martedì 2 febbraio 2021

Portarono Gesù al tempio per offrirlo ...

Malachia 3,1-4 e Luca 2,22-40


Il lungo brano di Vangelo di oggi, denso di situazioni che si susseguono incalzanti e di forti contenuti teologici, rischia di essere inteso solo come, da una parte un evento rituale e dall'altra una vicenda narrativa riferita al bambino Gesù dopo la nascita.
Ciò che mi colpisce sempre è invece il profondo legame con la storia di Israele, con le sue origini, quando la liberazione dall'Egitto è segnata dal sacrificio dei primogeniti, e dal riscatto dei primogeniti del popolo di Israele. Un segno fortissimo: da un lato per la sua efferatezza, dall'altro espressione assoluta di predilezione a parte di Yhwh come anche di consacrazione, appartenenza e offerta da parte di un intero popolo. 
Mi soffermo quindi sulla espressione: "Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore."
La vita dell'uomo è sacra al Signore, e Dio stesso entra nella vita umana, perché è anche sua, e la riempie di sacralità, cioè appartiene al mistero dell'eterno. Ciò che Maria e Giuseppe compiono, va oltre il gesto rituale di una sottomissione alla legge di Mose e alle tradizioni di Israele, quel rito anticipa e rappresenta il segno della liberazione (dalla schiavitù) e del riscatto di una vita per una eredità di pienezza (la terra promessa). Offrire quindi sé stessi a Dio cosa vuol dire? Non è godere già nella vita presente del dono della libertà dei figli per vivere il tempo presente come cammino verso il pieno compimento della nostra chiamata alla vita di Dio, cioè appartenergli? Quando oggi accenderemo quella candela, e vivremo il sacrificio della eucaristia, offriamo noi stessi al  Padre senza esitazioni ...
 

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