domenica 13 novembre 2022

Non siamo alla fine!

Mal 3,19-20a; Sal 97; 2 Ts 3,7-2; Lc 21,5-19

Quando contempliamo Gerusalemme dal monte degli Ulivi restiamo impressionati dalla grandezza e dalla bellezza della grande spianata sulla quale era stato edificato il suo grande tempio.
Oggi come venti secoli fa, una costruzione come quella suscitava sorpresa e meraviglia in chi la contemplava per la prima volta ed era motivo di orgoglio. Quella imponente mole di pietra sembrava indistruttibile.
E' in questo sguardo che possiamo rivedere ciò che Gesù vedeva ...
E fu proprio così, perché qualsiasi tempio, pur se fatto di pietre solide e preziose, potrà durare un secolo, due… ma non può durare in eterno. Di fatto poi quello stesso tempio fu distrutto dopo circa 40 anni, dato che nel 71 d.C. Gerusalemme venne rasa al suolo da Tito Flavio Vespasiano, futuro imperatore di Roma.
Ma la distruzione del tempio preannunciata da Gesù è figura non tanto della fine della storia, quanto del fine della storia. Infatti, di fronte agli ascoltatori che vogliono sapere come e quando accadranno questi segni, Gesù risponde con il tipico linguaggio del genere apocalittico molto diffuso a quel tempo.
Forse anche noi di fronte agli sconvolgimenti a cui assistiamo, non troppo diversi da ciò che Gesù dice: "Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo ..." ci sentiamo in angoscia o siamo turbati circa il fine o la fine di tutto?
Certamente ci sentiamo molto insicuri, sottoposti a una incertezza che ci priva di quella determinazione nella quale ci siamo illusi e coccolati.
Abbiamo negli occhi e nel cuore le immagini e la paura dei recenti terremoti; delle inondazioni; abbiamo nel cuore il grido dei migranti affogati nel mare mediterraneo, uomini, donne e bambini; abbiamo nelle orecchie il rumore che i media ci riportano dei cannoni e delle esplosioni dei missili della guerra in Ucraina. Vediamo come tutto questo mette in ginocchio la vita di tanti nostri fratelli, e come anche l'incognita ci raggiunge e tocca anche noi.
La realtà si colora con le tinte drammatiche della povertà, dell'indigenza, della violenza, del dolore inspiegabile, del tradimento della fiducia e delle aspettative.
E' di fronte a tutto questo che Gesù non ci nasconde le ferite della vita, ma ci chiede di perseverare: di confidare nel fatto che il bene vince sempre sul peccato e sulla morte.
Infatti la nostra fede non è religiosità rigida che sta in piedi in forza di un mucchio di pietre!
Un giorno non resterà pietra su pietra delle nostre magnifiche costruzioni, delle piramidi millenarie, della magnificenza di San Pietro; ma l’uomo, salvato e redento da Cristo resterà per sempre. L’uomo resterà, nella sua interezza, perché c'è un Dio, un Padre, innamorato di ogni uomo.
Il nostro essere comunità cristiana, non è un formalismo o un retaggio tradizionale, ma la conseguenza di chi spera che si impegna nel cambiamento per vincere il fine distruttivo che è radicato nella realtà e nelle cose, nella storia, e anche in ciascuno di noi.
Un fine distruttivo che conosciamo fin troppo bene, ma che non ci vincerà, perché nel mondo intero è all’opera anche una radice di tenerezza, che è più forte: ed è l'amore di Cristo, la sua vita per noi, per questo nemmeno il più piccolo nostro capello andrà perduto. Quale deve essere il nostro stile oggi?
In piedi, a testa alta, occhi alti, liberi, profondi: così oggi ci vede il vangelo. E non musoni e col volto triste!

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