lunedì 30 novembre 2015

Romani 10,9-18 e Matteo 4,18-22
Festa di S. Andrea Apostolo
Chiunque crede non sarà deluso!

Cosa spinge un uomo a rispondere subito con immediatezza alla "chiamata" di Gesù a essere un suo "particolare amico"?
Quel lago di Tiberiade nasconde un magnifico segreto, è il segreto della amicizia, quelle rive del lago custodiscono le parole di una relazione, di un incontro quotidiano, di una scoperta di un uomo che veniva da Nazareth, e nel tempo quell'uomo risulta così famiglia e così importante, unico e speciale che ... Quella sua parola: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini" a ben altra risonanza della solita lettura teologica o esegetica; significa infatti un progetto e una proposta di vita.
Il bello della chiamata è proprio il coraggio di Gesù di fare una proposta che è un progetto. All'inizio del nostro cammino di avvento a ciascuno, Gesù, fa questa proposta di sequela, qualcuno risponderà in modo semplice e forse non troppo convinto, qualcun altro avrà il coraggio di rispondere con quella immediatezza che caratterizza gli amici del lago. Chi ha visto il lago ... Capisce certamente cosa intendo!

domenica 29 novembre 2015

Geremia 33,14-16 / Salmo 24 / 1 Tessalonicesi 3,12-4,2 / Luca 21,25-28.34-36
Che questo avvento sia un segno ...


Nelle letture di oggi ritorna con forza l'invito alla vigilanza, al vegliare, al pregare ... Condizioni necessarie al cristiano per trasformare il tempo in attesa. Affermare che attendiamo il ritorno di Gesù, ci lega indissolubilmente alla sua prima venuta nella carne, al mistero del suo diventare uomo, ma ci costituisce in questo modo,trasformatori del tempo e della storia. Tutto il nostro discernimento della vita è infatti fondato non sopra una fede passiva ma a una fede operosa che incide profondamente la realtà. Tutto il nostro tempo sto traduce nella possibilità di piacere a Dio, e di agire in funzione di questo compiacimento; così San Paolo ci invita a essere nella sua lettera: in attesa per piacere a Dio.
Buon cammino di Avvento a Tutti!

sabato 28 novembre 2015

Daniele 7,15-27 e Luca 21,34-36
Apocalisse!


Tutte le immagini apocalittiche ed escatologiche; anche le parole dei vangeli legate ai tempi ultimi; vanno prima di tutto ascoltate in modo narrativo, non sono una previsione, ma sono innanzi tutto un "genere letterario" che con un suo linguaggio rilegge le vicende umane e pone il discernimento rispetto a ciò che Dio rivela nella nostra storia.
Il crescente intreccio delle vicende umane e la loro complessa interrelazione con il bene e il male è proiettato nell'idea di compimento, che nelle parole di Daniele è indicato nel regno dei Santi; realtà che noi possiamo tradurre col compimento della gloria di Yhwh. Il Vangelo di Luca riprende il tutto nella figura del Figlio dell'uomo che viene sulle nubi del cielo. Il Vangelo entra nel particolare per rivelare ai discepoli che la preghiera e la veglia sono le condizioni necessarie per vivere nonostante la realtà si manifesta pesante e ingannevole. La preghiera e la veglia generano, nei discepoli di Gesù, la forza per accompagnare il figlio dell'uomo nel suo giorno, che è anche ogni giorno della nostra vita.
Da domani ... Buon cammino di Avvento.

venerdì 27 novembre 2015

Daniele 7,2-14 e Luca 21,29-33
Osservate ...


Ogni lettura della storia, ogni esperienza che ci coinvolge, anche l'evolversi della nostra stessa interiorità, ha bisogno di un costante discernimento, che significa dare alla storia e alla vita un significato trascendente. Qui sta la differenza tra chi crede e chi non crede, tra l'uomo puramente razionale e l'uomo spirituale, su chi vive del mistero e su chi vive della paura della fine. La frase conclusiva del Vangelo di oggi, "l cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno", ci invita alla comprensione della realtà a partire dalle sua Parola. Cosa significa tutto questo?
Non è questa comprensione visibile nello sforzo di rileggere tutta l'esperienza della Chiesa alla luce del Vangelo, che è il cuore del pensiero di Papa Francesco? La preghiera di ogni giorno può essere, a partire dalla Parola, lo spazio per osservare e per decidere.

giovedì 26 novembre 2015

Daniele 6,12-28 e Luca 21,20-28
Servire Dio con perseveranza...


La lettura di Daniele, pur se molto li punga resta un capolavoro di narrazione, dove gli eventi, le vicende personali e la fede si intrecciano; i dialoghi non sono semplicemente logici, ma vogliono affermare che il Dio di Israele - che non ha abbandonato il suo popolo nell'esilio babilonese - si rende pienamente manifesto attraverso la fedeltà di Daniele definito dal re: "servo del Dio vivente". Vivere nella fedeltà del servizio a Dio significa avere quella perseveranza che è propria di chi vive il presente, con tutta la sua "gravità" di buono e di prove, ma ugualmente ci si prepara alla "liberazione che è vicina".

mercoledì 25 novembre 2015

Daniele 5,1-28 e Luca 21,12-19
Mene, Tekel, Peres ...


Al ripetere di queste "strane parole", il libro di Daniele, ci conduce al giudizio finale di Dio, di Yhwh, sulla storia e sugli uomini, espresso nel giudizio sul re di Babilonia e il suo impero.
L'idea che Dio porta a compimento l'opera della creazione con il giudizio sulla storia e sulla vita degli uomini, appartiene alla rivelazione di Israele e al pensiero stesso di Gesù.
Nel Vangelo, questo giudizio si esprime nell'immagine della storia intima e personale e anche di prova dei discepoli. Il giudizio non è una dichiarazione esteriore, una sentenza, ma il giudizio è la condizione che si instaura tra il discepolo del Signore, le sue scelte, lo stile di vita e la storia vissuta. Il giudizio non è una sentenza di condanna o assoluzione, ma il segno della fedeltà di Dio che per amore non viene meno, e il segno di esprime proprio nella vita stesa dei discepoli. I cristiani, non sono semplicemente degli uomini che appartengono a una particolare espressione religiosa ... Ma noi siamo segno di Dio, segno efficace di Lui ...

martedì 24 novembre 2015

Daniele 2,31-45 e Luca 21,5-11
Il tempo della distruzione ...


Nelle parole dell'evangelista Luca, il tempo della distruzione è il tempo di Gesù, quindi non della catastrofe o dell'apocalisse ...
Anche ciò che rappresenta il segno del Tempio, di fronte al segno che è Gesù viene "distrutto", cioè soppiantato dal segno stesso che è il Signore. È a partire da Lui che tutto trova "subbuglio", inquietudine e superamento. Più che caricarsi di ansia e angoscia nel tentativo di leggere nei nostri tempi i segni premonitori della venuta di Gesù: "Molti verranno sotto il mio nome dicendo: Sono io, e: Il tempo è prossimo ...", mettiamo tutta l'attenzione nel cercare di rimanere uniti al Signore nel vivere con fedeltà la storia è il tempo che ci è affidato. Questo tempo va riempito di "attesa" con la consapevolezza che "... Non sarà subito la fine", per cui il primo discernimento deve essere proprio sulla qualità del nostro attendere. Una attesa ancorata nella fedeltà di Dio; una attesa gravida di amore; una attesa che disarma la paura del futuro con la gioia del Vangelo; una attesa densa di misericordia. Tutti questo è molto più importante delle belle pietre del tempio di Gerusalemme.

lunedì 23 novembre 2015

Daniele 1,1-20 e Luca 21,1-4
Mettiamo la vita nel tesoro?


Il tesoro del Tempio, non è il gruzzoletto dei preti o dei sacerdoti, ma nell'immagine e nel segno reale, esprime l'appartenenza a Dio, a Yhwh, che nell'antica alleanza significava riservare per offrire. Una rinuncia intesa non come una parte o uno scarto ma, riservare la primizia per offrirla come segno di amore a quel Dio che ti è Padre e ti ama, che ha stretto con te un patto di vita eterna.
Per noi Cristiani, discepoli del Signore, le sue parole ci dicono con evidenza il modo di offrire noi stessimo Dio. Non è possibile essere Cristiani se non si è scelto di offrire se stessi a Dio, nello stesso modo in cui Gesù offre se stesso. Gesù rimane colpito dalla vedova, perché quel suo gesto, rappresenta il suo pensiero e la sua condizione. Quel gesto della vedova, in realtà, come dono della sua stessa vita è come anticipazione di quella eucarestia che è il segno di Gesù che eternamente si offre e dona la sua vita in noi, che in questo modo diventiamo il suo tesoro ... Noi rischiamo di essere il tesoro del Tempio!

domenica 22 novembre 2015

Daniele 7,13-14 / Salmo 92 / Apocalisse 1,5-8 / Giovanni 18,33/B -38
Il suo regno in questo mondo!

Ciò che meditiamo oggi - meglio sarebbe dire: ciò che viviamo oggi - è l'epilogo della storia del regno dei cieli. Quel regno di cui Gesù in molti modi si è fatto portavoce, interprete e maestro ora viene rivelato nella vita stessa del suo re: un regno che non è di questo mondo ma che con la passione, morte e risurrezione di Gesù entra nel mondo. E ci starà fino alla fine dei tempi.
Che regno è?
È il regno espresso nelle Beatitudini, nelle Parabole, nella Misericordia, nell'Amore che è scaturito nel contatto tra Gesù e gli uomini e le donne lungo quelle strade di Galilea che sono la vita di tutti i giorni.
Il regno dei cieli si radica sulla terra, si fa spazio tramite il Vangelo e i segni di Dio e ne diventa realtà permanente e stabile.
Gesù ne è il garante, il re...
Un interrogatorio molto diretto e scarno, ma pur sempre una occasione per carpire qualcosa da questo uomo; uno sconosciuto per lui - il Governatore Romano - ma per i giudei un vero problema.
"Allora la questione è che tutti dicono che sei Re, ma è vero? Si io sono Re!"
Tutto il Vangelo di questa domenica si esaurisce in questa parole, ammissione di Gesù di fronte alla domanda di Pilato.
Noi troppo abituati al racconto della passione, rischiamo di non coinvolgerci, quasi come chi sta guardando una replica televisiva, pur anche di uno spettacolo a noi particolarmente gradito; invece a questo punto dovremmo sentire un orgoglio interiore, un orgoglio di commozione e ci dovremo sentire chiamati in causa, perché chi viene condotto in giudizio è il nostro Re, il nostro capo, il nostro maestro il nostro amato ... Il nostro Dio.
Come allora Gesù, oggi il cristiano si riveste della regalità di Cristo con quella stessa umiltà con la quale Gesù presenta a Pilato il senso di questo mondo, frutto del l'invidia, dell'ingiustizia, del male; un modo che non sapendo amare storpia anche solo il senso di questa parola.
Tutto ciò che Gesù ha cercato di suscitare nei suoi discepoli è l'idea di un regno di Dio, possibile anche dentro la nostra realtà finita. Quel l'idea che aveva origine lassù, a fatica riuscì a fare breccia fintanto che quel regno non dimostra la sua vera natura, quella di regnare attraverso il servire l'amore. Il re dei giudei ha oggi il volto di ogni cristiano che sta di fronte al mondo con la verità che è lo stile di Gesù, cioè chi fa del servire e dell'amare lo scopo della propria vita; lì non ci sono dubbi, è il Re del regno dei cieli ... I giudei avevano fatto un po' di confusione!

sabato 21 novembre 2015

1 Maccabei 6,1-13 e Luca 20, 27-40
"Essendo figli della risurrezione sono figli di Dio


Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui». 

venerdì 20 novembre 2015

1 Maccabei 4,36-59 e Luca 19,45-48
“La mia casa sarà casa di preghiera”


Esiste uno spazio reale, come il Tempio al tempo di Gesù,  oppure come lo spazio del nostro cuore, della nostra esistenza, che rappresenta con immediatezza quella stessa "casa di preghiera" che è il luogo del dimorare del Signore.
Così come al tempo di Giuda Maccabeo (prima lettura), riconsacrare il tempio che era stato profanato dai pagani, rappresenta la possibilità di realizzare la dimora di Dio in mezzo al suo popolo; nello stesso modo, Gesù scacciando i venditori dal tempio, riconduce all'origine la nostra religiosità: lo sazio della preghiera è lo spazio esistenziale dove Dio dimora in noi, noi siamo la sua sua casa di preghiera.
Custodire, difendere, e allontanate da questo "spazio" tutto ciò che appesantisce (venditori, ladri ...) l'espressione della nostra relazione con Dio, significa permettere alla preghiera di essere autentica e di guadagnare ogni giorno quel ruolo priorità che è essenziale per riconoscere chi abita in noi. Oggi mi "guadagno" lo spazio di preghiera!

giovedì 19 novembre 2015

1 Maccabei 2,15-29 e Luca 19,41-44
Sei stata visitata ...


Gesù piange alla vista delle bianche mura di Gerusalemme, piange nel pieno di una accoglienza trionfale...
Perché piangere, ora è il momento della contentezza della gioia! Ogni aspettativa sembra finalmente realizzarsi...
Non è la prima volta che Gesù sale a Gerusalemme, non è la prima volta che arrivato a Betania, presa la strada di Betfage e arrivato al Monte degli Olivi, il suo sguardo si posava sulla città di Davide, sul Tempio di Dio, sul luogo della Presenza...
Che cosa c'è di diverso questa volta?
C'è un popolo osannante, la gente che lo aspetta, un popolo che lo invoca, sono quegli stessi uomini e donne che lo abbandoneranno nella notte del sacrificio, nel momento in cui corrispondere all'amore significa fedeltà...
Gesù piange la città che ama, piange la città del Dio di Israele, perché come è già accaduto anche nel passato, Gerusalemme non riconoscerà un amore vero al suo Dio, ma solo un amore che tradisce; Gerusalemme risulta essere come una amante che si stanca dell'amato.
Gesù piange perché vede attraverso i suoi occhi come la distruzione e la morte si accompagnano all'amore negato o rifiutato. Ogni amore tradito porta sempre in se un grido di sofferenza.
Gesù piange, sono lacrime di uomo, ma sono anche lacrime di Dio; piange il pianto di chi ci viene a visitare con il suo amore e trova solo le grida di una gioia momentanea.
Quelle lacrime di Gesù scendono anche sui nostri quotidiani tradimenti; sono lacrime di amore ma soprattutto servono per suscitare in noi quella giusta commozione che è il primo passo di un cuore che si apre all'essere visitato dall'amore.

mercoledì 18 novembre 2015

2 Maccabei 7,1.20-31 e Luca 19,11-28
Credevano che il regno dei cieli ...

Si, i discepoli credevano che il regno dei cieli si dovesse manifestare presto ... e anche a modo loro.
La parabola ... o meglio la narrazione di Gesù parte dalle aspettative dei discepoli per arrivare alla consapevolezza di un regno dei cieli che si manifesta sconvolgendo le nostre logiche ... anche quelle più ovvie e buone.
Il regno dei cieli è una realtà che si compie e si realizza ...; per Gesù quella realtà è tutto ciò che vivrà a Gerusalemme.
Per i discepoli il regno si manifesta nel prendere parte attiva alla volontà di Dio, nell'amore a Gesù, al naestro, nell'agire in ragione dei doni di Dio che ci sono stati assegnati; non si tratta solo di una mina consegnata e delle mine fruttate, ma anche nell'essere a capo delle città.
La logica del regno è la logica del coinvolgimento globale nella fedeltà che sperimentiamo, e ci introduce, in una relazione unica con quell'uomo di "nobile stirpe".
Per noi la manifestazione del regno è possibile solo in relazione a Lui. Da soli e con i nostri pensieri, del "regno dei cieli", capiremo sempre ben poco.

martedì 17 novembre 2015

2 Maccabei 6,18-31 e Luca 19,1-10
Ed ecco un uomo di nome Zaccheo ...
Ciò che caratterizza Zaccheo appartiene a tutti noi: un uomo/donna; peccatore; ricco ...
Non possiamo nasconderci dietro un dito, a Gerico nella "città degli uomini", siamo tutti accomunati da queste condizioni ... Nessuno è più santo dell'altro!
Il Vangelo si sviluppa attraverso una duplice dinamica di scaltrezza: visto che sono "baso" e non potrei mai riuscire a vede "questo Gesù" (troppe cose mi rendono basso") correrò più avanti degli altri, li anticiperò e salirò su quel sicomoro, alto e possente, da lì vedrò chi è come è questo Gesù! Questo desiderio di vedere un  "uomo bello", non si riesce mai a sradicare, lo portiamo ontologicamente dentro di noi.
La seconda è scaltrezza è questa: come Zaccheo anticipa gli altri nel volerlo vedere, ora Gesù anticipa Zaccheo autoinvitandosi a casa sua! Questo invito scalza ogni giudizio di moralità anticipando la misericordia per chi è "basso".
È la misericordia che Gesù ci mostra e che agisce verso ciascuno che ci fa "grandi" al punto di stare sempre nella possibilità di vederlo ... come la possibilità inaugurata per il cieco di ieri ...

lunedì 16 novembre 2015

1 Macabei 1,10-64 e Luca 18,35-43
Passa Gesù Nazzareno!

Siamo arrivati a Gerico... seguendo la strada che scende da Gerusalemme, un prete poco ospitale ci ha fatto capire come è facile non avere occhi di misericordia a partire da chi hai di fronte, a partire da chi hai vicino.
Il cammino prosegue sul sentiero tracciato e improvvisamente nell'orizzonte del Wadi Qelth si apre la visione di Gerico ...
Quando Gesù si è avvicinato alla città tanta gente è corsa a vederlo!
Anche un cieco, corre pure lui, ma per lui vedere è solo nel desiderio... che almeno Gesù gli sia vicino.
È proprio la vicinanza di Gesù che diventa la possibilità reale e concreta di vedere.
Vedere non è proprio solo una senso del corpo umano, vedere è apertura e possibilità di comprendere, e possibilità  per entrare nel mistero del "figlio di Davide".
Si può  certamente dire che per credere in lui occorre che lo vediamo e che ogni desiderio di lui sia trasformato in una possibilità concreta.
La nostra fede è una sorgente di desiderio ma è pure la possibilità di vederlo concretamente in quella strada di Gerico che è la nostra storia quotidiana.

domenica 15 novembre 2015

Daniele 12,1-3 / Salmo 15 / Ebrei 10,11-14.18 / Marco 13, 24-32
"Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno."

Quando entriamo nei capitoli apocalittici dei vangeli, un senso di timore normalmente ci pervade; misurarci con il compimento di tutte le cose, con la venuta del Figlio dell'uomo, mette in evidenza tutta la nostra inadeguatezza.
Siamo inadeguati rispetto alla comprensione dei testi;  siamo sempre impreparati a un incontro con il Signore che porta compimento anche in noi. L'incontro con il "figlio del'uomo" generalmente lo identifichiamo con il momento della morte, ma in realtà ad ogni istante della vita è chiesto di trasformarsi in tempo di attesa, non per generare angoscia, ma per far maturare in noi il desiderio pieno di Lui.
Ogni momento della nostra vita intessuto della fede nel Signore Risorto diventa tempo che da pienezza, che mostra il compiersi di tutte le cose.
Sarà la sua stessa Parola a condurci in questo itinerario di compimento, formandoci alla comprensione e al discernimento degli eventi.
Nulla di ciò che viviamo é casuale,  tutto deve essere ricondotto al fine che è Dio Stesso.
Le letture di oggi sono quindi certamente una immagine sul compimento di tutto ciò che esiste nell'ultimo giorno, ma sono ancor prima l'occasione per imprimere in noi il Sigillo di Dio. Quando gli apparteniamo, la nostra esistenza riecheggia del sua parola di salvezza; quando gli apparteniamo la paura della fine cede li  passo alla gioia del fine. La nostra vocazione - meglio dire chiamata a seguire il maestro in una vita di fede e di amore a Lui - ci apre alla possibilità di essere da Lui condotti alla nostra vera pienezza.
Le parole del Salmo possono suggerire il giusto atteggiamento per accogliere la parola di Gesù: "Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra".
La tua Parola che "rinane" mi conduce nella vita; nella gioia della tua presenza...una dolce tenerezza mi invade!

sabato 14 novembre 2015

Sapienza 18,14-16;19,6-9 e Luca 18,1-8
Preghiera, salvezza, vita e fede sulla terra


E' necessario pregare, e farlo anche nonostante la stanchezza. Spesso la nostra stanchezza deriva dalla distrazione della vita, dal tedio e dalla mancanza di fiducia rispetto a chi ascolta la preghiera, ma anche dalla frustrazione e dalla sconfitta. La preghiera vissuta come atto dovuto o come condizione per ottenere una qualche grazia, non è la preghiera della vedova. La sua preghiera esprime un desiderio di giustizia, di difesa rispetto al nemico. Questa donna, vedova, è immagine della fede in chi può difenderne la vita. L'oggetto della preghiera è la vita, una vita riscattata dal nemico, cioè la salvezza. Prima di tutto, prima di ogni necessità, la perseveranza nella preghiera deve essere rivolta a chiedere a Dio di vivere ogni istante della vita come vita salvata. Gustare la salvezza prepara all'incontro gioioso con il Figlio dell'uomo quando tornerà sulla terra.

venerdì 13 novembre 2015

Sapienza 13,1-9 e Luca 17,26-37
«Dove, Signore?»


"Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà." La prospettiva futura in cui trova compimento la manifestazione del Figlio dell'uomo, nulla toglie alla possibilità di comprendere la manifestazione nel divenire del tempo e del suo compimento. Neppure il linguaggio escatologico un po' criptico deve scoraggiarci rispetto al fascino del mistero di Dio.
Le parole del Vangelo di Luca svelano un legame con gli eventi del tempo di Noè, con il tempo di Sodoma, tutto si riassume nel susseguirsi degli eventi umani: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito (...) mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma l'inevitabile fine pone un termine che è una sconfitta per le fatiche degli uomini.
La manifestazione di Gesù è quindi la novità che irrompe, ben più di un suo giungere puntuale, ma è riconoscere nella vita la possibilità di compimento grazie all'irruzione del mistero di Dio.

mercoledì 11 novembre 2015

Sapienza 6,1-11 e Luca 17,11-19
La gratitudine


"In ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi" (1Ts 5,18). È la parola "eucarestia" che fa da perno alla gratitudine. Il rendere grazie si riveste di ben altro significato! Non si tratta certamente di una prassi di galateo o di buona educazione, ma possiamo iniziare a intendere la gratitudine come la dimensione dell'esistenza che incontra il mistero di Dio. Grato è chi si riconosce amato e riempito di un bene talmente necessario e bello che nel momento in cui lo ricevi - in colui che te lo dona - ti senti rigenerato e vivo nel suo amore, nel suo stesso dono. Grato è chi si sente vivere dell'amore di un altro. Tutto questo è vero per Gesù rispetto al Padre, per cui Gesù vive la gratitudine quando lui stesso si percepisce il dono del Padre, si percepisce come la Sua misericordia che salva ogni uomo. Il lebbroso samaritano vive la gratitudine verso Dio, quando sperimenta in Gesù il modo in cui l'amore misericordioso di Dio incontra la sua vita; nella sua fede è grato. Noi come viviamo la gratitudine dell'incontro dell'amore che ci salva?

martedì 10 novembre 2015

Sapienza 2,23.3,9 e Luca 17,7-10
La logica superiore del servizio


Nell'immagine del Servo si cela nella vita stessa di Gesù quella del "servo di Yhwh"; una immagine che prende forma nella lavanda dei piedi dell'ultima cena, dove il maestro venuta la sera prima di mangiare la cena con i discepoli, si china sui commensali e lava i piedi, poi si prodiga nel cibo della cena fino all'estremo simbolismo del dare se stesso, "ha fatto quanto doveva fare".
Queste parole del Vangelo di Luca, svelano il sentimento profondo di amore del Signore nel compiere la sua vocazione come servizio al Padre. Attraverso una immagine di rigore, quasi di durezza, ma che diviene occasione per educarci con umiltà alla priorità del servire. Anche noi, i discepoli possiamo passare dalla logica della fatica del servire alla logica del servizio come occasione nella quale comprendiamo la nostra cooperazione all'opera di Dio ... La nostra parte: "Abbiamo fatto quanto dovevamo fare".

lunedì 9 novembre 2015

Ezechiele 47,1-12 e Giovanni 2,13-22
Dedicazione della Basilica Lateranense
Santo è il Tempio di Dio che siete voi!


Se ciò che è sacro diviene indifferente, non solo è possibile distruggere il tempio del corpo di Gesù, ma viene meno la possibilità di attingere alle acque che risanano. Nel segno del tempio è racchiusa una molteplice quantità di significati: è una immagine viva della presenza di Dio; del corpo di Cristo; del nostro corpo e del corpo vivo che è la Chiesa. Il tempio di Dio è il segno della sua presenza (dòxa e scekiná) che diviene possibilità di vita e che sgorga come acqua dalle sue fondamenta; il tempio del corpo del Signore è il segno del risorto, il Signore risorge con e attraverso il suo corpo per essere vita eterna per tutti; il nostro corpo è segno dell'opera di Dio che sempre si rinnova e si rende evidente come vita; il corpo vivo che è la Chiesa riassume tutti i simbolismi dalla sacralità del tempio di Dio alla sacralità della vita dei singoli. Amare,  custodire e conservare i luoghi, come pure le persone, esprime lo zelo per ciò che è segno e appartiene a Dio, zelo per ciò che è sacro: "Lo zelo per la tua casa mi divorerà".

domenica 8 novembre 2015

1 Re 17,10-16 / Salmo 145 / Ebrei 9,24-28 / Marco 12,38-44
Scribi ... Chi? Noi?


Quando Papa Francesco, in questi giorni, si esprime con una parola così netta a commento e giudizio dei vescovi, preti e religiosi che parlano di povertà e vivono come "faraoni",  tutta la Chiesa è chiamata a ripensare il proprio stile evangelico. Quando poi diciamo Chiesa, non nascondiamoci dietro un dito ... pensando alle gerarchie, tutti siamo coinvolti in questa appartenenza, ciascuno per la propria responsabilità.
Come risuonavano le parole di Gesù per scribi e farisei, per coloro che ambivano lunghe vesti, vesti sante per coprire la propria ipocrisia, la propria arroganza, la propria cupidigia, allo stesso modo risuonano oggi per noi.
La Chiesa deve essere come la vedova del Vangelo! Deve! Se non è così è come gli altri ricchi che mettono della loro ricchezza ma trattengono la vita.
La Chiesa, e ogni credente, deve avere il coraggio di quell'abbandono che permette di non trattenere la vita per scopi e interessi personali o particolari. Quando i discepoli di Gesù sono capaci di metterci la vita, allora la Chiesa dona vita al mondo ... Quando non avviene questo il mondo soffre e stenta a vivere nella verità. Il vero dono della Chiesa non è una semplice elemosina, ma sono le sue piccole e inaudite ricchezze: i sacramenti (il pane e il vino, la misericordia.. ), l'amore e la tenerezza di Dio e non ultimo il dono del Consolatore ... Solo questo apparirne alla Chiesa ... Il resto è nulla ...
I nostri tempi di stanno dimostrando abitati dallo spirito di Dio. La comunità cristiana come non mai è convocata a prendere coscienza della propria vocazione, forse come non mai, o come in tempi lontani la Chiesa sta vivendo il tempo del rinnovamento, ma soprattutto il tempo in cui il Vangelo del Signore chiede fedeltà e autentica adesione.

sabato 7 novembre 2015

Romani 16,3-27 e Luca 16,9-15
Uno stile esigente ... No, lo stile del Vangelo!

Non sarai più amministratore ...
Procuratevi amici con la disonestà ricchezza ...
Chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto ...
Nessuno può servire due padroni ...
Tutte espressioni che possono fondare una etica e una morale circa i comportamenti, ma sono anche parole che suggeriscono il Vangelo come esperienza di per sé etica. Essere buoni amministratore della ricchezza di Dio, è già il fondamento etico di chi amministra anche i beni umani. Lo stile evangelico permea tutta la vita del discepolo, diversamente ogni credente in Cristo risulta diviso tra Dio e "mammona". Cosa significa essere un buon amministratore, magari scaltro, ma ugualmente onesto, capace di amministrare il poco o il molto affidato? Significa chiedersi sempre: come usare di queste parole per farne un pezzetto della mia vita?

venerdì 6 novembre 2015

Romani. 15,14-21 e Luca 16,1-8
Mi è stato affidato il Vangelo di Gesù ...


Paolo, consapevole di avere ricevuto dal Signore il compito di diffondere il Vangelo, usa nel farlo tutta la forza che deriva dalla "grazia ricevuta", ma anche quella delicatezza che deriva dalla tenerezza di Dio che il Vangelo propone. Paolo custodisce il Vangelo come il tesoro prezioso di cui è ministro.
Pure il Vangelo ci richiama al compito di chi ha ricevuto una "amministrazione" per conto di un altro:  il Vangelo che è Gesù Cristo, ed è di Gesù, ci è stato affidato, a tutti, perché lo amministriamo con la sua stessa autorevolezza e tenerezza.
A volte con la nostra indifferenza, rischiamo di essere solo amministratori incapaci e scarsi, magari fossimo disonesti, ma dimostriamo solo che il nostro cuore e la nostra vita non ha nel Vangelo di Gesù il bene prezioso da amministrare.

giovedì 5 novembre 2015

Romani 14,7-12 e Luca 15,1-10
... siamo dunque del Signore!


Stando alle narrazioni del Vangelo, Gesù teneva relazioni con tutti, peccatori, pubblicani,  scribi e farisei; le sue parole sono una provocazione per tutti. Di fronte a loro, la parabola della pecora smarrita afferma non solo una lettura della realtà ma prima di tutto una affermazione circa la misericordia di Dio. Il cuore del Padre non si da pace se una sola delle pecore del gregge si è persa. Questa preoccupazione indipendentemente dall'essere la pecora smarrita, pubblicano o fariseo. Certamente la parabola ha una sua realtà dove trova significato, la presunzione di essere giusti degli scribi e farisei; il giudizio di condanna rivolto ai peccatori e pubblicani; ciò non toglie che Dio non preclude a nessuno la sua misericordia e tenerezza di Padre; per cui la gioia del cielo corrisponde semplicemente alla conversione del cuore di qualsiasi uomo che scopre o riscopre di appartenere in Cristo a Dio Padre. "Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore ...".

mercoledì 4 novembre 2015

Romani 13,8-10 e Luca 14,25-33
Tradire il nostro amore


Che cosa rivela l'amore? Rivela tutto di noi, rivela il nostro bisogno profondo di essere amati, il nostro desiderio di corrispondere a qualcun altro; ma rivela pure le nostre ipocrisie cioè l'uso strumentale che facciamo dell'arte di amare: amare per un vantaggio e non nella gratuità e gratitudine. Tradire l'amore è il primo adulterio che viviamo in noi stessi, ci illudiamo di amare ma in realtà ci amiamo; in questa dinamica non si dona nulla e quindi non si da compimento a nulla ...
Luca nel Vangelo, pone con chiarezza la possibilità di amare Gesù (andando oltre se stessi) mettendo in evidenza che solo in quella condizione di amore a Lui si è discepoli e non semplici curiosi. Amare Gesù ... è realmente ciò che mi sta muovendo? Forse semplicemente dovrei iniziare a chiedermi se Gesù mi basta ... Quale sorpresa sarà il momento in cui scopro che l'amore a Lui è il buon fondamento di tutto il mio amare.

martedì 3 novembre 2015

Romani 12,5-16 e Luca 14,15-24
Come entro oggi nel regno di Dio

Ogni giorno è l'occasione per domandarmi se voglio entrare o no nel regno di Dio. Anzi ogni giorno devo chiedermi se far entrare o non il regno di Dio nelle mie "cose" ... Potrei con sorpresa meravigliarmi quando accade. Il Vangelo nella parabola di Luca pone in evidenza la condizione di rifiuto di chi non riesce a riconoscere nell'invito del re l'occasione per avere parte con il regno ... Entrare da ospiti e non essere più mendicanti al di fuori. Come riuscire a sviluppare una sensibilità che mi permette di riconoscere quando l'attaccamento alle cose, l'impegno nelle occupazioni, la gratificazione dagli affetti, mi tolgono la libertà di essere "figlio di Dio"? La lettera ai Romani è la risposta che stiamo cercando: nell'esercizio di riconoscerci membra gli uni degli altri, nel realizzare questa reciprocità viviamo la nuova realtà del Regno dei cieli.

lunedì 2 novembre 2015

COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI
2^ formulario della messa della commemorazione
Isaia 25,6-9/ salmo 24 / Romani 8,14-23 / Matteo 25,31-46


Il ricordo dei defunti è per noi una questione molto importante, chi è nella memoria affettiva è ancora vivo nella nostra vita, ma chi non ha memoria non è semplicemente morto, ma è inghiottito nel nulla.
San Giovanni Paolo II scriveva: «Dio ha affidato agli uomini la loro stessa salvezza... Ha affidato a ciascuno i singoli e l’insieme degli esseri umani. Ha affidato a ciascuno tutti e a tutti ciascuno». Questo è il fondamento della Comunione dei Santi e della preghiera della Chiesa, e in particolare della preghiera di intercessione. Oggetto della preghiera sono «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi» per usi il cuore della preghiera di intercessione è un atto di amore a vantaggio dei miei fratelli, amati e meno amati. (cf Varcare la soglia della speranza, Milano 1994, pp. 21. 24).

La preghiera dei vivi per i defunti è professione della fede che afferma che la morte fisica non è la fine della vita; per il cristiano tutto si vive nella fede in Cristo; non c’è nulla che possa essere escluso dalla sua fede, nemmeno il ricordo dei defunti, ai quali la vita «non è tolta, ma trasformata» (Prefazio I nella Messa dei defunti). I legami intessuti tra i credenti per la partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore non vengono interrotti dalla morte e la preghiera ci permette di ravvivarli continuamente. Non si tratta dunque di pregare per influenzare una qualsiasi decisione di Dio nei confronti di chi è morto, bensì per raccomandarlo alla sua misericordia di giusto giudice e di salvatore.

Fissato il motivo della preghiera di intercessione e della possibilità di pregare a favore e insieme ai defunti, possiamo ben comprendere le parole della scrittura e i gesti che questa mattina stiamo compiendo.
1) la misericordia diviene il criterio attraverso il quale plasmare il presente e dare nuova forma alla nostra vita ... Dovrò pur iniziare a cambiare la mia vita in una vita cristiana non accontentandomi della mediocrità ... Iniziamo coll'invocare da Dio il perdono dei nostri peccati e per il perdono dei peccati per coloro che morti, in vita non sono riusciti a comprendere e vincere il peccato, pur sperando nella misericordia di Dio.

2) la preghiera di suffragio è oggi il segno della consapevolezza che tutti, vivi e morti siamo legati dal l'unico destino di eternità, di cui gli affetti e i ricordi sono solo tiepida immagine e riflesso. È da questa preghiera che possiamo rinfrancare e fortificare la fede nella risurrezione in e di Cristo.

3) questo luogo è Terra Santa, resa santa non solo dalla benedizione con l'acqua e l'incenso, non solo con le paro le della liturgia e della preghiera, ma resa Santa dalla presenza dei resti Santi dei corpi dei nostri cari.
Non è un deposito di morti, il cimitero, né un museo di reliquie, ma la convergenza nello spazio, attraverso la condizione di morte della sacralità della vita e della creazione, che tutta attende, nella speranza, di entrare nella gloria della risurrezione.

4) onorare i morti attraverso un gesto di amore come sono i fiori di carità, non è la possibilità di risparmiare rispetto ai fiorai, ma come insegna il Vangelo è il modo di trasformare una elemosina in un gesto di amore, e permetto a chi in quel gesto è ricordato, di compiere oggi, nel tempo quello stesso gesto di amore... Tutto questo diviene coinvolgimento di Dio, opera di Dio nella storia. 

domenica 1 novembre 2015

Apocalisse 7,2-14 / Salmo 24 / 1 Giovanni 3,1-3 / Matteo 5,1-12a
Beati ben più che felici!


Non basta essere buoni per essere beati/felici, occorre essere Santi.
A dei bambini, per semplificare, si può dire che per essere Santi occorre essere buoni, ma tutto questo mostra subito il suo limite di fronte alla fragilità umana e al peccato che avvolge e trasforma ogni bontà.
Gesù non si limita a dirci di essere buoni, ma di desiderare di essere Santi. Una santità che neppure possiamo identificare con una perfezione astratta, intellettuale o estetica.
Essere santi, significa fare della propria vita il riflesso della vita del Signore. Non una fotocopia, ma una esperienza filtrata attraverso la propria originalità e individualità. Cristo in me e attraverso di me; la novità di Cristo attraverso di me.
Quando ero giovane ... alcuni anni fa mi dissero di farmi Santo, e che per esserlo avrei dovuto fare la volontà di Dio. Se questo sembra una complicazione, in realtà attraverso le beatitudini, tutto diventa una proposta possibile e pure un poco più semplice.
Queste righe del Vangelo di Matteo ci riportano come Gesù ha cercato di essere felice, di essere beato.
Essere povero in spirito, cioè non posseduto dalle cose, rende attenti al regno dei cieli e a Dio; essere parte della afflizione del mondo fa essere compassionevole e parte della sua consolazione; essere mite rende capace di ascolto disinteressato; essere affamato di giustizia permette di farsi compagni di chi è esiliato e profugo; essere misericordioso fa riconoscere il volto di Gesù in ogni volto del fratello; essere puro di cuore, smaschera tutte le nostre ipocrisie e falsità; operare per a pace mi da il gusto della comunione; costruire la giustizia è farmi corresponsabile della creazione di Dio.
Questo modo di vedere la vita, non è da persone buone, ma è il modo in cui Gesù ha cercato di dare senso alla sua esistenza, e di corrispondere alla volontà del Padre, ed è la proposta che lui stesso fa a noi. Vivere in questo modo è fare a volontà di Dio! Allora ogni giorno deve essere il modo in cui la vita si avvicina a questa proposta e la realizza. Giunti a questo punto la Chiesa può anche dire che chi ha vissuto come Gesù è un Santo!