gratificazione per chi dona la parola che salva.

venerdì 10 giugno 2022

Stravolge le nostre rigidità

1 Re 19,9.11-16 e Matteo 5,27-32

Non ripudiamo nessuno, perché quella scelta espone all'adulterio. Le parole del Vangelo di oggi, hanno nel superamento del criterio della giustizia legale - quella degli Scribi e Farisei -, la giusta interpretazione e il nuovo criterio di discernimento.
Non facciamoci promotori delle condizioni, nelle quali i nostri fratelli si sentano degli scartati, dei rifiutati o peggio ancora schiacciati dal nostro giudizio. Non ascoltiamo queste parole del Vangelo, senza ascoltare il cuore di Gesù; queste parole non sono semplici divieti, rispetto ai quali esercitare la censura dei desideri o dei pensieri; una operazione che può portare persino alla negazione o privazione di noi stessi. Gesù non vuole porre dei divieti e tanto meno caricarci di pesi morali che siamo incapaci di portare. Tutto questo corrisponderebbe a una giustizia legale. Forse occore considerare che la legge come Parola di Dio, nessuno l'ha mai compiuta se non Gesù, è lui il compimento della legge. Ecco allora che quello che egli dice è semplicemente ciò egli umanamente ci ha insegnato e chiesto di fare. Gesù non ha vissuto delle leggi ma è stato egli stesso un comandamento: amore per Dio e amore per il prossimo; un assoluto, che dobbiamo fare precedere in noi. Nelle parole di Gesù comprendiamo la nostra fragilità e tutto il nostro limite esistenziale, ma questo nulla toglie, all'urgenza di manifestare l’amore, un amore che, se dato, deve essere sempre vero. Non tutto, magari, ma tutto vero. Non perfetto, ma vero.

giovedì 9 giugno 2022

Una giustizia superiore

1 Re 18,41-46 e Matteo 5,20-26

Il Signore oggi ci dice che la nostra giustizia deve superare quella degli scribi e dei farisei. Ci invita a superare le logiche umane della Legge per abbracciare la straordinaria legge dell’amore, vera profezia del nuovo tempo, per cui il senso del comandamento non è il divieto, ma la forza dell’amore fraterno; lì dove rifulge lo sguardo di amore a Dio e ai fratelli.
Ma come fare?
Vestendosi di misericordia. Anche se per noi non è facile, la misericordia ci spinge a guardare la realtà con quello sguardo critico verso ogni forma di legalismo.
Gesù porta il discorso al paradosso: se sei un legalista, nulla ti libera dal violare anche minimamente il comandamento di amare, per cui se dici "pazzo" a tuo fratello andrai all'inferno, se gli dici "stupido" dovrai presentarti al sinedrio. Perché queste forzature? Perché per superare la durezza della realtà dobbiamo imparare da Gesù, dal maestro e usare la misericordia per misurare le nostre azioni e reazioni, cioè le nostre relazioni nella fraternità, perché diversamente ogni ferita all'amore ha un suo peso, anche quella che ci sembra insignificante.

mercoledì 8 giugno 2022

Sono venuto a dare pienezza ...

1 Re 18,20-39 e Matteo 5,17-19

Se il nostro rapporto con la Scrittura è del tipo farisaico (cioè come quello degli scribi e farisei) non c'è scampo alla aridità e al formalismo, per cui il compimento non può ché essere un approfondimento normativo, canonico, legislativo.
Ma se il nostro modo di ascoltare la Scrittura è come quello di chi "intercetta" la Parola e si lascia toccare e scaldare da ogni singola espressione - perchè ogni parola del Signore non è casuale -, allora ogni parola sarà al tempo stesso rivelazione di verità, ma insieme capace di realizzate ed esprimere compiutamente quell'amore del Padre che è incluso anche in ogni singolo "iota".
Allora la Scrittura non sarà solo fonte di intuizione o rivelazione del mistero Dio, ma seppure nel suo limite, sarà espressione di pienezza: verità dell’amore di cui i comandamenti di Dio non sono solo una normativa fonte di esperienza; non sono infatti dei divieti, ma espressione di un abbraccio che custodisce e protegge.

martedì 7 giugno 2022

Di quale luce risplendo?

1 Re 17,7-16 e Mt 5,13-16

Quale sapore sono capace di donare al mondo in cui vivo?
Quale luce rappresento per illuminare la tenebra che ci avvolge? Con quale luce e con quale sguardo tocco la vita di vive accanto a me?
Una lettura personale di questo passo del capitolo quinto di Matteo, ci porta inevitabilmente a farci carico della responsabilità che come discepoli di Gesú abbiamo di fronte al mondo che Dio Padre ci affida, e di fronte ai fratelli, di cui siamo custodi e non come Caino.
In realtà l'esperienza della fede ci dice che il Signore ci ha scelti per mandarci nel mondo, per incontrare i nostri fratelli; siamo come dei volti che portano tra la gente i segni della sua presenza, testimoni pur limitati e dubbiosi, della parola e della vita di Gesú.
Gesù con la sua vita e la sua Parola, ci rende capaci d'avere lo stesso sguardo di Dio sull’umanità: uno sguardo pieno d’amore. Uno sguardo che riveste della dignità dei figli: che ci rende preziosi e bellissimi. Ecco cosa significa essere sale, ed essere luce, significa essere segni espliciti e inequivocabili dell’amore che abbiamo ricevuto.

lunedì 6 giugno 2022

Maria Madre della Chiesa

Gen 3,9-15.20/Atti 1,12-14 e Giovanni 19,25-34

L'immagine del racconto di Atti, va guardata con una attenzione particolare, fin dai primi momenti della vita di questa comunità post-pasquale Maria la madre di Gesù sembra essere da subito un fulcro di riferimento di memoria e consapevolezza, un legame irrisolto tra noi e il Signore. Colei che ha generato Gesù nel suo grembo ora sembra proprio generare dal suo utero la Chiesa di Dio. La maternità di Maria assume il carattere di maternità universale e di maternità della Chiesa.
Quale maternità oggi, può, insegnare Maria alla Chiesa?
Maria rappresenta nel cenacolo il fulcro di attrazione, di unità, lei garantisce quella comunione tra di noi che è indispensabile per vivere l'ascolto e l'accoglienza della e nella Chiesa. Ascolto e accoglienza sono le esperienze fondamentali di una Chiesa che si sente madre e che vive con responsabilità la comunione.
Fare comunione non è scontato neppure nelle nostre più vive comunità. La comunione non è esperienza massificazione o peggio omologazione, la comunione si genera nel dialogare e nell'ascoltare. Dialogare e ascoltare tutti i fratelli nella fede e anche i lontani, per gustare e manifestare la fecondità materna della Chiesa, chiamata ad essere in ogni tempo «madre gioiosa» di molti figli, molti ...

domenica 5 giugno 2022

Lo Spirito nella Pentecoste

At 2,1-11; Sal 103; Rm 8,8-17; Gv 14,15-16.23-26

Un Dio Padre creatore, un Figlio creativo e come conseguenza uno Spirito libero e imprevedibile nel suo agire e operare.
A questa originalità contrapponiamo la nostra prassi un poco ripetitiva a causa della consuetudine liturgia, dove i tempi ‘forti’ sono l'Avvento e la Quaresima, e poi perché ci sono le festività più quotate quali il Natale e Pasqua.
Ecco che tutto il mistero dello Spirito rischia di essere inglobato in una prassi sterile in cui celebriamo dei sacramenti ma non la vita, e neppure la nostra fede.
Quando la preoccupazione per la macchina pastorale delle nostre parrocchie, diviene la motivazione del nostro, pensare la comunità, la Chiesa e forse anche il nostro essere cristiani, allora tutto il nostro sguardo si fissa su ciò che appare, che non è essenziale: ci accontentiamo di un mese di maggio frettoloso e tradizionale; facciamo di tutto per celebrare i sacramenti, giustificando ogni possibile contrarietà; oggi poi tutto diviene attesa del tempo di vacanza in questa estate che incombe; emergono le iscrizioni all’oratorio estivo … ai campi e quant’altro riempie la nostra quotidianità.
Ma ecco che oggi, in tutto questo, quasi da un angolo dimenticato, nel frastuono di chi viaggia e del ponte del due giugno, spunta la Pentecoste, un evento di calendario, che ormai per tanti è senza contenuto, una festa senza dolce: né panettone e neppure colomba.
A cosa ‘serve’ dunque lo Spirito Santo. A forza di dire che è il consolatore, il paraclito, ci siamo adeguati all'idea di una ennesima divinità che dopo qualche effetto speciale (tuoni e filmi, lingue di fuoco e lingue molteplici ...) – ci lascia con la patata bollente dell’annuncio del vangelo in questo nostro mondo, consegnandoci a un'esperienza in cui la fede è più frutto, se va bene, di un vangelo trasformato dai sensi di colpa e dell'incapacità di viverlo, o in un prontuario di massime edificanti, non aggiornato, e a cui facciamo fatica a dare volto e sostanza.
Per vivere questa festa, questa solennità, occorre rimettere al centro di tutto l'amore, la nostra esperienza di amare.
Amare non come conseguenza della nostra bravura e nemmeno della nostra docilità, ma come conseguenza di una scoperta straordinaria: L'amore è ciò che tiene insieme ogni cosa, non sarebbe possibile separare l’amore di Dio e l’amore del prossimo, se questo amore non fosse parte del nostro esistere e della nostra struttura umana. Ecco amare è parte di noi stessi, è inseparabile da ciò che siamo.
Ma allora in cosa consiste l’amore che è lo Spirito Santo?
Consiste nell'esperienza dell’amore di Dio che è la vita stessa Gesù, il modo in cui lui ama, e ci ama: in modo unico, straordinario e sublime; e senza mai nulla pretendere...
A cosa ‘serve’ dunque lo Spirito Santo? A farci restare nell’amore che Gesù ci ha donato senza misura.
Lo Spirito ci insegna, ci suggerisce e ispira uno stile; offre un incoraggiamento; è memoria creativa della vicenda umana di Cristo.
A cosa serve lo Spirito?
Serve a misurare nella nostra umanità il fermento di quell'amore capace di renderci felici, di renderci immagine di Gesù, che tutto di sé ha dato per amore nostro. Lo Spirito ci introduce nella strada che già molti uomini e donne hanno percorso, amando con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. E con tutta la gioia che solo l'imprevedibilità dello Spirito sa tirar fuori da ciascuno.

sabato 4 giugno 2022

Ultime parole, quelle che pesano …

Atti 28,16-20.30-31 e Giovanni 21,20-25

Nella risposta di Gesù emerge un tratto molto umano della vita delle comunità delle origini: il rapporto tra Pietro, colui che Gesù ha definito la pietra su cui fondare la sua Chiesa e Giovanni, il discepolo amato, quello che in un gesto di estrema intimità ha posato il capo sul suo cuore. È un confronto, non uno scontro. È un confronto nella diversità e nell'amore. Ciascuno infatti ha una "bellezza" particolare, ma non per questo l'uno è migliore dell'altro. Ognuno porta in sé, anzi rappresenta ed esprime una particolare impronta di Dio; grazie e capacità diverse caratterizzano la loro vita; ciò permette a ciascuno di seguire la propria strada, realizzando in Cristo la propria vita.
In realtà sia Pietro che Giovanni rappresentato ciò che ogni discepolo può e deve realizzare; seguire il Signore amando.
Seguire il Signore significa porre in nostro sguardo su Gesù e lasciarci attratre dalla sua persona al punto da sperimentare quanto il Signore ci è vicino, e ci ami più di tutti ...
Amare Gesù, invece, è un abbandonarsi alla possibilità di essre amati dal figlio di Dio, non per i nostri meriti, non per passione, ma come frutto di una tenera e amorevole intimità, capace di rassicurare e consolare. Come Giovanni, anche noi possiamo scoprire le conseguenze di essere amati da Gesù e del corrispondere al suo amarci; scoprire un amore che si è spinto fino alla fine, fino al dono totale di sé.

venerdì 3 giugno 2022

Detto questo, aggiunse: Seguimi!

Atti 25,13-21 e Giovanni 21,15-19

Seguirti dove? Come? In che cosa?
Gesù chiede in modo quasi spudorato, a un amico un poco rozzo e introverso, di essre amato; sarebbe una illusione aspettarsi una risposta corrispondente alle attese!
Ecco che Gesù chiede a Pietro di essere amato, ma non con la stessa immediateza e neppure con quell'amore che è da Dio; ma il Signore accetta che la risposta di Pietro sia un amore con tutte le sue prerogative umane, calato nella quotidianità, e frutto di una storia personale fatta di slanci e debolezze. Gesù chiede a Pietro di essere amato da Lui, ma accoglie quell'amore che Pietro riesce a corrispondere, senza pretesa alcuna.
È questa la strada in cui Gesù chiama Pietro a seguirlo; la strada dell'esperienza di amare; quella strada che ci rende più umani e sulla quale imparare ad amare come il maestro.
Pasci le mie Pecorelle …Sperimenta amando, cosa significa l'abbraccio, l’entusiasmo, la passione, la stessa compassione che Gesù ha avuto con Pietro quando lo ha rinnegato.
Ti amo, Pietro! Ti amo, con le tue fragilità, con le tue ferite, con le tue inconclusioni e con i tuoi possibili fallimenti!
Seguimi! Imitami, prendi esempio da me, e sii tenero con chi è più fragile, e non scandalizzati, non formalizzati, per le diverse possibilità di amare, ma anche tu ama!

giovedì 2 giugno 2022

L'unità di chi ama

Atti 22,30;23,6-11 e Giovanni 17,20-26

La nostra fede non si concretizza nella osservanza di regole di religione, ma nell'amore che si genera nella relazione con Dio, con Gesù e con gli altri. È un amore che esprime comunione e unità. La fede è vivere di e in questa tensione esistenziale.
Gesù prega il Padre affinchè anche noi possiamo essere una cosa sola, come lui lo è con il Padre: uniti nell’amore. Solo l'esperienza di amare permette di scoprire e riconoscere Dio nella vita reale; solo l’esperienza di amare ci fa incontrare Gesù che non si stanca di amarci anche nei nostri limiti e tradimenti; solo l'esperienza di amare ci fa cresere e maturare umanamente aprendo lo sguardo sulla "necessaria bellezza" dell'altro. È questa conversione all'amore che ci permette di accecere al mistero della vita di Dio, la nostra vera e piena vita. L'unità allora non esprime una semplice aggregazione o un sodalizio, come anche non è una affiliazione di volontà, ma è l'appartenenza mediante la Parola ascoltata e accolta, alla vita di Gesù.
Ecco che l'unità, prima di essere una conseguenza, è un desiderio di Gesù, per coloro che credendo in lui e che hanno in lui il fondamento: l’amore; perché se l’amore è la natura e la sostanza del Padre e del Figlio nella loro relazione e se la loro relazione è feconda nello Spirito, così lo stesso amore unito e fecondo è in ogni relazione umana in cui Cristo è accolto.

mercoledì 1 giugno 2022

Consacrati per la gioia

Atti 20,28-38 e Giovanni 17,11-19

Per tre volte Gesù utilizza la parola "custodire", cioè amare, proteggere, affinché siano uniti tra loro, con lui e con il Padre e perchè nessuno si perda. La preghiera assume un tono drammatico se vista come ultima richiesta prima di entrare nella glorificazione: passione, croce e risurrezione. Ma è proprio questa drammaticità che da il senso e l'intensità di ciò che Gesù chiede per coloro che restano nel mondo:
- è preghiera per chi è nel mondo, per chi vive la missione di essere verso il mondo;
- è preghiera per l'unità, per la comunione, come esperienza di vero amore e accoglienza;
- è preghiera per la gioia, che è la conseguenza finale di tutto (gioia è un amore realizzato).
Gesù non viene per toglierci dal mondo, anzi, ci invia nel mondo affinché ciò che del mondo è perduto si possa ritrovare; d'altronde la sua stessa missione è stata cercare chi era perduto, trovarlo, caricarselo sulle spalle e condurlo alla comunione, nell'unità del gregge, e a questo corrisponde la gioia del cielo per la conversione di un solo peccatore.
Fare nostra la preghiera di Gesù permette alla nostra vita di esprimere la sua più autentica vocazione: agire, operare nel mondo, nella verità e nella carità, ma questo genera quella consacrazione che altro non è che la vera gioia di Dio (un amore realizzato), in noi e con noi.