giovedì 31 dicembre 2020

Siamo giunti alla conclusione ...

1 Giovanni 2,18-21 e Giovanni 1,1-18

La prima lettera di Giovanni, apre questa ultima giornata di questo travagliato anno con un espressione detonante: " ...  è giunta l’ultima ora", e ciò che caratterizza questo tempo ultimo sono gli anti-Cristo. Parole dure e forse anche difficili da fare entrare nel nostro tempo è nella nostra vita. Certamente il progressivo e declino della fede e la continua marginalità di Gesù ridotto al mondo di oggi, toglie a queste parole il loro impatto. Che cosa è per il mondo l'anti-Cristo, quanto Cristo è stato esiliato da questo mondo?
Ieri ascoltato un servizio sulle letterine a babbo natale, nelle quali tanti bambini esprimono le loro speranze, desideri e attese; una di queste, nella commozione suscitata dal cronista diceva: "babbo natale, quest'anno, ti chiedo di liberarci da questo virus!"
Sono rimasto colpito perché quella richiesta non sarà mai ascoltata da babbo natale, non esiste babbo natale ... Una speranza che si affida a una finzione ... Una attesa che sarà delusa, ma nonostante questo verrà strumentalizzata per alimentare una mitologia che ha il suo punto di forza nella mole economica che muove. Senza gridare al complotto o pensare di essere sempre assediati, credo che questo momento sia proprio il tempo dell'anti-Cristo, perché molti anti-Cristo sono venuti alla luce, e se anche non vi fosse uno scopo, l'esito è quello di marginalizzare il Signore della storia e occuparne lo spazio esistenziale. Ma è proprio in questo tempo, che compone il tempo ultimo, che chi ha l'unzione dello Spirito, l'unzione di amore,  sa di appartenere al Signore, e ha la certezza, non una pretesa, della verità.


mercoledì 30 dicembre 2020

Cari amici vi scrivo ... E non per distrarmi un po' ...

1 Giovanni 2,12-17 e Luca 2,36-40


Quando scriviamo una lettera a qualcuno, prima di tutto significa che il destinatario merita tutta la nostra attenzione. Oggi nell'era virtuale le lettere sono scarse, più comuni i messaggini ... Ma questo imprime alla lettera scritta ancora più significato e valore, proprio come al tempo di Giovanni, quando solo una minoranza sapeva scrivere e la lettera era destinata a rimanere come testimonianza. Ecco proprio una testimonianza di quanto il destinatario fosse prezioso, e di quanto il contenuto della lettera rappresentasse una apertura del cuore, un condividere, e un invito a corrispondere (da cui il gergo "corrispondenza", come scambio di lettere ...).
È in questo senso che la lettera di Giovanni assume un significato personale e intimo: "Scrivo a voi figlioli ... Scrivi a voi padri ... Scrivo a voi giovani ..."; scrive a chi è speciale e merita di entrare in una condivisione unica quella del mistero di amore che il Signore, per primo a condiviso con Giovanni e con i suoi discepoli. A noi oggi, Giovani dice di non fissarci nelle cose del mondo, di non illudere noi stessi che "l'amore del modo", e che viene dal mondo possa soddisfare il nostro desiderio di essere amati, e che possa donarci quel compimento che speriamo, "perché tutto quello che è nel mondo – la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita – (...). E il mondo passa con la sua concupiscenza", ma di mettere come priorità il fidarsi della volontà di Dio, che in Gesù trova piena rivelazione. Fidarsi della volontà di Dio ... Interessante ...


martedì 29 dicembre 2020

Chi ama il suo fratello è nella luce.

1 Giovanni 2,3-11 e Luca 2,22-35


Quegli extra comunitari in fila ieri davanti all'ufficio postale, che ingrossano quella lunga attesa, proprio quelli sono miei fratelli. Le famiglie Room, che hanno il campo nomadi nel territorio della parrocchia, anche quelli sono miei fratelli. Tutte quelle persone e famiglie, che abitano nelle strade prossime alla Chiesa e che fino ad ora non ho mai visto entrarvici, e neppure incontrato casualmente, anche loro sono miei fratelli.
La fratellanza a detta di don Tonino Bello è una eutopia comunitaria troppo spesso smentita dai fatti. Definizione molto vera e forse anche altrettanto realista in un mondo completamente globalizzato e nella prova di una pandemia.
Ma propri in questo contesto nel quale la fraternità sembrerebbe possibile solo in gruppi chiusi e autoreferenzialità, la fraternità cristiana invece si ripropone al servizio della nostra umanità ferita e propone come soluzioni la tensione alla universalità, alla rispetto reciproco, alla generosità e gratuità. È questa fratellanza che dischiude gli insegnamenti assorbiti nella formazione cristiana e ci sprona a comportarci come Gesù si è comportato. La fratellanza è nello sguardo che Gesù ha per ciascuno, senza un pregiudizio giudicante; con compassionevole amore i suoi occhi avvolgono di tenerezza ogni peccatore, ogni scartato, ogni ferito e affaticato dalla vita stessa. 
Alla luce di Gesù, non basta proclamare un ideale di fraternità, occorre avventurarsi, pur sentendo quanta resistenza possiamo avere in noi, nel rendere e riconoscere fratello chi incontro nel cammino della vita: forse che sia la scoperta che siamo veramente tutti fratelli?

lunedì 28 dicembre 2020

Luce, comunione e vita ...

1 Giovanni 1,5-2,2 e Matteo 2,13-18

"Dio è luce", ... ma cosa significa questa espressione di Giovanni? Per capire cosa vuole dire "essere luce", occorre entrare nell'immaginario e nella categoria di pensiero di Giovanni. Già nel Prologo al Vangelo, l'evangelista circa il Logos, il Verbo incarnato - cioè Gesù che diventa uomo - ci mette di fronte a queste espressioni: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta” (Gv 1,4.5). “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). Il concetto di luce va oltre l'esperienza visiva e sensibile, l'esperienza della luce si identifica come conseguenza e possibilità di vedere pure il mistero di Dio, proprio nel modo in cui si fa conoscere. Giovanni arriva a dire che l'esperienza, la conoscenza di Gesù è luce, cioè permette di vedere attraverso la sua stessa vita ed esistenza, tutta la realtà, e nella realtà conoscere Dio stesso. Gesù nel Vangelo arriva a dire di se stesso: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). “Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre” (Gv 12,46). Ma quale è la conseguenza di questa luce. La conseguenza è la scoperta di Dio Padre come amore che genera comunione con lui e tra di noi. Ecco perchè la comunione, l'amore, l'appartenenza sono così centrali nella scelta di fede, perché non sono semplice conseguenza di aggregazione, di sentimenti o di scelte, ma sono esperienze che mettono in connessione con il mistero di Dio nel suo manifestarsi. Ancora un po' complesso ... Forse cin une rileggere più volte il testo di oggi e lasciare che le parole entrino un po' alla volta senza la pretesa di una immediatezza nella comprensione.

domenica 27 dicembre 2020

Una famiglia ... cristiana

Genesi 15,1-6;21,1-3; Sal 104; Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40

 

Potrebbe sembrare paradossale, oggi parlare di Famiglia: nel parlare comune è ancora una parola molto usata a cui molti fanno riferimento, essa sottende alla sicurezza, al rifugio, al sostegno nella propria vita, alle relazioni importanti, ai vincoli parentali.

Però nello stesso tempo ne vediamo la crescente fragilità nel contesto sociale e culturale: le famiglie si disperdono, si dividono, si ricompongono e si allargano.

Tra i motivi più evidenti di tutto questo è certamente la crescita della cultura, ovvero civiltà dell'individualismo. Viviamo una società dove l'IO personale prevale sul NOI sociale, in questo contesto è ovvio che si preferiscano rapporti costruiti sull'IO, come ad esempio le convivenze, le unioni di fatto, piuttosto che sul NOI come può essere il matrimonio, che rappresenta il discriminante cristino per riconoscere la dimensione umana e naturale dell'essere famiglia, del fare famiglia.

La domanda che oggi possiamo e dobbiamo farci, in questa Festa del tempo di Natale nel quale guardiamo alla Sacra Famiglia di Nazareth è: esiste una famiglia cristiana?

Il mio essere discepolo di Gesù determina, costruisce e genera anche questa relazione particolare, umana e sociale?

La famiglia dei cristiani è il luogo privilegiato della benedizione di Dio, questo non dobbiamo dimenticarlo. La famiglia è per sua natura segno efficace di un dono di Dio: la fecondità e sacralità dell'amore e della vita umana.

È straordinario pensare come tale grazia sia affidata è custodita in tanta fragilità. Non esiste una motivazione precisa di questa situazione! Semplicemente la grazia, che è il dono di Dio amore nel sacramento celebrato, è data in forza dell'essere famiglia; proprio la famiglia che è soggetta alla realtà del tempo, alla fragilità e alla corruzione del peccato.

La famiglia in quanto Cristiana recupera e genera la grazia in forza dell'essere cristiana.

Papa Francesco ci può aiutare a mettere alcuni punti fermi:

COSA E’ UNA FAMIGLIA CRISTIANA?

La famiglia è più di ogni altro il luogo in cui, vivendo insieme nella quotidianità, si sperimentano i limiti propri e altrui, i piccoli e grandi problemi della coesistenza nell’andare d’accordo.

LA FAMIGLIA CRISTIANA LO E’ NONOSTANTE LE IMPERFEZIONI

Non esiste la famiglia perfetta, ma non bisogna avere paura delle imperfezioni, della fragilità, nemmeno dei conflitti; bisogna imparare ad affrontarli in maniera costruttiva. Per questo la famiglia in cui, con i propri limiti e peccati, ci si vuole bene, diventa una scuola di perdono.

NELLA FAMIGLIA CRISTIANA SI IMPARA …

Il perdono, che è una dinamica di comunicazione, una comunicazione che si logora, che si spezza e che, attraverso il pentimento espresso e accolto, si può riannodare e far crescere. Un bambino che in famiglia impara ad ascoltare gli altri, a parlare in modo rispettoso, esprimendo il proprio punto di vista senza negare quello altrui, sarà nella società un costruttore di dialogo e di riconciliazione.

Per cui la famiglia vive di relazioni, di dono, situazioni che non possono esprimersi in un possesso e che progrediscono attraverso una continua reciproca restituzione.

Quando in famiglia non si restituisce, si inizia a stare male ... Le difficoltà diventano macigni e chi mi è accanto un concorrente, ... tutto questo è detestabile.

Per realizzare l'essere famiglia come posso fare? La tenerezza, la pazienza e la comprensione fanno miracoli!

sabato 26 dicembre 2020

Se diamo testimonianza, anche noi siamo il segno!

At 6,8-12;7,54-60 e Matteo 10,17-22

Scendendo dal monte degli Ulivi, arrivati nel limite della Valle del Cedron, oggi la strada risale verso le mura di Gerusalemme, deviando a sinistra in una rapida salita si arriva alla Porta dei Leoni, per le raffigurazioni degli stemmi del sultano Baibars (i quattro leoni) scolpiti sulle mura; questa porta è detta dai cristiani "porta di S. Stefano", a ricordo del Protomartire, del quale L'evangelista Luca dice: "Lo trascinarono fuori dalla porta della città, e si misero a lapidarlo" (At 7,58). I musulmani la chiamano Báb Sitti Maryam (porta della mia Signora Maria) per la vicinanza della casa paterna della Madonna, tradizionalmente indicata in prossimità della chiesa di Sant'Anna.
Tutto questo per mettere nella nostra attenzione come i luoghi sacri di Gerusalemme, non sono solo tradizione, ma voglio scolpire stabilmente un "segno" indelebile di un fatto, un avvenimento, una testimonianza. Il luogo del martirio di Stefano, è un segno/segnale, come il luogo della Crocifissione di Gesù, ed assume una importanza assoluta per rendere indelebile la testimonianza del primo martire, e di ciò che da quella testimonianza è scaturito: San Paolo. Il cristiano, discepolo di Gesù diviene segno nel tempo e per ogni tempo. Il segno del verbo incarnato, non è un criterio teologico, e neppure pura esperienza, esso è la nostra vita che diviene segno della vita di Cristo.


venerdì 25 dicembre 2020

Natale in Lockdown

Is 9,1-6; Sal 95:0; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14


La pandemia, e la paura che ne deriva, segnano direttamente e indirettamente questo Santo Natale, come anche la vita civile e religiosa di questo nostro tempo, nel quale ci sentiamo un poco imprigionati. Questo anno 2020 è stato un anno caratterizzato proprio dalla paura: salute, economia, e anche la politica… tutto sembra sia stato ribaltato da questo piccolo ma potente virus, che ha azzerato in poco tempo i nostri progetti e che ci ha lasciato disorientati, privati anche, sotto certi aspetti della libertà.
Di fronte a questa faticosa attualità, anche per noi risuonano le parole di Betlemme: "Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore".
In questa notte Santa (santo giorno) noi cristiani dobbiamo annunciare con le parole e soprattutto con la vita di non avere nessun timore ... Proprio quando, il mondo sembra voler mettere a margine "il bambinello di Betlemme", trasformando sempre più il suo Natale in un evento culturale e profano, relegando il segno religioso a un evento decorativo, noi non dobbiamo avere paura di annunciare che il bambino atteso  è nato, che il Signore viene! E viene non nella comodità di una casa accogliente, e neppure nella solennità di una adunanza festosa, ma a Betlemme. Gesù nasce, nasce "fuori casa" perché l’imperatore Augusto, all’epoca l’uomo più potente del mondo, aveva indetto un censimento, per contare tutti i suoi sudditi. La logica del mondo è una logica della misura, del calcolo, ma anche dello scarto. Il bambino di Betlemme ci parla di altre logiche: quella del nascondiento, del piccolo, del disperso. Ma è proprio questa la logica che spinge il Signore della Storia a muoversi, a operare meraviglie, a compiere il miracolo della salvezza.
Giuseppe e Maria, sono segregati fuori dalla città di Betlemme, perché per loro non c'era un posto adeguato né nell'albergo; né nella locanda e neppure nel caravan serraglio. Non sono posti adatti per partorire, direbbe qualcuno ... Non sono luoghi adatti per nascere ... direbbero altri!
Ma dove nascere allora? Dove il figlio di Dio può nascere?
Questo bambino deve nascere, deve sbocciare e sgorgare dal limite della nostra umanità. Forse deve proprio nascere nelle ristrettezze, nella lontananza, nella segregazione e nello scarto ... Deve nascere, e venire alla luce, a partire dalle nostre ferite umane, da quelle ferite che sono causa del peccato e della morte e da quelle ferite che sono causa di noi stessi, del male che ci facciamo, dell'odio che generiamo, dell'indifferenza che ci doniamo ...
In quella notte, fuori dalla città di Betlemme, Giuseppe e Maria trovano posto solo nelle ferite umane, in una grotta che è il segno della nostra fragilità e dei nostri limiti.
È in questa realtà che Gesù nasce, e continua a nascere nella contraddizione di una storia umana intessuta tra scelte e e rifiuti; tra l'evolversi di eventi e l'avvicendarsi delle generazioni. Ma da quella notte, e per sempre, la nascita di Gesù lascia una scia di silenzio. Non di vuoto, non di buio, ma di un caldo silenzio che invita a raggiungere la grotta fuori Betlemme. Un silenzio stupito, cioè pieno di contentezza, e di gioiosa esultanza per la salvezza: "... Oggi è nato per voi un salvatore, che è il Cristo Signore!"
Anche se ci sentiamo distratti e distaccati dalla realtà, anche se tutto ci sconvolge e travolge e ciò che ieri era certo oggi non lo è più ... mettiamoci in cammino verso Betlemme, come i pastori in quella notte. Come i pastori di  Betlemme, oggi, devo recuperare il gesto di adorazione, che significa un segno esplicito che dice il mio amore al Signore, un gesto che superi e vinca i miei egoismi, le mie durezze, le mie tante ferite e fatiche; un gesto che sia capace di esprimere il meglio di me stesso, che sia capace di testimoniare il bene che solo io posso donare.
Non è il Lockdown che mi allontana dal Natale, e che spegne in me la presenza del Signore, ma è la mia freddezza di fronte a quel bambino che è nato, è la mia indifferenza per quel Dio che ha squarciato i cieli, e mai smette di essere il Dio con noi.
Se decidiamo di fare Natale anche quest’anno, è perché crediamo che Lui sia nato e sia presente. Allora tocca a noi diventare il segno della grande gioia che da questo fatto deriva, la gioia dell’Emmanuele - Dio con noi - e diventarne testimoni "a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra" (Mons. Pizzaballa).
Quel bambino ci testimonia la paternità di Dio, la fedeltà e vicinanza del Padre, rispetto a ogni uomo e ci ricorda la necessaria accoglienza di ogni fratello, per corrispondere al cuore di Gesù, per corrispondere al suo desiderio di farci tutti fratelli suoi, e tra di noi.
Buon Santo Natale!

giovedì 24 dicembre 2020

Io ti farò una casa!

2 Samuele 7,1-5.8-12.14.16 e Luca 1,67-79


Ieri sera, Samuele mi ha rivolto questa provocazione di Avvento: "Sei disposto ad accettare i miei limiti?"
Una provocazione che ha immediatamente risuonato in me come: " ... Sono veramente disposto ad accettare che l'altro da me ha dei limiti, che io misuro con il mio metro e li trovo sempre insufficienti?" 
Ma non è forse questo il mistero del Dio che si fa carne? Non è forse questo che accade costantemente nel rinnovato mistero del Natale: "Dio accetta il mio limite, ogni limite dell'uomo e viene ad abitare proprio quei limiti insufficienti, diviene carne limitata, diviene bimbo in un mondo ferito e umiliato dalla povertà, dalla ipocrisia e dalle ingiustizie. 
Non è assolutamente così immediato e neppure facile accettare il limite dell'altro, ma Dio diventando "il bambino di Betlemme", egli fa del limite una occasione di amore. Dio vuole "farmi lui una casa", e lo fa prendendo tutto di me, anche il mio limite detestabile, a partire da me stesso. Non è facile accettare il limite dell'altro e che a volte è l'altro, ma solo una scuola di amore può curare le nostre ferite, può aiutarci a superare questa umana incapacità, e così incamminarci sulla via della pace ... Pace tra di noi pace con Dio. Dove c'é l'amore, il limite non fa male. Il limite fa male se lo guardo con diffidenza e sospetto: il mio metro del limite. In realtà l'accoglienza del limite è accoglienza dell'altro.
Gesù ..., quanto limite hai accolto!!!


mercoledì 23 dicembre 2020

Chi sopporterà il giorno della sua venuta?

Malachia 3,1-4.23-24 e Luca 1,57-66


La venuta di Dio in mezzo a noi, secondo l'immagine del profeta Malachia, porterà con sé fuoco e lisciva, cioè cenere e acqua che servono come soluzione alcalina, per sbiancare, quando si fa il bucato. Dall'immagine raccogliamo l'effetto di una venuta che non lascia indenni ... o meglio, non lascia scampo. Una venuta che brucia come il fuoco, purifica, e raffina; ma anche ridona il biancore e lava ciò che per l'uso risulta sporco e imbrattato ... Poi l'immagine approfondisce l'effetto del fuoco: esso è come fuoco del fonditore, che non solo brucia, ma che fonde il metallo, liberandolo dal minerale roccioso, e purifica dalle scorie l'argento. Ecco che il fuoco del fonditore, esalta fino alla sua piena rivelazione la per spaziosità dell'argento. Nella profezia di Malachia, la venuta sembra proprio non lasciare scampo: il giudizio è imminente e sarà secondo giustizia. Ma ecco che il profeta introduce un tema conosciuto - patrimonio della fede esplicita del popolo di Israele - : la venuta di Elia. Questa figura introduce il tema della preparazione preventiva, il tema della conversione e della clemenza, per poter affrontare il giorno grande e terribile  del Signore, e del suo venire.
Se accostiamo il Vangelo della nascita di Giovanni Battista, la figura di Elia trova una piena attualizzazione, rinnovando per tutti i tempi la predicazione del Battista e la preparazione ad accogliere il figlio di Dio che viene per inaugurare il giorno grande e terribile, il suo giorno di passione, morte e risurrezione.
Noi oggi siamo molto attratti e colpiti dall'idea della venuta, e la concentriamo nel nascere del figlio di Dio, ma la nascita è solo una parte del suo venire e rivelarsi come Dio con noi.

martedì 22 dicembre 2020

Una rinuncia ... con gratitudine ...

1 Sam 1,24-28 e Luca 1,46-55


La prima lettura di questa giornata, lascia sempre un poco sgomenti; come accettare che una madre "restituisca/consegni" il proprio figlio a Dio, a quel Dio che pochi anni prima gliene aveva fatto dono, un "dono immenso". La preghiera di Anna, la sua supplica a Dio per chiedere un figlio, è per Yhwh occasione per entrare nell'umanità ferita e dare senso a una attesa non per sé stessa ma per un progetto di amore ben più grande.
Samuele, è il figlio della promessa, rappresenta il segno della vicinanza di Dio, e come tale diviene relazione nella storia e nella vita di Anna. Samuele è memoriale di una preghiera fatta con fede e speranza. Samuele è il segno della restituzione ... Cosa significa se non della gratuità e della riconoscenza. Ecco che restituire non è per Anna privarsi, neppure separarsi; non è una ferita, ma quel restituire è una offerta, un donare per e con amore, con e per lo stesso amore con il quale Anna ha richiesto il Figlio.
Una vera restituzione non è mai un affidare, un consegnare, ma è sempre un offrire. Quel riconsegnare a Yhwh diviene quindi lo spazio non solo di una promessa passata e realizzata, ma la possibilità per Dio di dispiegare il suo disegno di amore, di salvezza attraverso la nostra esistenza: "Dio non ci salva senza di noi!", senza l'offerta di noi stessi: "... di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. (...) come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre".

lunedì 21 dicembre 2020

Accogliere ... È tempo di avvento!

Cantico 2,8-14 e Luca 1,39-45


Dio lo si può solo accogliere, non meritare, tantomeno pretendere. In questo avvento in cui tanto ci è stato tolto nella libertà di vedere, incontrarsi, di fare e scegliere; sempre più urgente diviene l'esperienza di accogliere il Signore che viene. Una accoglienza che ci salva dalla solitudine relazionale ed esistenziale.
Lo spazio di questa solitudine relazionale, corre il rischio di essere riempito da tutto ciò che non è relazione, ma solo comunicazione o anche solo dal nostro egocentrismo.
Custodire e coltivare l'attesa, oltre ogni sentimentalismo romantico, per noi cristiani, in questa situazione particolare, significa realmente dilatare lo spazio e le condizione per l'accoglienza: accogliere l'altro, da quello che da sempre trovo accanto a me, a quello che ricordo anche solo alcune volte all'anno. Accogliere come Maria, accogliere come Giuseppe, accogliere come Elisabetta e Zaccaria ...
Accogliere ... perché è nella accoglienza che scopro la gratuità di colui che è accolto, e lo riscopro come dono gratuito. 
Accogliere è esercizi di gratuita, di apertura all'altro, ma anche di dono di me stesso. Accogliere è una scommessa che si vince a partire non dai propri meriti e capacità, o nel bastare a se stessi, ma si vince superando le Resistenza egocentriche, e si manifesta nella gioia dell'incontro: "Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce ..."

domenica 20 dicembre 2020

Mi affido

2 Sam 7,1-5.8b-12.14a-16; Sal88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38

 

La bellissima pagina del Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato 10 giorni fa, per l'immacolata, ritorna oggi, in questa quarta e conclusiva domenica di Avvento, con tutto il suo fascino e il suo mistero: una vera pagina vocazionale, cioè di chiamata di Dio, di relazione con Lui e soprattutto di comprensione del nostro essere, ed esserci, per qualcun'altro e non per noi stessi. Alla radice della relazione con Dio ci sta la fiducia, il fidarsi di Lui ... e anche l'affidarsi a Lui.

Non è mica facile la parola fiducia! Poi per chi è disincantato dalla vita, per chi è passato attraverso la paura dei tradimenti e l’incomprensione, gli slanci di affetto … tutto diviene condizione di grande fatica a fidarsi e ad affidarsi.

Ecco allora una vera scuola di fiducia: la storia di Maria di Nazareth. Una vicenda che ci racconta come Lei ha imparato la fiducia superando i limiti che lei solo vedeva.

Chi è Maria?

È una ragazza, giovanissima; una vergine - parola che suona proprio inadeguata oggi -; era fidanzata, cioè gli piaceva un ragazzo più grande; un ragazzo che già nella vita si era fatto conoscere: lavorava nel paesello e tutti lo stimavano.

Un giorno si trova a fantasticare nei suoi pensieri, dove rincorre l'immagine del suo “promesso sposo”, ed ecco che improvvisamente una voce e una presenza nasce inaspettatamente tra quei pensieri. Come definire questa situazione se non una incursione divina?

Siamo di fronte alla concretezza della Parola di Dio, che non disegna una realtà alternativa, come può essere la storia di ciascuno di noi, ma in quella particolare circostanza, va ad abitare nella vita di Maria. Ed ecco che la Parola, o meglio il Verbo di Dio, così come prese dimora in Maria, oggi continua a prendere esistenza e concretezza nella nostra vita: il nostro stare nella Parola!

In questa quarta domenica di Avvento, contemplare Maria ci fa bene, ci permette di azzerare il nostro presuntuoso modo di vivere l'Avvento: spesso vissuto con l'orgoglio di chi presume di aver fatto qualcosa ...; oppure con la scaltrezza infingarda di chi non avendo fatto nulla si sente ugualmente appagato dalla gioia di un Natale convenzionale e oggi anche legalizzato.

Ma il credente non può adattarsi a certi giochetti; il credente intuisce in se stesso che l'avvento è la grande scuola per accogliere Dio che viene e non per manipolarlo a piacere, o ancor peggio per credere di potersi meritare il figlio di Dio.

Con Maria ci mettiamo davanti a una immagine viva di come possiamo imparare a vivere l'avvento, in modo cristiano. Nel Vangelo di oggi impariamo tre caratteristiche - che nell'incontro tra l'angelo Gabriele e la vergine Maria -, danno consistenza al nostro avvento:

l'irruzione inaspettata, che rimescola i progetti, e vi inserisce novità;

il superamento dell'individualismo,dalla pretesa umana di avere tutto in mano, tutto sotto controllo, si giunge al consegnarsi nelle mani di un altro, di Dio;

il passaggio alla fiducia ... Mi fido di quelle Parole, e mi affido a quella Parola, che è per me … a quella Parola che mi sussurra di fidarmi!

Maria si presenta quindi sulla scena della storia umana come la profezia di come la fede in Dio, come l’affidarsi a Lui apre la strada della felicità nella nostra vita cristiana; la fiducia poi, sprigiona la speranza, e diviene tenera consolazione nel nostro vivere quotidiano. Ecco che Dio sa stare davanti a chi si affida a Lui con semplicità, e anche con qualche dubbio.

sabato 19 dicembre 2020

La nostra vita, Dio la rende feconda

Giudici 13,2-7.24-25 e Luca 1,5-25


Non avere figli rappresentava un grave disagio per l'uomo; il dramma della sterilità era una ferita dell'essere donna ... È questa realtà di partenza - non solo culturale - nella quale si inserisce la manifestazione e realizzazione del disegno di salvezza. È da una ferita - la sterilità di una coppia - che Yhwh, pone nella vicenda umana un segno della sua vicinanza e della salvezza: Sansone. La storia di Sansone è un segno di liberazione, di riscatto e di salvezza per l'intero popolo di Israele. È un segno che non rimane intercluso nel tempo e in una vicenda, ma anticipa e accompagna il cammino della storia come evento di salvezza per l'intero genere umano. È il segno del figlio, il dono della vita che nasce lì dove regnava solo la sterilità della morte. Essere sterili, è come essere in un cammino di morte, custodi di una vita incapace di esprimere l'eternità; incapace di perpetuare l'esistenza e di essere generativa del dono della vita stessa.
Fin dall'inizio della rivelazione di Yhwh, comprendiamo e riconosciamo che la salvezza supera ogni argomentazione morale, esprimendosi come redenzione della sterilità della morte nel dono di Dio che è la vita stessa. Il compimento, la pienezza di questo segno è l'incarnazione del verbo di Dio: la vita stessa di Dio, il suo amore per noi, che diviene il suo figlio che nasce nella nostra umanità dalla carne di una donna.
Essere fecondi non è quindi solo una possibilità biologica, ma la fecondità diviene una condizione dell'essere dell'uomo capace di generare il bene, di costruire felicità e di custodire l'amore. Per questo dono, la nostra vita non può che trasformarsi in gratitudine  a Dio e a chi da senso e pienezza alla nostra esistenza. Quanti grazie occorre che dica per tutto il bene che ricevo?

venerdì 18 dicembre 2020

Giuseppe e il travaglio interiore

Geremia 23,5-8 e Matteo 1,18-24


È un travaglio ciò che Giuseppe deve affrontare, neppure nel sonno trova pace. È un percorso interiore di riconoscimento di sé stesso, del proprio orgoglio di uomo ferito e umiliato - "...Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme" -è un percorso di recupero della disponibilità verso Maria, la ragazza che ancora ama - "... poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente" -; è un percorso di affidamento a quel Dio di Israele che fin da bambino gli è stato insegnato come il Dio che si era rivelato ad Abramo e ne aveva riempito la vita di promesse e di speranze, presenti e future - "Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta" -. Un vero travaglio che deve raggiungere progressivamente la pienezza. Giuseppe deve entrare in sé stesso, deve toccare i suoi limiti, prenderne coscienza; deve avere coscienza delle sue ferite e fragilità; deve imparare la compassione per sé stesso e per le proprie umiliazioni. È in questo Percorso di interiorità che Giuseppe impara ad ascoltare la voce di Dio, così come gli è stato insegnato circa Abramo: Yhwh parla a ciascuno dentro la quotidianità della vita. Yhwh fa risuonare la propria voce nelle vicende personali e attraverso la storia e gli eventi che indicano un percorso di redenzione, e di salvezza. Dio si accompagna a Giuseppe, e la voce dell'Angelo lo riporta nella positiva  relazione con le profezie di Israele, cioè lo rende capace di ascoltare la Parola, e lo dispone a riconoscere e ad accompagnare il cammino di chi ha attorno: "Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa".

giovedì 17 dicembre 2020

La "catena" genealogica

Genesi 49,2.8-10 e Matteo 1,1-17


Ho sempre letto, fino ad ora, la genialogia di Matteo come una successione che nella fede comune ci conduce, passando per Gesù Cristo, fino ad Abramo, nostro padre nella fede in Yhwh. Un cammino ricco di esperienze e di umanità; ogni anello infatti rappresenta uno "spazio/tempo" di umana intensità unico è necessario per poter collegare ciò che segue con ciò che precede. Ed è proprio questa singolarità che esalta oggi la dimensione della relazione. Questi anelli sono persone, sono uomini e donne, sono relazioni vissute con intensità e coinvolgimento. Non sono semplici tessere che uniscono frammenti di tempo. Ogni anello è relazione con Dio; ogni anello è desiderio di amore; ogni anello è attesa di compimento; ogni anello è affidamento al mistero dell'eternità. Ogni anello è una umanità vissuta interamente e intensamente come vocazione, cioè come chiamata di Dio a dare, per ciascuno la propria parte, senso al disegno di salvezza. Ma che cosa è il disegno di salvezza, che cosa è la redenzione se non una intima relazione così viva, che vince il male e ma morte, che trova in Gesù la pienezza di senso; pienezza che permette di arricchire ogni nostro rapporto con affetto vero, con fedeltà sincera, con stima confidente, con abbandono fiducioso ... Tutto questo alla luce del mistero di Dio. Si perché, è la relazione vissuta da Abramo che viene soddisfatta in Gesù; è la relazione vissuta da Isacco che trova in Abramo forza e consolazione, come pure piena soddisfazione in Gesù; è la relazione vissuta da Giacobbe che ha in Abramo e in Isacco la propria radice e origine dell'affidamento, come ha in Gesù il compimento della speranza e del desiderio ... È così per ogni anello di questa catena di salvezza. .... È la mia relazione con chi mi ha preceduto nella fede che riempie la mia storia di un tenero e dolce affollamento di volti, e trova in Gesù il sereno compimento di ogni mi attesa.

mercoledì 16 dicembre 2020

Non scandalizziamoci

Isaia 45,6-8.18.21-25 e Luca 7,19-23


Per Giovanni Battista il confronto con Gesù è veramente destabilizzante, dopo il riconoscimento al Giordano, dopo averlo indicato come agnello di Dio, ecco che l'esperienza della prigionia fa precipitare Giovanni nel dubbio e nell'incertezza circa Gesù - Messia.
Non è un dubbio da poco, c'è in gioco la sua fiducia in tutto il suo percorso di vita, entra in crisi il modo in cui Lui stesso, Giovanni, ne ha preparato la manifestazione; va in confusione quel discernimento che ne ha le rimesso il riconoscimento rispetto a tutti; sprofonda nel nulla quel "diminuire rispetto a tutto", che Giovanni ha scelto di fronte al "venire" del cugino. Gesù non libera Giovanni dalla prigione, ma da una risposta che serve a Giovanni per ricomporre la propria frantumazione interiore; è la risposta che le 
Profezie portano in sé stesse per sempre: "... i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!"
Gesù chiede a Giovanni di non cadere nello "scandalo", ma di rinnovare la propria fedeltà alle profezie di cui è stato annunciatore.

martedì 15 dicembre 2020

Abbiamo visto e non abbiamo creduto ...

Sofonia 3,1-2.9-13 e Matteo 21,28-32

Una evidenza che non ci tocca ...
Una parabola che Gesù ha pronunciato per coloro che non vogliono mettersi mai in discussione, neppure di fronte alla Parola di Dio. La parabola è invece una occasione, è uno specchio di ciò che spesso anche noi facciamo e siamo: i due fratelli, i due comportamenti, le due reazioni descrivono il nostro modo di reagire e rispondere alla Parola, alla vicinanza di Dio. Il Vangelo va oltre la narrazione della parabola ed entra nella quotidianità e individua i pubblicani, peccatori e le prostitute con il primo fratello che dice no e poi si converte; mentre i Sadducei e gli Anziani del popolo (le guide politiche e religiose di Israele) dicono si è poi non si convertono. Gesù mette in luce questa evidenza che anche noi siamo chiamati a riconoscere, e a riconoscere in noi.
Il nostro modo di ascoltare la Parola di Dio, il nostro modo di fare la volontà del padre non è spesso un SI di formalità, di abitudine, un sordo ascolto che non genera un vero cambiamento, una vera messa in discussione. Il cuore della parabola è proprio questa evidenza: la Parola mette in subbuglio, scombina e provoca a conversione. La Parola non ci porta a pensare la volontà di Dio, ma essa è la volontà di Dio che impatta nella mia vita, ecco che le nostre reazioni (No/Si) sono le occasione di vera docilità e obbedienza o di ostinata ottusità e autoreferenzialità. 


lunedì 14 dicembre 2020

Oracolo dell’uomo dall’occhio penetrante

Numeri 24,2-7.15-17 e Matteo 21,23-27

In questo tempo di avvento, uniamo alla preparazione il discernimento, il riconoscere Gesù come colui che viene e che è già in mezzo a noi.
La prima lettura di oggi, abbandona Isaia e ci introduce una strana situazione la profezia di Balaam. Siamo di fronte a un profeta/veggente dell'Antico Testamento, un veggente che appartiene alla tradizione profetica della terra di Canaa.  Citato a partire dal capitolo 22 del libro dei Numeri. Nel racconto in questione, egli viene chiamato dal re di Moab a maledire il popolo di Israele, ma per ben tre volte Dio glielo impedisce, così che Balaam non può fare altro che benedirlo abbondantemente, provocando l'ira del re che lo aveva "ingaggiato". In questa strana vicenda si inserisce un aneddoto particolare, la vicenda dell'asina di Balaam. Dopo aver ottenuto il permesso da Dio di andare in obbedienza al re di Moab, che gli chiedeva di maledire Israele, nel viaggio verso la terra di Moab, l’angelo del Signore gli si para dinnanzi con in mano la spada, pronto a fare morire il veggente. Pare che l’unica a vedere l’angelo sia l’asina, che quindi frena e devia; Balaam infuriato ed ignaro si accanisce sulla povera bestia che allora, per miracolo divino, comincia a parlare, e a lamentarsi del trattamento ricevuto. Nel contempo Dio concede anche a Balaam di vedere l’angelo: il profeta comprende, si pente, chiede se deve tornare indietro. Ma l’angelo gli ordina di proseguire, intimandogli di fare, quando sarà presso il re di Moab, solo il volere del Signore. Balaam andrà, incontrerà il re nemico, non accoglierà la sua proposta di maledire Israele, che anzi benedirà a gran voce. È interessante notare che Dio ha predetto la venuta del Messia per mezzo del veggente Balaam, straniero, con un oracolo, che dice: "Lo vedo, ma non ora; lo contemplo, ma non vicino: un astro sorge da Giacobbe, e uno scettro si eleva da Israele".


domenica 13 dicembre 2020

Occorre indietreggiare

 

Isaia 61,1-2.10-11; Canrt. Lc 1; 1 Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28


Terza domenica di Avvento, detta anche domenica gaudente, cioè della gioia; ci accompagna dalla figura di Giovanni Battista che sembra rivestire nei panni di un operaio edile, che si appresta a compiere lavori di ristrutturazione: “Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa”.

Per noi questa via, questa strada potrebbe essere anche il risistemare la casa, abbellirla, adeguarla al venire del Signore; curarne il verde, potare gli alberi, predisporre i bulbi dei primi fiori di primavera, tutto in un'unica direzione "prepararsi ad accogliere colui che viene".

Senza voler stravolgere le nostre informazioni sull'Avvento, cerchiamo di comprendere come questo tempo liturgico, non è solo memoria della venuta nel tempo del Figlio di Dio - la sua nascita a Betlemme – ma ci predispone con un itinerario di preparazione - appunto di avvento -  a ripercorrere l'attesa dei profeti e di tutto Israele fino a Maria e Giuseppe per congiungerla con l’ulteriore attesa, quella del ritorno del Foglio di Dio, il suo ultimo avvento alla fine dei tempi.

Giovanni Battista ci indica il punto di svolta tra le due attese: "In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo".

In questo nostro tempo, segnato dalla crisi mondiale della pandemia, ferito dalle disuguaglianze sociali che sono sempre più gravi; condizionato dell'indifferenza verso tutti e verso ciò che è il mistero di Dio ...; in questa nostra quotidianità in cammino, il Signore continua a rendere vicina la sua venuta, per rendere più concreto l'essere il Dio con noi.

Al tempo di Giovanni la gente accorre e chiedeva a Giovanni il segno del battesimo come espressione del desiderio di cambiamento della vita, rivoluzione del cuore, perché a tutti era evidente che la manifestazione del Messia era vicina.

Le aspettative erano talmente alte che si erano concentrate tutte su di lui: "Sei il Cristo? Sei tu Elia? Sei tu il profeta? Chi sei dunque?”

Di fronte a tanta attesa Giovanni ad un certo punto si tira indietro. È questo gesto di Giovanni che lascia tutti un poco disorientati, e lascia nello sconcerto.

Eppure, Giovanni insegna in quel suo indietreggiare che tutti - se vogliono riconoscere il Messia - dobbiamo imparare a fare un passo indietro.

Anche nella ristrutturazione della casa, è necessario che si faccia un passo indietro e si guardi con attenzione e pazienza tutto l'insieme, per capire da dove cominciare.

Giovanni ci suggerisce - oggi - di cercare una presenza, di cercare la presenza di Gesù in mezzo a noi.

Se non farò un passo indietro - come fa Giovanni - non mi accorgerò che Gesù si è avvicinato, e che mi si accosta nel cammino; se non arretro sarò sempre e solo io davanti a me stesso, e continuerò ad amare solo me stesso, incurante dell'amore per e degli altri e soprattutto della loro presenza e vicinanza.

Quando invece riconosco che Gesù mi preceda nella fede …, nella mia storia …, nel mio stile …, allora ecco che il Signore diviene evidente, e sorprendentemente si svela come colui che è per me.

Non è stata facile per Giovanni questa tappa della sua esistenza; Gesù era molto diverso da ciò che lui immaginava; il Signor aveva uno stile che si discostava totalmente dal suo! Questo suo indietreggiare è quindi occasione anche di dubbi, di tenebra e di smarrimento: "ma sei tu che deve venire o dobbiamo attendere un altro?" Farà chiedere a Gesù dai suoi discepoli.

Giovanni fa esperienza che solo arretrando è possibile accogliere colui che viene!

Solo imitando nel suo indietreggiare, solo mettendomi a cuore la ristrutturazione della “mia casa”, smetterò di cercare Gesù in modo convulso, o in una vaga idea natalizia; indietreggiare è riscoprire il bello dell’umiltà, della mansuetudine; dell’essere piccoli; è concretamente, avere il coraggio di compiere un gesto di amore verso la mia comunità, verso la mia famiglia, verso i miei amici ...

Sono questi i lavori di ristrutturazione urgenti, che mi permettono di accogliere colui che non conosciamo, ma che è già, anzi è ancora e ritorna in mezzo a noi.