domenica 31 ottobre 2021

Vicini e lontani dal Regno di Dio ...

Dt 6,2-6; Sal 17; Eb 7,23-28; Mc 12,28-34


"Ascolta Israele" ... Queste parole sono molto, molto, molto importanti, esse sono all'inizio di quel brano che identifichiamo come la professione di fede del pio israelita riportata nel libro del Detuteronomio. Essa dice l'abbandono alla fedeltà di Yhwh; dice di ascoltare perché si possa essere felici; dice di ascoltare colui che per è unico e che rappresenta ciò che fa la differenza.
"Ascolta!", in ebraico Shema’, è sinonimo di “obbedire”: per l'uomo biblico, l'ascolto parte da un’adesione intima e non da un sentire esterno; si tratta di un ascoltare attento per poter corrispondere; si ascolta ciò che è importante e necessario alla vita; io oserei dire che si ascolta chi si ama, si ascolta per amore e per poter amare.
Non a caso, per l'israelita, il vertice dell'amore è rappresentato da Dio: per cui l'ascolto è rivolto a Yhwh al solo e unico  Signore, colui che è il nostro Dio", colui che ha con noi un legame di amore che si esprime in un patto.
Anche Gesù riprende quell'espressione: "ascolta Israele ...", perché è proprio lui il primo a mettersi in ascolto del Padre. È lui che ascolta il Padre e quindi a noi parla di quell'ascolto unico e obbediente che riecheggia di amorevolezza e fedeltà (amore e alleanza).
Ma noi cosa ascoltiamo? Cosa sentono i nostri orecchi? Cosa ascoltiamo di Dio?
Noi che che cosa ascoltiamo? Le chiacchiere del mondo? Le parole sconcertanti dei politici? Il rumore assordante e snervante del nostro tempo che sfigura il nostro umano? Di che cosa è fatto il nostro ascolto intimo?
È fatto delle leggi che ci impegnano nel nostro agire? Oppure di norme e precetti da osservare?
Sembra invece che la scrittura, la Parola, dica tutt'altro, cioè  che prima di tutto noi ascoltiamo le parole di amore che Dio ha per noi, le parole di un Padre verso il proprio figlio prediletto. E che parole sono quelle di un padre per suo figlio?
Di fronte a questa pagina di Vangelo, ci areniamo su quelle parole nelle quali sperimentiamo solo la nostra inadeguatezza cioè: "amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza"; potremo mai riuscirci?!
Parole rispetto alle quali saremo sempre manchevoli, parole che al più percepiamo come un proposito esistenziale, o come un esortazione morale-spirituale da introdurre nella vita.
Quando Gesù cita il passo del Deuteronomio, introduce una variante suggestiva, che non si limita a ribadire all'amore a Dio, ma unisce il comandamento dell'amore al prossimo.
Questa aggiunta, o integrazione, intenzionalmente voluta da Gesù, dilata l'ascolto - cioè l'amore - di ciò che dice Dio all'ascolto di ciò che dice il tuo prossimo, il tuo fratello.
Noi Difficilmente saremo capaci di dire con esattezza cosa significa ascoltare e amare, forse anche perché il nostro amare è una esperienza di fragilità, di umanità, di sofferenza e di peccato che si fondono insieme nella complessa realtà delle nostre relazioni.
Uno dice di amare e poi si sente rifiutato ...
Uno dice di amare e poi è causa di delusione fin nelle più piccole aspettative ...
Uno dice di amare e quell'amore di trasforma in odio ...
A questo punto posso solo dire che nessuno di noi è capace di amare ...
Ci si prova e ... Non ci si riesce ...
Per certi versi, è meglio non amare ... Meglio difendersi dalle conseguenze dell'amore!
No, Gesù allo Scriba della Legge dice che deve imparare ad ascoltare Yhwh (Dio), e da quell'ascolto conoscerà l'amore, e scoprirà che è nelle relazioni con il prossimo che si genera l'amore: ecco che le nostre relazioni sono sorgente di amore. 
- Amare è una carezza di tenerezza ... Tutti la capiamo;
- Amare è il soffio caldo del sussurrare la parola ti amo ... Tutti la desideriamo;
- Amare è la vicinanza di colui che ti possiede ... Tutti l'aspettiamo;
- Amare è sentirsi importante per qualcuno che non è per caso ... Tutti lo speriamo;
- Amare è perdere se stessi e annullarsi nel cuore di un altro ... Un dolce naufragio;
- Amare è uno spazio di eternità, per non smarrire mai sé stessi per sempre ... È dare senso alla vita.
Ecco che partire dall'ascolto di Dio, significa partire da una esperienza vera e concreta. Significa partire da noi stessi, significa ascoltare la nostra interiorità, questo  richiede il coinvolgimento di tutto noi stessi del cuore, dell’anima e delle forze. Cioè, occorre che il pensare, fremere, operare, scegliere, sia in attenzione verso Dio.
Ecco allora che dall'ascoltare sgorga l'amore che come un fiume ti trascina fino al regno di Dio, ovvero, Gesù dice allo scriba, se ami, non sei lontano da me e dai miei sentimenti, cioè dal regno di Dio che si riversa nella nostra povera storia umana.

sabato 30 ottobre 2021

Coming out

Romani 11,1-2.11-12.25-29 e Luca 14,1-7.11


Rubo questa espressione, certo di suscitare anche qualche reazione scomposta, ma mi pace vedere come Paolo "viene fuori" dalla sua storia personale e di fede, per rilanciarsi completamente nella sua attualità, e in essa portare anche tutto il suo trascorso, il suo passato, insieme all'elezione del suo popolo da parte di Yhawh.
Sembra proprio che Paolo ripercorra nella sua vicenda personale, la stessa storia del suo popolo: "forse inciamparono per cadere per sempre? Certamente no. Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta alle genti ...", e nel desiderio e nella speranza, egli colloca il Messia come colui che darà compimento anche alle fatiche e al rifiuto attuale di Israele. Paolo stesso vive nella sua storia quanto lui si riconosca amato da Dio, e riconosce pure che la fedeltà di Dio alla chiamata che non è ben salda nella sua vicenda personale e non solo a partire dalla visione sulla via di Damasco.
Credo proprio che occorre di tanto in tanto "venire fuori” dai nostri impaludamenti e dalle nostre convenienzi, e come Paolo testimoniare la vicinanza di Dio e la sua originalità nel portare a compimento la nostra vocazione. 

venerdì 29 ottobre 2021

L'alleanza è irrevocabile!

Romani 9,1-5 e Luca 14,1-6


Da una parte Paolo è afflitto per la condizione che vede generarsi come reazione dei giudei alla predicazione. Anche se una netta differenziazione tra i due gruppi si manifesterà solo più avanti, nel secondo secolo, i giudei non si pongono in modo positivo rispetto alle nascenti Chiese (comunità) apostoliche. L'afflizione di Paolo in realtà si colora di un profondo legame e orgoglio, di un amore fraterno che nasce dall'avere le stesse radici nella discendenza di Abramo, ma insieme Paolo evidenzia il suo più grande amore per Gesù Cristo. È in quell'amore che dobbiamo collocare l'irrevocabilità della scelta e delle promesse di Dio che si dilata la riflessione dell'apostolo. Ecco quindi, che possiamo dire che ciascuno di noi è un eletto, un’eletta di Dio. Ognuno porta una promessa che il Signore ha fatto, ma soprattutto la promessa corrisponde alla fedeltà di Dio. Quindi di fronte alla "fedeltà stessa", che è il Signore, a ciascuno non resta che interrogarsi se la si sente come la "carezza" di Dio, come il suo "prendersi cura". Può farci bene pensare oggi alla nostra elezione, alle promesse che il Signore ci ha fatto e come viviamo l’alleanza con il Signore. E come ci lasciamo agire dalla misericordia di Dio; per questo, mai dimenticare che: "I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili", perché espressione della misericordia del Padre.


giovedì 28 ottobre 2021

La Chiesa apostolica

Efesini 2,19-22 e Luca 6,12-19

Festa dei santi apostoli Simone e Giuda


Siamo in un tempo di crisi per la Chiesa, un tempo di transizione ..., si dice!
Una crisi che si esprime in occidente come diminuzione dei fedeli praticanti, come crollo delle vocazioni; come erosione dell'autorevolezza della Chiesa-Istituzione rispetto al mondo; come irrilevanza a causa del peccato che la Chiesa vive in se stessa e nei suoi membri.
Ma cosa porta questa "crisi benedetta"?
La Chiesa già molte volte ha vissuto momenti di crisi e periodi di transizione, ma forse mai come oggi, questo corrisponde a un deficit circa la propria identità, cioè circa la sua stessa consapevolezza, messa in discussione dai fedeli, ma anche da parte della gerarchia. Ma la crisi è sempre stata l'occasione per il rinnovamento e il superamentro di uno stile inadeguato, e di una Chiesa che non corrisponde al pensiero di Gesù e degli apostoli. Ecco allora oggi nella festa dei santi apostoli Simone e Giuda, possiamo ritornare con le parole di Paolo agli Efesini, alla identità originaria che è l'essere della Chiesa: "... tempio Santo di Dio ..., dimora dello Spirito ..., famigliari di Dio". Non è una Istituzione la Chiesa, ma l'agire dei discepoli del Signore secondo il Vangelo, attraverso un vincolo di comunione che ne esprime il fondamento che non può mai venire meno: "... avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù"! 
Verranno meno tanti aspetti della vita ecclesiale e delle parrocchie, ma una realtà resisterà e sarà sempre immagine e luogo concreto della Chiesa: le relazioni di carità e amore con il Signore Gesù, con il Padre e nello Spirito, fondamento delle relazioni tra di noi.

mercoledì 27 ottobre 2021

Che cosa desidera lo Spirito ...

Romani 8,26-30 e Luca 13,22-30


Agire nello Spirito; agire accostati dallo spirito; agire in contrasto con lo spirito ...  Noi e lo Spirito. Non credo sia facile per nessuno collocare se stesso in relazione allo Spirito di Dio, forse proprio perché lo Spirito rappresenta l'originalità e la libertà dell'agire del Padre nella storia dell'uomo, e non è inscatolatile come neppure è condizionabile; lo Spirito non limita o toglie all'uomo la sua libertà di azione. Per Paolo lo Spirito è veramente un Paraclito, un consolatore, un difensore, egli "viene in aiuto alla nostra debolezza", appunto viene in aiuto e ci mette in condizione di essere partecipi del pensiero e dei sentimenti di Dio, "di colui che scruta i cuori". Sono espressioni estremamente profonde e belle, capaci di affascinare al mistero di Dio e alla sua relazione con ciascuno di noi. Ma cosa rappresenta l'agire dello Spirito se non il perseguire il progetto di amore che Dio ha per ciascuno. Ecco lo Spirito è nella storia, cioè nel nostro tempo l'agente che rende attuale il progetto di Dio: chiamare, giustificare e glorificare. Tre verbi importanti che descrivono l'agire di Dio nei nostri confronti. La chiamata esprime la sua scelta e predilezione come anche la nostra possibile risposta; giustificare corrisponde alla nostra redenzione per grazia e la glorificazione è condizione del nostro camminare verso la meta dell'amore eterno. Di tutto questo lo Spirito è artefice in noi e con noi.

martedì 26 ottobre 2021

Libertà dalla schiavitù

Romani 8,18-25 e Luca 13,18-21


L’apostolo Paolo nei capitoli precedenti ha parlato dei temi che riguardano il rapporto tra Dio e l’uomo, il peccato, la responsabilità di tutti gli esseri umani di fronte a Dio, il sacrificio di Gesù Cristo, la giustificazione per grazia mediante la fede, la lotta dell’uomo con la sua natura peccaminosa, l’azione dello Spirito Santo nella vita del credente per vincere questa lotta, la testimonianza dello Spirito Santo nella vita dei credenti che conferma loro di essere figli di Dio ed eredi delle promesse! 
Ora, si introduce nella speranza, a partire dalla fatica e dall'ardente aspettativa che è custodita dalla creazione ... L'attesa della liberazione dalla schiavitù ...
Oggi più che in tempi passati si avverte come la creazione stessa si ribella di fronte al peccato, e al peccato dell'uomo che si rivela in tutte quelle azioni che si ripercuotono sull'ambiente, sulla vita della terra. Non si tratta di ecologismo, o di mentalità "green", ma della consapevolezza che tutto esiste in una comunione creaturale rispetto alla quale nessuno può esimersi dall'assumersi le proprie responsabilità. 
La liberazione dal peccato, per Paolo non riguarda la salvezza del singolo individuo, ma in questo brano così suggestivo ricorda a tutti noi che siamo parte di un grande programma di redenzione che coinvolge l’intera creazione!

lunedì 25 ottobre 2021

Ricordiamoci di essere figli

Romani 8,12-17 e Luca 13,10-17


"E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!"
Il cristianesimo non è una religione della paura, ma della fiducia e dell'amore al Padre che ci ama. Questa affermazione ci parla dell’invio e dell’accoglienza dello Spirito Santo, il dono del Risorto, che ci rende figli in Cristo, il Figlio Unigenito, e ci colloca in una relazione filiale con Dio, relazione di profonda fiducia, come quella dei bambini; una relazione filiale analoga a quella di Gesù, anche se diversa è l’origine e diverso è lo spessore: Gesù è il Figlio eterno di Dio che si è fatto carne, noi invece diventiamo figli in Lui, nel tempo, mediante la fede e i Sacramenti del Battesimo e della Cresima; grazie a questi due sacramenti siamo immersi nel Mistero pasquale di Cristo. Lo Spirito Santo è il dono prezioso e necessario che ci rende figli di Dio, che realizza quella adozione filiale a cui sono chiamati tutti gli esseri umani.
Forse l’uomo d’oggi non percepisce la bellezza, la grandezza e la consolazione profonda contenute nella parola "padre" con cui possiamo rivolgerci a Dio nella preghiera, ma proprio da Gesù, dal suo rapporto filiale con Dio, possiamo imparare che cosa significhi propriamente "padre", quale sia la vera natura del Padre che è nei cieli. (Benedetto XVI)

domenica 24 ottobre 2021

Ventitreesimo Complemessa ... 24 ottobre 2021

Sono felice di essere prete

A ripensare a quelli passati, non mi sembra vero essere già qua ... Ma quello che vedo è molto bello! È bello sentirsi accompagnato da tanti amici, da tanti compagni di strada che in questo anni hanno fatto tratti più o meno lunghi; è bello poter riconoscere il modo in cui il Signore, in tutto questo, ti plasma nella vocazione sacerdotale, e ti conduce nonostante i limiti e le fragilità che ti porti dietro.
Ed è stupendo sentirti accompagnato dalla Sua Parola, che oggi non poteva essere più appropriata lì dove dice:"Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione (...). Nessuno attribuisce a se stesso questo onore (...)." 
Essere prete non è una cosa mia, e più gli anni passano più me ne accorgo...
C'è chi dice che essere prete oggi è da sfigati, da persone non normali; sulla categoria fioccano i giudizi più diversi, forse ci sta bene visto che nel passato la categoria dei preti è stata molto facile nel giudicare, molto più che nel discernimento e nell'accompagnamento della vita altrui.
Dopo gli entusiasmi dei primi anni, devo confessare anche il senso di fallimento, come l'insabbiarsi delle aspettative e dei progetti ... 
Fino ad ora non ho convertito nessuno, non ho accompagnato nessuno al sacerdozio, non ho generato comunità o cammini di fede, anzi forse ho addirittura allontanato qualcuno, e ad altri ho dato motivo di scandalo.
Ho sentito il fallimento di non sentirmi utile al Vangelo.
Oggi ritrovarsi ad essere: Rettore del seminario, Presidente dell'Istituto Sostentamento Clero ... il prete della diocesi, più imbazzato con le realtà economiche, con il patrimonio e i soldi.
Ma alla fine cosa succede, quando affiora la domanda: come stai vivendo il Vangelo?
E l'amore al prossimo, l'accoglienza ai poveri e dei piccoli? Come ti collochi nell'immagine del Vangelo di oggi ... il cieco, Gesù ... il loro dialogo ...
Ma allora cosa c'è di bello nell'essere prete?
In questi ultimi giorni ho pensato molto e questa mi sembra la risposta più vera: di bello nell'essere prete è il "sentirti vicinissimo al mistero, pur non possedendolo ... ma proprio in quell'essere prete, sentire concretamente l'amicizia di Gesù". Questo sì, questo posso dirlo con certezza, è la cosa più bella di essere prete.
Ecco che Gesù ti viene incontro negli affetti di tutti, e ti rendi conto di quanto il Signore non ti chieda di rinunciare alle amicizie, alla tenerezza, ma di viverla per come sei capace, anche con tutti i tuoi limiti.
Certamente dopo questi anni, ti rendi conto che sugli affetti si gioca molto della verità del Vangelo ... Il Vangelo non è una dottrina ma un modo di vivere. Ed è questa è la scoperta rivoluzionaria ... Il Vangelo è vita!
E quindi che cosa rappresenta ora questo Complemessa? (... Momento della vita)
"Signore che io veda di nuovo" ... Queste parole del cieco di Gerico oggi esprimono le mie parole. Come ho sentito la tenerezza di Dio per me quel 24 ottobre 1998, così vorrei continuare a sentire vera e concreta la sua promessa di essermi accanto e di precedermi nel cammino, in questa chiamata ad essere prete, non per me stesso ... ma per lui, e per  questa Chiesa peccatrice e Santa (Santa e peccatrice ... Cfr Sant'Ambrogio) e per tutti i compagni di cammino.
Ecco allora che Celebrare il Complemessa è sempre una grande grazia, è occasione di gioia e ringraziamento. Ringrazio soprattutto per la vicinanza che in tanti modi mi avete dimostrato in questi anni.
Grazie a chi ha collaborato e condiviso anche le tante fatiche pastorali ... Ma d'altronde chi mai ha detto che sarebbe stato facile, o che avrei incontrato solo stima ed esaltazione dell'essere sacerdote.
In ultimo il ringraziamento a tutti voi, e in particolare per quei giovani e  ragazzi e ragazze che in questi ultimi anni hanno condiviso molta parte della mia quotidianità: grazie perché attraverso questa comunione di vita (nonostante stia invecchiando) tanto di me si è rimesso in discussione e in gioco. Da loro ho imparato a dare valore all'affetto, alla tenerezza e l'amorevolezza.
Per cui oggi posso testimoniare che essere chiamati al sacerdozio è una scoperta quotidiana, che ti stupisce e meraviglia nella tua inadeguatezza.
Ecco che nessuno può scegliere da solo di essere prete, cioè darsi questa vocazione, essere preti è bello perché esserlo è un dono di Dio, per cui a voi chiedi di aiutatemi a custodire nella bellezza questo dono.

Ti vedo e ti seguo!

Geremia 31,7-9 / Salmo 125 / Ebrei 5,1-6 / Marco 10,46-52


Sembra una storia a lieto fine, Un cieco che vuole vedere, che chiede di vedere. In realtà non è tutto qua!
Ciò che è straordinario è che il vederci non si riduce al miracolo della vista, ma alla conseguenza di ciò che si vede. Bartimeo cieco e miracolato, vede Gesù, il maestro di cui in tanti gli hanno parlato.
Ha ascoltato le chiacchiere della gente che hanno giudicato Gesù nel suo andare a cena a casa di un pubblicano; ha ascoltato il racconto di Zaccheo, anche lui curioso e desideroso di conoscere il Signore, ed è da quell'ascoltare che nasce in lui desiderio conoscere, di incontrare quel maestro.
È questa una delle chiavi di lettura del brano, ma anche di tutto il Vangelo: incontrare il Signore è finalmente vederlo.
Bartimeo, ora è immagine del discepolo, che vede Gesù e si mette alla sequela, e lo segue in quella strada che conduce a Gerusalemme. Lo segue perché lo vede, non più come "rabbuni", ma nel vederlo Gesù si rivela come messia; come il Figlio dell'uomo atteso è rifiutato; come colui che viene trafitto; come colui che è appeso alla croce e muore; come colui che glorioso risorge; come colui a cui gridare "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!" Un grido simile al nostro "Signore pietà", che abbiamo così abilmente relegato alla liturgia penitenziale della messa, per chiedere perdono dei nostri peccati.
Ma per Bartimeo quel gridare esprime tutta la sua umanità e la sua fede.
È un gridare tutta la sua fragilità, la sua inadeguatezza; un grido che raccoglie tutto il peccato di quella città Gerico - la città più antica del mondo -; ed ecco che il suo grido rompe ogni barriera di convenienza e di peccato - in molti lo sgridavano per farlo tacere -; ma il suo grido diviene proprio una dichiarazione: "Gesù figlio di Davide abbi pietà di me"!
Quel grido di Bartimeo può diventare anche il mio grido, espressione dei miei desideri mancati, delle mie domande più vere, delle ferite che ancora mi fanno male. Ecco allora che quel grido è ben più di una invocazione liturgico penitenziale, ma diviene la preghiera più vera di ogni uomo e donna, la preghiera che si alza a Dio come richiesta di riscatto, come grido che chiede di essere ascoltato. Come è importante fare nostre quelle parole e affidargli il senso più vero della nostra vita: Signore abbi pietà, cioè Signore accogli l'offerta che ti faccio di tutto me stesso.
Ecco che per Bartimeo il vedere ha un fine: seguire Gesù in quella strada che da Gerico sale a Gerusalemme, la medesima strada che percorre Gesù, diretto nella Città Santa per dare compimento alla sua vita umana, alla sua missione.
Oggi quale domanda portiamo dentro di noi, quale domanda abita la nostra vita ... A volte sembra che l'uomo, come pure i credenti di oggi, non abbiano più domande da rivolgere a Gesù, al figlio di Davide.
Forse delusi nelle aspettative, forse troppo egocentrici, forse troppo vuoti da accorgersi dei desideri, forse talmente disinteressati al mondo che la domanda non può più esistere come esperienza della vita.
Credo che oggi, per un credente, il recupero della domanda sia la strada per potere vedere Gesù e imparare a camminare accanto a Lui.
Ed ecco che dalle nostre domande più vere, si apre la possibilità di vedere Gesù, e dal vederlo nasce il seguirlo: perché non si segue chi non si vede.

sabato 23 ottobre 2021

Figli dello Spirito o della carne

Romani 8,1-11 e Luca 13,1-9


L’apostolo Paolo afferma che quando lo Spirito Santo riempie la vita del credente, quest’ultimo ne esce trasformato. In questo passo della lettera, Paolo, ci ricorda che la vita "naturale" dell’uomo è una vita “secondo la carne”, ovvero soggetta alla fragilità, all'inclinazione, al limite secondo la "natura ereditata" e non ancora rigenerata dallo Spirito di Dio. D’altra parte una persona che non crede e che non ha sperimentato la nuova nascita, vive la sua vita senza preoccuparsi delle conseguenze della vita nella "carne" e non teme neanche il castigo divino visto che non crede in Dio. Ma se uno ha ricevuto il battesimo, ed è stato unito a Cristo, in lui lo Spirito è la forza che, nonostante i punti deboli e le difficoltà, non lascia tranquilli, anzi sollecita costantemente a quella riconciliazione con Dio, che è causa del cammino di conversione. La presenza dello Spirito Santo nella vita di una persona è quindi l’elemento che fa la differenza tra chi realizza l'essere figlio di Dio e chi permane nella "carne". Paolo non ha alcun dubbio sul fatto che non si può essere credenti, nati di nuovo, e non avere lo Spirito Santo nella propria vita. Infatti ribadisce con forza: Chi non ha lo lo Spirito di Dio, qui anche chiamato lo Spirito di Cristo, non appartiene a lui. 

venerdì 22 ottobre 2021

Inclinazioni e fragilità

Romani 7,18-25 e Luca 12,54-59


Quante volte, anche nella nostra esperienza abbiamo vissuto il "dramma" che Paolo descrive in modo così chiaro e risoluto: "Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?" Ciò che ci fa male, ciò che è distruttivo, è l’idea di dover essere in un altro modo; che, per essere accettati da noi stessi, dagli altri e da Dio, dovremmo essere giusti, puri, senza peccato. Con una immagine interessante, vorremmo essere semplici «ostriche vuote», senza corpi estranei. Dei «puri» insomma. Ma questo non è possibile. E anche qualora ci considerassimo tali, ciò non significherebbe che non siamo mai stati feriti, ma solo che non lo riconosciamo, non riusciamo ad accettarlo, che non abbiamo saputo perdonarci e perdonare, comprendere e trasformare, avvolgere le nostre ferite con quella madreperla, che fuori di metafora è l’amore, rimanendo semplicemente poveri e terribilmente vuoti.
Cos’è una perla? È un qualcosa nata dal dolore. Infatti nasce quando un’ostrica viene ferita. Quando un corpo estraneo – un’impurità, un granello di sabbia – penetra al suo interno e la inabita, la conchiglia inizia a produrre una sostanza (la madreperla) con cui lo ricopre per proteggere il proprio corpo indifeso. Ecco che alla fine si sarà formata una bella perla, lucente e pregiata. Se non viene ferita, l’ostrica non potrà mai produrre perle, perché la perla è una ferita cicatrizzata.

giovedì 21 ottobre 2021

Operiamo la nostra santificazione.

Romani 6,19-23 e Luca 12,49-53


Paolo nella lettera ai Romani, pone le basi per ciò che sarà il pensiero della teologia morale cristiana, ma soprattutto della teologia della grazia.
Per Paolo non esiste un moralismo legale, ma un un camminare nella vita nuova di Gesù.
Per cui, la nostra vita, inserita in una realtà di fede, percepisce e può subire comunque tutta la fatica e gravità del male e del peccato; come anche, nella libertà personale, noi possiamo compiere il peccato. La conseguenza del peccato in noi, ci porta a non distinguere più il creatore, a non riconosce la relazione di amicizia capace di generare la vita di Dio in noi. Tale situazione può degenerare fino a divenire, come dice Paolo "vergognosa"; io direi disastrosa se ciò significa smarrire il senso della dignità umana e della sua figliolanza. Per noi credenti infatti il punto di partenza è la grazia ricevuta, dalla quale non si decade; infatti Dio, il Padre, opera in modo permanente la salvezza per mezzo di Gesù Cristo, crocifisso e risorto; ponendo in assoluto una nuova condizione originaria per la nostra umanità: essere gradita a Dio, mediante Cristo.
Questa nuova condizione originaria rende il nostro agire capace esprimere per la fede  il fidarsi e l'affidarsi nella quotidianità della vita, cioè la possibilità di corrispondere al Vangelo per vivere in modo gradito al Padre (giustizia). Questo processo che è parte della nostra esistenza nella fede e ha la sua origine nel mistero dell'uomo Gesù Cristo, della sua vita incarnata e della sua passione e risurrezione.


mercoledì 20 ottobre 2021

Offrite voi stessi a Dio come viventi.

Romani 6,12-18 e Luca 12,39-48


Come Gesù vive per il Padre, essendo morto e risorto, ora vive per il Padre, nel Padre e con il Padre. Ma cosa c'entra ora la vita di Gesù con la nostra? Le conseguenze della vita (da risorto) di Gesù, in noi sono determinate dallo Spirito Santo, rende desiderabile la libertà dal peccato piuttosto che l'esserne dipendenti assoggettati. Nei versetti precedenti per tre volte Paolo ci dice che anche noi credenti ormai viviamo per Dio: cioè per mezzo di
Cristo anche noi  siamo risorti rispetto alla nostra morte; grazie a Cristo la nostra vita ha una vera pienezza; con lui si percorre una via che proietta nella eternità. Paolo ci dice come la nostra vita da credenti è capace di tutto questo, grazie a Gesù. Che cosa possiamo dunque offrire a Dio? Credo che a Dio possiamo dare solo ciò che siamo realmente, la nostra vita! Ecco allora che l'esortazione di Paolo non è un moralismo, ma un incoraggiamento a lasciare emergere in noi la vita di Gesù per poter offrire a Dio Padre nel nostro quotidiano una vera vita viva, da viventi. Nessun dubbio dunque e nessuna incertezza. Gesù vive solo per Dio, e per Dio solo vuol vivere anche in noi.

martedì 19 ottobre 2021

Peccato e grazia ... Una domanda attuale.

Romani 5,12-21 e Luca 12,35-38


Paolo parla di peccato e di giustificazione, ne parla in un modo esplicito mettendo in evidenza la stretta relazione tra la nostra morte e il peccato. Credo che la percezione del peccato nel mondo greco-romano fosse molto diversa da quella che anche oggi si manifesta nel nostro contesto post-moderno e post-cristiano. L'uomo moderno, a differenza di quello pagano, non ha più famigliarità con il concetto di peccato. L'idea di peccato ci conduce a sentirci nella diretta dipendenza da Dio; l'idea del peccato condiziona l'aspirazione ad una piena autonomia e all'autodeterminazione della vita. Proprio per questo oggi, risulta estremamente difficile accostarsi alla riconciliazione e accogliere il discorso cristiano della remissione dei peccati, e ancor di più quello della giustificazione come grazia; della Misericordia di Dio.
Essendo venuto meno la prassi sacrificale (l'offerta alla divinità dei sacrifici) e la modalità rituale che rappresentava l'esperienza del divino, anche la coscienza e la consapevolezza di peccato viene ad essere alterata. Il peccato era la percezione di una opposizione tra la mia vita, le mie scelte e la volontà della divinità e le sue leggi. 
Ma oggi per me che cosa è la coscienza e consapevolezza del peccato?
Che cosa significa la grazia di Dio nella mia vita?
Ritengo che la grazia sia sentire e riconoscere che la nostra vita è abitata dall'amore di Dio, dalla sua stessa vita. Ogni peccato ha come origine il rifiuto di questo dono di amore, è voler vivere in forza di sé stessi, escludendo Dio dalla propria esistenza. 

lunedì 18 ottobre 2021

Alla fine resta il meglio ...

2 Timoteo 4,10-17 e Luca 10,1-9


Paolo scrive la lettera durante il tempo della prigionia a Roma durante il processo; anzi, dalle sue parole si capisce che è imminente la sua condanna a morte. Non è un caso quindi che il tono della conclusione della lettera sia quasi quello di un testamento, nel quale ci si rivolge con maggiore intimità a chi è più caro, con raccomandazioni concrete e esplicite, ma anche con una costante attenzione a ciò che sempre ha occupato, l'impegno, i desideri e le preoccupazioni di Paolo: annunciare il Vangelo. Il lato personale della lettera mette in evidenza i contatti e le relazioni con le persone, conosciute e amiche; ma anche con coloro che gli si sono opposti o mostrati, nel tempo contrari.
È un Paolo famigliare ordinario che si rivela in ultimo, un apostolo attento alle tante situazioni della quotidianità, come anche incurante della sua fragilità, il bisogno dell'aiuto e della vicinanza di tanti, fino a chiedere anche di riportargli il mantello. Dettagli non insignificanti, ma perle della sua umanità più vera. Alla fine si rivela un Paolo premuroso e bisognoso di affetto, di amorevolezza! Quanto di tutto questo ci appartiene ... Tutto quanto!

domenica 17 ottobre 2021

Servi di tutti, padroni di nessuno

Isaia 53,10-11; Salmo 32; Ebrei 4,14-16; Marco 10,35-45

A chi non è mai capitato di porsi di davanti al Signore insieme a Giacomo e Giovanni e dire con tono da bambinesca presunzione: "Noi vogliamo che tu faccia ciò che ti chiediamo: sedere uno alla tua destra, l’altro alla tua sinistra nella tua gloria." E di fronte a ciò la risposta spiazzante di Gesù: "Voi non sapete cosa chiedete..., cioè non capite, non conoscete non vedete".
Chi oggi si azzarderebbe a chiedere a Gesù "Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra", non credo troveremo molti pretendenti, anche se l'immagine non fosse quella del Golgota, il maestro di Galilea, il Cristo Signore si troverebbe in solitudine.
Che cosa nasconde la nostra domanda se non il tentativo di manipolare a nostro vantaggio la vita di fede e la vita di comunità? Stare alla destra e alla sinistra per noi è prestigio, vantaggio, potere, ma per Gesù invece che cosa significa?
Le parole e lo stile di Gesù dettano l'identità di coloro che stanno a destra e a sinistra - e non è questione politica -, per capire Gesù occorre partire da questa espressione: "Tra voi non è così!" Ma come deve essere?
Queste parole mettono in luce la differenza tra chi è alla sua destra e a sinistra, mettono in evidenza cosa significa stare con Lui. Gli altri dominano; non sia così tra voi, ma vi metterete a fianco delle persone, e non al di sopra. Gli altri opprimono; ma voi invece sollevate le persone, tiratele su e sostenetelo nelle loro fatiche e fragilità.
Tra voi sia tutto regolato attraverso le possibilità che si generano amando i fratelli e non dominandoli. È questo modo di porsi di Gesù che disegna e riscatta il nostro umano, ridipinge la nostra immagine e somiglianza con Dio. È l'amore che ci fa servi dei fratelli; che rigenera la nostra umanità e ci libera dalla disumanità di cui sempre siamo capaci; è l'amorevolezza che ci riscatta dall'indifferenza; è la tenerezza che vince il nostro indomabile egoismo.
Gesù di fronte ai tanti Giacomo e Giovanni, non si indigna, ma mette in atto proprio ciò che insegna e quindi si avvicina, e ... ci chiama a sé, e nell’intimità del cuore a cuore, ci spiega, e cerca ti fare emergere quel buono che è dentro di noi: il desiderio di vita, di bellezza, di armonia. Cerca di fare emergere quel buono che è in ognuno di noi, quella parte sana, piccolissima magari, ma da non perdere.
Tutto alla fine si chiarisce e si fissa in queste poche parole di Gesù: "Sono venuto per servire".
Parole che ci spiazzano perché dicono come l'onnipotenza di Dio si rivela nel servire, e il servire è amare.
Gesù capovolge ogni nostra prospettiva, quando non corrisponde al desiderio del Padre, e ci mostra una bellezza e una profondità che stordisce e stupisce.
Se ci pensiamo bene Gesù ci insegna che siamo stati creati per essere amati e serviti da Dio; e lui che per amore ci dona la sua vita e ci spiega che pure noi amando e donandoci insieme a lui, superiamo ogni limite, ogni paura, ogni male, ogni peccato, superiamo anche la nostra stessa morte.
Stare alla destra e alla sinistra, oggi, significa accogliere un calice non sempre facile da bere. Significa non rimanere indifferenti rispetto alle sofferenze di una umanità disperata, disprezzata, scartata, affamata e perseguitata.
Essere alla sua destra e sinistra, bere il calice ci espone di fronte a un mondo in cui il servire e la gratuità sono realtà che sfuggono alla civiltà globale e perfetta, in cui tutto ha una rispondenza economica, e la gratuità dei gesti di amore non è ammissibile, anzi è impensabile che si possa dare/offrire la propria vita per amore dell'altro.
Oggi, in questo nostro mondo Gesù ci offre la possibilità di bere al Suo calice, per questo non possiamo restare latitanti; noi cristiani, al di là della momento di crisi che vive la Chiesa, possiamo offrire una proposta che ribalta il pensiero poco umano e privo di slanci. Gesù continua a ripeterci che "Tra voi non è così! ... Chi vuole diventare grande tra voi sia il servitore di tutti". Una vita di servizio non genera una vita da servi, da schiavi, ma genera la vicinanza più prossima, come quella di Dio che si fa uomo. Dio si fa nostro servo! È Lui che si inginocchia ai piedi di ogni suo figlio, si cinge un asciugamano e lava i piedi, e fascia le nostre ferite. L'unico modo perché non ci siano più padroni è essere tutti a servizio di tutti.





Inviato da iPad

sabato 16 ottobre 2021

Eredi ben più di una benedizione

Romani 4,13.16-18 e Luca 12,8-12


Nel prendere coscienza della totalità dell'atto di fede come coinvolgimento di tutta la persona, arriviamo a riconoscerne le conseguenze: siamo tutti eredi delle promesse fatte ad Abramo, eredi del mondo, figli e parte di quella benedizione che da Abramo si estende a tutte le famiglie (popoli) della terra.
Una benedizione, una promessa, una discendenza ... La fede ci dice che tutto questo ci appartiene! Ora di fronte a questa condizione possiamo rispondere con l'adesione della vita. Abramo “davanti alla promessa di Dio non vacillò per incredulità, ma fu fortificato nella sua fede e diede gloria a Dio,  pienamente convinto che quanto egli ha promesso, è anche in grado di compierlo.” Abramo si rendeva conto del fatto che il suo corpo così come quello di sua moglie non erano più adatti per avere un figlio, ma sperava anche che Dio era in grado di far rivivere i morti! Abramo sperò contro ogni speranza, ovvero sperò in qualcosa che umanamente sembrava impossibile.

Ecco cos’è la fede: Fidarsi di Dio, credere alla sua parola, pienamente convinti che il Signore compie ciò che promette, anche quando la logica umana porterebbe a pensare che sia impossibile, anche quando tutto sembra portare all'opposto di ciò che si spera. Anche noi se vogliamo diventare eredi delle sue promesse, dobbiamo fidarci perché Egli è in grado di mantenere la parola data.

venerdì 15 ottobre 2021

La mia fede

Romani 4,1-8 e Luca 12,1-7


"Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia". La vita di fede è una esperienza che non possiamo contenerla all'interno di regole morali o di riti religiosi. La Fede si iscrive invece nella nostra identità personale. Non è semplicemente un atto di volontà, e neppure il frutto di un ragionamento, ma è l'espressine di ciò che la nostra natura umana percepisce della propria identità più profonda: la fede dice il nostro essere di Dio, da Dio e per Dio.
Paolo nella lettera ai Romani, esprime questa consapevolezza partendo dalle conseguenze della fede in Gesù Cristo, per cui anche il patriarca Abramo partecipa della stessa condizione di fede. Proprio fissando lo sguardo su Abramo, possiamo riscoprire la profondità della nostra fede: egli  ascolta la voce di Dio, la riconosce tra mille, la riconosce a partire dalla propria vita, nella profondità di sé stesso; la riconosce  come accade per la voce della persona amata; la segue senza esitazione ed esce dalla terra dove vive nomade ma anche ben radicato per mettersi in cerca di una terra ignota mosso dalla fiducia in ciò che sentiva. Arrivato cerca di viverci in pace con chi già la abitava; vive l'accoglienza; vive il conflitto con i parenti e continua a fidarsi pur sperimentando il prolungarsi del compimento delle promesse. Vive in abbandono e si fida anche quando gli viene chiesto di sacrificare il figlio sul monte. 
La fede esprime la vita di Abramo, si innerva nelle sue opere e nel suo agire, racconta il suo desiderio profondo e il suo sguardo verso l'avvenire.
La fede è un fatto di profondità: la fiducia zampilla dalle profondità, è una “sorgente paziente e dolce, più forte” di qualsiasi “torrente” (b.Ch.deFoucauld). 


giovedì 14 ottobre 2021

La giustizia giusta!

Romani 3,21-30 e Luca 11,47-54


Dio, nonostante tutto e anche la nostra volontà di perderci, non ci ha abbandonato, ma attraverso Gesù ci è venuto a cercare e a salvare. È questo il vertice del pensiero di Paolo; la salvezza dal peccato e dalla morte è un dono di garzia nella fede, e non per merito. Dio non è mai lontano, neppure quando siamo noi stessi a porre le condizioni di lontananza (sia volute che non volute). Paolo ha sperimentato nella da vita quella tenerezza di Dio che si è rivelata come predilezione e vicinanza, sempre, anche nei momenti di sofferenza, fatica e prova. Dio supera ogni nostra aspettativa nella sua fedeltà e misericordia, aprendo sempre la strada per quel rapporto personale e positivo con lui: "ora, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio".
Leggendo questi passi di Romani, possiamo rischiare di cadere ancora nei vincoli delle conseguenze della legge, ma è l'esperienza della fede di Paolo che deve guidarci oltre gli schemi di una giustizia puramente umana, che non andrebbe oltre una semplice condanna. La giustizia che Paolo ha vissuto è quella di sentirsi amato anche se peccatore; di scoprirsi voluto bene nonostante le sofferenze di cui lui stesso è stato artefice; di sapersi giusto, non per i meriti ma per il dono della vita che Cristo costantemente offre a partire dalla sua passione, morte e risurrezione.
Quando la nostra fede illumina e rende evidente l'amicizia che Dio vuole realizzare con noi,  allora vengono meno tutti gli stereotipi umani e intellettuali di una fede religiosa fondata sull'osservanza di prescrizioni invece della reciprocità dell'amore/amicizia. La fede infatti è esperienza di amorevolezza!

mercoledì 13 ottobre 2021

Sospendere il giudizio? Conviene!

Romani 2,1-11 e Luca 11,42-46


Ogni giorno ci capita di esprimere giudizi, senza neppure troppa attenzione alle conseguenze del nostro giudicare. Il nostro giudizio, spesso, non nasce da una giusta esigenza, ma è la conseguenza delle nostre durezze e dei nostri fallimenti. Ma questa fragilità che ci portiamo dentro, non ci porta alcun vantaggio perché, soprattutto in chi crede - il giudizio come abitudine con la quale guardiamo i fratelli - crea la convinzione di essere a posto con Dio, convincendoci della legittimità dei giudizi che esprimiamo.
Sospendere la prassi del giudizio personale per lasciarci interrogare e coinvolgere dal giudicare di Dio che - come dice Paolo - è secondo bontà, clemenza e magnanimità, ed in ultimo, spinge alla conversione del cuore, farebbe solo bene alla maturazione della nostra umanità. Come ci fa bene imparare ad essere clementi, e attenti a trasformare il giudizio in una occasione di amore all'altro. Trasformare il giudizio in una opportunità di accoglienza della diversità e della fragilità dei nostri fratelli. Non si tratta di buonismo o di estrema tolleranza, anzi, è proprio in questa esperienza nella quale supero l'intolleranza verso i fratelli, che imparo a mettere da parte la mia presunzione e arroganza verso Dio. Diversamente, senza neppure accorgermene, nel giudicare scivolo progressivamente nella pretesa di un giudizio che condanna l'altro senza ricercare invece una occasione di cambiamento, cioè la conversione della sua vita.

martedì 12 ottobre 2021

Mi vergogno di essere cristiano ... Fede immatura!

Romani 1,16-25 e Luca 11,37-41


Non credo che sia opportuno ostentare, ma neppure nascondere i segni o ciò che rivela la nostra adesione al Vangelo. Vivere secondo il Vangelo esprime ben di più di un seguire precetti e regole religiose, ma rivela la nostra relazione con Dio. Nel Vangelo Gesù realmente si fa a noi vicino e, nelle sue parole, è la sua persona che interagisce, che crea relazione con ciascuno di noi. Provare vergogna del Vangelo è in questo vergognarsi di un amico che tutto dona di sé stesso ... Che brutta cosa vergognarsi di un dono così grande.
La vergogna esprime spesso l'immaturità di un rapporto e nel caso dei battezzati, nel caso di chi dice di credere, l'immaturità della fede. 
Paolo nella Lettera ai Romani, parte proprio dal vergognarsi della fede che ci porta la salvezza: Cristo. Quali sono i segni della fede in noi? 
Credo che il primo segno sia cercare Gesù e riconoscere in Gesù il riferimento per la fede, e da questo prendere coscienza della necessità, del bisogno, di essere salvati dal peccato; Gesù come Signore della propria vita ne è pure il salvatore.
Paolo ci dice che chi ha fede vive per fede, cioè mediante e in forza della fede. Ed è dal Vangelo e dall'incarnarlo nella vita quotidiana che la Fede si genera, prende forma, si alimenta e cresce/matura. Ecco che chi ha fede considera Cristo più importante di tutto il resto è di qualsiasi cosa. Da qui una domanda per ciascuno: è Cristo veramente così importante?


lunedì 11 ottobre 2021

E noi il Vangelo lo raccontiamo?

Romani 1,1-7 e Luca 11,29-32


Oggi iniziamo a leggere la lettera ai Romani, dove nei capitoli da 1 a 11, Paolo affronta - per così dire - la salvezza per grazia, come dono. Poi, dal capitolo 12 a 16, ci introduce nella concretezza della vita cristiana, per chi è stato salvato per grazia per mezzo della fede in Gesù Cristo. Questi primi versetti sono un po' il biglietto da visita di Paolo, la sua auto presentazione, per la comunità di credenti in Cristo che vive a Roma, che "sono amati da Dio e chiamati santi". Fatta queste premesse, già dal "biglietto" di presentazione si intuisce l'autocoscienza di Paolo, ma soprattutto come lui stesso vive profondamente la chiamata ricevuta da Gesù: "chiamato e scelto", due parole che tratteggiano la sua identità e la predilezione che Gesù gli ha riservato. La lettera ai romani, vuole da subito narrare la fede in Gesù Cristo, figlio di Dio, nato nella carne e risorto dai morti, per rende forte una comunità che vive la l'esperienza minoritaria rispetto al contesto culturale e sociale, ma proprio per questo diviene esplicita e personale testimonianza di fede. Alla luce di questa lettera il Signore illumini gli occhi del cuore per farci vedere e capire come vivere quotidianamente la grazia di appartenergli. 

domenica 10 ottobre 2021

L'amore ci libera da ogni schiavitù...

Sap 7,7-11Sal 89Eb 4,12-13; Mc 10,17-30

Una corsa come quella di chi vede da lontano ciò che spera, desidera e attende e allora cerca di raggiungerla rapidamente ... Per poterla prendere ... e per possederla ...
Possedere è parte della nostra umanità, dice tutto il nostro limite, il nostro bisogno di pienezza, di compimento, che noi compensiamo spesso con cose, oggetti, potere, soldi, affetti, persone, sesso, e quanto riesca in qualche modo dare soddisfazione al nostro possedere.
Gesù lo guardò e lo amò, lo amò in tutta la sua fatica, in tutta la sua presunzione, in tutta la sua ricerca e anche in tutto il suo smodato bisogno di possedere cose e persone.
Lo amò perché il suo amarlo significa liberarlo dalla sua stessa paura di essere infelice e dalla paura di morire.
Gesù lo ama, ma cosa vuol dire amare se non donarsi. Non basta dire ti amo, occorre darsi, donarsi, occorre regalare se stessi alla persona amata, al fratello all'amico. 
È questo dono che riempie l'altro oltre ogni aspettativa, e chi si dona è riempito di una gioia incontenibile: la stessa felicità di chi si ama.
Gesù lo ama al punto di chiedergli di essergli compagno nel donare e nel donarsi completamente: "lascia tutto e vieni con me". Vendere tutto e seguirlo.
In realtà l'amore di Gesù è estremamente concreto e si esprime nella scelta e nell'esperienza totalizzante di povertà che alcuni uomini e donne hanno avuto il coraggio di fare: ad esempio Sant'Antonio Abate; San Francesco d'Assisi; Santa Teresa di Calcutta; Charle de Foucauld ... e tanti altri sconosciuti.
Gesù non possiede nulla e dona sé stesso sempre; fino al donare la vita in tanti e continui piccoli gesti quotidiani, e non solo nel donarla sulla croce.. Ecco che amare significa fare la stessa identica cosa ...
Gesù ci vuole Liberare dai vincoli che ci tengono legati ai nostri egoismi e bisogni di possesso, desiderosi delle nostre tante cose materiali.
Ecco allora la vera domanda: quanto in noi è veramente libero?
Quanto il nostro attaccamento alle persone è un possederle più che un amarle? Mia moglie, i miei figli, i miei amici, i miei colleghi?
Quanto il nostro bisogno delle cose materiali è un antidoto alle paure e insicurezze più che una giusta necessità?
Quanto il prestigio, il successo, il denaro, la realizzazione personale sono un palliativo alla felicità invece di essere lo spazio in cui la mia vita matura e si apre alla possibilità di una vera ed eterna felicità?
Credo che il giovane se ne andò triste proprio perché di fronte a Gesù, di fronte a tutto ciò che il Signore dice, propone e rappresenta si è sentito come avvolto da una grossa catena che lo ha tenuto prigioniero, incapace di spiccare un volo di libertà.
Anche i discepoli restano sconcertati, senza parole anche loro infatti hanno ascoltato le parole di Gesù e si sono sentiti penetrati nella loro vita dallo stesso sguardo di amore, ma hanno anche sentito, dentro di sé, il suono delle loro catene, quelle catene che imprigionano la vita vera, quella capace di amare.
Pietro furbescamente vuole mettere Gesù di fronte a una evidenza: noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito ... Ma spesso anche questo è un paravento, non rappresenta una vera scelta di povertà. Ecco che anche a Pietro Gesù propone l'amore come realtà che tutto porta a pienezza e da piena felicità. La vita cristiana deve essere ricerca di questa pienezza. Essere discepolo non può essere mai un nostalgico rimpianto dei possessi passati, ma un volo libero attraverso l'amore di Gesù e dei fratelli, a Gesù e ai fratelli. Il problema allora è chiaro, il vero problema in noi è la scarsità dell'amore non l'abbondanza della ricchezza.

sabato 9 ottobre 2021

La valle di Giosafat.

Gioele 4,12-21 e Luca 11,27-28


Nel libro di Gioele ci viene detto, secondo l'opinione più comune, che Dio in questa valle giudicherà, nel giudizio finale tutte le genti. La credenza popolare ha localizzato la scena del giudizio finale nella valle del Cedron, situata a oriente di Gerusalemme, tra le mura e il Monte degli Olivi. Ma in realtà Gioele non designò nessun luogo determinato; la sua frase in ebraico è un gioco di parole: "Yhwh giudicherà nella valle del giudizio di Yhwh", cioè in quella valle indeterminata che Dio sceglierà per svolgervi il giudizio universale.
Gioele, nel brano di oggi, ci parla del giudizio finale, del momento particolare, finale e solenne, in cui Dio chiamerà tutti i popoli per il giudizio e la sentenza, tramite la quale ognuno sarà collocato al suo posto giusto. Non si parla di distruzione ma di giudizio.
In questa lettura non si stabilisce un tempo, né tanto meno si è realizzato quanto viene detto e proclamato solennemente, perché può riguardare il futuro o una situazione spirituale che si può ripetere nel tempo per gli uomini di ogni tempo. Lì siederò per giudicare tutte le nazioni dei dintorni”, dice la Voce che proviene dall’alto (capitolo 3), ma è pure la pienezza della rivelazione del Dio con noi, egli infatti non solo giudicherà ma abiterà in Gerusalemme sempre!
Ma quale è oggi la nostra idea del giudizio di Dio, sulla storia dell'uomo e su di noi?
Quale coscienza e consapevolezza abbiamo di un giudizio personale?
Forse l'idea della misericordia infinita di Dio ha ha diluito la coscienza della responsabilità di ciascuno?

venerdì 8 ottobre 2021

È un Dio cattivo se ci sollecita la conversione?

Gioele 1,13-15; 2,1-2 e Luca 11,15-26


Oggi, inizieremo a leggere il libro di Gioele, un libro - che riflette il pensiero dell'uomo della Bibbia - che mostra chiaramente due lati del carattere di Dio. Da un lato l’ira e la santità di Dio e dall'altro il Dio è pieno di misericordia e compassione. Questi due aspetti sembrano essere in contrasto tra di loro. Ma non c’è alcun contrasto, ma procediamo con gradualità. Ciò che ci fa problema è conciliare il giudizio e la severità con la misericordia, proprio perché nella nostra umanità queste situazioni si oppongono. Ma nel "cuore di Dio", richiamarci a conversione non è una grottesca forma di prova, o una coercizione con finalità positiva;  è un percorso nel quale Dio stesso si coinvolge toccando le nostre fragilità, i nostri peccati, in un processo di coscienza e di liberazione che ci rigenera, ma per noi umani, questo processo è fonte di sofferenza: è un travaglio. Pensare che in tutto questo Dio agisce nella sua misericordia e nel suo amore per ciascuno di noi è a dir poco straordinario per quanto difficile. Forse l'esperienza più assimilabile è quella genitoriale di fronte a un figlio difficile o ribelle, è l'esperienza della vicinanza e dell'amore nonostante il rigetto, spesso senza giustificati motivi. Oggi con Gioele siamo invitati, prima di tutto a vedere il cuore di Dio. Il periodo storico che stiamo vivendo, non è il frutto di una punizione divina, ma nella fragilità e criticità del momento, Dio entra nella nostra vicenda umana nel silenzio, nel nascondimento e anche nel rifiuto; ma ugualmente stando accanto, ci sollecita nella nostra umanità a non lasciarci deformare dal male del peccato. La misericordia apre all'ascolto del cuore di Dio.

giovedì 7 ottobre 2021

Recuperare la lontananza da Dio

Malachia 3,14-20 e Luca 11,5-13

È di ieri la notizia della conclusione dell'indagine della Chiesa francese sugli abusi negli ultimi cinquant'anni. Un dramma di proporzioni inimmaginabili. Queste sono le parole del Papa: Desidero esprimere alle vittime la mia tristezza e il mio dolore per i traumi che hanno subito e la mia vergogna, la nostra vergogna, la mia vergogna, per la troppo lunga incapacità della Chiesa di metterle al centro delle sue preoccupazioni, assicurando loro la mia preghiera. E prego e preghiamo insieme tutti: “A te Signore la gloria, a noi la vergogna”: questo è il momento della vergogna. E quando questa bufera si abbatterà anche sulla chiesa italiana ... Non oso pensarci ...
Quando chi nella Chiesa si pone dalla parte di chi compie l'ingiustizia, tutta la Chiesa ne viene travolta e infangata. Ma forse è il sistema "chiesa" che è malato, perché oltre alle fragilità di alcuni suoi membri ha smarrito la radicalità del rapporto con il su Signore.
Quando la Chiesa è istituzione clericale, quando la Chiesa si limita a certificare i sacramenti e a rilasciare attestati; quando la Chiesa è un ufficio di distribuzione di generi per gli indigenti, dove sta il suo essere la Chiesa di Cristo che vive la salvezza nella quotidianità della vita? Il dramma vero è essere Chiesa e insieme causa per cui l'uomo di tutti i giorni, si rivolge a Dio con le parole: "È inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall’aver osservato i suoi comandamenti o dall’aver camminato in lutto davanti al Signore degli eserciti?" È da questa umiliazione che chi vuole essere la Chiesa con Cristo e di Cristo, deve manifestare cosa significa fare del Vangelo lo stile della propria vita. Questo anche al costo di essere disprezzati.


mercoledì 6 ottobre 2021

Ma io sono capace di misericordia

Giona 4,1-11 e Luca 11,1-4


Il libro di Giona finisce qua. Non c'è scritto se Giona ha cambiato cuore o no. Si è ravveduto? Ha cominciato ad avere compassione? Certamente il messaggio principale di questo libro dall'inizio alla fine è la compassione di Dio. Dio ama perdonare chi si umilia e si ravvede dal proprio peccato. Dio si impegna a portarci al ravvedimento, per poterci perdonare. Proprio così, nelle vicende della nostra vita Dio si immerge per suscitare in noi quel profondo senso di misericordia che ci fa in tutto simili a lui. Credo che alla fine anche Giona, pur con tutte le sue durezze e fatiche sia arrivato a gustare quanto è bella in lui la misericordia di Dio. I fronte a questo perché oggi non ci facciamo questa domanda: qual è la condizione del tuo cuore? Hai un cuore di compassione? Hai un profondo desiderio per il bene degli altri, anche per coloro che sono i tuoi nemici? Questo è il cuore di Dio nei nostri riguardi, ed è il cuore che Dio ci comanda di avere nei riguardi degli altri. Nel tuo riflettere considera sempre che per mezzo di Gesù Cristo, c’è perdono. Grazie a Dio, in Gesù Cristo, Dio ci perdona, e perciò, anche noi dobbiamo perdonare gli altri, e così saremo come Dio.

martedì 5 ottobre 2021

La penitenza ci cambia

Giona 3,1-10 e Luca 10,38-42


Sembrerebbe una favola in cui uomini e animali cooperano per un fine comune: il salvataggio della loro città, della loro casa, della loro stessa esistenza. Ninive è la grande città, ma è anche la città del nemico, la città capitale dell'Assiria, che stritola gli eserciti e conquista i popoli. Eppure proprio a questa città è mandato da Dio il profeta Giona. Il racconto è sintetico ed essenziale: occorre camminare tre giorni per poter attraversare tutta la città; nel suo percorrerla, il profeta chiedeva a tutti che si convertissero dalla loro condotta malvagia. Di quale condotta si tratta? Si tratta del loro peccato, il peccato di tutti i giorni, il peccato come dimenticanza di Dio, come indifferenza e autoreferenzialità. Se vogliamo essere onesti, per quanto la vita sia piena di problemi, il nostro problema più grande, quello che ci fa più male, quello che non riusciamo a superare da soli, è il nostro peccato. L'intervento di Giona, conduce i niniviti in un itinerario di conversione; la forza della parola di Dio arrivò al loro cuore, ed essi cambiarono vita. Loro sono cambiati, infatti prima Dio non poteva entrare nella loro vita perché era chiusa nei propri vizi, nel proprio peccato; poi con la penitenza hanno aperto il cuore, hanno aperto la vita e il Signore è potuto entrare.

lunedì 4 ottobre 2021

Essere nuova creatura

Galati 6,14-18 e Matteo 11,25-30

Festa di San Francesco d'Assisi

Cosa intende Paolo nel dire "non ci sia altro vanto ...". A volte leggiamo, forse pensiamo senza fare attenzione e certe parole ci sembrano chiare, ma non le comprendiamo realmente. Il nostro vanto sia la croce di Gesù! Bella espressione, ma cosa significa?
Francesco d'Assisi, vede nella croce di Gesù e nei segni della passione - di cui ha fatto esperienza nella sua carne -, lo strumento di una intima comunione e unità con il suo amato Signore. È questo mistero di unità che mette in Francesco la percezione di una meravigliosa trasformazione della sua stessa vita: Francesco si accorge, un poco per volta, che sta diventando una nuova creatura, si sta rinnovando diventando sempre più simile nei pensieri e nei sentimenti a Cristo.
Il nostro vanto allora non saranno mai i nostri successi, le nostre imprese riuscite o le battaglie vinte, ma semplicemente il vanto è la compiacenza di appartenere al Signore, di servirlo, di amarlo anche solo con la nostra fragile umanità.
Nuove creature in forza della presenza di Gesù in noi. Per poter vivere tutto questo occorre accettare di essere parte delle sofferenze, della crisi, dell'impotenza e delle sconfitte degli uomini e donne del nostro tempo, così come Gesù sempre ha fatto, caricando nel suo corpo l'umana fragilità; ma nello stesso tempo ha mostrato come ogni sofferenza chiede di essere riscattata e di essere nuova vita e piena felicità.

domenica 3 ottobre 2021

Non è bene essere soli ...

Gen 2,18-24;  Sal 127; Eb 2,9-11; Mc 10,2-16


"Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina". Ok 
Queste parole di Gesù, ci riportano immediatamente al senso più profondo è vero del racconto della Genesi, lì dove nei capitoli primo e secondo viene narrata la creazione dell'uomo e della donna, ma oltre a questo Gesù prende subito le distanze dalle interpretazioni umane e strumentali che si è fatto in nome di Mose per giustificare delle norme morali e di comportamento.
Innanzi tutto occorre sfatare l'idea che i racconti del libro della Genesi siano mitologie o racconti fantasiosi che servono per rappresentare la creazione del mondo; una sorta di epopea cosmologica.
No, anzi occorre ricordare che spesso la nostra mancanza di conoscenza della Sacra Scrittura ci porta a leggere con distrazione e superficialità queste pagine.
Questi racconti infatti, costituiscono la sintesi di una profonda riflessione teologica (su Dio) e antropologica (sull'uomo).
che trae dalle immagini delle culture nelle quali si è sviluppata le situazioni e le forme che noi oggi conosciamo.
Queste pagine possono illuminare il nostro cammino di uomini e donne in un contesto estremamente confuso e contraddittorio come quello della nostra cultura; come anche costituire un argine di fronte ad un ritorno a esperienze disumane e barbare.
Lo sfondo di questi capitoli a cui Gesù fa radicale riferimento è la creazione, l'opera di Dio in cui si comprendono l’armonia di tre relazioni – con Lui (Dio); con le cose che ci ha dato (il mondo); con gli uomini e le donne (il prossimo), - una armonia che da subito trova la sua corruzione a causa della libertà umana capace di scelte alternative, come l'allontanarsi da Dio (secolarizzazione); la devastazione della natura (inquinamento); la violenza per il proprio simile (femminicidio, schiavitù e sottomissione).
Al cuore di tutto questo c'è l'uomo la donna, da cui oltre tutto, ha origine la famiglia così come noi la conosciamo.
Questa terza relazione è, dice il testo ebraico, una relazione tra uguali: l’uomo cerca nella donna un “aiuto”, ovvero una persona che “stia davanti a sé”, un’alleata con la quale stare “di fronte”, con gli occhi negli occhi. 
Si intuisce immediatamente che questo rapporto è di uguaglianza, di rispetto e di diversità.
È emblematico che solo dopo quel sonno, che riporta Adamo, che in ebraico non è nè maschi e nè femmina, ma un neutro; Dio realizza una nuova creazione che  si concretizza nell'uomo (his, maschile) e nella donna (hissa, femminile). Ma ciò che accompagna e caratterizza questa dualità è che devono essere una carne sola, come dire saranno completi solo nella comunione della diversità, altrimenti sarà solo una solitudine esistenziale incolmabile.
La tradizione ebraica antica di oltre 2000 anni, così descrive l'origine della donna da una costola la di Adamo: "La donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai piedi perché dovesse essere calpestata, né dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale, un po’ più in basso del braccio per essere protetta, e dal lato del cuore per essere amata".
La seconda relazione ci conduce a vedere nell'uomo e nella donna dei veri custodi del creato. Azione che non si esaurisce nel ruolo quasi di portinaio, quasi una professione; ma il custodire presuppone una volontà di farsi carico di una tutela amorevole (Laudato sì). Tutto questo non ha nulla di strumentale, ma ci svela il maturare di una responsabilità di chi è parte del creato e non semplice conquistatore.
È ora la prima relazione, quella con Dio, si fonda sul nostro essere a sua immagine, al punto che si potrebbe dire siamo i legali rappresentanti, gli amministratori delegati del Padre cielo. Ma questo nulla ha a che vedere con l'amministrazione dei beni della terra, quanto piuttosto con la paternità di Dio; è la nostra figliolanza che ci fa eredi e amministratori dei beni eterni.
Ecco allora, come dice Gesù - "ma all'inizio della creazione" - la Scrittura di oggi, ci riporta a ciò che c'è all'origine, ci riconduce all'amore come motivazione del vincolo tra uomo e donna; ci sostiene nel riscoprire l'amore come strada della misericordia e del perdono, dell'affetto e della passione. Se si dimentica l'amore come collante tra un uomo e una donna, divorziare non solo è legittimo e giusto - come dicono i farisei - ma forse il più delle volte diventerebbe indispensabile.
Gesù disconoscendo tutte le convenzioni sociali e le leggi umane, rivestite di autorevolezza divina, ci mette tutti allo scoperto, e chiama in causa la nostra durezza di cuore, la nostra resistenza a lasciare che sia la legge dell'amore ad avere la priorità rispetto a tutto.


sabato 2 ottobre 2021

Custodia e meta

Esodo 23,20-23 e Matteo 18,1-5.10


Prima di tutto occorre ricordare che l’esistenza degli Angeli è un dogma di fede, definito più volte dalla Chiesa, nei secoli, la riflessione sugli angeli ha elaborato una teologia che riguarda lo loro esistenza, creazione, spiritualità, intelligenza, volontà, compiti, elevazione e caduta. In tutto l'Antico e Nuovo testamento, gli angeli, sono citati e ti ricordati non come figure marginali. L'Angelo Custode indica l’esistenza di un angelo per ogni uomo, che lo guida, lo protegge, dalla nascita fino alla morte, è citata nel Libro di Giobbe, ma anche dallo stesso Gesù, nel Vangelo di Matteo (oggi), quando dice: “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli”.
Il testo di Esodo, può darci un aiuto nel comprendere il ruolo dell'Angelo Custode: il “custodire”, e quella di far raggiungere la meta, la terra promessa. Anche per noi, allora, nel nostro cammino siamo sempre accompagnati dalla presenza di questo straordinario "custode" che, al di là delle nostre fragilità e dei nostri limiti umani, ci garantisce quell'aiuto necessario per raggiungere la meta, cioè la nostra terra promessa, la nostra eterna felicità.