martedì 31 dicembre 2019

1 Giovanni 2,18-21 e Giovanni 1,1-18
Nessuna menzogna viene dalla verità 

Giunti all'ultimo giorno dell'anno è necessario riuscire a fare la "cernita" di quanto vissuto in questi mesi e in questi giorni. Occorre fermarsi e compiere un gesto che per molti non è semplice, quello di rievocare alla memoria il vissuto, buono e meno buono, i gesti, le decisioni, le persone incontrate, gli avvenimenti; occorre fare discernimento alla luce della verità, alla luce del mondo; occorre "vagliare" noi stessi attraverso il pensiero e i sentimenti di Gesù.
In questo la prima lettura di questa mattina è certamente di aiuto. Non è un giudizio che dobbiamo mettere in atto, ma un discernimento, andare oltre la distinzione del buono e del cattivo, del bene e del male, e renderci sensibili a riconoscere l'agire dello Spirito: "Ora voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza".
Sentiamo la presenza di Dio in noi? Ovvero anche, ci mettiamo alla sua presenza? Questo metterci non è solo spirituale o della mente, ma è realmente stare alla Sua presenza, stare in sua compagnia ... Stare davanti al Tabernacolo, stare davanti alla sua Parola, stare davanti/accanto a un povero, stare davanti/accanto a un malato?
Ma non è forse questa l'unzione a cui fa riferimento la 1 Giovanni. Gesù è il Santo di Dio, è l'unto dallo Spirito, ed è il contatto con Lui che ci conferisce l'unzione, non solo il segno sacramentale della cresima. È questa vicinanza che ci permette un discernimento fruttuoso della volontà di Dio, specialmente nella fatica del quotidiano.

lunedì 30 dicembre 2019

1 Giovanni 2,12-17 e Luca 2,36-40
Non scontati ... Tempi di attesa!

Dopo la nascita di Gesù, tutto si immerge nella più assoluta dimenticanza. Alla lettura dei Vangeli, ci sembrava che quegli avvenimenti così densi di straordinario mistero, avessero il compito di spezzare la trama del tempo e dilagare come novità e pienezza. Ma all'opposto delle nostre aspettative, tutto sembra di punto in bianco eclissarsi dietro la vita dimessa è normale di un villaggio di montagna, della Galilea chiamato Nazareth. L'unica indicazione che ci rimane ieri questo "tempo" è: "Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui".È il tempo di una attesa densa di dinamismo, non è un tempo vuoto, ma è progressivamente riempito dal bambino che cresce, e con lui giunge a pienezza il dono per l'umanità della sapienza e di ogni grazia. Nazareth cessa di essere uno sconosciuto villaggio di pastori per assumere il ruolo di compimento delle profezie: "lo si chiamerà nazareno".
Questa attesa che siamo invitati a rivivere dopo i "fasti" splendenti del Natale, ci recupera alla distrazione del mondo, a quell'amore per il mondo e per le cose del mondo che ci preclude l'amore per Dio e l'amore di Dio. Anche noi siamo immersi in una Galilea, siamo nel tempo della piena manifestazione del Signore. Questa attesa non deve riempirsi di vanità, di concupiscenza e superbia, ma del cercare di essere noi stessi parte e artefici della volontà di Dio: "... ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!"

domenica 29 dicembre 2019

Siracide 3,3-7.14-17; Salmo 127; Colossesi 3,12-21; Matteo 2,13-15.19-23
Sacra Famiglia di Nazareth


Sacra famiglia ... Ecco, partiamo da questo aggettivo, sacro: "ciò che è connesso, più o meno intimamente, con la divinità, con la religione e con i suoi misteri, e perciò impone un particolare atteggiamento di riverenza e di venerazione (contrapposto in genere a profano)"; è questa una delle definizioni più ricorrenti che possiamo trovare.
La sacralità della famiglia di Nazareth dipende certamente nella particolare condizione di vita e di scelte che si trova ad affrontare; ma per noi oggi, è solo contemplazione di una bella immagine o può essere anche veramente un modello o meglio ancora una sorta di identità?
Se mi soffermo a guardare la realtà della "famiglia" oggi, non ci vuole molto, a comprendere come anche in chi si professa cristiano, è crollato il senso della istituzione e della sua centralità e referenza sociale.
Oggi assistiamo al ritenersi famiglia, per i diritti che ne derivano, ogni sorta di aggregazione o convivenza; andando a ricercare nella famiglia più l'aspetto sentimentale affettivo, come anche di rifugio, ma in relazione alla contingenza delle necessità del momento.
Non è la famiglia il frutto maturo di una scelta di vita stabile; fedele; fondata sull'amore indissolubile; capace di generare nel tempo un vincolo così solido da essere il terreno della propria discendenza, cioè della vita che viene donata è generata attraverso il mettere al mondo i figli.
Non mi metto a fare una disanima delle varie situazioni - sarebbe importante - per capire cosa muove, oggi, anche un credente rispetto alla scelta di fare/essere famiglia.
Voglio invece spendere un pensiero per una idea quella della vocazione ad essere e fare famiglia. Credo infatti che non di tutti è questa condizione.
Credo inoltre che nel momento in cui riconosco al mio desiderio di fare/essere famiglia e alla mia condizione di vita in famiglia il connotato della vocazione come "pienezza della mia vita", cioè condizione di vera e piena felicità, per il raggiungimento della gioia eterna, allora comprendo che la sacralità non è un fatto puramente rituale, ma la sacralità deriva proprio dal dimorare di Dio in quella scelta, in quella condizione.
Dio c'entra con la mia scelta di famiglia, allora la condizione che genero nella fede può identificarsi con la sacralità di Nazareth.
Senza idealizzare una perfezione che forse non è da intendersi con le solite modalità, la sacralità si esprime nello stile della famiglia, il Papa già da tempo ci ricordava le tre parole che fondano lo stile della famiglia cristiana: "grazie, prego e scusa". Parole semplici dimesse e umili, che se vogliamo, dicono allo stesso modo quando San Paolo oggi ci lascia nella lettera ai Colossesi: "rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro".
Noi credenti, non possiamo ridurre la famiglia alla coabitazione, a un rapporto economico e giuridico, e neppure alla dimensione relazionale affettiva.
La famiglia si genera e a sua volta genera uno spazio esistenziale che trasforma ciò che è umano e secondo la natura e la morale, in uno sazio sacro in cui la presenza di Dio permea e imprime un di più di senso e significato, e se lo vogliamo riconosce è proprio il Sacramento del matrimonio che noi poniamo a fondamento della famiglia.
Ecco perché allora il rivestirsi non è un travestirsi, non è un mascherarsi, ma è il coprire la nostra fragilità con la grazia, la forza e l'amore che è altro da noi. Ecco allora che la tenerezza è prima di tutto una esperienza vissuta come dono che mi pone nel cuore di Dio e mi fa gustare di essere amato, voluto bene e ieri questo anche io voglio essere tenerezza. Ecco che "bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità" non descrivono l'utopia irrealizzabile, ma il cammino necessaria della nostra umanità, all'interno di un cammino di famiglia che mi deve trasformare; non posso essere solo lunatico, sclerotico, egoista, ecc ... devo essere: buono, umile, mansueto e magnanimo.
Mail vertice della sacralità la sperimento nella grazia del perdono. È nel perdono vicendevole che scopro la meraviglia dell'essere sacra famiglia, e riconosco che solo il perdono mi rende famiglia e ne esalta la sacralità. Se ci pensassimo un attimo, non ci separeremo con tanta facilità e dolore, sia per gli adulti che per i figli, i bambini.
In ultimo, Paolo, ci ricorda che nella relazione famigliare, si realizza "la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!"

sabato 28 dicembre 2019

1 Giovanni 1,5-2,2 e Matteo 2,13-18
La strage degli innocenti

Siamo di fronte a un passo del Vangelo di Matteo molto controverso, perla storicità e per la sua particolare lettura che pone la nascita e la vita di Gesù bambino in parallelo con la nascita e la vita di Mosé. Ma forse conviene non esporsi e dilungarsi in analisi letterarie e approfondimenti storici e archeologici. Certamente per l'evangelista questo racconto costituisce una giustificazione circa il silenzio di Nazareth. Dopo la popolarità "nascosta" a Betlemme, della nascita del Salvatore; dopo l'annuncio discreto e la rivelazione al mondo attestata dai Magi; tutto si nasconde prontamente a Nazareth per circa trent'anni. Matteo sembra proprio avvertirci di un necessario "nascondimento" per tutelare il bambino fino alla maturità, per compire la sua missione. Tutto questo, di fronte anche alla crudeltà oggettiva di un tiranno (Erode il grande) che non si trattiene dall'ordinare l'uccisione dei piccoli di Betlemme (un numero stimato trai i 20 e 30 bambini). Come collocare quindi il racconto? Lo collochiamo nella rilettura ispirata dell'intero quadriforme Vangelo, cioè nel contesto della comprensione della scrittura:"Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, ad educare alla giustizia" (2 Timoteo 3,16). 
Il Verbo di Dio Padre, entra nel mondo, Venne tra la sua gente (...) e le tenebre non hanno prevalso, non lo hanno sopraffatto (...), questo perché non è il mistero dell'iniquità e del l'ingiustizia che può prevalere davanti a Dio, ma la venuta del Figlio concretizza per sempre la tensione alla giustizia, alla salvezza. La strage degli innocenti è immagine disumana di una giustizia negata che invoca redenzione, non vendetta, ma una misericordia riparatrice che si impara ad attendere (il tempo del silenzio), con pazienza e speranza. I sentieri della storia, in cui si dispiega la volontà di Dio, sono sempre i più difficili. 

venerdì 27 dicembre 2019

1 Giovanni 1,1-4 e Giovanni 20,2-8
Quello che abbiamo udito, veduto e contemplato.

Nella festa di San Giovanni Evangelista, collocata dopo il Natale, i brani delle scritture, ci conducono simbolicamente dalla mangiatoia di Betlemme al Sepolcro di Gerusalemme, ma anche da ciò che videro i pastori a ciò che hanno visto Maria Maddalena, Pietro e Giovanni. Dalla contemplazione del cielo angelico alla contemplazione del mistero del risorto; dal racconto del Vangelo alla testimonianza di chi era nella tomba vuota.
Non è mai la cronaca di un fatto, ma tutto vuole legare all'incontro con Gesù il generarsi della fede. Così è per chi a Betlemme spinto dal desiderio corre dai greggi alla grotta e vede un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia ... Quel bambino è il "Dio con noi ..." Similmente è per chi a Gerusalemme, dal cenacolo corre a luogo della sepoltura, portando nel cuore una angoscia per ciò che è stato annunciato, e giunti, vedono solo delle bende per terra, lì dove il corpo del Signore era stato deposto, nella fretta della parasceve. Pietro e Giovanni hanno udito da Maria Maddalena che il Signore non c'è più ... Hanno visto i segni, e anche l'ultimo segno lasciato - le bende per terra e il sudario - ; hanno contemplato mediante la fede il mistero del risorto, cioè come lo stesso verbo incarnato mostra la sua gloria.

giovedì 26 dicembre 2019

Atti 6,8-12; 7,54-60 e Matteo 10,17-22
Conseguenza natalizia ...

Dalla contemplazione della mangiatoia in cui è posto Gesù bambino, cosa ne viene?
Non è possibile restare in una contemplazione della bellezza,  della tenerezza, ora occorre avere uno sguardo attento a ciò che rappresenta quel bambino: "vi annuncio una grande gioia ... oggi è nato per voi un salvatore che è cristo Signore ..."
Il Segno del bambino, rappresenta la concretezza della missione del Figlio di Dio: essere il Cristo, essere il Salvatore/liberatore/redentore/riscattatore del mondo, proprio perché tutt'a la volontà del Padre si esprime in queste parole: "Dio ha tanto amato il mondo da dare/donare il proprio figlio ... Affinché attraverso di lui tutti abbiano ma vita in lui".
Contemplare il Natale è: apprendere la missione del figlio di Dio, ma è anche un accogliere in noi la volontà di Dio e la sua proposta: "Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe (...) e sarete condotti davanti ai governanti ed ai re per causa mia in testimonianza a loro e ai pagani."
Ecco allora il nostro Natale diventa un contemplare per ESSERE INVIATI, per essere missione, come la stessa vita di Santo Stefano ne rappresenta il segno, a partire dal suo dare testimonianza di Gesù proprio a tutti coloro che gli si oppongono, "digrignando i denti" e chiudendo il cuore alla conversione. 
Non c'è sentimento di resistenza "ostile", ma sollecitazione e consapevolezza a dare testimonianza perché si è mandati da Lui, e non per noi stessi o per nostre esigenze, per cui "chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato".

mercoledì 25 dicembre 2019

Isaia 52,7-10; Samo 97; Ebrei 1,1-6; Giovanni 1,1-18
Venne!

All'inizio dell'Avvento avevo proposto un percorso spirituale di preparazione al Natale attraverso la Parola in Entrata, cioè assumere dal Vangelo di ogni giorno quella parola del Signore che in modo evidente entrava nella giornata, per interesse, forza, difficoltà o altro ... Ora al termine di questo itinerario, occorre arrivare al "dunque": la parola in Uscita.
Quale parola, alla luce della vicinanza di Gesù, oggi posso esprimere a partire dal Vangelo per essere Paola in Uscita? La mia parola in uscita è VENNE. Un venire, come consapevolezza non certo del passato, ma come condizione e desiderio di pienezza.
Venne duemila anni fa, ma oggi quel VENNE, è un rimanere, per essere insieme nella fatica di rendere tutti i nostri giorni occasione della salvezza e della redenzione.
Ecco che la conseguenza della nascita umana di Gesù, figlio di Dio, ci provoca e ci coinvolge per riempire di senso la nostra stessa vita per generare un vero e continuo stato di conversione personale cioè un cambiamento negli stili di vita. È il cambiamento degli stili di vita che permette quelle svolte necessarie ad accompagnare i cambiamenti epocali, quali noi oggi stiamo vivendo. Forse passivamente, ma sicuramente con un forte smarrimento. Un disagio che si rileva nella fragilità e nell'affievolirsi della fede di tanti battezzati.
In troppi infatti, si è intiepidita la fede, in troppi le scelte di vita personale che non trovano corrispondenza nello spirito cristiano, esprimono un allontanamento di Dio dalla vita.
Al suo avvicinarsi, al suo Avvento, oggi spesso corrisponde l'esilio da Lui. Un esilio provocato dalla nostra libertà e dalle nostre scelte, che traducono una incoscienza cristiana, una NON FEDE circa la venuta nella carne del figlio di Dio.
Occorre urgentemente ripartire da quella parola che ci rende partecipi del mistero di Dio, e del suo "venire in mezzo alla sua gente", che significa la volontà di Dio di esserci per ciascuno di noi, per cui  le parole degli angeli nella notte di partirei Betlemme: "è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia", non sono l'epilogo di una favola, ma la comprensione di un mistero che coinvolge tutto ciò che esiste.
Il Vangelo dice il ricordo di quella notte, ci dice la tenerezza misericordiosa di Dio, il suo abitare ancora, nonostante tutto:
- nel nostro ricordo, quasi una stupenda nostalgia;
- nel nostro cuore cioè al centro della vita, come una necessità esistenziale.
Ed ecco che ci scopriamo incapaci di custodire il dono della fede in quel bambino nato per noi, riducendo la fede a una brutta religione e insegnando cose che non generano più pienezza di vita e relazione col mistero ... Si è infranta la mia relazione affettiva von quel bambino nato a Betlemme ... Dio è nato nel tempo e la sua nascita trasfigura ogni secolo e ogni tempo, ecco allora che "PER POTER NASCERE E VENIRE NEL MONDO, DIO, DEVE NASCONDERSI IN QUESTO NOSTRO MONDO ... 
Egli è qui presente nelle lividure e nelle ferite di questa nostra società opulenta è distratta; avanzata e schiava della tecnologia; moderna e ugualmente ingiusta ... Eppure Dio non cessa di essere presente e di coinvolgersi con noi. Dio entra nel tempo con la sua irrilevanza, ma è una irrilevanza che provoca il "Cambiamento" ovvero alla "Conversione". Oggi questa conversione supera il limite dell'agire e della morale comportamentale e diviene urgenza di una conversione Ecologica, che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che ci circonda. Essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana, ma è l'espressione più vera di chi accoglie colui che "venne tra la sua gente".

martedì 24 dicembre 2019

Isaia 9,1-6 e Luca 2,1-14
È nato ... (Messa della notte)

Partirei proprio dal Vangelo di Luca per inserirmi nella narrazione degli avvenimenti della nascita di Gesù, e in particolare da quella sintesi annunciata dagli angeli di tutto ciò che accadde quella notte a Betlemme: "è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia".
Il Vangelo dice ricordo di quella notte, ci dice la tenerezza misericordiosa di Dio, il suo abitare ancora, nonostante tutto tra noi:
- nel nostro ricordo, quasi una stupenda nostalgia;
- nel nostro cuore cioè al centro della vita, come una necessità esistenziale.
Sono queste esperienze di molti di noi, ma non più di tanti.
In troppi, infatti, si è affievolita la fede, in troppi le scelte di vita personale che non trovano corrispondenza nello spirito cristiano, esprimono un esodo di Dio dalla vita.
Al tempo del suo avvicinarsi, al suo avvento, oggi spesso corrisponde l'esilio da Lui. Un esilio provocato dalla nostra libertà e dalle nostre scelte, che traducono una incoscienza cristiana, una non Fede circa la venuta nella carne del figlio di Dio.
(...) Ecco, non siamo più capaci di custodire il dono della fede in quel bambino nato per noi, riducendo la fede a una brutta religione e insegnando cose che non generano più pienezza di vita e relazione col mistero ... Si è infranta la relazione affettiva con quel bambino nato a Betlemme ...
Dio è nato nel tempo e la sua nascita trasfigura ogni secolo e ogni tempo, ecco allora che "PER POTER NASCERE E VENIRE NEL MONDO, DIO, DEVE NASCONDERSI IN QUESTO NOSTRO MONDO ... 
Egli è qui presente nelle lividure e nelle ferite di questa nostra società opulenta è distratta; avanzata e schiava della tecnologia; moderna e ugualmente ingiusta ... Eppure Dio non cessa di essere presente e di coinvolgersi con noi. Dio entra nel tempo con la sua irrilevanza, ma è una irrilevanza che provoca il "Cambiamento" ovvero alla "Conversione". 
Papa Francesco solo venerdì scorso ha affermato:
La nostra “non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca”. Lasciamoci interrogare dalle sfide del tempo presente, con discernimento e coraggio, piuttosto che farci sedurre dalla comoda inerzia del lasciare tutto com’è.
E cita il cardinale Martini che, sul punto di morte, affermò: “La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. [...] Solo l’amore vince la stanchezza”.

2Samuele 7,1-5.8-12.14.16 e Luca 1,67-79
Benedetto il Signore il Dio di Israele ...

Il testo letteralmente traduce: "Benedetto il Signore, il Dio d'Israele, perché ha visitato e ha fatto redenzione al popolo di lui".
È questa la chiave di lettura di questo giorno - memoria e presenza - che si carica della tensione della vigilia della nascita di Gesù. Tutto viene concentrato su un esserci: ha visitato intenzionalmente, e sulla redenzione che è da intendersi come liberazione e riscatto.
Tutto è in attesa di compimento. Ma per noi il compimento non è il raggiungimento di un obiettivo, la conclusione di un progetto importante; il compimento è il venire tra la sua gente, è sentirci comprati con il prezzo che è un amore impagabile, il Suo.
Vivere oggi l'attesa della nascita del Signore può essere solo nella prospettiva della presa di consapevolezza circa l'interesse di Dio a visitarmi e a comprarmi per sé stesso.
Rimango colpito proprio dalla forza del redimere, cioè: ha fatto redenzione, ha fatto liberazione, ha fatto riscatto.
Il visitarmi, supera ogni aspettativa di cordialità per rivelarsi come presenza interessata alla mia esistenza, affinché sia evidente che il Padre non è lontano, non è distratto; la sua vicinanza è l'accostarsi di Gesù come uomo alla mia stessa umanità. Come allora si sperimenta questa vicinanza? Questo suo esserci?
Ciò che chiamiamo fede è la nostra risposta alla sua vicinanza. Ecco che l'esodo di Dio, la lontananza dal mistero, è prima di tutto un problema e una immaturità della fede personale; ma è poi solo nella fede che il fare di Gesù diventa chiaramente: fare la mia redenzione; fare la mia liberazione; fare il mio riscatto.
La mia parola in entrata oggi è: "Benedetto".
Oggi mediterò il Vangelo della notte o del giorno di Natale, e cercherò di comprendere alla luce delle parole in entrata, la mia parola in USCITA.

lunedì 23 dicembre 2019

Malachia 3,1-4.23-24 e Luca 1,57-66
Giovanni è il suo nome ...

Superata la curiosità di conoscere il significato del nome Giovanni: "Giovanni è un nome maschile italiano di origine ebraica che significa dono o grazia di Dio, ma anche Dio ha esaudito, il Signore è misericordioso, cosa resta?
Resta il contesto che ha portato alla scelta del nome, un processo di intenzioni che coinvolge Elisabetta e Zaccaria da una parte e la comunità, gli amici, i parenti dall'altra. Proprio questi ultimi si dimostrano i più stretti e scrupolosi osservanti della "tradizione", intesa come ripetizione. Elisabetta, invece, artefice del mistero di Dio, dopo i mesi della gravidanza, concepisce il senso di un cambiamento che è conversione, per aprirsi a ciò che Giovanni nella sua vita nuova, viene a mettere nella storia: il dono, la misericordia, la vicinanza di Yhwh. Zaccaria ne è il primo a trarne beneficio: la conversione alla misericordia di Dio, scioglie il nodo della lingua e si manifesta nella piena adesione/conversione al mistero; ora Zaccaria, come i Padri di Israele, vive nella fede. Anche noi oggi, 23 dicembre siamo posti di fronte a una Parola di Dio che ci chiede il superamento dell'imbalsamazione del si è sempre fatto così, per poterci aprire alla conversione della vita, che per la Chiesa e per il credente è sempre rinnovamento, è sempre fatica di cambiamento. Il Natale del Signore o è cambiamento oppure è "panettone" ... Fatta salva la bontà del panettone, la nostra vita è ben altro, essa è in Dio stesso parte del mistero.
La mia parola in entrata oggi è: "Giovanni".
Domani vi invito ad anticipare, dopo aver fatto la confessione, o nella preparazione ad essa, la parola in USCITA. Dopo aver meditato e scelto in questi giorni la parola in entrata, con quale parola posso rappresentare, ora, la mia vita di fronte al mistero di Dio che mi si dona? In quale modo posso tradurre con una parola il mio esser in uscita per conto di Dio?

domenica 22 dicembre 2019

Is 7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24
Scelti per annunciare ...

Se la certezza della nascita di Gesù ci riempie il cuore al punto di muovere i nostri sentimenti a commozione ... Significa che la nostra vita e le nostre scelte sono nella condizione di annunciare il Vangelo, ovvero la notizia straordinaria e meravigliosa della nascita umana, e nel tempo del Figlio di Dio, atteso e promesso per mezzo delle scritture. Ora occorre comprendere come quella promessa non prende forma in un modo generico (quasi sia un genere letterario) o come evento soprannaturale. La particolarità dell'agire di Dio - del farsi realtà, la sua volontà - è il coinvolgimento con la vita reale di due giovani innamorati, due ragazzi della Galilea, che vivevano in un villaggio di pastori sperduto sulle montagne ai margini del deserto di Giuda. 
Il coinvolgimento della nostra vita al mistero di Dio è ciò che deve provocarci oggi, per sentirci protagonisti del mistero del Dio che si fa uomo.
Ciò che accadde in quel villaggio, ciò che accadde nella loro vita e nella loro storia, resta per tutti sconosciuto; eppure avvenne; con altre parole potremo dire che tutto ciò accadde in loro. Questo avvenimento, questo accadere, nel suo divenire, rende concreta la volontà di Yhwh per la salvezza di tutti gli uomini, per sempre. È una storia di innamorati che è toccata dalla volontà di Dio; sono i sentimenti di Giuseppe, giovane forte e verace, che si infrangono sulla roccia della promessa fatta ai padri; è la tenerezza di Maria che si dimostra accondiscendente a quel bambino che chiede di poter essere nel suo grembo; tutto questo è Vangelo, e tutto questo è lo sviluppo meraviglioso della vita in pienezza. Quando Dio prende dimora nei nostri progetti, essi diventano lo spazio della storia della salvezza. Non stiamo raccontando una favola, ma è il racconto della vita, anche della nostra, che è capace dell'agire salvifico di Dio Padre: "Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele", che significa “Dio con noi”. Dice papa Francesco: "Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Gesù, colui che si è fatto uomo per incontrare ognuno di noi” (angelus 15.12.2019); questo incontro è iniziato nell'anonimato di un villaggio sconosciuto, nell'amore di due fidanzati, nella semplicità della vita di Maria e di Giuseppe; ma è solo iniziato ...
La mia parola in entrata oggi è: "sogno".

sabato 21 dicembre 2019

Cantico 2,8-14 e Luca 1,39-45
Un concorso di vita ...

Nella narrazione di Luca, possiamo collocare i vari momenti precedenti la nascita di Gesù, come il tentativo di inserire quell'evento nel solco del compimento dell'attesa di Israele, e soprattutto nel farci sentire la vicinanza della Misericordia di Yhwh, come Dio accanto e presente nella vita "normale" di Elisabetta, Zaccaria, Maria e Giuseppe ... Come pure di tanti altri che, nel desiderio di compiere la volontà di Dio, ne divengono collaboratori e insieme partecipi. 
Ecco allora che in questi giorni che precedono la celebrazione del Natale, occorre recuperare e rivivere in noi e attraverso noi, alcuni atteggiamenti come la sollecitudine di Maria, il suo alzarsi e andare in fretta verso le montagne della giudea ... Che bella immagine, quella di questa ragazza che non indugia nell'avvicinarsi al mistero, che intravede e di cui è essa stessa parte. Facciamo anche noi discernimento del mistero che ci è affidato e di cui siamo partecipi. Anche per noi è un tempo in cui renderci vitali e solleciti nel desiderio e nel compiere la volontà di Dio; solleciti nel mistero a cui siamo chiamati. Come pure dobbiamo recuperare il sussultare di Giovanni; una gioia che non si trattiene, immediata e riconoscente. Il nostro vivere la fede in Gesù figlio di Maria, non può non esprimersi nella gioia di che riconosce la sua pienezza di vita nel figlio di Maria nato, per la nostra salutare felicità.
La mia parola in entrata oggi è: "sussultato".

venerdì 20 dicembre 2019

Isaia 7,10-14 e Luca 1,26-38
Quando la scrittura racconta ...

L'evangelista Luca ha raccolto testimonianze e memorie di tutto ciò che accadde circa Gesù, e ha poi riordinato tutto in modo da darne un senso compiuto ... Questa è l'opera redazionale di un autore, ma a questo punto, cosa c'è di diverso tra la narrazione del Vangelo e quella di un romanzo come i "Promessi Sposi" del Manzoni? Entrambi narrano la vicenda umana che si intreccia con la provvidenza misericordiosa di Dio. Per noi che leggiamo/ascoltiamo il Vangelo, quella scrittura non è solo una narrazione, ma è un mezzo, uno strumento scelto, umanamente comprensibile e interpretabile; uno strumento legato alla capacità umana di raccontarsi e di comunicarsi; uno strumento soggetto alla trasformazione culturale e al progresso esistenziale di cui l'uomo è pure artefice; ebbene questo strumento è scelto da Dio come possibilità del suo rivelarsi, del suo essere efficacemente presente nella realtà. Una presenza in senso pieno, e non solo come evento puntuale nella successione del tempo e della storia. Ecco allora che la lettura/ascolto di queste pagine va collocato all'interno del nostro modo di stare e intendere l'ispirazione delle Scritture. Le scritture sono uno strumento della volontà di Dio! Non sono quindi una semplice narrazione e neppure un racconto pedagogico o a sfondo etico/morale; ma ci accostiamoci - per loro mezzo - al "mistero" di Dio in veste narrativa.
La mia parola in entrata oggi è: "avvenga".

giovedì 19 dicembre 2019

Giudici 13,2-7.24-25 e Luca 1,5-25
Togli la nostra vergogna ...

La vita di Elisabetta - da quanto possiamo capire - era gravata dalla sterilità: una vergogna rispetto alle altre donne, ma forse anche qualcosa di più per una discendente del patriarca Aronne, che vedeva in questo la "fine" della promessa legata alla generazione dei figli. Ma certamente anche Zaccaria non se la passava meglio: un sacerdote che rispetto agli altri sacerdoti era privato nel dono dei figli della benedizione di Yhwh. Una "vergogna" non morale, ma esistenziale, per la quale nulla potevano interagire. L'evangelista Luca sembra voler allargare la conseguenza della pienezza del tempo, e l'irruzione del mistero, oltre la puntualità dell'esperienza di Maria e Giuseppe. Il Dio incarnato, trascina con sé un coinvolgimento che è salvezza per tutti, cioè redenzione anche per chi è da tutti considerato escluso dalla possibilità del dono di grazia. Forse anche Zaccaria ed Elisabetta, ormai si erano rassegnati a vivere la loro condizione, e la "vergogna", sarebbe stata vissuta semplicemente come un giudizio di altri. Ma ciò che siamo invitati a riconoscere - anche noi - è che il mistero del Dio che si fa uomo, coinvolge la natura umana in senso pieno e trasversale. Ecco perché la storia di Elisabetta accompagna e si intreccia con quella di Maria e Giuseppe ... Quale mistico e meraviglioso intreccio, Dio riserva per la nostra vita e la sua? Questo intreccio è pienezza di vita, ovvero la beata felicità, che deriva dal riconoscere senso e fine al nostro esserci. L'essere di Dio, l'incarnazione, ci introduce al riconoscimento della nostra pienezza.
La mia parola in entrata oggi è: "vergogna".

mercoledì 18 dicembre 2019

Geremia 23,5-8 e Matteo 1,18-24
Un altro Sì ... necessario

"Così fu generato Gesù Cristo!" Questo è il punto focale della nostra fede: Dio è generato nella carne dell'umanità, nella libera disponibilità di un duplice Sì a Yhwh; è questo ciò che oggi non è credibile, ma è semplicemente vissuto come una fiaba; una rappresentazione socio-religiosa; o un mito ancestrale di una visione antropologica superata dalla modernità, globale e digitale. 
Quando, come uomini e donne, diventiamo incapaci del mistero, cioè non ne comprendiamo la necessaria esistenza, diventiamo incapaci di un atto di fede che si genera a partire dalla nostra stessa esistenza e nella nostra carne. Ma ciò che gli evangelisti ci riportano non è un racconto o una fiaba inventata; è una esperienza, è la vita di Maria e Giuseppe che vedono il loro amore, i loro progetti e la loro attesa,  minacciata da una proposta che non gli appartiene e che genera per entrambi paura. Ma Dio non impone, egli propone, per questo gli evangelisti ci offrono la traccia del percorso di fede di questa copia; una fede che li conduce a essere un Sì vivente, capace di accogliere un mistero sovrumano. Senza il Sì di entrambi quel mistero incarnato non avrebbe potuto essere generato. È straordinario allora non solo il Sì di Maria, ma pure quello necessario di Giuseppe. Il suo è il Sì di un babbo, che accoglie e riconosce il mistero: "... tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati".
La mia parola in entrata oggi è: "Emmanuele".

martedì 17 dicembre 2019

Genesi 49,2.8-10 e Matteo 1,1-17
Nato attraverso la carne.

Proprio ieri, un ragazzo, mi raccontava come nella sua classe ben pochi conoscono realmente la storia raccontata nei vangeli, e che forse solo lui, nella sua classe, crede a Gesù nato da Maria. Nelle nuove generazioni il disinteresse e l'indifferenza religiosa è frutto del razionalismo scientista che bolla la categoria "mistero" come una favola di tempi antichi. Questo è il frutto esplicito del nostro percorso di iniziazione alla fede, arrivare a negarla in forza della ragionevolezza. Via preferenziale al paganesimo di ritorno. Ma proprio questo che sembra un limite insormontabile, si mostra come originalità dell'esperienza della fede: non si può credere se non attraverso una esperienza di Dio che si origina a partire dall'esistenza, esperienza del corpo, del cuore e della mente. Come sono belle le letture di oggi: la benedizione di Giacobbe che rivela la volontà di Dio rispetto a un cammino di redenzione e salvezza che non è un atto soprannaturale, ma che partecipa la grazia di Dio alla genealogia umana. Una profezia che si iscrive nella carne. Così anche il Vangelo, la prolungata litania delle generazioni riempie la nostra umanità dell'eco eterno del mistero. La carne dell'uomo, veicola e rivela la gloria dell'onnipotente, e questo a partire dalla sua piena condizione di fragilità. Forse una certa "scienza" non tollera la fragilità umana!
La mia parola in entrata oggi è: "genealogia".

lunedì 16 dicembre 2019

Numeri 24,2-7.15-14 e Matteo 21,23-27
Uno sconosciuto!

È entrato a Gerusalemme, seduto sul dorso di un asino, acclamato dalla gente come Messia (... bella scena, che però non è piaciuta ai capi del popolo e ai sacerdoti); ha cacciato dal Tempio i venditori e i cambiamonete, rivendicando la purificazione di quel luogo e il ritorno a Dio con il cuore e la vita (... anche questo gesto non è stato gradito, in realtà ha messo in crisi l'economia del Tempio). Ora Gesù insegna, nel luogo dove sacerdoti e capi insegnano e tengono sottomessi (quasi come schiavi) alla Legge l'intero popolo. Gesù insegna, con autorità e potenza - tutto un suo stile particolare - nulla di diverso da quanto fatto in Galilea, ma anche questo, fatto in quel luogo non va bene, non va proprio bene, è come usurpare il privilegio che nei secoli si era andato costituendo, quello di interpretare la Legge è promulgare i decreti di Yhwh. Signore tu fai "cose" che per molti del tuo popolo sono segni chiarissimi della vicinanza di Dio, ma per altri sono segni ostili e oscuri, loro non sanno o non vogliono sapere. Quando la nostra presunzione prevale rispetto alla apertura del cuore alla tua presenza; quando il nostro orgoglio non si piega alla tua venuta; quando i nostri privilegi rappresentano la pienezza della nostra vita; tu ti sottrai e ti nascondi. Il tuo venire è allora furtivo come un ladro, il tuo esserci accanto resta un interrogativo aperto e pieno di incognite. Oggi, più di ieri, abbiamo bisogno della tua prossimità, del tuo esserci accanto, affinché la tua vicinanza sia per noi l'occasione propizia per esserti veramente accanto, per conoscerci nel profondo.
La mia parola in entrata oggi è: "ne/anch'io".

domenica 15 dicembre 2019

Is 35,1-6.8.10; Sal 145; Gc 5,7-10; Matteo 11,2-11
Ti attendo ... Ma chi attendo ...

Siamo già a metà del nostro itinerario di avvento, in questo clima già socialmente natalizio cerchiamo di stare saldi e costanti nella tensione verso il Signore, perché la sua venuta è vicina. Allora partiamo proprio dalla provocazione del Vangelo e anche noi chiediamoci: Che cosa andiamo cercando?
Il successo, il prestigio, la gratificazione? L’avere sempre più cose? Magari quelle di tendenza? Quelle più nuove e aggiornate? Cerchiamo di soddisfare il desiderio del cuore?
Mi sono mai accorto invece che la semplicità è ciò che con “poco” da molto alla mia vita? Ho mai cercato la gioia, quella di tutti i giorni, quella nelle belle esperienze che mi accadono?
Quanto mi appartiene la consapevolezza che è solo un cuore che sa gustare il bello, il buono e il vero, che mi permette di prendermi cura delle relazioni e del mondo. Ed è con un cuore così, che troverò ciò che cerco veramente: la pienezza della vita!
Ecco la risposta, tutti noi cerchiamo a "pienezza della vita"!
Giovanni e i suoi discepoli, infatti, si stanno chiedendo se Gesù è la loro pienezza della vita!
Gesù quasi sbotta, ma rivela cosa è la vera pienezza di vita, dichiarando beati coloro che non si scandalizzano di lui, cioè quelli che non cadono sotto il peso dirompente delle sue parole e del suo stile di vita.
Ma che cosa scandalizzava di Gesù?
La parola scandalo oggi ha un significato pesante e morale che spesso fa riferimento a questioni incresciose. Ma per quanto riguarda Gesù, la cosa più scandalosa è che lui è "invertito" rispetto alle gerarchie delle convenzioni sociali.
Sono i suoi rapporti con gli ultimi, con i pubblicani, le prostitute, i poveri, i malati e con gli scartati a generare scandalo. Genera scandalo avere a che fare con coloro che sono marchiati dal vizio, dall'indigenza e dal disprezzo. Ma perchè genera scandalo avere a che fare con uomini e donne feriti dalla vita, fragili di fronte alla aggressività di molti; come può generare scandalo la somma dell'umana sofferenza?
Per Gesù questi sono i primi a sperimentare la salvezza! Per i perbenisti del suo tempo (ma anche del nostro), questi sono gli irrecuperabili rispetto a qualsiasi redenzione.
Gesù sei veramente scandaloso, proprio perché è un rivoluzionario sovversivo! Per questo tuo modo di essere meriti di essere emarginato, zittito, denigrato, inchiodato in croce. Ma proprio la croce diverrà il massimo dello scandalo. Ecco allora che "beato è colui che non si scandalizza di me", con queste parole, Gesù, ci conduce a recuperare lo sguardo sui poveri, ciechi, storpi e zoppi!  Perché essi sono il volto carnale di Dio, e se mi scandalizzo di questi piccoli, mi scandalizzo anche di Dio.
Se anche noi ci scandalizziamo di Lui - e lo facciamo - a maggior ragione il cammino di avvento è per una trasformazione del nostro modo di pensare. Il nostro stare con Gesù deve essere un mettere in discussione i nostri sentimenti, per formare in noi quell'uomo nuovo generato a immagine del Signore.
Nell'avvento ecologico, mi educo a fare miei i sentimenti di Gesù, mi attivo per  intrecciare lo spirituale alla realtà della vita e del lavoro. In questo intreccio imparo a prendermi cura del mondo e dei fratelli. Una sana educazione alla sobrietà delle relazioni. Dallo scandalo di Gesù, sviluppo invece una attenzione alla qualità della vita, scopro che la vita porta in sè un profondo senso profetico e contemplativo, una sobrietà e attenzione al particolare, al piccolo e allo scartato, che mi apre alla possibilità di godere con ciò che è "poco", che è piccolo, ma in realtà apre il cuore alla possibilità di gustare con sobrietà ogni cosa e ogni momento.
La mia parola in entrata oggi è: "scandalizza".