lunedì 30 settembre 2019

Zaccaria 8,1-1 e a Luca 9,46-50
Tu, inaspettabile, conosci i pensieri del nostro cuore ...

Un pensiero, due ..., tre ... E nella frenesia di affrontare la quotidiana realtà tutto si amplifica, al punto che tutto sembra un campo di battaglia dove ci si misura in modo impari: la nostra fragilità e l'ostilità del quotidiano. È questo il dramma di chi pur cercandoti, non ti trova; di chi desiderandoti, sperimenta solitudine. Ecco che ci plasmiamo con le nostre mani contraddizioni che annebbiano l'anima; il cuore si riempie di vanità e la presunzione e il sospetto prendono il posto della fiducia e della bontà.
È crisi ...! E tu Signore ... dove sei ...?
Gesù  "prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande".
Tu sei vicino ... Forse vorrei vederti "grande", sentirti "potente" ... ma la tua presenza è vicinanza, tu sei sempre accanto, nel silenzio e nella libertà. Tu sei "inaspettabile"come un bambino. Mi sarei atteso un Gesù profeta, un Gesù risolutore, un Gesù che apre la strada alla riscossa della redenzione ... No, tu sei vicino come un bambino, che accanto ti tende la mano perché venga stretta fortemente. E in quella stretta, noi, rinunciamo a "condurre" la trama del cuore e a lasciare che quel bambino guidi il nostro cuore nella volontà del Padre. Riprendendo le parole di Zaccaria, il "bambino" prendendoci la mano ci riconduce: "Ecco, io salvo il mio popolo dall’Oriente e dall’Occidente: li ricondurrò ad abitare a Gerusalemme; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio, nella fedeltà e nella giustizia". Lasciamo che Gesù riconduca il nostro cuore a Gerusalemme! Il Signore non risolve la crisi, egli la attraversa, lui ci conduce nella presenza del Padre, nella dimora di Yhwh ... la vera Gerusalemme.

domenica 29 settembre 2019

Amos 6,1.4-7; Sal 145; 1Tm 6,11-16; Lc 16,19-31
Il Signore protegge lo straniero, l'orfano e la vedova ...

Mai Paolo ha parato in modo così perentorio, pur con tutta la conoscenza della sua intransigenza non ci saremo mai aspettati: "... ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo".
Ti ordino di conservare il comandamento ... Di quale comandamento sta parlando se non di amare il prossimo, di amare i nemici, di amare quelli che non vorremo amare ...
Come il Signore ci ha chiesto di fare.
La cosa interessante è che Gesù mai dice ti ordino di amare, ma Paolo invece lo dice!
Di fronte a Timoteo, suo figlio nella fede, da padre e guida si impone per tracciare una indicazione, da Paolo, riconosciuta come irrinunciabile.
Con altrettanta fermezza, l'evangelista Luca ci immerge in una parabola molto nota, che offre tantissimi spunti di rilettura, quella del povero Lazzaro e dell'uomo ricco.
Tante volte, fin da bambino Letta questa parabola, mi nasceva dentro un senso di profonda tristezza e una domanda "perché?".
Perché tanta indifferenza e freddezza verso Lazzaro; perché tanta immutabilità per un destino privo di salvezza?
Mi lascio aiutare dalle  parole del Papa: "... il ricco non era un uomo cattivo, ma era un uomo malato. Egli aveva una malattia in grado di trasformare l’anima delle persone: la mondanità (...) la mondanità anestetizza l’anima, ha detto il Santo Padre, e ci rende incapaci di vedere la realtà. La mondanità trasforma le anime, fa perdere la coscienza della realtà: esse vivono in un mondo artificiale, fatto da loro (...) La mondanità anestetizza l’anima. E per questo, quest’uomo mondano non era capace di vedere la realtà“.
Non era capace di amare Lazzaro, non era capace di comprendere come nella sua vita metteva in gioco tutta la vita, anche quella eterna.
Anche oggi gli uomini, i cristiani mondani, diventano ciechi, vedono solamente dentro la propria vita e così facendo si creano una realtà tutta loro. Una realtà in cui non c'è più spazio per nessuno, è questo il limite di avere il “cuore mondano“: l’essere centrati solo su se stessi, al punto da non riuscire più a “capire la necessità e il bisogno degli altri. Con il cuore mondano si può andare in chiesa, si può pregare, si possono fare tante cose” ma non si è in grado di provare compassione per gli altri ... e mentre si muore nella vita presente alla misericordia, si muore alla salvezza eterna.
La mondanità ci fa insensibili a chi profugo muore nel mare per cercare di raggiungere un porto separato, e non importa se uomo, donna e bambino.
La mondanità ci fa insensibili alle povertà, alle guerre, agli stermini che tuttora continuano ad accadere.
La mondanità ci chiude gli occhi sulla cura del creato e sulle responsabilità ambientali.
La mondanità vi rende superbi e intolleranti rispetto alle diversità, scartate e non comprese.
Vivere in Cristo, riecheggiando queste parole serve proprio per non mondanizzarci, serve come antidoto alla durezza di cuore.

sabato 28 settembre 2019

Zaccaria 2,5-9.14-15 e Luca 9,43-45
Consegnato nelle nostre mani ...

L'irrilevanza cristiana che percorre il nostro tempo, il nostro spazio occidentale, rappresenta una singolare grazia per sanare la presunzione di superiorità umana della rivelazione che si trasforma in una espressione di idolatria. Tutto sembra in declino, tutto sembra crollare; molti se ne vanno; la fede non è più riconosciuta come realtà positiva, ma è espressione di arretratezza e di debolezza; l'indifferenza religiosa ha il sopravvento mettendo in evidenza un umanesimo emancipato ed autoreferenziale. Ma sé questa è la lettura, pessimistica, non pensiamo che il momento storico che ha conosciuto l'incontro con Gesù, fosse poi così propizio alla Fede e al Vangelo. Che la gente fosse ammirata per tutto ciò che Gesù faceva, mette in ombra il rifiuto, incredulità e il sospetto, hanno accompagnato i tre anni di ministero del Signore. La testimonianza dei vangeli è concorde nel dirci che: "Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo ...".
Il tempo che viviamo è tempo di grazia, quella che incontra la nostra fatica e ripete a noi oggi: "Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini".
Questa espressione possiamo rileggerla come annuncio della passione e morte, oppure come condizione stabile/storica/esistenziale del mistero dell'incarnazione. È il modo in cui il "Dio con noi" si fa prossimo, e incontra l'uomo, assumendone l'umanità. Egli si consegna nell'uomo all'uomo, per esser la sua stessa vita e per condividerne la salvezza, cioè la risurrezione. Questa esperienza di Dio si fa piccola e accessibile in Gesù, al punto di consegnarsi liberamente nelle mani degli uomini, e questo per sempre e in ogni istante del tempo, che in questo senso, riempito di Dio, diviene kairos, ovvero il tempo propizio! Che il "Figlio dell'uomo" si consegni nelle nostre mani è bellissimo! Questa presenza di consolazione rende possibile percepire anche il nostro tempo affaticato come "Travaglio del parto" di una Storia che non è abbandonata a sé stessa ma che appartiene sempre al Padre. 

venerdì 27 settembre 2019

Aggeo 1,15-2,9 e Luca 9,18-22
La gloria del Tempio ... La gloria del Figlio ...

Se si pretende di trovare un compimento della profezia di Aggeo, forse si rimarrebbe delusi, perché, il Tempio fu riedificato, ma poi fu anche distrutto/profanato e restaurato nuovamente, fino al tempo di Erode il Grande che diede al Tempio il connotato della immensità e della meraviglia. Ma anche quel Tempio tanto decantato è stato distrutto e ora ne resta solo quel muro di sostegno (del pianto) della spianata che ospitava i cortili sacri e il Santo dei Santi. Ma la gloria del Tempio, non si identifica con la vanità dei decori e l'imponenza delle pietre, ma risiede nella presenza, nel dimorare di Yhwh. Ecco allora che quella gloria di cui il Vangelo di Giovanni ci parla in relazione a Gesù è il figlio stesso glorificato, dimora del Padre e presenza dello Spirito Santo.
Il Vangelo di oggi, lo rileggo in questa chiave, Gesù il "Cristo di Dio", l'unto dello Spirito, il consacrato del Padre. Gesù è dimora di Yhwh, in Lui, si manifesta la gloria come vicinanza di Dio Padre, ossia la misericordia come reazione storica al peccato e all'iniquità che si sprigiona dal creato e dalla storia dell'uomo. Gesù manifesta questo legame con la gloria-presenza a partire dalla sua autocoscienza di essere il "Figlio dell'uomo". Gloria che diviene esperienza e si manifesta nella sofferenza, nel rifiuto e nella morte. Essa è la potenza o gloria del Padre ed ha in sé una forza che è redenzione. Lo splendore della gloria è visibilità dell'amore che salva: cioè passione, morte e risurrezione di Cristo - "La gloria futura di questa casa sarà più grande di quella di una volta, dice il Signore degli eserciti; in questo luogo porrò la pace".-

giovedì 26 settembre 2019

Aggeo 1,1-8 e Luca 9,7-9
Continue inadeguatezze 

Ritornati dall'esilio, dopo lo slancio iniziale, tutto si insabbia, la casa del Signore, il Tempio della sua Gloria è accora in rovina; gli interessi personali e di parte hanno preso il sopravvento ... L'indifferenza della vita prevale sul dimorare di Dio in mezzo al suo popolo. È un popolo il cui cuore si allontana ... La gioia del ritorno di è convertita nel sistemare gli affetti, nel consolidare sicurezze, nell'accumulare profitti ...
E Dio? Yhwh, dimora nelle rovine di un tempio del Passato, distrutto e inagibile.
La profezia fa' eco alla volontà di Dio che reclama di manifestare la sua "Gloria".
L'immagine della prima lettura - frutto di una situazione storica - può diventare emblematica del "mistero del Dio con noi", di una incarnazione attraverso la piccola realtà che nasconde la "Gloria". Dio non rivendica la grandezza di un Tempio, ma il suo dimorare con l'uomo. Noi pensiamo al dimorare di Dio come soddisfazione del nostro senso religioso, che il più delle volte è solo una forma di "latria", di culto formale reso alla divinità. Ma il dimorare di Dio, e con l'incarnazione diviene evidente, è un esserci personale la cui relazionalità riempie il senso religioso, da soddisfazione al bisogno umano, compensa la solitudine esistenziale che accompagna il nostro esserci. Yhwh vuole dimorare in Israele prima ancora che nel Tempio, come ora il Dio di Gesù, vuole dimorare nell'esistenza (nell'esserci) di ogni discepolo del suo Figlio. È a partire da questo dimorare che mi converto e che formo alla mia risposta di fede.


mercoledì 25 settembre 2019

Esdra 6,7-20 e Luca 8,19-21
Il Tempio di Dio!

Per noi non è proprio la stessa cosa, per noi l'edificio sacro è generalmente un luogo abbastanza distante dalla nostra vita, un luogo funzionale alle celebrazioni rituali religiose. Quando però si costruivano le Cattedrali non era così! Quella esperienza di popolo somigliava molto a quella di Israele, alla riedificazione del tempio dopo la deportazione a Babilonia. La vergogna della distruzione del primo tempio, pesava ancora nella storia e nella memoria dei deportati; il loro ritorno e tutto ciò che viene messo in opera per la riedificazione del Tempio di Dio, non è un aspetto marginale della vita e della identità del popolo stesso. Tutti come un corpo solo realizzano la riedificazione al fine di espiare il peccato e, purificati, si possa nuovamente celebrare ma Pasqua. Ecco quella celebrazione è il "rito perenne", alleanza di generazione in generazione, nuova genealogia che si riaggancia alle benedizioni di Dio rivolte all'uomo e alla creazione, fino a quelle dei patriarchi. Cosa rappresenta quindi il Tempio per un Ebreo? È certamente il luogo Sacro, il luogo Santo, ma è propriamente dimora di Dio, casa dell'Ascolto e della sua presenza.
Venendo meno il senso della dimora e della presenza, anche l'ascolto della Parola diviene puro esercizio morale, ma non più stare alla presenza del Signore. Quando l'Ascolto è dimorare alla presenza, si genera in noi anche la vera e originaria esperienza del Tempio Santo in Gerusalemme. Anche Gesù vive la dimensione dell'Ascolto come dimorare nel Padre, ed è proprio questo che lo conduce più, e molte volte, al Tempio in Gerusalemme, ed è da questa esperienza di Ascolto che ci condivide la relazione di fraternità che ci costituisce in un vincolo di famiglia: "Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica".

martedì 24 settembre 2019

Esedra 9,5-9 e Luca 9,1-6
... mai abbandonati!

"...  e così il nostro Dio ha fatto brillare i nostri occhi e ci ha dato un po’ di sollievo nella nostra schiavitù". Le vicende della storia di Israele non rappresentano mai dei fatti o delle situazioni sterili: anche la schiavitù, l'esilio, l'oppressione dei tiranni sono in realtà il cammino di un popolo insieme al suo Dio. Israele è il popolo che porta in se il "segno sacramentale" della vicinanza di Dio a ogni uomo; per questo Israele non è mai abbandonato dal suo Dio, e quando l'intima certezza di questa vicinanza si delinea con chiarezza, gli occhi di ogni israelita brillano per la tenerezza di un Dio accanto, per il sollievo di non sentirsi soli e abbandonati. La solitudine e il dramma umano esistenziale per eccellenza.
Che cosa rappresenta la missione oggi? Se la missione non è proselitismo, dovrebbe proprio esprimere lo sguardo di tenerezza di Dio Padre per ogni uomo; dovrebbe essere la vicinanza di Dio attraverso quella Chiesa di Cristo che con stupore, guardando le periferie umane ... può, e deve pure lei dire "... il nostro Dio ha fatto brillare i nostri occhi e ci ha dato un po’ di sollievo nella nostra schiavitù".
Quando Gesù invia i dodici ad "annunciare il Vangelo" da alcune idicazioni di meto, chiede di non portare bastone, né sacca, né pane, né denaro e neppure due tuniche, perché tutto l'agire missionario si il frutto dell'annuncio e dell'ascolto della Parola del Vangelo. Il brillare degli occhi, il sollievo dalle schiavitù, sono la conseguenza esplicita della missione come libertà dal male, dal peccato; come conseguenza della conversione che è prima di tutto l'accoglienza umana rispetto a Dio.

lunedì 23 settembre 2019

Esdra 1,1-6 e Luca 8,16-18
Ritornerò a Gerusalemme

Un mito, un desiderio, una speranza ... Tutto questo rappresenta Gerusalemme!
Ma soprattutto la memoria della presenza di Yhwh, del suo dimorare in un luogo, del suo esserci per Melchizedek, per Abramo, Isacco, Giacobbe ..., per il popolo superstite ed esiliato a Babilonia, per i loro discendenti, per Gesù, per tutti i dispersi della diaspora ...
Non a caso il salmo 125 cita: "Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare (...); Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia". Ecco che prende vita una Gerusalemme che è ben più di una capitale, di una città conquistata da Davide".
Non dobbiamo scandalizzarci della contraddizione che anche oggi viviamo storicamente di fronte alle fazioni umane, razziali, ideologiche che si confrontano aspramente su Gerusalemme, essa infatti è così radicata profondamente nel cuore umano che partecipa anche al travaglio di una umanità in lotta. Ma al di là di ogni rilettura storica, questa città rappresenta una sorta di luce che illumina, di faro che guida, di meta che attrae ... Il Dio dei nostri Padri dimora ancora tra noi anche solo nella idea di Sion e della città del grande Re.
L'esperienza più bella che umanamente faccio, quando guardo Gerusalemme dal Monte degli Ulivi, credo sia quella fatta da ogni pellegrino dei tempi antichi e di ogni esule che ritorno a casa, ecco proprio quella di sentisi a casa!

domenica 22 settembre 2019

Am 8,4-7;  Sal 112; 1 Tm 2,1-8; Lc 16,1-13
Amministratori di Dio

Ma perchè pensiamo che le ricchezze di Dio siano dei soldi?
L'inizio di Genesi ci consegna un uomo, immagine di Dio, a cui il creatore affida la terra, animali e piante; su tutto ciò l'uomo ha potere. Ecco, questo richiamo iniziale può darci una intuizione non scontata per rileggere la parabola dell'amministratore disonesto. L'amministratore è immagine di Dio, egli agisce con le ricchezze del suo Signore come il Signore stesso, come Dio stesso in relazione a ciò che esiste ...
Oggi, sarebbe estremamente facile sentire Dio rivolgersi a ciascuno di noi dicendoci: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”
Nei secoli abbiamo deturpato, distrutto, impoverito, avvelenato questo nostro mondo, incuranti dell'affidamento ricevuto: "le scelte degli uomini e delle donne del XXI secolo sembrano non tener conto della natura che va sostenuta e non sfruttata indiscriminatamente, manipolando e distruggendo le limitate risorse del mondo: Non rispettiamo più la natura come un dono condiviso; la consideriamo invece un possesso privato. Non ci rapportiamo più con la natura per sostenerla; spadroneggiamo piuttosto su di essa per alimentare le nostre strutture" (Laudato Sì)
La parabola mette in luce come siamo scaltri, e come per salvare la nostra faccia, siamo disposti anche a manipolare le situazioni, non è forse questo lo stile dell'amministratore disonesto! Ma ora occorre andare oltre l'immagine della Parabola, occorre recuperare la credibilità rispetto ai beni ricevuti. 
Occore mettersi in conversione ecologica, e prendere coscienza del nostro ruolo, della nostra vocazione ad essere "collaboratori di Dio" responsabili rispetto al creato. Questa conversione comporta un netto cambiamento di mentalità circa le responsabilità personali, dice il Papa: "è tragico il fatto che isoliamo i vari aspetti della nostra vita al fine di giustificare il nostro comportamento contraddittorio" specialmente nelle questioni ambientali. La conversione della vita Cristiana, il suo rinnovamento comprende anche la gestione responsabile del creato, esso è prima di tutto un dono, non è un possesso, non siamo di fronte a un bene di cui fare ciò che si vuole; anzi il creato rappresenta l'occasione per esprimere riconoscenza e gratitudine".





sabato 21 settembre 2019

Efesini 4,1-7.11-13 e Mt 9,9-13
Festa di San Matteo apostolo
Il senso/ speranza della vocazione

Dal capitolo ottavo di Matteo siamo a Cafarnao, nella città di Gesù - come attesta l'evangelista Matteo - una espressione singolare che giustifica il racconto di una intensa quotidianità del maestro: incontri, guarigioni, miracoli, parole ... Ogni giorno è occasione per il maestro per condividere il regno dei cieli, e per chiedere in modo personale e diverso di aderire alla novità della vita che egli proponeva. La vocazione di Matteo è lo sguardo di amore di Gesù su un uomo che non ha realizzato se stesso, ma ha deviato rispetto alla sua felicità divenendo per tutti un pubblicano, un uomo di cui diffidare, un peccatore esattore (estortore legalizzato) dei pochi soldi dei poveri e di quei pescatori che con fatica cercavano di dare dignità alla loro esistenza. In questo quadro di una Cafarnao, dinamica e imprenditoriale ... Si delinea la chiamata che Gesù rivolge a chi ogni giorno incontra ... Ciascuno con le proprie qualità e fragilità, con la propria storia e relazioni, durezze e tenerezze, cioè con tutta la propria vita è chiamato rispetto al "regno dei cieli", cioè alla relazione che ti fa parte di Dio, ti fa appartenere a lui, cioè ti consacra per lui! Che bello scoprirsi tutti consacrati dal: "vieni e seguimi"!
La vocazione non è riconducibile una assegnazione, ad un incarico ... quasi che Dio sia un ufficio di collocamento spirituale.
La nostra risposta alla vocazione, alla chiamata, è un intreccio di libertà, di comprensione di sé stessi e di adesione a un invito che non è detto sia subito chiaro. Certamente al Si che possiamo dare, non si sovrappone un disegno superiore di Dio. Il bene, il progetto che Dio può avere è già dato in ciò che ciascuno in relazione a Lui sceglie liberamente; quel progetto diviene vero col progredire della adesione personale e libera nello stare col Signore. Dio non si impone, ma accompagna liberamente ... È un vero intreccio di libertà la vocazione!

venerdì 20 settembre 2019

1 Tm 6,2-12 e Lc 8,1-3
Le sane parole del Signore ...

La religiosità, dice Paolo, è una cosa buona, anche se deviando, gli uomini trasformano la relazione con Dio in una esperienza negativa per sé stessi e per la comunità: "... alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti".
L'immagine odierna del Vangelo serve come "tipos" per aggregarci a una comunità, non solo per ispirarci ad essa ed insegnarci ad essere una comunità particolare. Al tempo di Gesù varie erano le tentazioni di separazione e di opposizione alla grande comunità israelita: gli Zeloti (rivoluzionari estremisti); gli Esseri (puristi/escatologici); i discepoli di Giovanni Battista (cercatori di una nuova via di conversione) ecc... Tutte esperienze spirituali e politiche che descrivono un travaglio rispetto alla intransigenza e rigidità/purità escludente della religiosità ufficiale.
Anche Gesù esprime, nell'annuncio del Regno dei Cieli, un insegnamento ideale e morale ma anche, che attraverso le sue parole è capace di suscitare un modo nuovo per aggregare molti che da subito vivono i senso di una fratellanza non inclusiva ma di comunione; una condivisione che è partecipazione e soprattutto vivono la relazione forte e personale con il maestro, ma nello stesso tempo con ogni altro discepolo. Una relazione che è libera, non costruita su regole e imposta da precetti; è libera senza distinzioni di genere (uomo o donna); di condotta morale (anche i peccatori); di ceto sociale (tutto diviene in comune) ecc... 
Una utopia di altri tempi? Certamente utopia se la si vuole vivere e realizzare nel continuo confronto con la "diversa realtà", ma possibile se le sane parole di Gesù fanno parte della vita, se declinano le scelte, se sono memoria stabile.
Paolo a Timoteo lascia una precisa indicazione su come vivere il quotidiano e tutto sembra proprio un bellissimo testamento di amore: "Ma tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni."

giovedì 19 settembre 2019

1 Tm 4,12-16 e Luca 7,36-50
Paternità ecclesiale.

Ciò che Paolo raccomanda a Timoteo è di essere di esempio, essere di esempio sembra proprio "roba" di altri tempi ... Essere di esempio traduce essere testimoni, dare testimonianza di se stessi: "... nel parlare, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza." Non scandalizzare con la parola; agisci in piena luce evita i sotterfugi; esercita la carità come priorità; affidati al Signore nelle fatiche e fragilità; vivi la purezza come condizione della corporeità, sensibilità e affettività. Sono cinque ambito della vita umana che danno forma e consistenza alla "persona"; ne delineano e rivelano l'identità.
Poi Paolo aggiunge alcune esortazioni, anche queste non scontate per un progresso della vita in Cristo: "veglia su te stesso e sul tuo insegnamento ...", hai bisogno di attenzione e di preghiera perseverante; "non trascurare il dono che è in te", prenditi cura, abbi a cuore la tua chiamata, la tua vocazione; "con la lettura (scrittura) ..., con l'esportazione e l'insegnamento", cresci nel cammino spirituale. Paolo ben conosce il limite e la possibilità di arretrare spiritualmente nella fede; a Timoteo manifesta tutta la sua attenzione e paternità. È questo lo stile di una Chiesa che cammina, che genera e che aggrega a se i discepoli di Gesù.
Il famoso gesto del Vangelo, della peccatrice che versa il profumo sui piedi del Signore, lascia intuire che in tutta la casa di Simone il fariseo si sia diffusa l'odorosa essenza del "Nardo"...
Il profumo diviene segno evidente della "vita nuova in Cristo"; la tenerezza della donna, l'intima reazione che ne deriva, mettono in evidenza una realtà che si stacca da tutto il resto e diviene la "vita in Cristo", di cui la peccatrice ora da testimonianza, è la vita di fede, è una vita salvata!
Ciò che Paolo chiede a Timoteo è proprio questa tenera cura della sua "vita in Cristo"!

mercoledì 18 settembre 2019

1 Tm 3,14-16 e Luca 7,31-35
A chi posso paragonarvi?

Il brano di Luca di oggi, sembra un "brontolamento di Gesù", come dire: dopo tutto quello che vi ho detto, dopo i segni e miracoli che ho fatto; dopo avermi seguito per città e villaggi, ancora mettete distanza, resistenza e dubbio?
Questa esternazione ci permette di sondare una evidenza che accompagna il periodo del ministero di Gesù; uscendo da certe suggestioni cinematografiche, dobbiamo riconoscere alcune situazioni del Vangelo come rivelative di una reazione popolare anche contrastante: la difficoltà è il rigetto degli abitanti di Nazareth; l'invettiva contro le città del lago; il giudizio di scribi e farisei ... Ecco allora che quel "paragonare", rilegge una realtà di fatica e di uguale impegno nell'annuncio. Essere come i bambini ... in questo circostanza è sinonimo di testimonianza vera, una verità scomoda che viene ugualmente detta. Gesù non nasconde la criticità del momento; se fosse stato come Giovanni Battista infatti lo avrebbero ugualmente criticato e rifiutato, se avesse agito moralmente con durezza e rigore verso i peccatori, gli avrebbero rivendicato misericordia e perdono!
La verità non trova facile accesso nella realtà dell'uomo, proprio in ragione della presunzione umana di possederla e di poterla determinare. Paolo, aTimoteo, affida in sintesi il "mistero" di Gesù come verità donata è affidata a ciascun discepolo: "... egli fu manifestato in carne umana e riconosciuto giusto nello Spirito, fu visto dagli angeli e annunciato fra le genti, fu creduto nel mondo ed elevato nella gloria."
La verità di Cristo non si sovrappone e neppure si confonde con la realtà umana ma si manifesta attraverso la carne nonostante le sue inadeguatezze; ma ciò che è di Dio è anche ciò che è stato visto e toccato dagli uomini, che se anche non lo hanno capito è ugualmente la verità (vita) la gloria (presenza ed esistenza) del Padre.

martedì 17 settembre 2019

1 Tm 3,1-13 e Lc 7,11-17
Gesù centra con la vita!

La risurrezione del figlio della vedova ha un richiamo a un altro avvenimento biblico accaduto poco distante da Nain, a Sunam, la risurrezione del figlio della donna Sunamita compiuta da Eliseo. Perché Luca introduce ora questo miracolo? Sembra quasi voler interrompere la sequenza del cammino del Signore a Cafarnao e nei dintorni del lago, sembra voler sospendere il dispiegarsi della Parola e degli incontri che generano la fede in Lui, per fare posto a un segno che rappresenta come un "fulmine a ciel sereno", una sottolineatura nell'ordinarietà della vita; una correzione circa il nostro modo di percepire la presenza di Gesù e l'annuncio del regno dei cieli. Ecco che Luca corregge il nostro adagiarci, il nostro abituarci alla potenza della Parola che Gesù insegna e che nel manifestarsi opera meraviglie. Questo miracolo non è una meraviglia, ma ci riporta al cuore della nostra inadeguatezza e fragilità: la morte. Il bene, bello e prezioso della vita, è sempre in balia della morte improvvisa, e comunque evento inevitabile. Il racconto di 2 Re al capitolo quarto, potrebbe essere visto come la falsa traccia della narrazione lucana; ma forse non occorre ricordare che ciò che è antico ha una forza profetica della pienezza di ciò che è nuovo? Tutta la narrazione della salvezza racconta la storia della vita dell'uomo desiderato, creato e amato da Dio Padre. Il dramma della morte, specialmente della morte di un ragazzo nel fiore della sua vita rappresenta un baratro dell'assurdo che non si può colmare, neanche con il dolore e le lacrime della madre. La presenza della morte è veramente il venirci incontro di un destino che non comprendiamo. Ecco allora che anche Gesù ci viene incontro, ci accosta, ha compassione, ci consola sussurrando la Parola, ci tocca con amore e ci ridona la vita! C'è una semplicità/straordinaria che Luca vuole comunicarci, Gesù ha a che fare con il nostro morire e con il nostro vivere, Lui centra!

lunedì 16 settembre 2019

1 Timoteo 2,1-8 e Luca 7,1-10
Miracolo in periferia, in Galilea

Spesso si è detto che il passo di Luca racconta l'universalità della fede: giudei e gentili ... tutti sono chiamati. Ed è certamente corretta come lettura, ma possiamo andare anche oltre. Chi è questo centurione? Perché ha costruito la sinagoga? Perché si rivolge a Gesù?
Siamo in quella parte della provincia della Palestina romana chiamata Galilea, già conosciuta come terra dei gentili, terra di confine, terra in cui si incontrano le diversità culturali dei dominatori e dei dominati; le differenze religiose dei giudei e dei pagani; proprio dove le distanze tra le persone sembrano farsi più brevi ... Questa terra così marginale è la terra ideale per annunciare il Regno di Dio. Gesù è un uomo della Galilea! Il centurione Romano, viene preso dall'evangelista come immagine di colori che a Cafarnao vivono l'incontro con il Signore e che hanno messo radici in quella esperienza in quella terra. Questa terra a volte disprezzata ora viene elevata a simbolo, a esempio della vera accoglienza, della ideale integrazione ... I nemici vivono insieme; è il nemico che ha costruito il luogo della preghiera della grande comunità! Ed è proprio quel nemico che deposta ogni pretesa si avvicina al Galileo per chiedere un segno della misericordia di Dio: la guarigione del suo servo ed amico.
Forse non occorre voler trarre delle interpretazioni esegetiche, forse a volte basta fermarsi al miracolo della Galilea, un fatto che tocca realmente un uomo che si trova a condividere il suo spazio umano con il mistero di Dio. Già questo ha qualcosa di straordinario ... La Galilea, ti rinnova e ripropone  ogni volta che si realizza lo spazio essenziale della fede.

domenica 15 settembre 2019

Es 32,7-11.13-14; Sal 50; 1 Tim 1,12-17; Lc 15,1-32
La misericordia non è un sentimento!

Le parabole del capitolo quindici di Luca sono illuminanti per dirci come l'amore e l'amare hanno una consistenza che mai viene meno.
Cento pecore ... Sono poche, a me è capitato di vedere, in Palestina, greggi anche di 400/500 pecore; perderne una è un rischio calcolato. Ma questo rischio non avrebbe nulla a che fare con l'amore ...
Smarrire una moneta in una case in cui il pavimento non è certo finemente in ceramica, ma è fatto di grosse pietre accostate e battute in terra, tra le quali, quando si pulisce e si spazza casa, tutto si infila nascondendosi, anche le monete, per cui se si trova qualcosa è proprio una bella fortuna, è una gran soddisfazione; forse altre donne avrebbero scelto di lasciare stare tutto come era, e dare la moneta per persa. Rinunciare quindi all'amore ... Mai!
Solo la "caparbietà" di un Padre, di chi ama nella libertà arriva a mostrare l'amore come indistruttibile misericordia.
Trattare con amore i propri figli vuol dire rischiare la loro libertà ... Quel Padre (che nell'immaginario di Gesù è certamente suo Padre, Dio) ha realmente rischiato tutto ...
Ha rischiato il suo amore, il suo bene per loro; lo ha fatto fidandosi della loro libertà, fidandosi della gratuità del suo amore. Così come ha insegnato a loro, così ha agito, così ha sperato di riconoscere nei suoi figli i segni fecondi dell'amore misericordioso.
Ed è proprio così! L'amore non delude! L'amore può fare soffrire, ma non delude, perché l'amore rivela la verità che ci riscatta e ci libera dalle nostre storture e fragilità. È un figlio restituito al Padre in un travaglio di amore quello che se ne va e che ritorna a casa, che ritrova tutto ciò a cui aveva liberamente rinunciato. Ma proprio la libertà del padre rinnova il prodigio dell'amore misericordioso. È come non pensare, visto che la narrazione sembra non aver una fine definita; come non pensare che anche il secondo figlio dopo aver buttato fuori tutta la sua rabbia, il suo rancore, la sua incapacità di amare, si sia arreso liberamente a un amore gratuito che non cedeva di fronte a lui, e gli mostrava quale posto aveva nel cuore di Dio?
Il padre della Parabola è l'immagine di un Dio scandalosamente buono, che preferisce la felicità dei suoi figli alla loro fedeltà, che non è giusto, ma è di più, esclusivamente amore. Allora Dio è così? Così eccessivo, così tanto, vidi esagerato? Si il dio in cui crediamo è così!
Con questo capitolo l'evangelista Luca ci mostra ciò che lui stesso ha imparato da Gesù, dalle sue parabole, e con meraviglia ci chiede di lasciare che le immagini, tocchino la nostra umanità e realizzino ciò che dicono.

sabato 14 settembre 2019

Numeri 21,4-9; Filippesi 2,6-11 e Giovanni 3,13-17
Esaltazione della Santa Croce
Chi guardava il serpente di bronzo restava in vita!

Il golgota, il monte della crocifissione, si trovava fuori le mura di Gerusalemme a qualche decina di metri, ed era prossimo al zona di cava di pietre, con anfratti e caverne, che si rendevano utilizzabili anche per delle sepolture. Quando Costantino diede opera alla costruzione della Basilica del Sento Sepolcro, la cui dedicazione viene ricordata dal Martirologio Romano il 13 settembre del 365, il recupero dei luoghi occultati dalle vestigia dei templi pagani, mise in luce il Golgota che riemerse al centro della costruzione della Basilica in tutta la forza e veridicità del luogo della crocifissione.
Quel monte fuori dalle mura ci porta immediatamente a guardare pure noi colui che crocifissero (trafissero). Il riferimento di Giovanni al serpente innalzato nel deserto, come simbolo che dona salvezza, dispiega totalmente il mistero della croce: "E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui."

In Giovanni ma croce è la porta stretta, attraverso la quale si accede alla vita di Dio. Ma è anche il segno visibile e remale che la vita di Dio è frutto di amore, dell'amore di Dio stesso, del Padre. Ecco che per noi credenti la croce deve essere ben di più di un simbolo, che ci riporta alla memoria un avvenimento della salvezza. La croce di cristo, e che è Cristo crocifisso da la salvezza!

venerdì 13 settembre 2019

1 Timoteo 1,1-2.12-14 e Luca 6,39-42
Anche noi rendiamo grazie!

Dice Paolo a Timoteo: "Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù".
In un certo senso, ciascuno di noi sperimenta la grazia di essere amato (da Dio) e per questo chiamato (attratto) a Cristo, per essere mandato (apostolo). Paolo vive questo amore di Dio come quel dono di grazia che dilaga nella sua vita come un fiume in piena quando rompe gli argini delle costrizioni umane: l'orgoglio, l'auto sufficienza, la vanità, la presunzione ..., ovvero tutto ciò che da' di se stessi, dei fratelli e del mondo una visione a dir poco distorta; certamente ripiegata e filtrata dal proprio io, e dal proprio ego.
Per molti anni, Paolo, ha imparato a guardarsi "dentro", nelle profondità del proprio cuore, dove ha riconosciuto a partire dalla conversione, la vicinanza del Signore; una vicinanza come presenza stabile, un dimorare che si manifesta come amore attraverso la fiducia che il Signore continuamente gli rinnovava proprio nel chiamarlo nel servizio nella sequela apostolica. Gli anni in cui Paolo diviene forte di questa consapevolezza sono il tempo della purificazione del "vedere", sono il tempo in cui Paolo si esercita nel vedere Gesù attraverso quei suoi occhi prima cechi, e poi graziati dall'amore divino, tornano a vedere per forza della fede. È la fede, come fiducia che Gesù pone in ciascuno di noi che illumina il nostro sguardo perché possa vedere bene, perché possiamo vedere con uno sguardo purificato, cioè libero da ogni ostacolo, e così, rendere ogni giorno grazie a Dio per ogni suo regalo. Quando riconosco i regali di Dio, e non i difetti altrui,  vuoi dire che inizio a vederci bene!

giovedì 12 settembre 2019

Colossesi 3,12-17 e Luca 6,27-38
Parole non possibili ...

Lo spazio di Colossei, rappresenta una terreno minato, estremamente pericoloso per la fragilità della nostra umanità. È lo spazio nel quale è evidente la nostra vulnerabilità; é lo spazio del confronto/scontro tra amore e orgoglio, tra presunzione di giustizia e umiltà. Paolo non ha dubbi, è proprio in quell'ombra di fragilità che occorre rivestirsi dei sentimenti di Gesù. Da solo l'uomo non ne viene fuori; rivestirsi di Gesù significa realmente imitarlo, e affidarsi a lui. Imitarlo nello slancio dei gesti quotidiani e nel contenuto delle relazioni; affidarsi significa avere il coraggio di voler bene anche di fronte al rigetto/rifiuto o addirittura all'odio. Sintesi di questa trasfigurazione è: "Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!"
Ma in quale modo, tutto ciò può essere possibile?
É possibile solamente se "La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza."
Occorre nutrire la nostra umanità della ricchezza della Parola di Gesù. Ecco perché se consideriamo centrale "... E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro ...", (Vangelo di oggi), oltre ad andare in crisi, siamo condotti alla vera domanda circa il valore che diamo ai sentimenti, alle azioni, alle nostre relazioni, al prossimo. Non ho certo alcuna scusante rispetto alla ricchezza di questa Parola, cioè alla preziosità della mansuetudine disarmante che diviene criterio di giudizio e non semplicemente un benevolo agire morale. Ma è solo da questa trasfigurazione dei sentimenti umani, attraverso il fare esperienza dell'amore (ἀγάπη), che si rivela e si consegue la carità/grazia di Dio (χαρις).

mercoledì 11 settembre 2019

Colossesi 3,1-11 e Luca 6,20-26
Tutto è di Cristo; in tutto è Cristo!

Ci sono due fuochi, non contrapposti, ma comunque differenti rispetto ai quali, oggi la lettura della Scrittura ci guida.
Da una parte Colossesi, che trascendendo un insegnamento morale, progressivamente ci introduce nel mistero di Cristo. Con meraviglia siamo di fronte a un condensato di Cristologia, forse Paolo, in queste righe offre realmente tutta la sua introspezione circa la conoscenza che ha del Signore. Insieme al prologo giovanneo, questa lettera ci permette di spaziare le possibili interazioni tra Gesù, l'uomo e la realtà; ponendo ciascuno discepolo in quella prospettiva ordinaria di colui che si riveste di novità: "(egli) ... si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato."
Dall'altra il Vangelo, con le "beatitudini lucane", ci offre lo sguardo di Gesù, sui discepoli che ha chiamato a se e sulla gente che continua a seguirlo, a cercarlo. È ha questi che Gesù rivolge la sua premura, nelle parole che esprimono le beatitudini. Non sono quindi un insegnamento alto e generico. Ma la rilettura della realtà. Gesù vede la povertà, il limite, la fragilità e tutta la necessità di un compimento che solo nella partecipazione al regno dei cieli, può trovare giusta compensazione, cioè beatitudine. Si è beati se si è poveri del regno dei cieli. Sua come esperienza di umanità, sia come condizione di ingiustizia, la povertà è comunque lo spazio in cui il mistero di Dio si avvicina, si accosta all'uomo.
La "beatitudine" come felicità che "riempie", sazia la fame; consola il pianto; si compie nell'ora presente ed in modo esplicito in Gesù, proprio nella corrispondenza alla chiamata che è infamia per il semplice fatto di appartenergli. Così come può sembrare assurda la "povertà beata", parimenti si è "beati" nell'essere "infami" di Cristo.

martedì 10 settembre 2019

Colossesi 2,6-15 e Luca 6,12-19
Un bagno di folla

Ancora abituati alle immagini o all'idea della Chiesa delle masse, potrebbe essere che deformiamo anche l'immagine descritta dal Vangelo di Luca; potrebbe essere che la deformiamo proprio anche a causa della suggestione delle folle che si riuniscono per accogliere,  ascoltare e pregare insieme al Papa. Ma l'intenzione Lucana non ha nulla di "grandioso, di trionfale". Il Vangelo pone solo alcune centralità:
- una notte di preghiera;
- la scelta/chiamata di un gruppo di amici/testimoni;
- la missione apostolica.
Lo spazio del discernimento, della profondità della vicinanza è rappresentato dal monte, dalla notte, dalla preghiera. Tutto concorre a restituirci un Gesù umano che custodisce la propria vita e la relazione di amore nel Padre; è il suo modo di dimorare in Dio. Gesù da particolare priorità, e tiene a cuore questi momenti della sua vita.
Il gruppo, la comunità. A volte ci annulliamo rispetto al carisma di qualcuno, ma questo gruppo di chiamati ha alcune caratteristiche: chiamati da Gesù a stare con lui; la libertà personale che non viene mai declinata in una obbedienza senza amore; la libertà di stare con Gesù è una componente essenziale della risposta.
Rispondere: non c'è solo una chiamata, e una libertà personale, ma c'è pure una risposta che non è scontata. Rispondere, significa rinnovare quotidianamente il proprio Si a stare con Lui ... a stare con Lui (non siamo superficiali in questo).
La terza centralità sposta tutto fuori da un'auto-sufficienza, auto-referenzialità. Si tratta infatti di rielaborare quella nuova parola che definisce l'essere con Gesù: essere apostoli, mandati. Si tratta di quello sguardo proiettato fuori di sé, che si traduce in missionarietà. Alla luce di queste "centralità" non esiste alcuna ostentazione di popolarità, ma una reale corrispondenza tra la proposta di Gesù e l'umanità di ciascuno che riconosce che in lui "... abita corporalmente tutta la pienezza della divinità".

lunedì 9 settembre 2019

Colossesi 1,24-2,3 e Luca 6,6-11
Si prende le nostre aridità

È sabato, per Scribi e Farisei, è il giorno sacro, in cui la legge impone il riposo; per Gesù e per i "figli del regno dei cieli" è il giorno in cui chiamati da ogni parte entrano nella gioia del banchetto nuziale. Sono due sguardi di per sé opposti, contrastanti, che generano reazioni dissonanti. Di sabato, nella Sinagoga, Scribi e Farisei vanno per riunirsi come comunità dei giusti di Israele, per ascoltare una Scrittura che obbliga nei comportamenti e non rivela l'amore del Padre. Ora, Gesù,in giorno di sabato nella Sinagoga, fa esperienza del rifiuto, della critica, fino al punto di percepire l'agire dei suoi oppositori come desiderio della sua morte. Il giorno del sabato, del riposo genera nei giusti di Israele, in coloro che non hanno bisogno di conversione la perversione del desiderio di bene. Ma Gesù con la sua vita, la sua presenza insegnava a non rinnegare il sabato, ma lo ripresenta come il giorno del riposo, il giorno della festa, il giorno della vita di Dio, il giorno del Padre. Il sabato è il giorno in cui l'uomo è ricollocato al centro del cuore di Dio, è oggetto privilegiato dello sguardo amorevole dl padre. Ciascuno di noi, in quel sabato di festa ha la possibilità di offrire ma propria aridità - la mano "arida" - cioè morta nel fare il bene, per essere sanata e rigenerata nella possibilità di stringere per fare unione; di accarezzare per dare tenerezza; di fare nella libertà e gratuità  ... Tutto questo avviene in giorno di sabato! Questo insegna Gesù di sabato nella Sinagoga! Ma scribi e Farisei sono incapaci di ascoltare il suo insegnamento: "... essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù".

domenica 8 settembre 2019

Sap 9,13-18; Sal 89; Fm 1,9-10.12-17; Lc 14,25-33
Amarti è desiderio e nostalgia di te ... Signore

Il Vangelo di questa domenica è preludio al capito quindicesimo di Luca dove l'evangelista narrando le parabole della Misericordia, ci introduce nel cuore del "buona notizia", ovvero nel cuore di Dio e nella missione di Gesù.
A questo punto lo sguardo sul capitolo quattordici ci crea qualche problema ...
Se ci è sembrato di capire che Gesù chiama tutti buoni e cattivi ad entrare nel regno; se è evidente una certa "ansia" per sollecitare alla sequela; di punto in bianco sembrerebbe che Gesù voglia stoppare tutti ... Quasi a porre una "strettoia", quasi un esame per poter essere ammissione alla fase seguente.
Ma è proprio questo l'intento di Gesù? Non so se sia solo questione di formare il discepolo attraverso un cammino di conversione, ma certamente questo cammino ha in sé un momento di consapevolezza, di svolta che trasforma profondamente il cuore del discepolo, le priorità dei suoi "amori".
Essere cristiani, effettivamente non può essere qualificato dalla partecipazione alla Messa domenicale, e dalla buona formazione umana e dalla dottrina ...
Lo comprendiamo tutti, quanto è impegnativo essere realmente cristiani nel mondo e quanto sono "potenti" le condizioni poste da Gesù; sono potenti perché esigono chiarezza e totalità.
Ciò che è contrasto, in realtà, è il modo che Gesù usa per portarci a consapevolezza: "può l'amore, in tutte le sue espressioni compresa quella più alta dell'amore al padre e alla madre, essere di impedimento a seguire la via, la verità è la vita? può l'amore essere di impedimento al raggiungimento della vera felicità? Può il nostro bisogno di amore opporsi al compimento della legge di Dio, quella stessa legge che ha nell'amore la sua pienezza?"
No, nulla è più perfetto dell'amore e nulla deve intaccare la scelta di amore al Signore che ci porta a seguirlo nella vita: questa è una priorità, anzi un assoluto esistenziale!
Ecco perché se non imparo realmente ad amare attraverso l'esperienza concreta della Misericordia, come potrò realmente seguirlo sulla via della croce?
La croce è condizione di vita, e si rivela esprime nel "testimoniare lui, nel dargli credibilità". Da cosa conosceranno che siete miei discepoli ci ricorda Gesù? Non dalla perfezione morale, non dalle generose offerte, non dal buon comportamento, ma dall'amore: se vi amerete gli uni gli altri.

sabato 7 settembre 2019

Colossesi 1,21-23 e Luca 6,1-5
Gesù è il padrone dello Shabbat (sabato)

Arrivati al tramonto del sesto giorno (dopo che Dio ha creato l'uomo), tutto entra nel non lavoro, nel non fare, entra nel riposo di Dio, nella gioia di Dio. Anche l'uomo, pure se condannato per il peccato alla fatica del lavoro e alla condizione della fragilità e della morte, è ugualmente convocato nel riposo, perché ad esso è destinato essendo immagine di Dio. La sacralità del sabato non è una Legge di precetto, ma esprime il senso dell'essere, esprime la risoluzione del limite creaturale, riportato nella libertà dell'essere in Dio creatore. La stessa vita di ogni uomo, se riposa in Dio, non dorme ma si "allinea" all'essere nella vita di Dio e recupera la sua piena identità, il suo compiersi definitivo ed eterno. Tutto questo è quanto i Farisei cercano di custodire, ed è quanto i Farisei "contestano" a Gesù in quel terzo sabato. Non possiamo negare che, per loro parte, avevano ragione ... Anche oggi, ogni vespro del venerdì è per gli Ebrei il momento della grande festa cosmica che introduce nella festa eterna, nel riposo di Dio.
Tutto vero anche per Gesù ... Se non fosse che lui è il Signore dello Shabbat, è il padrone di quel riposo, di quel non fare, di quella comunione, di quella relazione ... Questo ci permette di rileggere il giorno di Sabato nella vita dell'uomo Gesù.
Nel suo Vangelo, Luca ci dice che Gesù in giorno di Sabato a Nazareth legge il brano di Isaia e da inizio alla nuova realtà, del regno dei cieli, quasi una nuova creazione. C'è una nuova realtà che si schiude nell'essere e non tanto nel fare.
Nel secondo Sabato narrato, Gesù guarisce un indemoniato e ponendo al centro la sua stessa Santità, cioè il proprio essere e appartenere al Padre. Anche l'uomo appartiene al Padre.
In questo terzo sabato, Gesù, sembra liberare i suoi discepoli non dalla sacralità del sabato, ma dai precetti che imprigionano l'uomo in una legge che rende schiavi della festa e non liberi di fare festa.
Ecco che il vino vecchio, che è buono da bere (la legge del Sabato) è capace anche di essere vino nuovo, cioè novità per la vita di un discepolo che finalmente, libero, entra con la sua esistenza nel riposo di Dio: "la domenica" il giorno del Risorto, quindi non sarà mai semplicemente un precetto da osservare.

venerdì 6 settembre 2019

Colossesi 1,15-20 e Luca 5,33-39
Colossesi di stamattina è tradurre il Vangelo

Chi sei Gesù, che fai cose diverse da quelle che noi faremo? Tu che preghi come vuoi tu, è che ti intrattieni con gli "impuri" coi pubblicani e peccatori? Chi sei, Gesù, che ti accosti anche alla mia povertà per condividere il mio vivere di oggi? Chi sei Gesù, che non ti vuoi adattare alle convenzioni, che non ti vuoi omologare alle consuetudini della massa?
I pochi versetti di questa mattina ci offrono una auto-rivelazione della identità di Gesù. La sua auto-percezione si esprime nel suo identificarsi con l'annuncio del regno dei cieli; esso è come un abito nuovo, che deve essere indossato; non passa inosservato dai più ... Un abito che non può essere fatto a pezze per essere riadattato e riutilizzato per adeguare vecchi vestiti. Ogni tentativo di riadattamento risulterebbe un "pasticcio", quasi un ridicolo travestimento!
Il Signore si autodenuncia essere il "vino nuovo"; quello stesso vino dell'ultima cena, versato per voi e per tutti per la remissione dei peccati. Questo è il vino che spezza gli otri vecchi della legge priva di misericordia. È un vino che ribolle, che fermenta e ha in sé forza e vigore, per imprimere "brio e vitalità". Non è una percezione distruttiva ma di profondo rinnovamento. Come pure la stessa immagine del vino recupera in sé tutta la verità e "tradizione" dei Padri. Gesù nell'affermare sé stesso non rinnega, ma offre il gusto di ciò che è il "vino vecchio": esso è buono, perché è la vita e la narrazione della storia della salvezza che Dio realizza per e insieme al suo popolo. 

giovedì 5 settembre 2019

Colossesi 1,9-14 e Luca 5,1-11
Conseguenze della fede in Cristo

"Prendi il largo"! Non basta ascoltare sulla sponda del lago di Gennésaret (lago di Tiberiade) la Parola, occorre prendere il largo e gettare me reti. È una immagine di missione; ne è una esplicitazione di conseguenza: "Quando ebbe finito di parlare" - cioè quando la Parola fu tutta gettata nel cuore di quanti ascoltavano - quella stessa Parola, fatta carne - Dio incarnato - ti conduce fuori al largo, per proseguire nella quotidiana occupazione che per il discepolo è la scoperta del mistero di Dio. Il senso della pesca miracolosa va ben oltre lo stupore per un avvenimento straordinario, essa rappresenta il "maggior valore della vita credente". La vita del discepolo di Gesù, di colui che segue il maestro, realmente si arricchisce continuamente di una abbondanza che mai si esaurisce; una abbondanza che garantisce ed esprime la realtà nuova della vita cristiana. Paolo in Colossesi lo ha così espresso: "È lui (Dio Padre) che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati". Tutto ciò è l'abbondanza della vita cristiana, quando prende il largo e si avventura nella missione, quando prende coscienza della testimonianza che solo una vita in Cristo è capace di dare. Non è fuori luogo allora appropriarci della risposta data da Gesù a Pietro: "Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini. E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono". Seguire, significa missione!

mercoledì 4 settembre 2019

Colossessi 1,1-8 e Luca 4,38-44
Vivere nella e della Parola

Si è soliti raccogliere nella espressione "la vita a Cafarnao" i brani di Vangelo che descrivono la quotidianità di Gesù. Oggi cerchiamo di accostarci a Gesù in questo suo vivere ogni giorno, nel suo dimorare con gente normale, nel suo reagire alla realtà.
Arrivare a Cafarnao, cittadina del lago, abitata da pescatori e piccoli e medi commercianti, ha messo Gesù di fronte al suo anonimato, egli "non era nessuno". La solitudine, la novità, la voglia di iniziare a parlar al cuore di quella gente di un regno dei cieli che loro non conoscono. È questo lo spazio che descrive il Vangelo, lo spazio delle nuove amicizie, dei primi incontri e contatto con la gente; è questo primo approccio che si manifesta anche nell'ospitalità che Simone a Gesù, introducendolo nella propria casa-condominio. Forse Simone semplicemente si è lasciato condurre dai sentimenti del cuore e visto che Gesù non aveva dove andare a dato semplicemente spazio alla propria generosità. Ma è proprio in queste relazioni semplici che il "regno dei cieli" già vissuto con la vita da Gesù, inizia a essere seminato, a mettere radici e a crescere ... come ogni granello di senape.  Ecco che guarire la suocera di Simone; parlare con i curiosi seduti in strada fuori dalla porta di quella casa che da lì aprichi anni sarebbe diventata il luogo di una delle prime comunità di discepoli; disperdere il male che si arrovella tra le fragilità umane ... Tutto questo ci racconta una quotidianità di normalità; guarire chi è malato è normale, condividere la Parola è normale, scacciare il demonio è normale ... Tutto questo è il regno dei cieli, è l'opera di Cristo, quel suo agire che lui si esprime in queste sue stesse parole: "È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato. E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea". Da Gesù, attraverso i suoi discepoli, attraverso Paolo, attraverso i Colossesi ... fino a noi, la normale quotidianità del regno dei cieli si rivela attraverso la "speranza che ci attende nei cieli. Ne abbiamo già udito l’annuncio dalla parola di verità del Vangelo che è giunto a  noi,".

martedì 3 settembre 2019

1 Tessalonicesi 5,1-6.9-11 e Luca 4,31-37
Immediatezza del Signore

Come è lontana l'aspettativa di Paolo e delle prime comunità. Esse vivevano la quotidianità come attesa della venuta del Signore, come dice lo stesso Apostolo: "Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte". Ma questa immediatezza non è rinchiusa nella cronologia dei minuti, delle ore. Anche se il dilatarsi del tempo ha prodotto nei credenti una strana assuefazione, quella alla lontananza , al non desiderare e riconoscere Gesù nel suo "attuale venire". Ci siamo abituati alla lontananza e all'assenza di Gesù ... Ma questo nostro "tempo" è spesso colmato è riempito dal nemico, dal male e dal peccato. Non dico questo per moralismo, ma per rilevare come la nostra umanità o si accompagna con il bene, oppure si accompagna con ciò che non lo è. È indicativo nel Vangelo di oggi, sottolineare cime la potenza della parola si esprime nel liberare dal male e occupare lo spazio del cuore suscitando stupore e meraviglia ... e si diffonde, si dilata -"E la sua fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante"- fino a riempire anche il nostro oggi.
Credo che tra le esperienze più necessarie a un credente, oggi, ci sia proprio quello di lasciarsi avvicinare dal Signore nella sua parola, e permettere alla Parola di riversarsi in noi e di occupare gli spazi esistenziali ... Gesù è nella potenza della sua Parola!

lunedì 2 settembre 2019

1 Tessalonicesi 4,13-18 e Luca 4,16-30
Saremo con il Signore ...

Una espressione di questi giorni continua a passarmi nella mente: "... essere eletto papa nei primi secoli, era esplicita accoglienza del martirio..."
Credo che questa affermazione non abbia proprio nulla di esagerato, al di là del riscontro rispetto al fatto storico, la testimonianza di fede, del proprio essere Cristiani, e la possibile esperienza del martirio non era certamente da escludersi. Ma questa consapevolezza, certa-speranza, mi impressiona perché si sostiene esclusivamente per il legame che il discepolo ha con il Signore, per come Paolo comunica e condivide il suo essere in Gesù.
Rileggendo il brano di Tessalonicesi, emerge immediatamente, come per Paolo, e quindi anche per le comunità che traggono da lui illuminazione e mediazione, l'essere con Cristo, non appartiene alla sfera della immaginazione e della virtualità, ma è condizione di realtà. Tutto per Paolo è nel necessario compimento in Gesù.
Ciò che anima la vita presente, va ben oltre le prospettive di successo e realizzazione; noi non siamo "tristi come gli altri che non hanno speranza!" 
Il discepolo di Gesù coltiva in sé desiderio e la nostalgia del Signore, non come tristezza ma come attesa di essere con Lui, come speranza di pienezza: "verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore". L'esperienza di Nazareth: l'ascolto della Parola, suscita compiacenza e meraviglia, ma anche rivela il limite della nostra capacità di accogliere il mistero. Ogni nostro tentativo di andare "incontro al Signore" produce un nuovo rapporto col mistero ... ma non necessariamente che il mistero sia svelato.

domenica 1 settembre 2019

Sir 3,19-21.30-31; Sal 67; Eb 12,18-19.22-24; Lc 14,1.7-14
Quando inviti Gesù ... corri dei rischi ...

Quando inviti Gesù ti metti a rischio di essere scoperchiato, di essere ribaltato e forse ti sorprenderai della novità di vita che entra in te stesso!
Meditando le parole del Vangelo, sono queste le situazioni che emergono:
La Prima: È un rischio per i farisei invitare Gesù. Gesù non esclude e rifiuta nessuno, e sì a compagna con tutti, pure se pubblicani e peccatori.
Gesù si accompagna anche con i farisei! Ma questo non lo limita nel dire ciò che pensa. Se entrare nella casa del Fariseo è per Gesù una occasione per toccare con mano ingiustizia, discriminazione e mondanità ... Ecco che Gesù non è certo colui che tace per perbenismo o per "falsa ipocrisia".
È un rischio anche per noi accompagnarci a Gesù, è un rischio invitarlo alla nostra mensa, egli ci ribalta e ci scoperchia al punto di portarci alla scelta della vita: "Con Lui o senza di Lui!"
La Seconda: L'insegnamento di Gesù non riguarda un comportamento morale, ma riguarda un principio che Gesù ha proposto in lungo e in largo alla gente della Galilea e che ha cercato di infondere nel cuore dei discepoli: "il ribaltamento delle precomprensioni" che sfocia nella consapevolezza della predilezione degli ultimi. Il  Padre che è nei cieli, sempre, inizia dagli ultimi ... Dagli ultimi del mondo ...
Dio si mette dalla parte degli ultimi e degli umili, egli ne è parte! Anche se gli ultimi sono grezzi, sporchi, nauseabondi, incolti, diseredati, profughi, malati e infami ... Dio è con e tra gli ultimi. Servire gli ultimi è espressione dell'amore fraterno che Gesù ha affidato ai suoi discepoli, chiedendo di imitarlo, in quel l'ultima cena nella quale prima di morire ha dato tutto sé stesso nel pane e nel vino.
Essere ultimo! È l'esperienza cristiana che più di altre troviamo difficile, e che spesso esiliamo alla sola esperienza della contemplazione e del concetto ... Ma in realtà mettersi all'ultimo posto permette di incontrare Dio stesso ... accanto a quell'ultimo. Che sorpresa, vero?
Alla luce di queste premesse rileggo il Vangelo e ritorno col pensiero alla visita a Magdala: quelle case dei giudei dell'epoca di Gesù; case non proprio comuni, come quelle di Cafarnao, ma case signorili, con i bagni rituali nel contesto domestico, mosaici nei pavimenti, intonaci nelle pareti ... un ambiente signorile simile alle nostre case, e a quello delle case romane di Pompei ... Certo che questi Farisei non se la passavano poi troppo male ... 
Gesù si lascia invitare da tutti, accetta di entrare in relazione con tutti, anche con questo Fariseo, ma certamente non è passato inosservato il lusso e tutta quella "differenza" che quel Fariseo è sempre capace di fare.
Quando i nostri rapporti umani sono disumani, quando non sono veri e liberi, allora ecco che l'umano si presta ad essere spazio di ingiustizia e di arrivismo.
Se restiamo imprigionati nella casa signorile del Fariseo, non riusciremo mai più ad accostarci "al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova".
Se invece noi ci accostiamo a Gesù, se lo invitiamo a essere parte della nostra vita, la sua vicinanza genera in noi quella conversione esistenziale capace di vedere nella umiltà non una diminuzione, ma la condizione necessaria attraverso la quale ciò che è umano si rivela autenticamente vero.