domenica 27 marzo 2022

Figli degni, figli indegni e figli

Gs 5,9-12; Sal 33; 2 Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32

 

Ci stiamo avvicinando rapidamente alla Pasqua, e la Chiesa ci offre questa immagine di un Dio in attesa, un Padre che, nonostante che i figli si siano allontanati, non perde mai la speranza che possano tornare e che, appena li scorge da lontano, gli va incontro per riportarli a casa e far festa (gioia) con loro.

Mi viene da pensare che questa immagine è ben più di una parabola, ma è il racconto di una scoperta, di una esperienza: quella che Gesù ha fatto di suo Padre, di Dio; quella che lui ha vissuto come esperienza di paternità, con Giuseppe e con il Padre che ha nei cieli.

Proprio per questo, credo, sia necessario riscoprire le vicende che tratteggiano l'esperienza che anche noi abbiamo fatto della paternità, condizione necessaria per riconoscerci figli e fratelli. Gesù ci racconta una parabola attraverso vari personaggi, definendo da subito due figure di figli:

- i Figli degni, scribi e farisei, uomini e donne pii e devoti delle leggi e delle tradizioni del popolo di Israele; figli spesso rinchiusi nella rigidità della morale.

- i Figli indegni, pubblicani e peccatori, uomini e donne che si sono allontanati, scegliendo una vita fatta di ricerca e di autonomia, come anche di scelte morali ed etiche non condivise, se non giudicate addirittura contro la legge di Dio.

Ciò che emerge come interessante è proprio l'atteggiamento di Gesù che si lascia avvicinare da entrambi, figli degni e figli indegni, perché lo sguardo di Gesù va oltre le nostre categorie umane e morali, cogliendo l'urgenza del nostro cuore; egli comprende le nostre ferite e fragilità, perché “dove ci fu colpa, sovrabbonda la misericordia”.

Gesù vuole che nessuno vada perduto, dei figli del Padre suo; tutto si spende affinché ciascuno sia accolto nel grembo del Padre. Ciò che Gesù imprime nella parabola è: "rendiamoci partecipi dello sguardo amorevole di un Padre concreto”. Un padre che è costretto vivere l'esperienza dell'abbandono, essere messo da parte da entrambi i figli, sia degni che indegni.

Ecco proprio l'esperienza di abbandono: il figlio più giovane se n’è andato perché pensava che la felicità e la libertà si trovassero lontano dal padre, e che insieme a lui sarebbe vissuto sempre condizionato.

Il figlio maggiore si era allontanato molto prima perché, se pure vivevano sotto lo stesso tetto, non lo facevano come padre e figlio ma come padrone e servitore.

Il Padre diviene oggetto di un abbandono che vuole cancellare la sua paternità; la cancellazione di ciò che significava essere padre. L'abbandono vissuto dal Padre è lo strappo della relazione viscerale, è l'uscire di casa, il non volerci entrare, ciò rappresenta l'abbandono e il rifiuto dell’intimità che ti ha generato…

Entrambi i figli hanno fatto sparire davanti ai loro occhi la figura del Padre, che non esisteva più come tale.

Il rapporto fra il padre e i figli era stato destrutturato e la conseguenza di tutto ciò è che sia il Padre, che i figli, erano rimasti soli.

È in questa immagine che ciascuno è invitato a riappropriarsi, se non a rielaborare la propria esperienza di paternità vissuta o subita, e ora quella che si esprime nel rapporto con i figli, i fratelli, gli altri e Dio stesso.

Il rischio della paternità è di non viverla in pienezza; per cui, come io vivo la mia esperienza di paternità? Come la esprimo? Cosa mi aspetto da un Dio che mi è Padre?

Nella parabola si afferma che soltanto quando siamo capaci di concedere libertà agli altri (ai figli), anche se li perdiamo per sempre, viviamo in pienezza la paternità. Libertà di essere e di permettere di essere, è uno dei passaggi più importanti per comprendere la paternità e l'essere figli. Tanto importante per quanto è difficile. Come si recupera la paternità, come ritornare al Padre per un abbraccio che riconcili la vita e i ruoli? Occorre credere che è possibile cambiare. Occorre spendersi, coinvolgersi nel rendere la paternità uno spazio bello di amorevole cura e attenzione. Uno spazio che possa essere luogo della festa, della gioia intima, della pazienza e dell'attesa benevola, non rancorosa, ma la condizione in cui nel frattempo si moltiplica in noi la misericordia da offrire ai figli, ai fratelli ... Questa credo, sia vera esperienza di paternità, quella che desidero per me e quella che spero di poter offrire ai miei figli.

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