domenica 5 giugno 2016

1 Re 17,17-24 / Salmo 29 / Galati 1,11-19 / Luca 7,11-19
Richiamare alla vita ... Per la risurrezione ...


La nostra stessa esistenza è lo spazio (il palcoscenico) in cui vita e morte non semplicemente si affrontano ma mettono in scena un dramma esistenziale in cui la morte ha un ruolo da protagonista. Ed è in questo rappresentazione che la risurrezione pone le condizioni nuove perché il dramma non si concluda con un monologo della morte.
Ciò che il risorto determina con la sua incarnazione, morte e risurrezione è semplicemente dare concretezza alla misericordia dentro la nostra vita.
Il Vangelo ci mostra Gesù che si commuove, che si muove a compassione ... Dio non è impassibile della sofferenza umana e della morte, non lo è mai. Gesù si avvicina, Gesù vuole entrare in relazione con questa vedova,questa mamma, ma anche con quel simulacro di morte che è la bara. Gesù pala, la sua parola non gira intorno a quel dramma ma si pone a confronto con a morte: Alzati.
Noi che cosa crediamo?  Se crediamo in Gesù Cristo figlio di Dio, incarnato, morto e risorto, non possiamo essere passivi nella rappresentazione dell'esistenza.
Esiste una leggera incongruenza tra la nostra fede e il modo in cui certe vicende di oggi ci vengono proposte e di come noi reagiamo.
La morte di tanti profughi in mare, uomini, donne e bambini ... Da parte nostra su limita spesso a una registrazione passiva della loro morte ... E forse anche a un assistere immobile all'accadere della morte.
Noi che siamo di Cristo, dobbiamo sentire in noi stessi compassione, noi dobbiamo porre in atto tutto ciò che testimonia la vita ... Di fronte all'assordante silenzio del morire, noi dobbiamo trovare il modo di toccare la disperazione e avere il coraggio di raccontare come la vita vince sempre sulla morte, e che noi, i viventi possiamo sempre porre condizioni in cui sia possibile gustare la vita per imparare a conoscere il sapore della vita eterna. Dio ha visitato il suo popolo allora ... ma non smette di visitarlo oggi.

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