domenica 31 marzo 2019

Giosuè 5,9-12 / Salmo 50 / 2 Corinzi 5,17-21 / Luca 15,1-3.11-32
Una parabola ... Tre parabole

L'abbiamo ascoltata talmente tante volte che corriamo il rischio di non andare oltre la solita interpretazione ... Tutto diventa la vicenda del Padre buono (Dio) rispetto ai figli (noi) bisognosi di comprendere cosa sia la misericordia.
Ma Gesù ... Raccontando queste parabole forse aveva altro nel cuore. Credo infatti che Gesù attingesse dalla preghiera e dal dialogo con il Padre, attingesse dalla sua relazione con "Suo Padre" gran parte dei contenuti che condivideva. Non aveva in cuore di far la morale sulla vita, ma di condividere la sua vita ...
Ed ecco che ... Un pare aveva due figli ... uno era pubblicano e peccatore, l'altro era Fariseo e Scriba ... Una rilettura contestualizzata ci porterebbe facilmente a interpretare la narrazione di Gesù in chiave morale, per cui ...
Ma questo non è il fine della parabola ... Non è il motivo per cui Gesù ha raccontato questa parabola,  perché la parabola per sua natura conduce alla conversione ... Conduce ad assaporare e comprendere una parola nuova, un concetto nuovo, una esperienza nuova, non umana, la misericordia, come modo di essere di Dio.
... La narrazione della Misericordia in realtà parte da più lontano, parte da un pastore che ha un cuore così grande che non si dà pace se una pecora di smarrisce, ma la cerca, la trova e se la carica in spalla e la riconduce a casa. Il racconto della Misericordia invade una casa, ed è il cuore di una donna, che straripa di gioia, che vuole condividere insieme alle sue amiche ... Ora comprendiamo la misericordia come una questione di cuore, è il cuore di un padre che vive e batte per i suoi figli pubblicani e peccatori, farisei e scribi ...
Il Padre ... fedele al suo ruolo, manifesta tutto il suo amore, a chi era perduto come una pecora ed è tornato all'ovile; a chi era disperso come la dracma è stato ritrovato. Non occorre essere perfetti per essere amati dal Padre, occorre solo desiderare di essere amati, proprio da Lui. Questa esperienza di amore diviene nella vita condizione di gioia.
Il Padre è misericordioso non solo nelle azioni, ma nella sua natura, il Padre è misericordia!
A volte ciò che non siamo disposti ad accettare è che la misericordia è realmente la porta della gioia e della vita. Nella misericordia abbiamo la vita del Padre e la gioia della festa eterna. Scribi e Farisei, integerrimi nel loro osservare le leggi, rischiano di essere solo osservatori della misericordia, ma dal giudizio spietato, che li priva del gusto di amare. Amare con misericordia significa anche perdonare il peccato, quando l'ascolto significa conversione.

sabato 30 marzo 2019

Osea 6,1-6 e Luca 18,9-14
Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare ...

La profondità di questa manciata di versetti del profeta Osea, rappresentano per tutti noi quelle parole irrevocabili di Dio, parole non solo belle, ma parole attese come l'acqua per la sete. Non è forse vero che ciascuno per la sua parte è immerso nell'attesa della piena realizzazione della promessa di quella vita che si compie nel terzo giorno?
Ora viviamo nei giorni cupi, quelli nei quali sperimentiamo la nostra fragilità, sperimentiamo i nostri limiti e anche i tradimenti ... Si, perché di questo si tratta: "abbiamo tradito la promessa di amarlo ..."
Ma il terzo giorno tutto è dimenticato, il terzo giorno Lui viene e ci farà rialzare, ci porrà accanto a sé, ci metterà nel suo cuore; solo allora il nostro amore non svanirà più! Solo allora la nostra piccolezza, troverà in lui la più grande consolazione sperata: "le profezie non sono visioni o promesse; le profezie sono la descrizione della realtà nel suo pieno compiersi".
Questa "profezia in parola" ha un apice di svolta: "Venite, ritorniamo al Signore ..."
da ogni nostra lontananza, da ogni possibile latitanza, da ogni anche piccola indifferenza ... Risuona quel "ritorniamo al Signore" ... 
Fintanto che abbiamo in noi la minima presunzione di giustizia saremo sempre dei farisei intenti a giustificare noi stessi, in un confronto spietato con i pubblicani, con coloro che consideriamo e sentiamo come peccatori, soprattutto nei nostri confronti. Fintanto che queste sono le logiche che ci occupano il cuore, non "ritorneremo da nessuna parte ..."
Fintanto che gli altri (il mio prossimo scomodo) sono il mio nemico; fintanto che mi preoccuperò più di me stesso che dei miei figli; fintanto che Dio si ergerà come simulacro religioso della "religione atea"; fintanto che la vita sarà un possesso e non un valore ... Non "ritorneremo" da nessuna parte, non ritorneremo verso nessun Dio Padre, perché non ne abbiamo alcun bisogno! Per ritornare al Padre, occorre sentirsi e volersi generati da Lui.

venerdì 29 marzo 2019

Osea 14,2-10 e Marco 12,28-34
Un amare impossibile ...

Certe espressioni della nostra spiritualità sono ormai senza senso, frasi senza una vera risonanza nella vita dei più, ad esempio, "Amarai Dio con tutto il cuore ..."; "Gesù è morto per noi ..."; "Gesù ha dato la sua vita per i nostri peccati" ...
Nella normalità dell'aridità spirituale, il cuore di tanti "credenti" (meglio dire, battezzati) si trova alle prese con la latitanza da Dio; siamo realmente in un "esodo al buio"!
Come è possibile amare Dio, se per me quel Dio è muto, incapace di comunicare la sua parola, escluso da ogni esperienza di vita!
Chi ha chiesto a Gesù di morire per me? ... Per quale motivo dovrebbe morire? Per i miei peccati? Ma quali ..., e cosa è poi questo peccato ... È l'immoralità del mio agire? Ma chi lo stabilisce? La mia coscienza non mi rimprovera nulla, così anche il mio cuore naviga a vista tra i sentimenti e le esperienze ...
Tutto questo fa parte del relativismo dell'esperienza del credere. E siamo così completamente immersi in questo travaglio epocale in cui ciò che non trova senso è proprio la parola "amare". L'amore non si comanda e tantomeno si insegna ad amare: sarebbe solo una idea ... Ciò che emerge è che all'amore si lega il senso religioso.
Venendo meno il senso religioso non ci si può scandalizzare della distanza che l'uomo di oggi metta tra se e Dio, al punto che nemmeno la reciprocità dell'amore umano resiste nella scala dei comandamenti, ossia dei valori esistenziali: il prossimo non è da amare, dal prossimo ci si difende; il prossimo se non è nemico è per lo più l'antagonista, il concorrente.
La pagina del Vangelo, parte da una condizione esperienziale privilegiata, parte da una domanda di un uomo che vive in una tensione spirituale ... La tensione di chi si riconosce nella fede di un popolo, della fede nei padri, in quell'ASCOLTA Israele che è il presupposto dell'amare Dio, del tornare a Lui ...
Qual'è il fondamento del comandamento dell'amare Dio e il prossimo? Non è forse lo sperimentare la propria insufficienza? Una incapacità che ha bisogno dell'altro per dare compimento al desiderio/bisogno di amare. Non è forse riconoscere l'incolmabile solitudine esistenziale che si riconosce al tramontare della vita?
Giustamente meditava Agostino: "Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te" (Le Confessioni, I,1,1). Per amare, sempre, occorre rientrare nel nostro cuore nel nostro esistere. Il "male" di oggi si chiama fuga da sé stessi!

giovedì 28 marzo 2019

Geremia 7,23-28 e Luca 11,14-23
Cosa significa scacciare il demonio?

Tra le attività principali compiute da Gesù, oltre alla predicazione e ai miracoli di guarigione, c'era appunto anche ciò che noi chiamiamo: "esorcismo". Con estrema serietà occorre affrontare questo aspetto, parte integrale dell'annuncio, della buona notizia del Vangelo. Non siamo di fronte a "facili credulonerie", o a ingenue fantasie mosse dalla paura di satiri, streghe e malefici, che esprimiamo umanamente nei desideri o nella spietatezza dei nostri giudizi. L'esorcismo della "buona notizia" del regno dei cieli è prima di tutto liberazione dal male, dalle sue suggestioni, così come affermiamo nella "rinuncia" battesimale: "rinunciate a Satana, a tutte le sue opere, a tutte le sue seduzioni; ... rinunciare al peccato ..., rinunciare a satana origine è causa di ogni peccato?"
Il Vangelo di Luca nella narrazione pone questo "esorcismo" dopo la preghiera di Gesù (Padre Nostro), e la scoperta della preghiera come spazio in cui - a chi lo chiede - il Padre dona lo Spirito. Ecco il dito di Dio, la forza dirompente che disperde e neutralizza il male. Il dito di Dio, cioè la potenza del suo Santo Spirito, libera l'uomo dal male, dalla tentazione al male, dalla suggestione del male. In Gesù, il dito di Dio è azione, è potenza, ed è anche realtà concreta nella vita di tanti. È la forza del silenzio contro le accuse, le calunnie, le insidie. È la concretezza dello Spirito, quella che nasce dal confronto tra Vangelo e vita; tra novità della vita nuova e la vita vecchia con tutti i suoi compromessi; tale concretezza crea scandalo, e spinge il male a rivelarsi e a ribellarsi: "Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo". Ecco che il dito di Dio è la Parola di Gesù, come "azione" che libera dal male e rende forti per non essere nuovamente catturati dalla seduzione del male.

mercoledì 27 marzo 2019

Deuteronomio 4,1.5-9 e Matteo 5,17-19
Sciogliere dalla legge ...

Per Gesù e per ogni ebreo ... anche per ogni convertito, discepolo del Signore proveniente dal giudaismo, la Legge è qualcosa di più delle Leggi. La legge è la Torah, è ciò che ogni ebreo ascolta come Parola di Dio, di Yhwh, rivelazione fatta si Padri, ad Abramo, Isacco, Giacobbe ... a Mosè, affinché sia ascoltata, accolta, vissuta e tramandata si figli.
La Torah custodisce e garantisce il popolo di Israele nella relazione con Yhwh. Ogni riduzione della Torah è nella linea del Legalismo, per cui la legge diviene principalmente coscienza di una colpa, di un peccato, e di conseguenza del giudizio e della pena.
Il Vangelo di Matteo, nel capitolo quinto, con le Beatitudini, non da una nuova Legge, non aggiunge nuove disposizioni morali, ma porta a pienezza, porta a compimento la Torah. Se infatti con la Torah ho imparato ad amare Yhwh e i fratelli, ho riconosciuto le condizioni della mia identità, ora nelle Beatitudini riconosco le conseguenze della Thorah nella mia umanità. La pienezza della Legge, non si compie nella semplice moralità delle azioni ma nella trasformazione del cuore, nella sua conversione da cuore di pietra a cuore di carne; questo è l'essenziale delle Beatitudini. Il discepolo di Gesù raggiunge la felicità attraverso la conversione della vita che è conversione del cuore. Gesù non può abolire nulla di tutto questo, non può sciogliere nulla di tutto questo, perché tutto questo è il cammino per la nostra realizzazione di uomini e donne, figli di Dio. Ecco che le Parole di Gesù portano a pienezza l'ascolto della Torah ... Portano a compimento la maturazione di ciò che è umano, per fare di noi dei "grandi" (Santi) del regno dei cieli. Bon cammino di metà quaresima ... Da oggi occorre non disperdere il desiderio di conversione ... siamo solo a metà del cammino!

martedì 26 marzo 2019

Daniele 3,25.34-43 e Matteo 18,21-35
"Così anche il Padre mio celeste farà con voi se ..."

Alla domanda di Pietro, Gesù risponde con una parabola, la cui trasparenza e immediatezza è appropriata per provocarci in coscienza circa il modo in cui esercitiamo la misericordia del Vangelo, cioè se fino a settanta volte sette. Ma alla fine della parabola, rimaniamo sorpresi perché sembra che la logica della narrazione ci riporti a un modo di essere misericordiosi ingabbiato nel limite della reciprocità: "Così anche il Padre mio celeste farà con voi se ..."
A meno che questa espressione conclusiva non la colleghiamo alla affermazione iniziale circa il numero delle possibili ripetizioni del perdono, "settanta volte sette".
"Allora si avvicinò Pietro e disse: Signore quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me, lo perdonerò sette volte? Disse a lui Gesù: "non dico a te fino sette, ma fino a settanta volte sette!" Così il padre mio, quello celeste, vi farà, se ogni uno non perdona di cuore al suo fratello".
La parabola è a servizio di una apertura nella rigida mentalità di Pietro, il quale, con tutta la sua buona volontà si esercita nella misericordia, più con il fine di obbedire alla legge piuttosto che di esprimere una nuova dimensione esistenziale. Ma la parabola pone il sospetto che nel Regno dei Cieli le cose non siano proprio per come sono nella narrazione, la quale si piega all'idea della misericordia come benevola concessione in forza della preghiera di supplica. Però, di fronte a una palese ingiustizia, il Re misericordioso non esita ad affidare al "braccio secolare" ... gli aguzzini.
Nella logica del regno, possiamo esprimere questo concetto: la misericordia è il giudizio di Dio, e nulla si sottrae alla misericordia. La consegna agli aguzzini, non sono nell'ottica della ritorsione, ma nel perpetuare l'esperienza della misericordia, fino all'estremo. Che cosa farà infatti il Padre celeste se non mostrare se stesso come misericordia infinita? Mostrarsi come "settanta volte sette"!
Uscire dalla logica di Pietro per accogliere la logica fi Gesù ... ecco il cammino narrato nella parabola. Ecco il necessario percorso umano per passare dallo stringente criterio della giustizia e della reciprocità a quello della misericordia come gratuita esperienza di altro, del Re ... del Padre celeste ...: un regno nuovo che chiede di aderire e agire secondo una "legge" nuova. Ma noi discepoli di Gesù a che cosa vogliamo aprire il nostro cuore, a sette volte o a settanta volte sette?

lunedì 25 marzo 2019

Isaia 7,10-14;8,10 / Salmo 39 / Ebrei 10,4-10 / Luca 1,26-38
Solennità dell'Annunciazione del Signore
"Ecco, io vengo a fare la tua volontà" ... Giusto per provare a capire ...

Dal nostro punto di osservazione, comprendere e giustificare l'esistenza di Dio è uno sforzo irragionevole. Pur affermando che è più razionale credere in Dio piuttosto che negarlo, risulta insufficiente ogni tentativo di spiegazione del perché la manifestazione di Dio debba essere attraverso l'incarnazione di ciò che definiamo il Verbo di Dio.
Non è certamente sufficiente una giustificazione morale e di opposizione al male e al peccato. Come pure non è soddisfacente ogni tentativo di accostamento a Dio da parte dell'uomo attraverso l'introspezione esistenziale che conduce a forme etiche di vita o a filosofie dell'esistenza. Detto questo, a noi resta l'insufficienza del nostro punto di osservazione: uno spazio-tempo umano e creaturale di esistenza.
Ripercorrendo il cammino esistenziale dell'uomo, ci inabissiamo nella profondità del tempo e nel limite della nostra logica incapace di decifrare l'assoluto che da origine all'esistente. Eppure l'umano porta in sé quella strana consapevolezza di eternità e di vita di cui tutta la creazione sembra essere mappa di orientamento e traccia esplicativa.
Il nostro punto di osservazione non è allora il "luogo" di indagine e per capire, ma occorre farne esperienza come "spazio di risonanza". La creazione esprime l'esistenza, è in un certo qual modo risonanza dell'Assoluto, risonanza di altro. Accogliere la percezione esistenziale dell'assoluto è l'esperienza del dolce abbandono al mistero di Dio; mistero che si compie e manifesta anche nella realtà e nella vita di ogni uomo e donna. Questo assoluto è presente, ed è percettibile, ad esempio in ciò che noi chiamiamo "Incarnazione del Verbo"; ne è la sua visibile trasparenza, ovvero gloriosa e luminosa presenza: "è il verbo si fece carne e prese dimora in mezzo a noi". Questa felice espressione giovannea, trova corrispondenza nel dialogo tra l'assoluto e l'esistente, tra l'Angelo e Maria, e ha nelle parole della Vergine il senso pieno dell'accoglienza di Dio: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola".

domenica 24 marzo 2019

Esodo 3,1-8.13-15 / Salmo 102 / 1 Corinzi 10,1-6.10-12 / Luca 13,1-9
Eppure Dio è all'opera ...

Nel confronto con la realtà molto spesso ne usciamo "battuti" e sfiduciati; la realtà ci porta a dubitare e a sentirci degli sconfitti. Al punto che sorge il dubbio circa la possibilità del reale di dare ragione dell'agire giusto di Dio.
Inoltre una certa visione moralistica porta a screditare il "buon Dio" circa il suo progetto di salvezza. L'uomo sembra in preda a un progressivo imbarbarimento, conduzione sembra che resiste anche all'amore di Dio per noi. Che Dio ci abbia abbandonato alla nostra indifferenza e autosufficienza. Dove si trova ora quella tenerezza di padre misericordioso, che da sempre vi hanno raccontato?
"C'é troppo male,troppa ingiustizia verso la quale Dio sembra stare a guardare". Cosa pensare di tutte le disgrazie che accadono anche ai nostri giorni ... Tra chi invoca il giusto castigo di Dio e chi lo bestemmia in egual misura accusandolo del male del mondo. Cosa pensare ... Si fa fatica anche a pensare ...
La parabola del Vangelo di Luca si propone come rilettura della realtà anche quando sembra essere nel tentativo di fuggire al suo creatore; nonostante una complessiva distanza, resta comunque oggetto delle sue cure. Anche se per volontà propria quel fico volesse smettere di produrre frutti, il contadino della parabola continuerebbe a prendersene cura, perché prima o poi quella "volontà resistente" dovrà aderire alla sua stessa natura e alla fecondità dell'amore. Avere cura è come amare, e l'amore è tipicamente fecondo. Ecco lo sguardo cristiano che supera ogni disperazione e guardando bene, impara a non dubitare. Il dubbio è il modo in cui si "perisce allo stesso modo!"
La realtà in cui viviamo va accudita, va zappata, va curata ... Da buoni contadini, abbiamo la vocazione di recuperare questo nostro mondo immerso nella sua fragilità, un mondo che geme, per il peccato di tanti, ma è anche un mondo che custodisce la traccia, la memoria di un amore immenso ed esterno che non si estingue.
Papa Francesco ha suggerito quattro principi della dottrina sociale della Chiesa per districarci nella comprensione della realtà della vita, principi ispiratori del modo con cui prenderci cura della realtà, della vita, delle relazioni. Un modo attuale di avere cura del fico nella prospettiva di mangiare almeno un frutto:
- Il tempo è superiore allo spazio: il tempo è aperto al futuro, occorre quindi mettere in moto dei processi che richiedono tempo per svilupparsi, senza pretendere quindi di avere subito e/o di possedere il risultato. Questo principio è importantissimo per la vita delle nostre Chiese in uscita, per la nostra pastorale missionaria ... Seminiamo germi di novità ... I progetti sono semi da piantare in attesa dei frutti.
- L’unità prevale sul conflitto: in quale modo superare i nostri conflitti?
Guardare avanti come se nulla fosse? O Farsi coinvolgere totalmente? Oppure stare di fronte al conflitto in modo solidale, cioè dare forza e voce a tutto ciò che ancora si ha in comune, smettendo di ignorarlo. Valorizziamo ciò che vi unisce che, sotto sotto, è sempre di più di ciò che ci divide. Questo è un principio salva famiglia!
La realtà è più importante dell’idea: Con questo principio papa Francesco dice che «sognare va bene, ma per andare avanti serve il confronto con la realtà», perché la realtà è, ed esiste. Mentre l’idea è frutto di elaborazione mentale la realtà parte dal concreto ed è esplicita, non finge ... va compresa. Non si risolvono i problemi coprendoli di idee e sogni. È un principio essenziale per l'agire pastorale della comunità.
Il tutto è superiore alla parte: occorre prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana delle nostre piccole "cosine" che facciamo sempre così bene ... Tenere attenzione a tutta la realtà nella sua complessità... Non ci sono prima le nostre cose, non ci siamo oro a noi e poi gli altri. È tutto nell'insieme, noi non siamo un'isola! E al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra.
Curare, zappare, concimare, irrigare significa fedeltà a quell'amore ci spinge ad agire nel tentativo di fare produrre un frutto buono ... Urge in noi agire e operare secondo il disegno di Dio!
Quale frutto dobbiamo sperare? Credo che oggi il frutto necessario da produrre sia la comunione e la fraternità. La Chiesa, le parrocchie, devono vivere in se stesse la comunione e la fraternità per poterla generare in tutta la realtà di cui sono parte. L'uomo di oggi, dalle nostre parti, ha bisogno di comunione e fraternità. 

sabato 23 marzo 2019

Michela 7,14-15.18-20 e Luca 15,1-3.11-32
... si compiace di manifestare il suo amore ...

Pubblicani e peccatori, ascoltano; farisei e scribi, mormorano; Gesù narra le parabole della misericordia. Il taglio liturgico di oggi ha collegato questa premessa alla parabola del Padre misericordioso, ma nella narrazione del Vangelo, il "dire questa parabola" passa attraverso tre immagini che costituiscono un unico di misericordia.
La parabola che Gesù racconta è quella della pecora smarrita che è ritrovata dal pastore; della moneta persa che è ritrovata dalla donna di casa; e del figlio ribelle e di quello servile: figli di un solo Padre che li ama entrambi. Ciò che viene manifestato in questa triplice parabola è la tenacia dell'amore, della compiacenza circa la misericordia.
Il pastore, ritrovata la pecora la porterà a casa e griderà a tutti la sua felicità per averla ricondotta all'ovile: "... e sarà gioia gioia in cielo per un solo peccatore che si converte".
La donna, che ha perso la dracma, non si dà pace fino a che ritrovatala, lo racconta e condivide quella gioia con le amiche e le vicine: "... è gioia al cospetto degli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte".
Il Padre manifesta tutto il suo amore, chi era perduto come una pecora è tornato all'ovile; chi era disperso come la dracma è ritrovato; ora si manifesta ciò che ha permesso la gioia del suo cuore: la misericordia.
A volte ciò che non siamo disposti ad accettare è che la misericordia è realmente la porta della gioia e della vita. Nella misericordia abbiamo la vita del Padre e la gioia della festa eterna. Scribi e Farisei, integerrimi nel loro osservare le leggi, rischiano di essere solo osservatori della misericordia, ma dal giudizio spietato, che li priva del gusto di amare. Amare con misericordia significa anche perdonare il peccato, quando l'ascolto significa conversione.

venerdì 22 marzo 2019

Genesi 37,3-4.12-13.17-28 e Matteo 21,33-43.45
I frutti della vigna saranno sempre buoni ...

La narrazione (prima lettura, dalla storia di Giuseppe) diviene memoria del passato, dove  abbiamo fatto della nostra vita lo spazio in cui il rivelarsi di Dio e le nostre incapacità ad accoglierlo, sono sfociate nella svendita dei "sogni belli", per seguire un sogno miope ed intrigante. Le nostre scelte, sono spesso espressione del limite. La stessa condizione della Vigna racconta la complessità nel collocare nel tempo dell'uomo, il limite di un agire che si oppone al desiderio (sogno) di Dio: "un uomo (...) piantò una vigna (...). Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto".
Seguendo la trama della parabola, il sogno di Dio si compie nella raccolta dei frutti, ma è proprio lì che si infrange con il limite (incapacità dei contadini), nel l'incapacità di corrispondere ai frutti e corrispondere i frutti stessi. È uno sguardo bello quello che Dio ha sulla vigna, essa è nella possibilità di produrre ... è capace di farlo, "altri la faranno produrre, ma consegneranno a Dio i frutti attesi".
Ecco lo sguardo di Dio sulla vita umana, sulla Chiesa, si noi stessi ... È uno sguardo buono e bello, pieno di attenzione, è come un sogno che attende compimento, rappresenta la possibilità da realizzarsi ... essa è nelle nostre mani ...
Quel sogno è nelle nostre mani, quel sogno contiene ed è contenuto nella nostra vita personale. Ma è proprio qui che quel sogno può precipitare. Il versetto 44 è stato omesso, ma dice: "E chi cade (inciampa) su questa pietra sarà sfracellato, e colui sul quale cadrà lo stritolerà!"
È uno sguardo drammatico, ma non in senso distruttivo, ma in senso privativo. Privarsi dell'orizzonte del sogno di Dio, distrugge sé stessi (sfracella); la negazione del sogno è uguale all'insopportabilità del suo peso - si tratta di una privazione insopportabile -, perché quel sogno è grandezza e bellezza, è l'amore del Padre.

giovedì 21 marzo 2019

Geremia 17,5-10 e Luca 16,19-31
Niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce!

Oggi giorno, qualcuno propone la consolante e sentimentale regola di vita del: " va dove ti porta il cuore ..." Il pensiero antico e anche l'espressione di Geremia è di tutt'altro tenore e di diverso avviso: "Niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce!"
Anche nella parabola del Ricco e del povero Lazzaro, siamo di fronte ha una lettura del cuore. Il cuore ricco e centrato su se stesso; lo è in vita, e lo è nella morte. In vita si rivestiva dei segni esteriori del benessere, si immergeva nel piacere di gustare i beni della terra ... Incurante delle piaghe e della povertà di Lazzaro. In morte il suo cuore malato non riesce a fare frutto di conversione e non vede nulla oltre la propria pena che diviene il motivo del proprio "infido" riferimento al povero Lazzaro. Ecco che la malattia del cuore è incurabile.
Il tempo della nostra esistenza terrena è il tempo in cui dalle ferite, dalle prove e dalle fatiche della vita, il cuore si apre alla necessità dell'accoglienza, del superamento delle barriere e della tenera vicinanza fraterna. Il cuore del povero Lazzaro in vita, "sta alla porta", alla porta del ricco, accanto al cuore del ricco, e ci sta con tutta la sua drammaticità. Quella vicinanza è la condizione per cui il ricco può dare una goccia di acqua al povero, per curare la sua fragilità e vulnerabilità. Quel contatto in vita è medicina che guarisce in eterno. Evitare il contatto è la malattia che ammorba il cuore del ricco. Una malattia che neppure i cani sono nella possibilità di curare.
In un mondo diviso tra ricchi e poveri, in cui il povero è sempre più povero, essere ricchi rischia di rappresentare coloro che non sono disposti a dare una goccia di acqua ... Questo sarà il nostro tormento nella vita eterna. Seguire il cuore ci porta poco lontano dalla porta del nostro egoismo. La conversione del cuore, nella vita ci apre alla salute eterna, la salvezza. L'unico che guarisce il nostro cuore infido è solo colui che del cuore conosce la profondità: "Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori ..."
Cardinal Bassetti: "Per un cattolico è immorale vedere nel migrante un nemico da combattere o da odiare". Questi sono i poveri che sono alla nostra porta oggi ...

mercoledì 20 marzo 2019

Geremia 18,18-20 e Matteo 20,17-28
"Che cosa vuoi?"

Questa domanda di Gesù, è estremamente importante per fare discernimento nella vita, e nel tempo quaresimale diventa una opportunità non una incognita.
La madre di Giacomo e Giovanni, ha grandi desideri e aspettative per i propri figli, ed è naturale; è naturale avere desideri e aspettative! Non è presunzione, orgoglio o carrierismo, progettarsi con umiltà, desiderare il raggiungimento di un fine di bene, impegnarsi per uno scopro che ci gratifichi e sia fonte di gioia. Gesù, comprende la preoccupazione della madre dei due discepoli, e si compiace del suo coinvolgimento. Ma l'Evangelista Matteo - fosse anche come rilettura post-pasquale - anticipa l'orizzonte nel quale collocare ogni nostro desiderio e aspettativa: "Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà". Gesù vede con gli occhi la volontà del Padre, sente nel cuore il desiderio di Dio, si incammina per una strada non semplice ma chiara nella direzione: Gerusalemme.
Salire a Gerusaleme è ricerca, è cammino nella volontà del Padre, per il fine della salvezza. Non si sale a Gerusalemme per sé stessi o per i propri scopi, ma per compiere la volontà di Dio. Ma è pure vero che è nel compiere la volontà di Dio, che salgo a Gerusalemme. Questo significa che do' compimento alla mia vita nel pormi a servizio della volontà di Dio: "chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti".
Ecco allora che la domanda: "Che cosa vuoi?" Non è un rimprovero, o una espressione irritata; è un invito a capire cosa volere realmente affinché la nostra volontà esprima di fatto la tensione alla volontà di Dio, sia espressione umana del modo nuovo di stare nel mondo come discepoli. "Che cosa vuoi?" È un invito al silenzio, alla riflessione, alla calma, al discernimento e al camminare in un percorso che è già indicato: "salire alla nostra Gerusalemme!"

martedì 19 marzo 2019

2 Samuele 7,4-5.12-14.16 / Salmo 88 / Romani 4,13.16-18.22 / Matteo 1,16.18-21.24
Solennità di San Giuseppe
... Padre nostro ...

Per la sua fede Giuseppe è padre di tutti noi, non solo Abramo (Romani 4,18-22) - "Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi ..."
Le promesse fatte ai Padri, trovano in Giuseppe uno straordinario compimento. Ecco che occorre superare la "confezionatura" della devozione popolare, che per sentimento e prossimità fa di Giuseppe in protettore di svariate attività e situazioni della vita e della fede distogliendo il pensiero dalla straordinaria esperienza di paternità di cui lo sposo di Maria è stato protagonista.
La vocazione di Giuseppe è ben altro che essere padre adottivo di Gesù. Giuseppe è segno della paternità di Dio, di quella stessa paternità che di generazione in generazione passa di padre in figlio come benedizione di Yhwh, da Adamo, a Noè, ad Abramo, Isacco e Giacobbe ... per sempre.
La paternità di Giuseppe è lo spazio della sua partecipazione alla pienezza del tempo; é lo spazio in cui Giuseppe risponde attivamente al disegno di salvezza a cui Dio lo chiama. È lo spazio in cui Giuseppe si riveste della stessa paternità di Dio per ogni uomo, perché il figlio di Dio, che gli è affidato, è ogni uomo; e in ogni uomo batte un cuore di figlio di Dio. Credo che quando Gesù pregava il Padre, ogni giorno, abbia sentito la presenza premurosa e paterna di Giuseppe, e da quella paternità abbia tratto la dimensione umana di chi si sente figlio. Gesù ha imparato la paternità di Yhwh a partire dalla paternità di Giuseppe. Oggi impariamo dalla vicinanza premurosa di Giuseppe a riconoscere la paternità del Padre del cielo, come Padre misericordioso, cioè accanto; come padre di tenerezza e prossimità; come padre amorevole.

lunedì 18 marzo 2019

Daniele 9,4-10 e Luca 6,36-38
... A noi la vergogna sul volto!

La nostra vergogna sul volto è l'ipocrisia di un sorriso stampato che non corrisponde al Vangelo nella vita! Come sei duro oggi!
Si effettivamente sono un poco spietato, ma di quella determinazione che nasce da una esperienza personale. Infatti, quando un povero nella sua condizione di indigenza, di fragilità e di limite, incrocia la tua strada, è come un "accidente" (termine filosofico") che intatta con i tuoi progetti, i tuoi orari, i tuoi impegni.
Tu hai le tue cose, tutte programmate, ma lui, lui il povero vuole far colazione, quello è il suo obiettivo, l'obiettivo della giornata. E se riesco a defilarmi al primo "impatto" come faccio quando, poco dopo la richiesta della colazione si ripresenta con la stessa insistenza? Il Vangelo è chiaro, l'insistenza piega anche la durezza del giudice disonesto; forse occorre far risuonare in noi quel "date e vi sarà dato ... nella misura con cui misurate anche voi sarete misurati ..."
Quel povero non cambierà il suo atteggiamento rispetto alla vita, ma quel giorno avrà fatto colazione ... Il giorno dopo sarà ancora lì a chiedere a un altro di fare colazione ...
La nostra vergogna è l'ipocrisia del sorriso stampato, quando vuole coprire la povertà con l'indifferenza ... Con il passare oltre e guardare altrove ...
Quella povertà è una ferita che forse mai si rimarginerà ... 
ma una situazione il Vangelo la mette in evidenza: la quotidiana misericordia impedirà al povero di "maledirti" e di "maledire Dio" a causa della sua fragilità. Per cui, andiamo oltre il concetto di reciprocità, andiamo oltre il sorriso stampato sul volto, segno della nostra vergogna ... ma semplicemente esercitiamoci ad applicare alla vita la misericordia.

domenica 17 marzo 2019

Genesi 15,5-12.17-18 / Salmo 26 / Filippesi 3,17-4,1 / Luca 9,28-36
Seconda fase: formare il discepolo ...

Dopo aver educato coloro che ha scelto, cioè dopo averli formati nella sua umanità di discepoli, cioè orientati nella sequela del maestro ... e prima di dare al loro vagare in Galilea una indicazione precisa di cammino verso Gerusalemme - cioè nella ferma e risoluta decisione di salire verso la città Santa - Gesù sale sul monte e insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni, e tutti sono partecipi di una condizione di trasfigurazione. Sì perché non possiamo ridurre la "il cambiamento del volto e del vestito" del Signore a una sorta di evento pirotecnico di cui i tre discepoli sono spettatori plaudenti insieme a due comparse celestiali (Mosè ed Elia). Siamo ancora di fronte alla narrazione, cioè alla memoria di esperienze vissute insieme al maestro, memorie che riconducono alla sua stessa vita e presenza. Una memoria che costruisce l'identità e rende forti nelle scelte di vita che ne conseguono.
Ecco allora che la "trasfigurazione" (anche se mai espressa con questo termine in Luca) del volto del Signore anticipa la durezza e determinazione dello stesso volto e dello sguardo. Dopo questa radiosità tutto è rivolto al compimento che si sarebbe realizzato a Gerusalemme.
Oggi nella trasfigurazione già vediamo la risurrezione. Oggi già siamo chiamati come discepoli alla gioiosa contemplazione e del Risorto. Non è quindi uno sguardo di nostalgia in un cammino penitenziale in cui ciascuno si arrovella nella propria fragilità, nelle proprie tentazioni e paure. Oggi nella trasfigurazione, insieme a Gesù glorioso e risorto siamo "formati" cioè "cambiati" per essere discepoli del Vangelo; annunciatori della gioia del risorto. Questo è possibile non per convinzione ed educazione scolastica o catechistica, ma per esperienza. Come Pietro, Giacomo e Giovanni, dalla trasfigurazione sul monte passano alla trasfigurazione di se stessi. Essi nella memoria di quel fatto, conoscono di essere stati parte di un evento che li ha toccati e cambiati; nello stesso modo per cui essi ora possono trasfigurare la realtà. La trasfigurazione rappresenta il coraggio del discepolo di Gesù di superare la religione come vincolo e giogo per fare esperienza vera del Vangelo. Voglio dire: la religione non trasforma questo mondo ed il Vangelo non ci rende più umani e più felici se il "cambiamento" che è narrato nel Vangelo non parte dal  cambiamento di noi stessi.

sabato 16 marzo 2019

Deuteronomio 26,16-19 e Matteo 5,43-48
Solo se tu camminerai per le mie vie ...

La santità non è la perfezione, ma una proposta rispetto al modo di vivere.
Lo è stato anche per Mosè e per il popolo di Israele. Era la proposta di vivere la Legge, e seguire quel cammino che la Parola di Yhwh risuonava per tutto il popolo. Poi, quella parola trasformata in precetti e legalismo, ha oscurato la gioia e la bellezza di una vita Santa, cioè consacrata a Dio ed espressione di elezione: "tu sarai il suo popolo particolare". 
Il recupero della Santità della vita non è nell'osservanza esteriore e ripetitiva di una norma morale e di comportamento, ma nel radicarsi interiormente nel cuore, e scoprendo un po' alla volta che le leggi, le norme trovano in noi e nella verità di noi stessi la loro origine. Dio non parla esteriormente, Dio non da una legge fine a se stessa ... La sua Parola è capace di originare anche la nostra carne, il nostro Spirito, il nostro esistere; "noi siamo fatti della santità di Dio", perché Santo è il Signore nostro Dio.
Dice il Papa: I Santi, sono “gli amici di Dio”, perché nella loro vita “hanno vissuto in comunione profonda con Dio”. Francesco traccia dunque un identikit dei Santi che, avverte subito, “non sono superuomini, né sono nati perfetti”. I Santi, ribadisce, “sono come noi, come ognuno di noi”, hanno vissuto “una vita normale”, ma hanno “conosciuto l’amore di Dio” e lo hanno “seguito con tutto il cuore, senza condizioni e ipocrisie”. Da che cosa dunque si riconosce questa Santità? “I Santi – risponde il Papa – sono uomini e donne che hanno la gioia nel cuore e la trasmettono agli altri”. La gioia, dunque, tratto distintivo dei Santi, in contrapposizione a quella “faccia da funerale” che, lo dice tante volte, hanno alcuni cristiani che non vivono bene la loro fede.


venerdì 15 marzo 2019

Ezechiele 18,21-28 e Matteo 5,20-26
Lo spazio del SE ...

Esiste uno spazio misterioso che a molti sembra una debolezza, ad alcuni una perdita di tempo, per altri ancora una occasione di conversione, ... ovvero lo spazio della propria conversione. É lo spazio del SE ... È lo spazio dell'ipotetico, dove ciò che è impossibile si rappresenta nella sua possibilità e dove ciascuno di noi impara a determinare sé stesso facendo discernimento (comprensione e azione) sul proprio presente in ragione passato e in funzione del futuro. La nostra conversione avviene infatti a patto di mettere in discussione la nostra autosufficienza; il nostro orgoglio di primeggiare (anche su noi stessi); la presunzione di non sbagliare mai ... Ecco che il profeta Ezechiele in modo provocatorio ci mette all'interno di un confronto: "Se il malvagio si allontana dai suoi peccati..."; "Se il giusto si allontana dalla sua giustizia ..."
Ebbene la conversione non è solo lo spazio dove bene e male si confrontano, e dove io scelgo e accolgo il bene come condizione della mia vita. La conversione di un discepolo di Gesù trova nel SE ... (Ipotetico), una ulteriore condizione, una nuova possibilità: superare il criterio personale per affidarsi a quello di Gesù. Scegliere Gesù come "maestro", significa infatti, adeguare se stessi al Suo insegnamento. Ecco perché la nostra conversione ha bisogno costantemente di essere rinnovata, perché non riusciamo mai a essere perseveranti nell'accogliere e nell'essere come il nostro maestro. Il SE non è debolezza, ma apre l'orizzonte di possibilità alle conseguenze del regno dei cieli; infatti SE la nostra giustizia, il nostro essere "buoni" sarà come quella del mondo, come quella degli scribi e farisei - che si limitano a obbedire alla legge - non entreremo nel regno dei cieli. Ma SE ci alleiamo con Gesù, scopriamo il nuovo del "ma io vi dico ..."https://youtu.be/FRrYRORosgo

giovedì 14 marzo 2019

Ester 4,17k-u e Matteo 7,7-12
Vieni in nostro soccorso, Signore!

Dopo sei anni di pontificato, non si risparmiano i commenti, pro e contro la "rivoluzione bergogliana". Si susseguono le attestazioni pro papa Francesco e contro il successore degli apostoli; come anche gli attacchi - "legittimi" - alla Chiesa, nella sua espressione istituzionale che, rinnegato il volto materno si è mostrata matrigna e peccatrice.
Un senso di profondo disagio, e di ingiustizia - credo e spero - dimora in tanti discepoli di Gesù. La profonda crisi di fiducia e di appartenenza alla Chiesa che si vive in occidente, oggi, non ci appartiene, non ne siamo direttamente responsabili, eppure ne dobbiamo rispondere: come per la regina Ester (prima Lettura), ai discepoli di Gesù è affidata la missione di rinnovare e purificare (attraverso la conversione e la penitenza) il proprio cuore e quello della Chiesa tutta. Oggi, più che mai occorre mettersi in ginocchio, e appellandoci alla fede degli apostoli, invocare lo Spirito Santo, lo Spirito del Risorto, per essere liberati dalle suggestioni del peccato, dalle complicità col maligno; affinché possiamo vincere nella lotta contro il pericolo che ci sovrasta; e recuperare agli occhi del mondo quella luce capace di illuminare le tenebre che, per volontà del Padre, mai avranno il sopravvento. La conversione della nostra vita, in questo tempo quaresimale, supera quindi il cammino spirituale personale per divenire parte della conversione ecclesiale, di tutta la Chiesa. Che cosa è la "conversione personale"? Credo che possiamo chiamare conversione personale tutto ciò che sostiene in pensieri, sentimenti, azioni e stile di vita l'avvicinarsi, l'imitare, il desiderare e l'attuare, i pensieri, gli insegnamenti e i gesti propri del Signore.  La vita di Gesù non è un paradigma irraggiungibile, è un segno efficace e profetico di ogni discepolo. Quante volte infatti Gesù ci ha invitato a fare come lui? 

mercoledì 13 marzo 2019

Giona 3,1-10 e Luca 11,29-32
Il segno del convertito

Ha detto Papa Francesco (10 ottobre 2017): "In quei giorni fu rivolta a Giona, una seconda volta, questa parola del Signore: Alzati, vai a Ninive e annuncia loro quanto ti dico" . Questa volta il profeta obbedì. E ... si vede che predicava bene, perché i niniviti hanno avuto paura, tanta paura e si sono convertiti.
Grazie al suo intervento, ha spiegato, "la forza della parola di Dio arrivò al loro cuore. E nonostante fosse una città molto peccatrice, i suoi abitanti hanno cambiato vita, hanno pregato, hanno fatto digiuno". Accade così che Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia ...
Nella condizione di peccato, di lontananza della grande città, Dio non poteva entrare nella vita dei niniviti. Giona divine per loro il segno efficace; egli mostra il desiderio di pace e la misericordia di Dio per ogni essere che è a Ninive; egli indica nella penitenza, nella preghiera e nel digiuno la strada del cambiamento del cuore; egli percorre - nel percorrere la città - lo stesso itinerario di conversione che propone, egli è segno anche per se stesso. Ed ecco che a Ninive, la grande città, il Signore riesce ad entrare ... tutti gli aprono la vita è fanno penitenza.
La nostra penitenza quaresimale assume una rilevanza non da poco. Essa è per noi cammino per la purificazione del cuore ed apertura della vita all'opera di Dio; ma è anche condizione e possibilità per la purificazione e apertura del cuore di tutta la Chiesa, specialmente in questo tempo in cui il peccato ne ha "sporcato il volto" e mostrato il tradimento verso l'uomo. Occorre recuperare il segno di Giona, come recupero del desiderio di Dio, del desiderio di essere nella sua volontà. Se noi stessi faremo penitenza, il nostro cuore e la nostra vita, insieme al cuore e alla vita della Chiesa si apriranno all'efficacia del "segno di Giona".

martedì 12 marzo 2019

Isaia 55,10-11 e Matteo 6,7-151
Quando pregate, non blaterate come i pagani ...

Questo è lo stile della preghiera di Gesù, lo stile di un ebreo, che vive la preghiera come i profeti di un tempo. Per cui: "Quando preghi, entra nella tua camera è chiusa ma pietà prega ...; non sprecate parole, come fanno i pagani ...; voi dunque pregate così ..."
Occorre fare memoria di una preghiera che sono le parole e il senso del pregare del Signore. Occorre fare memoria di uno stile che è quello di Gesù. Non è una imitazione di Giovanni Battista, non è un misticismo esotico ... E neppure una formulazione magica derivante dalla religiosità pagana. Lo stile del Signore esprime la totalità del suo cuore aperto alla presenza del Padre, di Yhwh. La preghiera rappresenta per Gesù lo spazio in cui riconoscersi Figlio del Padre, in cui immergersi nella misericordia di Yhwh, cioè nell'amore incondizionato che è la stessa vita di Dio. La preghiera non sono quindi parole, ma è voce; suono della presenza; estasi del contatto, del toccare Yhwh con il pensiero, del condividerne l'esistenza, "dimorare nel suo esistere accanto".
Ecco allora che il "Padre Nostro" è tutto tranne una preghiera insegnata per essere ripetuta. Il "pregate così ..." non possiamo intenderlo sempre e solo nel dire e ripetere delle parole. In realtà il "pregate" descrive, Gesù nella sua relazione intima con il Padre. Parole che ci raccontano uno stile, e come quello stile può essere anche il modo in cui ogni discepolo possa sperimentare la stessa intimità con Dio. La preghiera allora rappresenta il tutto di sé nel tutto di Dio; il tutto di una comunità (Chiesa) che prega come Gesù.

lunedì 11 marzo 2019

Levitico 19,1-2.11-18 e Matteo 25,31-46
Tra benedizione e maledizione

Essere Santi come Dio è Santo, significa essere straordinari! Possedere il desiderio dello straordinario secondo Dio; avere il gusto dello straordinario secondo Dio; appassionarsi per ciò che è straordinario secondo Dio, è questa l'esperienza dei santi.
Nella parabola del giudizio finale, di Matteo al capitolo 25, Gesù sembra ricapitolare il "Discorso della Montagna", le Beatitudini. Se infatti Gesù ha raccontato il modo in cui la santità di Dio si rivela ed esprime nella vita degli uomini, trasformandone radicalmente l'umanità; in questa parabola, Gesù narra le conseguenze cosmiche della santità. La proposta della Santità non è l'affidamento di un incarico speciale, ma è la straordinaria esperienza di fare la volontà del Padre, quella volontà che è preparata fin dalla fondazione (creazione) del mondo. La sapienza di Dio, infatti, crea l'universo come risonanza della sua Santità , della sua Gloria (doxa), della sua presenza (Scekiná), della sua paternità ... Ed ecco che tutto diviene regno dei cieli. Nella realtà creata riverbera il regno del Padre. Quando l'uomo acconsente nella sua libertà a conformare la sua vita nell'esperienza al regno di Dio, è lo straordinario di lui che si impone: "... Ho dato da mangiare; ... Ho dato da bere; ... ho vestito; ... ho accolito; ... ho visitato; ... Ho consolato ..." Tutto questo è imitazione e compimento di ciò che è divino. La Torah (la Legge) traduce e conduce l'uomo nel cammino della Santità di Dio. La stessa prima lettura del libro del Levitoco, porta a questa consapevolezza.
Tutto questo è straordinario, perché coinvolge liberamente la nostra umanità nella piena rivelazione della santità di Dio attraverso ciò che esiste! Tutto questo è Benedizione, tutto questo trasforma e trasfigura ciascuno di noi in un "Benedetto del Padre".

domenica 10 marzo 2019

Dt 26,4-10; Sal 90; Rm 10,8-13; Luca 4,1-13
... e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male!

Mi riconosco l'espressione che corregge il Padre Nostro, circa la tentazione: la sento vera, la percepisco umana, ma soprattutto la riconosco di Gesù, rispetto alla sua esperienza della "Tentazione". Ciò che Gesù chiede è di non essere lasciato solo, neppure in quel momento, sulla croce, nel quale la Tentazione di essere abbandonato lo riporta alle parole del Vangelo di oggi: "il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato".
Gesù ha sperimentato la presenza del male accanto a sé; ne ha fatto esperienza come uomo e come figlio di Dio. Ne ha percepito tutta la pericolosità! Il male non è una realtà puramente spirituale, virtuale; il male si insinua nella nostra umanità come corruzione della carne e dell'amore; il male così accompagna con la nostra esistenza contagiandoci con l'indifferenza è la superbia; il male si propone con un fascino falso di autosufficienza e di onnipotenza ... Il male ci toglie il desiderio dell'eternità e di Dio. Ecco che la preghiera del Padre Nostro dice tutta la lotta per liberarci dal male compiuta da Gesù a partire da quelle tentazioni nel deserto che da subito vogliono indebolire la risposta di Dio alla preghiera che il Suo Figlio ha iniziato nel deserto. Dio non ci abbandona nella tentazione ... Non vi lascia soli nel deserto della nostra vita dove, come per Gesù, si ripropongono le tentazioni ad opera del male, del demonio.
E nelle nostre tentazioni? Il nostro deserto ...
Come superare e vincere la tentazione? Sono tre le armi di cui disponiamo:
- La Sua Parola; la sua voce rinnova la sua presenza è vicinanza ...
- L'amore; adorare è sinonimo di amare ... l'amore genera memoria (di chi ami e di chi ti ama), è presenza ...
- L'affidarsi; non dubitare, non mettere alla prova. Affidarsi è consegnarsi senza riserve alla tenerezza di Dio.
La risposta di Dio alle tentazioni è Parola da mangiare, lì dove il male, il demonio, vuole farsi mangiare dal Figlio di Dio, per entrare della sua vita. La risposta di Dio è profonda nostalgia di una passione eterna, lì dove il demonio vuole occupare il cuore e l'amore. La risposta di Dio è   Fedeltà e perseveranza, lì dove il demonio è dubbio e sospetto.
Gesù ci dice che solo un Dio accanto (il Padre vicino) può liberarci dal male e da ciò che il male è capace di operare in noi. "Liberaci Signore da tutti i mali, concedi la pace hai nostri giorni ...".

sabato 9 marzo 2019

Isaia 58,9-14 e Luca 5,27-32
Sono venuto a chiamare i peccatori ...

Chi sono i peccatori? Intende forse una formula generica per indicare Levi? Certamente l'evangelista Luca in questo spaccato vocazionale coinvolge Levi, la sua storia personale e individua il forte desiderio di Gesù di fare amicizia con lui: "Gesù vide ..."; "... gli disse: Seguimi!". Ma anche la positiva reazione di Levi: "poi, Levi gli preparò un grande banchetto a casa sua ..."
Ma la vicenda di Levi, diventa una immagine che coinvolge ogni discepolo; come a rassicurare tutti noi, che anche se discepoli, siamo ugualmente peccatori, e che il "venire" di Gesù coinvolge proprio e anche noi. Questa pagina del Vangelo, tradisce i sentimenti di Gesù per ciascuno di noi; e i sentimenti che ogni peccatore chiamato a conversione - perché di conversione si tratta - riconosce generati in sé stesso: "nonostante la mia fragilità che mi porta spesso a dubitare della Sua amicizia è la "chiamata", l'affetto per Lui, nella concretezza della sua vicenda, di quella di Levi, e ora della mia, che mi tiene in piedi, mi sostiene."
Come in Levi, anche io posso riconoscere la mia storia come lo spazio, come la realtà nella quale lo incontro, nella quale il Signore, attraverso la Chiesa, attraverso una comunità che mi tiene unito a sé, prima di tutto mi converte. La chiamata non è una elezione e neppure la convocazione per ricoprire un ruolo istituzionale; se ben guardiamo la chiamata è prima di tutto un avvicinarsi, un guardarsi, un desiderio di reciprocità che è segno dell'affetto. Tutto questo si comprende nel mettersi nel cammino, nel corrispondere a quel "seguimi", che tanta titubanza e timore suscita in tanti di noi. Ma al cuore di ogni conversione, c'è proprio l'amicizia, l'affetto, il seguire.

venerdì 8 marzo 2019

Isaia 58,1-9 e Matteo 9,14-15
E se oggi digiunassi?

"Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno" (dal Vangelo di oggi, Mt 9,14); "Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: Eccomi!" (Prima lettura di oggi, Isaia 58,9).
Nel risuonare della Parola accolgo l'invito al digiuno, e come avevo già detto il mercoledì delle ceneri: "...E il digiuno ... Ecco il digiuno non solo in questo giorno ... E perché non farlo tutte le settimane il digiuno, perché non digiunare spesso ... Forse dimagrirò troppo ... Non temere se il digiuno aumenterà la fame ... di Gesù risorto e di quel pane spezzato ... Viviamo dunque questa quaresima come evento per la purificazione del cuore, del nostro cuore e di quello di tutta la Chiesa, che penitente vuole "tornare" al Padre".
Allora il mio digiuno di oggi, è tempo di desiderio dello "Sposo" che è stato tolto, ma è proprio quella carenza che segna e accresce il desiderio di Lui, la fame di Lui. Ecco che il digiuno si trasforma in grazia. Non è una ritualità sterile, fatta di esteriorità e di precetti, così come dice Isaia: "Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari,
angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso."
Ma il rinnovamento dello stile della vita, la purificazione del cuore è al centro del mio digiuno. Sarà la vicinanza con Gesù, la fame di lui, che produrrà, genererà proprio questa vita nuova. Digiunare sottraendoci alla chiacchiera e alla speculazione del parlare male, inutile; del parlare malevolo e svilente. Digiunare sottraendoci alla paura del condividere e dell'offrirci; digiunare per fare spazio alla accoglienza del "povero"."Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?" Ecco che il digiuno investe la vita normale, non solo quella "religiosa"; il digiuno si radica nella quotidiana esperienza di vita, e nello stare, oggi, con Gesù. Oggi, l'ora di tempo che mi occupa il "mangiare", la occupo per pregare, per meditare, per fare un gesto di carità o di misericordia; ... questo mi cambia il cuore!

giovedì 7 marzo 2019

Deuteronomio 30,15-20 e Luca 9,22-25
Quale vantaggio ...

L’evangelista ci riferisce di tre annunci profetici che Gesù avrebbe fatto attorno alla sua passione, morte e resurrezione. Il primo si trova in Lc 9,22 (quello del Vangelo di oggi), prima della trasfigurazione. Il secondo annuncio è in Lc 9,44, prima del grande viaggio verso Gerusalemme. Il terzo annuncio, infine, si ha in Lc 18,31-33, prima della passione morte e risurrezione.
Fatta questa introduzione resta la domanda che oggi ci pone il Vangelo: quale vantaggio, quale convenienza ad essere discepoli di Gesù? Nessun vantaggio, nessuna possibilità di accogliere un invito così inopportuno alla sequela, se Gesù non si consegna prima di tutto a ciascuno di noi. Questo tempo quaresimale rappresenta il suo consegnarsi per essere accolto, amato, e crocifisso nella nostra carne di fragilità e peccato, per risorgere glorioso attraverso la nostra vita. Gesù si consegna a me, oggi, per condurmi con sé nel rinnegamento della vita che è la povertà, cioè la libertà di fronte alla nostra esistenza; nel caricarsi della croce, cioè nel fare nostra la volontà di Dio, che è imparare ad affidarsi, nella paura della contraddizione; e in ultimo si consegna a me attraverso l'invito a seguirlo, cioè nello stare nel suo cammino, nei suoi passi, in obbedienza a Lui, riconducendo le nostre "alzate di testa", la nostra autoreferenzialità a Lui ...
Quale vantaggio nell'essere discepolo? La risposta è sotto certi aspetti racchiusa nella prima lettura (Dt 30,15-20): nessun vantaggio, se non nel possesso della vita eterna! Il discepolo segue Gesù per stare col maestro nel possesso di quella terra promessa ai padri, che è il dono della vita di Dio. Seguire Gesù è camminare con lui verso la pienezza della vita.

mercoledì 6 marzo 2019

Gioele 2,12-18 / Salmo 50 / 2 Corinzi 5,20-6,2 / Matteo 6,1-6.16-18
Mercoledì delle Sacre Ceneri
"Conversion in progress"

Dalla prima lettura capiamo subito il senso di questo "tempo" della nostra vita: "Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti".
Ecco il senso di questa convocazione sacra: dare inizio al "ritornare", trasformare il tempo della vita in un grande "ritorno" al Padre misericordioso e pietoso ... grande nell'amore. Questo "ritornate" inizia dal cambiamento di senso della vita, che per noi discepoli di Gesù corrisponde alla occasione che la Quaresima pone nelle nostre mani.
Ecco allora che questa Quaresima sia occasione di sperimentare l'intima vita insieme a Gesù risorto. (...) La Quaresima ci cambia il senso della vita a partire proprio dalla risurrezione di Gesù. Altrimenti, possiamo smetterla di fare tutti i nostri sacrifici, rinunce e fioretti ... Possiamo smettere di intensificare la preghiera in questi quaranta giorni (non capisco perché non dovremo farlo nei restanti giorni) ... Possiamo smettere di "farci buoni" (tacitare la coscienza) con azioni che trovano eco sempre e solo davanti a noi stessi ... Cambiare ma vita significa stare fisicamente, realmente, con Gesù risorto, che ci conduce nel cambiamento.
(...) Pensiamo alla povertà  come è fonte di partecipazione alla risurrezione del Signore, perché nulla mi trattiene, nulla occupa i desideri, tutto sono per il Signore vivo e risorto. Così la preghiera non può essere una ripetizione noiosa di formule, di devozioni che rischiano di fare sbadigliare pure di Padre, che già ha una lunga barba senza che ci concorra pure io. La preghiera può essere allora una occasione per educarmi a dedicare tempo: briciole di tempo ... secondi, minuti, ore ... della mia giornata, della vita di ogni giorno alla vicinanza con la fonte la mia vita, con l'amore della mia vita, con la parola della mia vita, con il mio unico Signore.
E il digiuno ... Ecco il digiuno non solo in questo giorno ... E perché non farlo tutte le settimane il digiuno, perché non digiunare spesso ... Forse dimagrirò troppo ... Non temere se il digiuno aumenterà la fame ... di Gesù risorto e di quel pane spezzato ...
Viviamo dunque questa quaresima come evento per la purificazione del cuore, del nostro cuore e di quello di tutta la Chiesa, che penitente vuole "tornare" al Padre.

martedì 5 marzo 2019

Siracide 35,1-15 e Marco 10,28-31
Offrire a Dio attraverso la propria vita

L'osservanza della Torah e dei precetti della Legge, è per Israele, garanzia di partecipare al tempo che verrà. È in questa logica che si sviluppa la dimensione culturale dei sacrifici a cui anche Gesù deve la sua rielaborazione. Il Libro del Siracide in un sorprendente intreccio di fedeltà alla Torah e slancio profetico, unisce la sacralità dell'offerta al precetto da osservare, insieme alla più perfetta celebrazione della lode che è il sacrificio del cuore giusto. La consapevolezza di Siracide supera la semplice ritualità e ci porta a conoscere l'essenza dell'atto sacrificale, dell'atto dell'offerta. Ecco che il sacrificio supera la dimensione puramente rituale e celebrativa, e apre alla contemplazione del mistero e della relazione con Dio, creatore e Sapienza. Nell'offerta del sacrificio, ogni ebreo, restituisce a Dio il tesoro prezioso che gli è stato affidato, per prendersene cura nel tempo opportuno. Ecco che ogni offerta non è un accampare un diritto ma è un restituire a Dio un tesoro; in quella restituzione/offerta si pone, inoltre, la consegna di sé stessi e la cura che abbiamo avuto per il dono di amore che ci era affidato. È inoltre una consegna di gratitudine, di soddisfazione, di partecipazione. Nel Vangelo di oggi, Pietro, sembra sembra non capire ma è preoccupato di dover ricevere una ricompensa per quanto ha custodito - il dono della vocazione/sequela -, ma la risposta di Gesù non tarda a ricondurlo alla pienezza dell'offerta di sé stesso: offrire sé stessi nella libertà di accogliere non un contraccambio, ma la peggiore delle condizioni avverse. Solo questa accettazione ci libera dal possesso del dono di Dio, e ci permette di offrirlo/restituirlo, e con amore partecipare dell'atto stesso di offrire. Ecco la logica della restituzione: "Da’ all’Altissimo secondo il dono da lui ricevuto, e con occhio contento, secondo la tua possibilità, perché il Signore è uno che ripaga e ti restituirà sette volte tanto" (Sir 35,15).

lunedì 4 marzo 2019

Siracide 17,20-28 e Marco 10,17-27
"... Chi è vivo e sano loda il Signore".

La moralità della vita è specchio del nostro cuore, dei nostri desideri. Noi agiamo in ragione del nostro cuore/mente.
Educare, cioè tirare fuori da dentro; prendersi cura, cioè fare attenzione e discernere; formare il cuore, cioè darvi forma ad immagine della Sapienza; tutto questo  rappresenta l'esperienza di una piena esistenza. Il Libro del Siracide, mette in evidenza come la Sapienza, l'intelligenza divina rivelata nella realtà creata, appartiene ed è custodita nel cuore dell'uomo. La Sapienza è la fonte della vera moralità. Questa Sapienza divina è l'origine della sapienza umana che riesce a fare della vita una lode al creatore e l'esperienza che manifesta della sua giustizia.
Come risuonano in noi espressioni come: "... A chi si pente Dio offre il ritorno, (...) Ritorna al Signore e abbandona il peccato, (...) Volgiti all’Altissimo e allontanati dall'ingiustizia, (...) E riconosci i giusti giudizi di Dio (...) Non perseverare nell’errore degli uomini iniqui; (...) E loderai Dio e ti glorierai della sua misericordia."
In realtà più che esortazioni sono indicazioni per un cammino di vita; esse indicano che esiste una realtà "altra" in cui esistere come lode e giustizia di Dio.
Una cosa sola ti manca ... Varcare la soglia: passare dalla Lode come parole e preghiere da ripetere alla Lode come espressione della nostra stessa esistenza "bella"; e la giustizia come la volontà di Dio, come concretezza della sua sapienza. "Chi se ne va triste", lo è perché quella soglia, richiede la libertà del cambiamento rispetto a "prima".

domenica 3 marzo 2019

Siracide 27,5-8 / Salmo 91 / 1 Corinzi 15,54-58 / Luca 6,39-45 
Cristiani inadeguati e impreparati ...

Quanto ci siamo preparati per vivere come cristiani? Senza offendere nessuno, a me piace dire che non siamo mai preparati abbastanza ad essere cristiani, e il più delle volte siamo inadeguati.
Per troppo tempo ci siamo limitati ad essere Cristiani della pagliuzza e della trave, credendo così di imitare Gesù, in realtà abbiamo incarnato una palese ipocrisia, quella che giudica la trave degli altri, giustificandola per sé come; ciò che condanniamo negli altri lo giustifichiamo per noi stessi.
Per capire fino in fondo il Vangelo di oggi, occorre fare risuonare quelle parole in cui Gesù ci richiama a una evidenza: "Infatti, non c'è albero bello che faccia frutto cattivi, né albero cattivo che faccia frutto bello. Poiché ogni albero dal proprio frutto è conosciuto". Quali frutti buoni produce la mia bella vita?
Non è una "vita bella" quella di un discepolo di Gesù, che non si traduce in compagnia per la vita dei fratelli, della comunità; che esclude il cammino con chi è "fuori", nel mondo. Una vita così non ha il sapore della misericordia, della accoglienza, della tenerezza di Dio. Una vita così è una esperienza "ceca", tenebrosa, è una esperienza che allontana invece di attrarre ...
Non è una "vita bella" quella di un discepolo che critica in famiglia, che critica in parrocchia, che critica al lavoro, che critica a scuola ... che critica anche gli amici ... Una vita in cui la critica in realtà sono i frutti, in questo caso cattivi!
Questi sono frutti di pregiudizio, di durezza, d'invidia, di disprezzo ...
Ecco allora che i nostri frutti rivelano che vita stiamo vivendo e se siamo come un albero bello che produce frutti buoni o tutt'altro.
Allora, che discepolo voglio essere? Che bell'albero voglio essere?
Ma ancora più responsabilmente: quale tesoro sto custodendo? Quale è la ricchezza alla quale attingo per generare la bellezza della mia vita da discepolo?
Dice Gesù nel Vangelo di Luca: "... ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro". 
È una provocazione che impone un profondo discernimento esistenziale, di vita! Come mi sto preparando ad essere come il maestro, come Gesù? Ma, voglio veramente essere come Gesù? Infatti Gesù, non ci chiede di essere Cristiani, ma di essere prima di tutto suoi discepoli, e di imparare ad esserlo, giorno per giorno.
Mettersi alla scuola di Gesù, desiderare di essere come Lui, significa imparare dal maestro, ma significa pure diventare capaci di "essere artigiani di sé stessi"; cioè essere artefici di un lavoro spirituale e umano che nasce anche dalle nostre mani.
Mercoledì inizieremo il tempo forte della quaresima, con il gesto delle ceneri e con il digiuno; non limitiamoci a vivere quella giornata come un rito più o meno obbligatorio, e come un segno di purificazione esteriore.
Quel giorno è l'inizio di una esperienza di misericordia di Dio per tutti; di una esperienza di tenerezza e di bontà di Gesù per ciascuno ...
Sarà questo tempo lo spazio del prendersi cura, per essere artigiani di noi stessi, per alimentarci, nutrirci di quel bene che inevitabilmente produce il frutto buono.
È importante alimentarsi, alimentarsi del "bello" per essere persone belle che trasmettono il buono agli altri, che vivono esperienze di bene con gli altri, che sanno imparare ad amare gli altri, tutti quanti, anche i peccatori, anche chi è diverso, anche chi non è come me.
La "vita bella" è il frutto bello di una esistenza accanto a Gesù, questo tempo che iniziamo sia veramente per tutti occasione di impegno e conversione, se saremo fedeli agli insegnamenti del maestro, saremo un po' come Lui e sapremo riconoscere meraviglie!