mercoledì 21 settembre 2016

Efesini 4,1-7.11-13 e Matteo 9,9-13
"Non venni a chiamare i giusti ma i peccatori"

Frase molto nota e rassicurante, sembra una giustificazione per i nostri limiti e una via di scampo per tanti considerati "peccatori", ma attenzione a non farla troppo facile.
Certamente, Scribi e Farisei, moralisti, non sanno più cosa significa la parola misericordia e si attengono solo alla formalità della legge; ma le parole di Gesù, di conseguenza impegnano il peccatore alla misericordia e al sacrificio. La convivialità non è un semplice "vogliamoci bene!". Essa esprime la "chiamata" del peccatore, passa attraverso il nostro essere peccatori, proprio perché facciamo esperienza di peccato, cioè di una esistenza carente rispetto all'amore di Dio e alla esperienza della sua fedeltà; Gesù propone di accostarci alla sua parola, di accogliere il cambiamento dovuto al Vangelo. Matteo è l'esempio di un peccatore che accolta la parola sceglie la vita da discepolo: lui stesso diviene sacrificio gradito, e lui stesso fa della Misericordia la sua condizione esistenziale. Anche Gesù, come il Padre, vuole Misericordia e in un certo senso anche il sacrificio cioè l'offerta della vita.

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