domenica 23 ottobre 2022

Intimamente presuntuosi

Sir 35,15b-17.20-22a; Sal 33; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14

Come vogliamo uscire da qui, da questa Messa oggi? Vogliamo uscire Farisei o Pubblicani?
Sarebbe facile per ciascuno rileggere il vangelo e capire l'itinerario di conversione che ci viene suggerito. Non ci vuole un genio a riconoscere ciò che è vero, essenziale, buono e necessario.
Ecco allora che il Vangelo illumina anche la nostra esperienza attuale, personale e comunitaria, mette in guardia da certi stili e certe convinzioni.
Gesù nella parabola descrive bene due personaggi molto noti al suo tempo: un fariseo un pubblicano.
Il fariseo è l'immagine, di chi anche oggi, si circonda di uno spazio vitale fatto di regole rigide, di cose che danno sicurezza e di persone per compensare il bisogno di relazione...
Il fariseo moderno si chiuderebbe in sé stesso, in una sorta di confronto giudicante con il mondo, assumendo sé stesso come modello, in un continuo giudicare i fratelli.
Come verrebbe compreso e percepito, oggi, un cristiano che dicesse: "O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano […]".
Siamo tutti concordi che la preghiera del fariseo, non può essere assolutamente la nostra preghiera?
Se quella fosse la nostra preghiera, e anche solo se nel nostro cuore ci fosse un pizzico di quella presunzione, quella preghiera sarebbe sterile, una preghiera solitaria e autoreferenziale ..."
Il pubblicano invece ci racconta la nostra umanità fragile, ci mette di fronte ai nostri limiti d soprattutto ai nostri fallimenti.
Il pubblicano non è solo peccato o peccati ma è la sintesi della nostra più umiliante sconfitta: ciascuno di noi non basta mai a sé stesso. Dobbiamo sempre chiedere una mano …
Il nostro pubblicano è immagine di chi si sente sbagliato, di chi è sempre fuori luogo, di chi è scarto della realtà e non vede per sé prospettive.
Il pubblicano immagine di una Chiesa Santa ma peccatrice, che costantemente sente l'urgenza di rinnovare sé stessa in forza di quell'intimo legame con il suo Signore che la spinge a fermarsi a distanza, e con timore non osare nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batte il petto dicendo: O Dio, abbi pietà".
Anche noi, anche la nostra comunità, anche la Chiesa non può bastare a sé stessa. Tutti abbiamo bisogno dell'altro, anche se fragili, anche se peccatori.
Ripercorsi questi personaggi, pensiamo realmente a come escono dall'incontro con Dio?
Noi come usciamo dal nostro incontro domenicale con il Signore, dall'incontro con la Parola, e con il suo pane?
Noi che oggi usciamo da questa Chiesa siamo la Chiesa di Gesù, non una comunità di perfetti, ma di discepoli in cammino, che seguono il Signore perché si riconoscono peccatori e hanno bisogno del perdono.
Fintanto che non facciamo nostro l'amore per il prossimo, come obiettivo e come modo per convertire e coltivare la nostra natura umana incline ad essere come il fariseo, con fatica riusciamo a comprenderci come quel pubblicano che nel vivere il dramma delle proprie fragilità sente la vicinanza di Dio. Amarci ci insegna a:
- riconoscere la ricchezza del pubblicano, per cui la vita dell'altro mi diviene "cara";
- mi insegna a passare dall'io al tu che è il modo di esprimersi della Chiesa di Gesù che non sta rinchiusa in un piccolo gregge di eletti, e di puri;
- mi insegna a stare in mezzo alle persone, a stare con la gente, consolando, alleviando, servendo, offrendo misericordia e vivendo il perdono.
Allora vi ripeto la domanda: "Come vogliamo uscire oggi da questa Messa?"

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