mercoledì 31 ottobre 2018

Efesini 6,1-9 e Luca 13,22-30
Il nuovo che avanza ...

La profezia di Paolo, nelle sue lettere ci tocca in modo diretto - superando la contingenza del tempo - sollecitando la nostra piena maturazione spirituale e umana.
Come figli, in cammino per la propria autonomia e identità (realizzazione) viviamo l'obbedienza come dono e occasione, non come spazio in cui ribellarci alla Parola del Padre che è la nostra "vera disciplina" per crescere attraverso gli insegnamenti del Signore. Come schiavi, viviamo in quella appartenenza che ci fa realmente liberi, nulla ci può imprigionare, se non l'amore per il Signore che si rivela proprio nell'amore di coloro che ci sono affidati, fossero anche i nostri "padroni", superiori o governanti.
Attraverso la conversione dei sentimenti e dello Spirito, entriamo nella logica nuova ed inclusiva del a Regno dei cieli. Il Vangelo di Luca rivela come Gesù insegnando mette i discepoli di fonte alla loro tentazione di ridurre il Regno per una cerchia limitata di salvati. Una porzione di eletti (salvati) rispetto a tutto il resto (che resta fuori).
E se la porta stretta è comprendere che tutto è in funzione della salvezza universale in cui sperarono Abramo, Isacco, Giacobbe? È una logica che non ci appartiene, è veramente un travaglio culturale nel quale dobbiamo immergerci ...
Ma così, come Gesù cammina verso Gerusalemme, come il nuovo che avanza, anche noi i discepoli di oggi, siamo parte di questo attuale salire a Gerusalemme.

martedì 30 ottobre 2018

Efesini 5,21-33 e Luca 13,18-21
Ma è la Chiesa ...

Il granello si senso, il lievito ... cresce e fermenta, non solo nell'idea della dimensione e della quantità ma della sua pienezza ... Ed ecco che quell'immagine del "Regno dei Cieli" è la Chiesa nel suo compiersi nel tempo. C'è chi afferma la Chiesa non è il Regno dei Cieli, forse è vero solo in parte. Essa è ben di più, non solo infatti è "segno e sacramento universale di salvezza", e in questo è "Regno dei Cieli", ed esprime e realizza la presenza di amore che regge e governa l'universo creato, ma è anche mistica sposa di Cristo, la donna perfetta, la sposa dell'agnello, la vergine che attende con la lampada accesa "l'arrivo" dello Sposo.
Nelle parole di Paolo agli Efesini, è descritta una inedita visione della Chiesa, una piena rivelazione di come Gesù ha raccontato a Paolo che cosa è la Chiesa. Cristo è capo del corpo: una immagine cara a Paolo per esprimere la solidarietà e comunione tra le membra, ma anche la centralità di relazione con il capo, il quale da' coesione al corpo e ne determina l'esperienza della salvezza. Ebbene quel corpo è Chiesa! E Cristo la percepisce e riconosce come carne della sua carne, ossa delle sue ossa, suo corpo mistico e reale insieme ...
La chiesa sottomessa come la sposa, non è serva della potenza, ma come colei che si offre all'abbraccio dello Sposo! Si consegna per essere amata e resa viva dalla vita dello Sposo; perché di questo si tratta, nella relazione tra Cristo e il suo corpo che è la Chiesa: "... anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata".
Si! Questo mistero è grande! Sì, e lo è ancora di più quando lo realizzo nel mio sentirmi parte di quella Chiesa che è amata da Cristo e che ama il suo Signore corrispondendogli pienamente. Per questo ogni peccato della Chiesa è una così grande sofferenza ...

lunedì 29 ottobre 2018

Efesini 4,32-5,8 e Luca 13,10-17
Eredi del regno di Cristo

Paolo moralista? Molti lo potrebbero leggere e interpretare nel segno di una moralità estrema, rigorosa; per certi aspetti rigida e bigotta. Oppure non è forse il coraggioso difensore della nostra vera natura. Un Paolo, soldato di Cristo, che difende la nostra umanità dalle insidie di quel peccato, che diversamente ci priva della legittima eredità: "eredi del regno di Cristo e di Dio". Non è certo il peccato di "fornicazione ... di impurità o di cupidigia ... né di volgarità, insulsaggini, trivialità ...", che ci priva del a Regno, quanto ciò che anche attraverso quel peccato determiniamo in noi: l'idolatria. Che cosa è infatti il peccato? Non è forse idolatria! Cioè amore di una realtà finita; di una compensazione effimera; di una gratificazione corrotta; di una frenesia non gestita. Infatti, se il limite occupa lo spazio della nostra umanità, del nostro cuore, tutto di noi rischia di essere orientato e coinvolto in quel limite. Paolo vuole portare ciascun discepolo del Signore in quella lotta che è difesa dell'interiorità attraverso un combattimento continuo e progressivo che conquista e difende il cuore, istaurando in esso il Regno di Cristo. È in questo modo che la moralità non è rigido moralismo, ma espressione della forza dell'amore del Signore. È la nostra volontà che si riveste della grazia del Signore ... e vince la lotta con l'idolatria, istaurando il regno di Cristo in noi! L'eredità è bella perché porta in sé il gusto della conquista! Conquistati al Signore!

domenica 28 ottobre 2018

Geremia 31,7-9 / Salmo 125 / Ebrei 5,1-6 / Marco 10,46-52
Ti vedo e ti seguo!

Un cieco che vuole vedere ... Che chiede di vedere. In realtà non è tutto qua! Ciò che è straordinario è che il vederci non si riduce al miracolo della vista, ma alla conseguenza di ciò che si vede. Bartimeo miracolato, vede Gesù!
È questa la chiave di lettura del brano e di tutto il Vangelo. Bartimeo, ora immagine del discepolo, vede Gesù e si mette alla sequela, lo segue in quella strada che conduce a Gerusalemme. Lo segue perché lo vede, non più come "rabbuni", ma come messia; come il Figlio dell'uomo atteso è rifiutato; come uomo dei dolori; come colui che viene trafitto; come colui che è appeso alla croce e muore; come colui che glorioso risorge.
Bartimeo uomo di questa città di Gerico, carico di tutta la fragilità che questo luogo rappresenta, non si limita ad ascoltare ciò che accade attorno a lui, ma desidera che Gesù si accorga di Lui. Quando averte che Gesù è vicino, il suo grido rompe ogni barriera di convenienza e di peccato. "Gesù figlio di Davide abbi pietà di me"! Questo grido chiede attenzione, esprime il desiderio di essere toccato, di non essere ignorato e abbandonato alla tenebra. Bartimeo ha desiderato l'incontro con Gesù, ancor prima di vederlo, ancor prima di mettersi a seguirlo per la strada. Quel desiderio nasce dall'ascolto di quanto gli altri attorno a lui gli raccontavano del maestro. La città di Gerico (1) era in fermento quando Gesù arrivava, la città di scuoteva dalle tenebre del proprio peccato, delle proprie fragilità. Bartimeo, ceco (2), desidera che Gesù scuota la sua cecità ... Squarci la tenebra e gli permetta di contemplare la luce: colui che crocifisso, morto e risorto illumina il mondo è ogni uomo.
Bartimeo, non chiede un miracolo, per vedere di nuovo, per confrontarsi con il degrado, con il peccato intorno ... Meglio restare cechi che vedere il male.
No, per Bartimeo il vedere ha un fine: seguire Gesù in quella strada che da Gerico sale a Gerusalemme, la medesima strada che percorre Gesù, diretto nella Città Santa per dare compimento alla sua missione. Vedere è per camminare accanto a Gesù per guardarlo crocifisso, morto e risorto.

(1) Siamo a Gerico, la città maledetta, la città degli uomini. Questa città antichissima, cuore del cuore dell'umanità, porta in sé la memoria della libertà e della scelta di male che portò alla distruzione di Sodoma e Gomorra; siamo nella città dell'oasi delle palme, per quanto la natura ancora offre l'immagine di una remota e paradisiaca bellezza; è la città della luna ...  dell'idolatria, dove regna l'adulterio rispetto alla fedeltà all'amore di Dio. Un luogo dove si intrecciano il desiderio di infinito e la miseria del peccato.
È in questo spazio che la tenebra ha offuscato e privato l'uomo della possibilità di vedere ... 
(2) La tremenda condizione della cecità: non dare una forma, non percepire il colore, non scrutare nella luce lo spazio infinito. La cecità è uno spazio di amara derelizione. Il grido di Bartimeo, non semplicemente un grido di disperazione o di invocazione, è il grido di chi desidera attenzione, come dire: Gesù, ci sono pure io in questo luogo, in questa enorme città di Gerico.

sabato 27 ottobre 2018

Efesini 4,7-16 e Luca 13,1-9
Raggiungere la pienezza di Cristo

L'intimo legame con il Signore, custodito, alimentato e coltivato nella quotidianità garantisce quel dimorare in noi del Signore, non come estasi o una qualche sorta di misticismo, ma come concreta manifestazione della fede che rende presente ed efficace quella grazia data a ciascuno, secondo la misura del dono di Cristo.
Cosa significa questo concetto Paolino, a volte così intricato?
Significa che è la mia preghiera quotidiana che esprime la mia unità con il Signore: Cristo dimora in me nell'atto stesso in cui io mi pongo nella preghiera alla sua presenza; per cui è l'atto in sé che esprime, genera e alimenta l'intimo dimorare.
Significa che è la celebrazione dell'eucaristia, domenicale o quotidiana, che pone oggi di fronte a me l'offrirsi di Cristo per la mia salvezza. Realizza e attualizza il suo corpo donato per me è il suo sangue versato per me; è così vero memoriale: "fate questo in memoria di me!" Ora!
Significa che ogni atto di amore, ben lungi dalla gratificazione personale e dalla propria autostima di sentirsi buoni e utili, apre alla dimensione del dono e della gratuità, condizione di elevazione e maturazione della nostra natura umana, per crescere così ben compaginati come corpo mistico e reale insieme del Signore risorto: "si cresce in modo da edificare noi stessi nella carità".

venerdì 26 ottobre 2018

Efesini 4,1-6 e Luca 12,54-59
Fino all'ultimo spicciolo ...

Dalle altezze (vocazione) del nostro mistero, alla profondità (ultimo spicciolo) della nostra responsabilità. Non diamo nulla di scontato, quasi che il nostro vivere sia senza ripercussioni e responsabilità. Il nostro agire umano è parte del mistero di gloria che nella vocazione personale trova la propria realizzazione e santità. Infatti che cosa è la Santità personale se non "comportarsi in maniera degna della chiamata ricevuta, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace".
Questo modo di vivere corrisponde al discernimento alla luce della chiamata del Signore. Quale bellezza racchiude in sé la "chiamata": altezza del nostro umano mistero; certezza della fede in Cristo e della comunione coll'unico Padre della grazia?
È questa pienezza, racchiusa in noi, che è destinata alla quotidiana ripetitività del tempo, affinché la nostra vita riveli il tempo opportuno, il tempo della crisi, del conflitto, della fatica, il tempo in cui riconoscere l'urgenza del bene che vincere il male. Il tempo in cui le nostre conflittualità sono portate alla luce del discernimento e della responsabilità: il male si vince con il bene; il bene è parte, mediazione, proprio della nostra chiamata.

giovedì 25 ottobre 2018

Efesini 3,14-21 e Luca 12,49-53
Siamo di Cristo!

Paolo, nella lettera agli Efesini, in preghiera chiede che la comunità e ciascuno sua rafforzato nell'uomo interiore. Chi è questo uomo interiore? L'uomo interiore, così come emerge dalla lettera agli Efesini, è ciascun discepolo di Gesù, dal momento in cui si rende disponibile ad accogliere la Parola e il mistero di Cristo che vuole prendere dimora in lui. L'uomo interiore nasce nell'atto stesso della fede (Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori); l'uomo interiore cresce in noi attraverso la quotidiana esperienza di rendere il Vangelo credibile (e così, radicati e fondati nella carità); l'uomo interiore giunge alla pienezza in forza dello Spirito che rende intima la presenza del Signore (conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza).
La condizione nuova in cui la nostra umanità viene rigenerata, non è quindi opera delle nostre forze intellettuale, dell'impegno morale e della perseveranza nelle virtù; essa è prima di tutto e nella sua origine "pienezza di Dio".
Questa pienezza, è nella nostra possibilità custodirla e alimentarla con la carità, preghiera, la contemplazione e mediante il superamento di ogni divisioni in noi e fuori di noi. Quando Cristo abbatte il muro di separazione, dilaga la pienezza di Dio, sta a noi utilizzare quelle pietre per edificare una strada invece usarle per restaurare il muro.

mercoledì 24 ottobre 2018

Efesini 3,1-12 e Luca 12,39-48
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto ...

E' con meraviglia che questa mattina sto in ascolto della Parola. La meraviglia di chi ricordando venti anni di consacrazione Sacerdotale, nella casualità del Lezionario feriale; nella liturgia della parola del giorno affidata alla Chiesa, riconosce la tenerezza del Signore. La sua presenza è vicinanza, una parola di consolazione e di pienezza per la vita: "A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più". È tutto questo come espressione di un amore immenso di Dio, non per una rivendicazione, ma per il dono gratuito di poter partecipare al suo progetto, quello che si realizza "in Cristo Gesù nostro Signore, nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui".
Paolo, ha ricevuto un dono talmente bello (l'intima amicizia del Signore) che è causa della sua conversione, cioè causa della consacrazione della sua vita e del suo amore a Cristo: "A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia".  Ma come per Paolo, questa grazia in modo personale e diversa è data per ciascuno di noi, perché nessuno possa lamentarsi della "conoscenza del mistero di Cristo!", ma ne possa gioire con gratitudine! Stiamo quindi nella veglia del Signore! La nostra vita nel tempo passa essere sempre una invocazione di attesa della sua presenza, per essere degni di poter operare, il più possibile, come "l’amministratore fidato e prudente".
Ho ricevuto molto - in tutto ciò che riconosco gratuitamente dalla Sua bontà - il molto che mi sarà chiesto è il minimo che posso sperare per essere del Signore! Maranata, vieni Signore Gesù!

martedì 23 ottobre 2018

Efesini 2,12-22 e Luca 12,35-38
In verità c'è un solo uomo nuovo in cui possiamo sperare!

Ecco cosa possiamo essere, senza fare neanche troppa fatica:
- dei senza Cristo;
- esclusi dalla cittadinanza del popolo di Dio;
- estranei ai patti della promessa;
- senza speranza;
- senza Dio nel mondo.
Ed ecco cosa possiamo essere attraverso la fede in Cristo:
- possiamo essere in pace (in comunione);
- possiamo essere una cosa sola;
- possiamo abbattere i muri di divisione;
- possiamo essere amici;
- possiamo condividere una sola carne.
Ciò a cui la nostra umanità carnale e spirituale può ambire, ha prospettive completamente diverse, direi opposte; questo non è solo la lettura delle cose secondo Paolo, ma introducendoci nella possibilità di credere in Gesù Cristo ci mostra anche le inestimabili conseguenza della salvezza in Lui. La fede non è antidoto alla paura, e il credere una superstizione. Credere significa vivere di mistero; vivere l'esperienza di attesa del ritorno del "padrone"; di incontro con colui che si china a servirti. Credere a partire da una evidenza: riconoscere nella carne la realizzazione della beatitudine di chi è "sveglio per Lui" (confronta il Vangelo di oggi). Se siamo nella veglia è perché facciamo esperienza dell'opera dello Spirito, perché siamo abitazione di Dio.

lunedì 22 ottobre 2018

Efesini 2,1-10 e Luca 12,13-21
Vogliamo Tornare ai vecchi tempi?

Paolo scrivendo agli Efesini fa memoria di come erano prima di essere diventati discepoli di Gesù. Di come, seguendo le inclinazioni della natura umana, erano asserviti al "principe delle Potenze dell'aria", è tutto in loro era una vita da "uomini ribelli".
La natura umana ha le sue logiche, le sue regole, come pure il Vangelo di oggi ci mostra attraverso la parabola: "... che farò?" (...) "... demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!"
Ma noi che diciamo di avere incontrato Gesù, che ci fregiamo del nome di "cristiani" come possiamo crogiolarci nel compromesso che avvilisce la grazia ricevuta, con l'insensata presunzione del nostro "ego"? Questo è il segno della dipendenza e sudditanza al principe delle Potenze dell'aria!
C'è una espressione bellissima in Efesini che richiama il Vangelo di oggi, e che illumina la nostra ipocrisia: "... Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato ..." rende ricca la nostra umanità con l'umanità di Gesù. Vivere secondo il Vangelo, ricercare l'intima relazione con il Signore arricchisce la nostra umanità della grazia di Dio. Il mio "ego", non mi permetterà mai di arricchire davanti a Dio, la "grazia" è già di per sé quella ricchezza!

domenica 21 ottobre 2018

Isaia 53,10-11 / Salmo 32 / Ebrei 4,14-16 / Marco 10,35-45
Allo stesso modo in cui Gesù ha servito e ha dato la propria vita ...

Noi siamo discepoli di un Dio che, fatto uomo nella carne, si è fatto servo. All'apice della sua "carriera", si è cinto con un asciugatoio, si è chinato sui piedi dei suoi amici e li ha lavati e asciugati, ha compiuto il gesto, il segno del servo, chiedendo di fare altrettanto gli uni verso gli altri. È questa immagine del capitolo 13 di Giovanni - ultima cena di Gesù - che risuona in queste righe del Vangelo di Marco dove Gesù precisa ed indica ai discepoli il modo in cui l'adesione al maestro non è una formalità o una semplice affiliazione, ma è la vita unita a quella del maestro.
Dopo aver corretto il pensiero dei discepoli, condizionati dall'ideologia del potere, della ricchezza, del comando, Gesù rivela come al discepolo è riservato di "bere il calice ... e di essere immersi nel suo battesimo ...".
"Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato".
Per Gesù bere il calice e ricevere il battesimo significano: versare e offrire il proprio sangue, quel sangue versato per noi! Quel sangue che ricevo nell'Eucaristia scorre nella mia vita reale dei discepoli, non solo in quella rituale dei 45 minuti domenicali della messa in chiesa. Gesù dopo aver offerto il vino, e prefigurato il suo sangue versato sulla croce, chiederà al padre che quel calice passi da lui (umanamente comprensibile) ... poi lo berrà fino al fondo, accetterà liberamente quella esperienza di affidamento totale per compiere la volontà del Padre e rendere reale la salvezza.
Bere il calice, ricevere il battesimo sono simbolo della gioia e della sofferenza; della vita personale e della volontà di Dio; della passione e della morte; per cui come Gesù si appresta a berlo, nello stesso modo anche al discepolo è offerto di berlo e di immergervisi ...
Queste parole devono appartenerci, esse tracciano e si incidono nell'esperienza di chi, divenuto discepolo di Gesù, si trova nel percorso di maturare la vera appartenenza al maestro. Oggi più che mai, noi cristiani dobbiamo bere il calice del Signore e immergerci a vivere come cristiani, insieme a lui, la realtà che ci è affidata.
Questa consapevolezza significa:
- Non adeguiamo, riduciamo e conformiamo il regno dei cieli a nostri desideri;
- Non lasciamo correre realtà nel suo precipizio di vuoto e di indifferenza.
- Non chiudiamo il nostro cuore alla provocazione del Signore, a sollevarci al di sopra della nostra limitatezza e delle nostre richieste/pretese.
La vita dei cristiani, l'esperienza della Chiesa chiede costantemente di essere rimodellata rispetto alla Parola. Non possono coesistere logiche di potere, di arrivismo, di protagonismo per chi è chiamato a vivere il Regno dei cieli, un regno in cui il Re è il servo di tutti! Per questo a chi vuole seguire il Signore in questo progetto di vita, viene detto che "anche lui berrà il Suo calice e sarà battezzato nel Suo battesimo!"
Per questo oggi:
- Oggi, non possiamo rimanere indifferenti rispetto alle sofferenze di una umanità disperata, affamata e perseguitata. L'accoglienza, l'integrazione (quella vera) non sono problemi sociali o politici, e non possono essere deputati ai trattati internazionali e alle quote di profughi da accogliere; sono esperienza di mondialità; appartengono alla nostra storia, al nostro tempo, alla nostra vita. Occorre uno sguardo profetico, non da contabili della razza o nazionalisti.
- Oggi, la sacralità e intangibilità della vita non posso essere soggette all'arbitro di una legge che diviene un dogma assoluto, uno strumento di sterminio generalizzato e di massa, ormai ritenuta una conquista di civiltà, ma sopratutto un modo di diseducare e deresponsabilizzare rispetto alla procreazione.
- Oggi il valore del servizio, del volontariato , della gratuità, sono visti con sospetto e quasi ci intimoriscono. Eppure ciò che sfugge alla nostra civiltà perfetta, in cui tutto ha una rispondenza economica, è la gratuità dei gesti di amore. Non è ammissibile, è fuori comprensione, che si possa dare/offrire la propria vita per amore dell'altro.
- Oggi, la scelta di povertà è per noi discepoli di Gesù l'autostrada del servire i fratelli che gridano la loro impossibilità di confrontarsi con un mondo che li scarta e li relega nell'indifferenza esistenziale. Essere poveri è condividere la vita di chi è povero, è accompagnarsi a tutti ...
Oggi, in questo nostro mondo Gesù ci offre la possibilità di bere al Suo calice e di immergerci nel Suo battesimo, non possiamo restare latitanti e vigliacchi; noi abbiamo una visione diversa rispetto alla proposta dei grandi della terra.
Gesù continua a ripetere che "Tra voi non così! ... Chi vuole diventare grande tra voi sia il servitore di tutti". Una vita di servizio non genera una vita da servi, da schiavi, ma genera la vicinanza più prossima al mistero di Dio che si fa uomo. Dio si fa nostro servo! È Lui che si inginocchia ai piedi di ogni suo figlio, si cinge un asciugamano e lava i piedi, e fascia le ferite. L'unico modo perché non ci siano più padroni è essere tutti a servizio di tutti.

sabato 20 ottobre 2018

Efesini 1,15-23 e Luca 12,8-12
Una profonda conoscenza di Lui ...

Conoscere Dio ...
"... quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo (...)". Per Paolo, la conoscenza del mistero, la conoscenza di Dio si evince come esperienza, non si può dire di conoscere Dio meramente attraverso la percezione dell'intelletto. È prima di tutto una illuminazione interiore, del cuore e della vita. Proprio perché tale esperienza è spirituale, può riversarsi nel concreto dell'esistenza e provenire da essa. È in questo senso che comprendiamo la conoscenza del mistero di Dio come corrispondenza alla vocazione (chiamati alla speranza); come custodia del dono della vita eterna che è Cristo stesso (la sua eredità fra i santi); come esperienza di chi è attore della potenza di Dio, perché ne subisce l'azione. Tale potenza (sua grandezza), rivela il mistero, che è sempre e soltanto l'amore misericordioso che Dio riversa in noi. Per questo "chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio". Conoscere Dio è sempre possibile alla nostra umanità perché essa è creata nella corrispondenza all'amore e alla misericordia: al dono gratuito e incondizionato della vita eterna e alla vicinanza di Dio, nel segno reale e concreto della carne di Cristo, la quale risolve il dramma esistenziale della solitudine che è abbandono nel nulla.

venerdì 19 ottobre 2018

Efesini 1,11-14 e Luca 12,1-7
... si erano radunate migliaia di persone ...

Fa riflettere come Gesù abbia sperimentato il contatto con le folle, in una relazione di ricerca-ascolto e con estrema rapidità anche il loro abbando-rifiuto. È in questa dinamica contrastante che va colta la peculiare capacità di Gesù di generare discepoli a cui affidare la Parola. È da quel fermento che viene trasformata e vivificata la massa, un insieme eterogeneo di migliaia di persone, che senza riguardo alcuno si calpestavano a vicenda. La parola deve trasformare, convertire redimere quella entità anonima, perché non è la massa, ma è la persona che diviene "il discepolo" lo spazio in cui la parola è accolta è compresa, per generare la coscienza del nuovo popolo di Dio. Paolo nella Lettera agli Efesini ci raccomanda l'ascolto esistenziale del Vangelo nel quale è dato il sigillo dello Spirito, cioè la possibilità di anticipare, la vita nuova secondo Cristo.
A volte abbiamo strane aspettative e attese, ma in realtà che cosa è la caparra dello Spirito se non quella briciola di amore - quando è riconosciuto proveniente da Dio - a cui permettiamo di dare "consistenza" alla nostra vita. Questo anticipo di pienezza è frutto dell'ascolto esistenziale del Vangelo.
Ecco allora che l'ascolto non deve essere manipolato e occultato dentro di noi, l'ascolto deve liberarci dai nostri compromessi e dalle nostre malizie; deve affrancare la nostra vita dal potere di colui che rendendola schiava del peccato la vincola alla "geénna", cioè ad abitare "le scorie" (il pattume) della nostra esistenza.

giovedì 18 ottobre 2018

2 Timoteo 4,10-17 e Luca 10,1-9
Festa di San Luca, Evangelista
Il Signore mi è vicino e mi ha dato forza ...

Un tono insolito, quello della seconda lettera a Timoteo, un tono di ferialità e normalità! Paolo con estrema ovvietà racconta la "grande fatica" della predicazione: "Dema mi ha abbandonato (...); Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. 
Prendi con te Marco e portalo (...) Ho inviato Tìchico a Èfeso. Venendo, portami il mantello che ho lasciato a Tròade in casa di Carpo, e i libri, soprattutto le pergamene.
Alessandro, il fabbro, mi ha procurato molti danni (...) guàrdati da lui, perché si è accanito contro la nostra predicazione".
 Credo che ci faccia bene leggere queste parole di Paolo a Tito, uno sfogo ma anche un modo di esprimere la sua piena fiducia nel Signore Gesù che opera nel Vangelo attraverso la sua fragile predicazione. Forse il mondo al tempo di Paolo non è né peggiore è neppure migliore del nostro; forse è uguale al nostro, ed è per questo che occorre vivere con verità il Vangelo di Cristo, allo stesso modo in cui Paolo ha cercato di fare seguendo la Parola del Signore: "
La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!"
Le nostre forze e i nostri sforzi saranno sempre inadeguati rispetto alla vastità della "messe", cioè dell'opera dell'evangelizzazione. La preghiera non è solo in ragione del numero degli evangelizzatori, la preghiera è in ragione della verità che gli "operai" devono possedere, affinché mai sia tradita l'adesione a Cristo, condizione che ne caratterizza l'autenticità. Questa vocazione non consideriamola una qualifica particolare di qualcuno, essa appartiene alla missionarietà della Chiesa e alla "missio"di ogni credente.

mercoledì 17 ottobre 2018

Galati 5,18-25 e Luca 11,42-46
Guai a voi ...

Maestro, se parli così, offendi anche noi ... Guai a voi, miei discepoli che da liberi figli di Dio cercate una nuova schiavitù in una Chiesa fatta più di tradizione e di adattamenti culturali piuttosto che fatta dal soffio dello Spirito.
Cadere in queste aporie, cioè "contraddizioni", è facile anche se pure assurdo; ci si trova nella stessa facilità di contrarre l'impurità legale per aver calpestato un sepolcro che in realtà è occulto alla vista. Ci si scopre, così, inadeguati rispetto alla stessa tradizione; ci si ritrova a contrastare con delle regole morali, dei mali antichi che sono frutto dei nostri peccati, ma sono i mali dell'uomo fatto di carne che non lascia in sé stesso agire il soffio dello Spirito. Non è forse vero che quel "guai a voi", oggi, è per i discepoli di Gesù, per questa Chiesa, la nostra Chiesa in occidente, che asserragliata nelle sue strutture e regole, non riesce più a parlare con la gente e con gli uomini del suo tempo? Una chiesa che vive nella paura e di apologia. Una Chiesa che stenta a rinnovarsi perché abituata a vivere sugli allori del passato. Una Chiesa schiava di una idea, una chiesa che ha rivestito i panni del rinnovamento conciliare senza rinnovare il cuore. Una Chiesa che soffre questa aporia!
La libertà della Chiesa dalle schiavitù, non è libertà dalla politica  (indipendenza stato/chiesa) ... Non è libertà economica (autosussistenza) ... Non è libertà di espressione dei propri principi (obiezione di coscienza); per quanto tutto ciò sia estremamente e socialmente importante; ma è la libertà che deriva dal cuore nuovo, dall'essere Chiesa di Cristo liberata dal peccato. Una Chiesa libera dalle schiavitù è una Chiesa in costante conversione, e non solo pastorale; quindi una Chiesa in cui lo Spirito la rivela capace dei sette frutti: "amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge."

martedì 16 ottobre 2018

Galati 5,1-6 e Luca 11,37-41
La fatica e il gusto della libertà ...

La schiavitù della Legge come quella vissuta dai Farisei, è tremenda perché non permette a nessuno di maturare il gusto della libertà come conquista umana. Gesù spezza il giogo degli obblighi e prospetta l'elemosina, cioè la carità come espressione della libertà che deriva dalla fede in Lui (confronta Lc 11,37-41).
Il Vangelo di Gesù Cristo - ovvero che è Gesù Cristo - è quotidianamente una provocazione per ciascun discepolo, affinché gusti il sapore della libertà come progresso della natura umana spirituale, e non come obbligo religioso.
L'obbedienza all'obbligo religioso è una libertà camuffata, essa non vince il peccato che si annida nel nostro cuore, nelle nostre abitudini, nelle pieghe delle nostre fragilità. Paolo, ai Galati, parlando della libertà, rivela la libertà come dono di Cristo affinché la libertà sia stile della nostra vita. Paolo traccia il cammino di libertà come cammino spirituale nella fede: la libertà come stile di vita si dispiega nella misura in cui attratti dal desiderio di amare, apriamo noi stessi alla fede nel Signore che per amore, liberamente ci ha amati. Questa libertà - dono spirituale - vale ben più di ogni obbligo o esortazione morale, ma è un progresso umano (della nostra natura umana) attraverso lo Spirito. La libertà non è una conquista della razionalità, ma è progresso spirituale e gusto della libertà che è da e di Dio.

lunedì 15 ottobre 2018

Galati 4,22-5,1 e Luca 11,29-32
Cristo ci ha liberati per la libertà!


La libertà è parte inscindibile dell'essere cristiano. L'appartenenza a Cristo, porta con sè "il giogo" della liberazione dal male, dal peccato e dalla morte. Un concetto che va oltre il valore rivoluzionario e illuminista di libertà intesa come autodeterminazione e soprattutto affermazione della propria identità ed esclusività non assoggettabile a nessuno. Cristo ci ha affrancati, liberati dal peccato, questo fatto aggiunge al concetto di libertà una condizione nuova, la vittoria sul male che è origine di ogni schiavitù.
Infatti cosa ce ne facciamo della nostra autodeterminazione quando scegliamo liberamente il male e il peccato? È solo un esercitare una libertà morale, ma in realtà siamo ancora schiavi di quel peccato che ci condiziona e ci lega a sé.
La libertà per un discepolo è un dono che si rinnova, costantemente come amore che Gesù riversa per me nella mia esistenza, un amore che ogni volta che è riconosciuto è anche causa della mia vittoria sul mare e sul peccato, ed è anche espressione piena di libertà.
Per essere liberi come cristiani non basta affermare l'autonomia di se stessi, ma è necessario esprimere l'accoglienza del dono della libertà, che determina il vivere con libertà, cioè liberati dal male, dal peccato e dalla morte.
Confrontandoci con la prima lettura di oggi: il figlio della schiava è posseduto e determinato da Abramo; il figlio della libera è un dono di grazia. La libertà è vivere a partire dal dono di grazia.

domenica 14 ottobre 2018

Sapienza 7,7-11 / Salmo 89 / Ebrei 4,12-13 / Marco 10,17-30
La parola è una spada ...

Cosa significa che "la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore". 
Quello sguardo di Gesù intenso e penetrante ci fornisce la cifra della capacità della Parola di  penetrare profondamente la nostra vita. Occorre veramente mettersi sotto lo sguardo del Signore e permette alla Parola di agire in noi nel profondo e così permetterci di fare discernimento. La domanda di quell'uomo esprime il desiderio di felicità, di pienezza ... In verità tutti noi abbiamo il desiderio di una vita realizzata: "maestro buono, cosa è o fare per avere la vita eterna?"
La risposta di Gesù corrisponde alla domanda dell'uomo, ma forse non a cosa egli intendesse per vita eterna. 
Travisiamo il Vangelo se pensiamo che quel tale chieda a Gesù "il compitino" per poter avere come valutazione un bel 10 e lode, che gli permetta di ereditate alla vita eterna.
Gesù non dà il compito da fare, ma invita ciascuno a prendere in mano la propria esistenza e a plasmarla secondo il Vangelo:
- Non uccidere: occorre consacrare il valore della vita dei fratelli, non un precetto generale, ma la vita del prossimo, quella di chi ci è accanto. Il prossimo è invadente, è antipatico, è ostile, è presuntuoso e arrogante ... Non uccidere non basta, rispettare non basta, occorre amare nella vita e la vita del mio prossimo. Lo dobbiamo proprio fare, diversamente lo uccidiamo.
- non commettere adulterio: vivere la fedeltà quotidiana; nella coppia, tra amici, tra colleghi ... L'adulterio è il tradimento; è usare l'altro per i nostri fini, per ciò che non è poi così lecito è vero. La fedeltà nel quotidiano deve risuonare della fedeltà delle promesse di Dio. Voglio essere fedele al prossimo, così come Dio è fedele alle sue promesse.
- non rubare: tutti onestissimi ... Chi ruba più al giorno d'oggi;  tutti abbiamo tutto e possiamo tutto ... Ma in realtà ci appropriamo impropriamente di tante cose, di noi stessi, del nostro tempo, della nostra vita, al punto di rubarci a noi stessi e agli altri ... Non siamo, o rischiamo di non essere più dono per nessuno ... 
- non testimoniare il falso: la verità non va intesa come quante bugie dico, neppure se dico bugie bianche, cioè buone o bugie gravi che fanno male ... La vita del discepolo è testimonianza dell'incontro col maestro ... Con la verità! È falso tutto ciò che affermiamo, nascondendoci dalla verità.
- non frodare: l'Idea della frode riguarda solo la questione delle tasse e delle frodi fiscali? La frode riguarda noi stessi, quando invece di custodire il vino buono lo adulteriamo a nostro piacimento ... Quando ad esempio siamo disposti ad addomesticare l'amore al prossimo per giustificare il nostro orgoglio e la nostra incapacità ad amarlo.
- onora tuo padre e tua madre: la vita nel tempo è una grande scuola di relazioni, e le relazioni sono lo spazio in cui imparare a custodire con tenerezza gli affetti ... Abbiamo capito che ciò che impariamo nella vita ci segna per sempre?
Il Signore guardò quel tale con amore, con uno sguardo "affilato", come le sue parole che entrando non lo hanno lasciato indifferente ... È uno sguardo che non lascia neppure me indifferente ... È uno sguardo che mi provoca a mettere davanti al lui i desideri del cuore ... Se li ho ... 
Magari mi porta a rendermi conto che ho desideri piccoli ... Inadatti alla vita da uomo ...
Magari ami porta a prendere coscienza che se non ricerco il Regno dei cieli, non sto affatto vivendo la mia vocazione; che sono indifferente la chiamata a seguire il Signore e ad edificare la Chiesa.
La spogliazione delle ricchezze, la libertà dagli attaccamenti, la condivisione non come rinuncia ma come dono ... Tutto questo ci conduce all'unico essenziale Seguire il Signore Gesù non solo nella vita ma con la vita.
Per cui è chiaro che il Regno dei Cieli è dato nella quotidianità? E allora «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà». Che cosa aspetti a seguire il Signore?

sabato 13 ottobre 2018

Galati 3,22-29 e Luca 11,27-28
Dalla schiavitù della scrittura alla beatitudine della a parola

"... Perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù." 
Cosa intende Paolo con questo essere uno ? Per Paolo la conseguenza della fede è straordinaria, essa ridisegna completamente la nostra realtà concreta, storica, umana e spirituale. Nella fede in Cristo nulla è più come prima. Per Paolo la fede non è adesione a un "credo" è il modo in cui definiamo la nostra appartenenza al mistero di Dio Padre, è esperienza reale di Dio. La scrittura, la legge ... vissuta come obbedienza da Israele,  non è fede, se la conseguenza è una schiavitù esistenziale. Paolo ha sperimentato la schiavitù, e come essa possa imprigionare la nostra umanità, riducendola a una obbedienza ceca, fino al punto di fare, di Lui stesso, l'acerrimo nemico di Cristo. Ma quando la vita di Gesù diventa la provocazione principale per il senso è il fine della sua vita, tutto ciò che si fonda sulla scrittura e sulla legge si sgretola e ciò che resta è il desiderio di unire la propria vita in un vincolo di comunione con il Signore, che è fede, cioè uno in Cristo Gesù. Il Vangelo di oggi ci racconta come una donna abbia desiderato così tanto la sua partecipazione alla vita di Gesù che non ha potuto fare altro che dare testimonianza. È da quel desiderio, da quella scoperta che si genera la beatitudine della fede, vera felicità e certezza delle promesse della scrittura e della legge.

venerdì 12 ottobre 2018

Galati 3,7-14 e Luca 11,15-26
Lottare col demonio

Se Papa Francesco chiede di pregare per la Chiesa, affidandola alla protezione di Maria e dell'Arcangelo Michele, subito un certo senso di anacronismo si accende nei nostri ragionamenti ... Il nostro approccio razionalista, illuminato, mette in evidenza la distanza da questo modo di percepire la relazione tra realtà ed eternità, tra immanenza e trascendenza. Eppure proprio dai Vangeli conosciamo come per Gesù stesso, il divisore, satana, il principe della menzogna, agisce per maledire l'uomo e trasformare la fede in Dio - il padre che ci ama - nel l'angoscia e desolazione dell'abbandono, la negazione dell'amore. Che cosa è il male in noi? Le azioni morali cattive? La perversione rispetto alla verità e all'amare? La spietatezza della legge? Si, il male è anche tutto questo, noi lo percepiamo come qualcosa di grande, superiore spesso alle nostre forze e dal quale ci sentiamo predati. "Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima". Di fronte all'esperienza del male, all'azione del demonio, la Chiesa resiste e lotta - "le forze degli inferi non prevarranno contro di essa" - la lotta al male in noi e attorno a noi fa parte dell'esperienza della fede. La preghiera è lo spazio della lotta, la conversione del cuore è conquista a Dio della propria esistenza (progressione dell'uomo forte). È in questa "lotta" che prendiamo coscienza della natura del male, del demonio: essa non è solo morale, ma è capace di procurare la dannazione eterna, cioè distruggere l'esperienza dell'amore disilludendoci della salvezza.

giovedì 11 ottobre 2018

Galati 3,1-5 e Luca 11,5-13
La forza della stoltezza ...

Le parole accorate di Paolo ai Galati, risuonano come un grido attuale, ai nostri orecchi?
Infatti, la nostra, sembra proprio essere una esperienza cristiana stordita e condizionata dalla "carne", come se tutto venisse configurato umanamente, privati di quell'orientamento che deriva dalla luce della fede, che è presenza straordinaria del mistero, il quale deve trovare nella "carne" lo spazio della propria rivelazione, e non della limitazione. Come può un cristiano custodire sé stesso se si priva del dono dello Spirito e della parola della fede, unici capaci di rappresentarci al vivo Cristo Crocifisso?
Non abbiamo più questa immagine spirituale e reale, viva e concreta nei nostri occhi; il Cristo crocifisso, non esprime più il riscatto dal male e dalla morte; non rappresenta più il segno di un amore umano e divino insieme reso eterno nel dono totale di sé; non suscita in noi il desiderio di emulare la vita del Signore nella nostra stessa vita.
Ma che cosa sta succedendo ai credenti post-cristiani?
Succede che hanno smarrito il desiderio di pregare, di custodire lo spazio in cui chiedere e in cui ricevere i pani dell'insistenza (confronta il Vangelo di Luca 11,5-13).

mercoledì 10 ottobre 2018

Galati 2,1-2.7-14 e Luca 11,1-4
Da dove ci viene la forza?

Dopo aver ascoltato la Parola, questi quattro primi versetti del capito lo undici di Luca, conviene rileggere, o almeno scorrere tutto il capitolo dieci. Si rimarrà stupiti ieri la densità delle situazioni e insegnamenti abilmente uniti e intrecciati. 
Ecco che di conseguenza l'evangelista ci porta a un momento privato della vita del Signore, come a volerci dire che tutto trae origine e forza dalla sua preghiera. 
Luca, ci testimonia che Gesù sosta in preghiera, cioè in ascolto della Parola del Padre.
Di cosa è fatto questo ascolto, questo pregare in luoghi appartati e di silenzio?
Dalle parole della preghiera insegnata dal maestro, impariamo il suo metterci alla presenza del Padre: "sia santificato il tuo nome"; il nome riempie tutto il silenzio e annulla la solitudine esistenziale: il nome è presenza di colui che c'è ed è accanto, come nella rivelazione a Mosè sul monte.
La preghiera di Gesù è invocazione per la venuta del regno. Il regno non è opera delle mani di Gesù, il regno viene dal padre e provoca la novità di vita e la salvezza.
La preghiera di Gesù è desiderio di affidamento: non dubito che il padre soddisfa ogni bisogno dei figli.
La preghiera di Gesù è origine della misericordia, consapevolezza di dover essere perdonati e necessità di perdonare. Per Gesù è esperienza di amore: essere amato dal Padre per poter amare come il Padre.
La preghiera di Gesù è per il superamento della paura. La paura alimentata dal dubbio della tentazione è all'origine di ogni nostra fragilità.

martedì 9 ottobre 2018

Galati 1,13-24 e Luca 10,38-42
Seduta, ascoltava ...

"Il primo servizio che si deve al prossimo è quello di ascoltarlo. Come l'amore di Dio incomincia con l'ascoltare la sua Parola, così l'inizio dell'amore per il fratello sta nell'imparare ad ascoltarlo. Chi non sa ascoltare il fratello, ben presto non saprà neppure più ascoltare Dio. Anche di fronte a Dio sarà sempre lui a parlare." (Dietrich Bonhoeffer)
Maria seduta ai piedi del Signore ascoltava ... Ecco che finalmente questo ascolto non è una contrapposizione all'attivismo del cristiano, ma esprime tutta la sua priorità, esprime l'essere la parte migliore. Senza l'ascolto della Parola, Dio resterebbe muto; Gesù, uno sconosciuto; i fratelli, degli inutili parolai.
Ed ecco che oggi l'ascolto assume la sua piena rivelazione di senso: non si ascolta solo con le orecchie; si ascolta con tutto il corpo, con tutta la vita, con la totalità della persona; ascoltare è quindi sedersi ai piedi del Signore, con un silenzio accogliente, disponibile nel custodire la Parola. 

lunedì 8 ottobre 2018

Galati 1,6-12 e Luca 10,25-37
... Sia anatema!

"Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo! Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo."
La fedeltà al Vangelo, non è sufficiente per Paolo per giustificare la propria adesione a quelle Parola, "sine glossa". Paolo va oltre e ci confida che le Parole del Vangelo (la buona notizia della salvezza) Lui, non le ha imparate da un apostolo, o da un discepolo del Signore, ma le ha ricevute, come rivelazione di Gesù, cioè del "Kerigma" ne ha esperienza diretta. È questa sua radicalità che gli permette di non deviare nel quotidiano  nel congiungere vita e Vangelo.
Questo è un monito anche per noi, per il nostro tempo. Noi i discepoli del Signore in questo momento storico, non possiamo assecondare il Vangelo della salvezza alle manipolazioni umane e politiche. Oggi più che mai urge prendersi cura dei fratelli ai margini del mondo, nel modo in cui il Vangelo indica di fare: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”.
Questa indicazione non è una esortazione, perché da questo modo di vivere il presente consegue la possibilità di vivere in eterno: "... fa’ questo e vivrai!"

domenica 7 ottobre 2018

Genesi 2,18-24 / Salmo 127 / Ebrei 2,9-11 / Marco 10,2-16
La durezza che scaccia la tenerezza ...

Quando Gesù di fronte alle domande dei discepoli li invita ad andare all'origine, non lo fa per trovare una giustificazione legale inoppugnabile, ma per chiedere di andare sempre all'origine della nostra storia, della nostra vita della nostra speranza.
Se non andiamo all'origine rischiamo sempre di legarci agli schemi, alle convenzioni e di doversi fare strada tra un precetto e l'altro, con lo spirito dell'avvocato più che con lo spirito di un discepolo del Signore.
Tornare all'origine, per il caso del Vangelo significa ricercare nell'amore la motivazione del vincolo tra uomo e donna, un recuperare l'amore come strada della misericordia e del perdono, dell'affetto e della passione. Se si dimentica l'amore come collante tra un uomo e una donna, divorziare non solo è legittimo è giusto, ma forse il più delle volte diventerebbe indispensabile.
Gesù disconoscendo tutte le convenzioni sociali e le leggi umane rivestite di autorevolezza divina ci mette tutti allo scoperto, e chiama in causa la nostra durezza di cuore, la nostra resistenza a lasciare che sia la legge dell'amore ad avere la priorità rispetto a tutto. Quando dimentico questa priorità, quando smarrisco questo inizio ... ecco che la mia umanità diventa dura, e arroccata nei suoi pregiudizi, o anche solo in quelle convenzioni sociali e culturali da cui nemmeno la Chiesa nei secoli è stata capace di difendersi.
La durezza del cuore, va indagata, la durezza del cuore va presa a piccone; è come una incrostazione, una sedimentazione che avvolge ed isola, che imprigiona e nel tempo irrigidisce aumentando di spessore. Se negli anni non ho mai aggredito questa durezza con lo strumento della tenerezza, la mia umanità ne risulta trasformata e mortalmente compromessa.
Non ha caso, credo nel brano di Vangelo, Marco, alla fine della discussione ci pone ancora una volta la situazione dei bambini, accolti e benedetti da Gesù. Questo atteggiamento non è a caso e non semplicemente per esprimere un segno forte circa la durezza di cuore dei discepoli, ma Gesù collega la tenerezza al regno dei cieli.
Forse non abbiamo capito ancora che la durezza del nostro cuore ci preclude il regno dei cieli, ci allontana e ci impedisce di entrarvici, cioè di vivere la volontà del Padre nel quotidiano.
Durezza di cuore ... Vi diamo forma in ogni nostra chiusura all'altro; vi diamo forza in ogni giusto di orgoglio che schiaccia e opprime; vi diamo vita ogni volta che la durezza genera altra durezza; vi diamo spazio ogni volta che per durezza releghiamo il nostro prossimo furi dal nostro cuore. La durezza trasforma la nostra umanità rendendoci disumani ... In principio il demonio iniziò proprio corrompendo la nostra umanità ...
Tenerezza ... Non è un sentimento e nemmeno un gesto benevolo, la tenerezza è virile per la sua capacità di superare il limite dell'orgoglio; è materna per la sua possibilità di essere sempre accogliente; è amore allo stato puro, permette infatti di gustare quanto l'amore è meraviglioso senza consumarlo mai. Questa tenerezza è i legno di cieli, ciò che è all'origine.

sabato 6 ottobre 2018

Giobbe 42,1-16 e Luca 10,17-24
Piccoli si, ma beati, non ignoranti!

Questa mattina alle 7 per la recita delle Lodi eravamo in tre, dopo la lettura della liturgia della Parola del giorno, c'è chi mi si avvicina e mi dice: "per me è una patacca, centoquarant'anni ... ma se non c'erano neppure i dottori ..."
Santa ignoranza, da un lato, ma anche quale sofferenza nel costatare come la fede di molti si fonda su una tradizione, senza domande e senza interessi, senza alcuna formazione ... questa è la condizione della maggioranza dei battezzati. Certo la fede non si esprime a partire calla conoscenza dell'esegesi o della definizione teologica, però tutto questo porta a una fede matura! A rendere consapevoli della beatitudine di vedere attraverso una fede forte, il volto del Signore; quella stessa beatitudine dei discepoli che non fu dei re e dei profeti.
A noi, nuovo popolo di Dio, è affidato il tesoro che ci porta a vedere il volto santo del Cristo e ad ascoltare la voce di Dio, che è la sua Parola testimoniata nella nostra vita ... Un tesoro che sempre va agito, mai sotterrato dalla pochezza della nostra esistenza compensata nei suoi bisogni primari (bisogni fisiologici; bisogno di appartenenza; bisogno di stima ...).
Vivere questa beatitudine, non significa essere superbi o sentirsi superiori, la beatitudine esprime la gioia di chi intuisce il mistero e pone ogni attenzione ad accostarvisi. È la gioia, la felicità di chi sente prossima, e già pregusta la meta.

venerdì 5 ottobre 2018

Giobbe 38,1.12-21;40,3-5 e Luca 10,13-16
Chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato ...

Anche ai nostri giorni, nello scandalo e nella fragilità tutta umana della Chiesa, il Vangelo del regno dei cieli viene annunciato con le parole e con la vita. Ci sembra tutto inadeguato; eppure Gesù, le sue parole, raggiungono l'uomo di oggi proprio attraverso la Chiesa ferita e umiliata. Più che mai dobbiamo riconoscere "il tesoro prezioso, in vasi di argilla". La conversione di mentalità e di stili di vita che da più parti si invoca per la Chiesa, oggi prende forza a partire dalla parola del Signore che non può essere disprezzata da chi è Chiesa; prende forza dai segni dei sacramenti che non possono essere rinnegati. Nonostante tutto la verità passa e raggiunge l'uomo in quella parola e quei segni; per questo nella "Chiesa" dobbiamo ridare priorità all'accoglienza del Signore nella parola e nei sacramenti.
Cosa significa realmente conversione? " ... Da tempo si sarebbero convertite ..."
Non è forse accoglie Gesù, affinché sia una presenza vera e autentica, una presenza che rende la vita una esperienza animata dalla fede in lui. La fede non è questione di conoscenza, ma di accoglienza di un mistero, è vicinanza a Dio: un contagio per la sua prossimità.

giovedì 4 ottobre 2018

Galati 6,14-18 e Matteo 11,25-30
Festa di San Francesco d'Assisi patrono d'Italia
Vita Santa ... La vita scansata ...

In noi credenti, oggi, esiste una sorta di ipocrisia, che pur avendo consapevolezza intellettuale della Santità, la scansiamo preferendo senza dubbio la conformazione alla mentalità del secolo. Ma la Santità della vita è ascrivibile proprio nella non conformazione al pensiero di massa del secolo presente. Francesco d'Assisi ne è un esempio lampante; il poverello di Assisi, per il suo tempo è stato una chiara non conformazione, ricercando nel Vangelo la luce che illumina il cammino di verità dell'uomo: una luce che di fronte alla brama (desiderio) di ricchezza indicava la povertà evangelica; che di fronte alla desolazione e allo scarto di ciò che era ripugnante e diverso, oppone l'abbraccio e l'amore per il fratello (sempre); che di fronte alla paura dell'umana morte, oppone la conformazione al Risorto, a partire dalle stigmate della passione.
Francesco è realmente Santo e quindi realmente nuova creatura. È questa novità che quando non è scelta ci rende prossimi alla mentalità del secolo presente.
Ma che cosa ci fa nuovi? L'unica situazione che può farci realmente nuovi e la frequentazione con l'uomo nuovo, Gesù Cristo! Se chi va con lo zoppo impara a zoppicare, se andremo a lui "... stanchi e oppressi ... se Lasceremo che lui si avvicini e aderisca  alla nostra vita come un giogo sopra le spalle ... Allora impareremo da lui, che è mite e umile di cuore, e troveremo ristoro per la vostra vita".

mercoledì 3 ottobre 2018

Giobbe 9,1-12.14-16 e Luca 9,57-62
Tre risposte anche da me ...

Gesù non ricercava il consenso, né dei singoli né delle folle; Gesù ricercava l'umanità libera di immergersi in quella sua parola, capace di trasformare il cuore dell'uomo e il cuore del mondo.
Mi sono chiesto che cosa mi rende ancora disponibile a dire a Gesù "ti seguirò" ma anche a sentirmi rivolgere dal Signore l'invito "Seguimi!".
Mi rispondo che il desiderio di seguire Gesù, è ben più di una avventura, di una scelta di vita; è la necessità di posare il capo sul suo petto, come Giovanni. La relazione di fede e di amore con il Signore si può dipingere con questa immagine propria del Figlio dell'uomo, ma anche di chi lo segue: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo". Il Figlio dell'uomo posa il suo capo nel "seno del Padre"; ogni discepolo lo posa nel petto di Cristo, per ascoltare la voce del suo cuore.
Ma perché Gesù ha scelto proprio me, non poteva scegliere un altro? Non è che sia tutta una suggestione? Dopo venti anni di immersione nel "seguimi" credo di poter dire senza ombra di dubbio che quell'invito non ha nulla a che fare con tutto ciò che si è fatto pastoralmente attraverso il ministero sacerdotale, ma che quell'invito è una offerta di senso al mio esistere, una offerta di pienezza alla mia deficienza, una carezza di amore al mio desiderio di bene e di essere amato per sempre. Continuiamo ad arare ...

martedì 2 ottobre 2018

Esodo 23,20-23 e Matteo 18,1-5.10
Memoria dei Santi Angeli custodi
Gli angeli ... dei piccoli

Ultimamente questo episodio narrato nei vangeli, lo abbiamo già letto e meditato varie volte; questa ripetitività da un lato diviene faticosa, dall'altro ci mostra come la ricerca della grandezza del discepolo, la grandezza nel regno dei cieli, è condizione di una umiltà e povertà di spirito che solo nel cammino della vita possiamo acquisire... Non conquistare o possedere, ma che diviene nostra se noi ci trasformiamo in umiltà e povertà di spirito. In questo itinerario chi ci accompagna, chi ci sostiene, chi ci incoraggia?
L'immagine dei nostri angeli che ci fanno essere piccoli del regno dei cieli, è suggestiva ... Se ci affaccendiamo per una "grandezza umana", ci allontaniamo dagli angeli di Dio, e quindi dal suo volto, e ci accompagnano all'angelo divisore, a Satana. Quanto è vero questo! Ce lo ricorda anche Enzo Bianchi quando dice: "... che facciamo la guerra del diavolo ... del divisore, accusatore, menzognero. Oggi questa guerra è soprattutto guerra di cattolici contro cattolici, e i nemici peggiori sono i fratelli".
Per sottrarci a questo scandalo, a questo inciampo, dobbiamo convertirci, ma prima della conversione occorre che riconosciamo il bisogno di una luce vera; di un affidamento altro; di un sostegno divino; di un governo di carità ... Tutto questo è accompagnarsi a un angelo che vede sempre il volto del Padre.

lunedì 1 ottobre 2018

Giobbe 1,6-22 e Luca 9,46-50
La piccola via ...

È un Giovanni ragazzotto e un po' presuntuoso - così lo immagino stamattina - ancora non convertito all'amore e dall'amore che gli evangelisti ci presentano in diverse loro narrazioni: "impediscilo, non era dei nostri ..." Giovanni è irritato e un po' pretenzioso: "come può uno qualsiasi fregiarsi dell'amicizia di Gesù se neppure è tra coloro che lo seguono ..."
Occorrerà ancora un discreto cammino, di intimità per poter fare di Giovanni il discepolo amato. Sì, proprio un cammino interiore di intimità. Giovanni dovrà abbandonare ogni pretesa di essere "grande", importante, significativo ... davanti agli altri discepoli ... 
Giovanni dovrà diventare "ingenuo" nell'amore, come un bambino che si lascia "prendere" da chi amandolo gli mostra più attenzione e consolazione. Giovanni dovrà accorgersi di essere così amato da Gesù, che in tutto quel tempo quell'essere amato, lui lo ha ignorato, non ne è stato neppure sfiorato, non se ne è accorto! Tale era la sua preoccupazione di trovare un posto tra i dodici per essere il più vicino allo sguardo del maestro. Invece lo sguardo del maestro era nella totalità del suo cuore, già offerto, già donato, già dato ...
Oggi nella Chiesa ricordiamo Santa Teresa di Gesù Bambino (Teresina), la sua vita è stata tutto una ricerca di intimità, del cuore di Dio; la sia regola spirituale è la Piccola via: "Per camminare occorre essere umilipoveri di spirito e semplici"