domenica 11 settembre 2022

Terza guerra mondiale

Es 32,7-11.13-14; Sal 50; 1 Tm 1,12-17; Lc 15, 1-32

Questo è il nostro tempo: dopo il crollo delle ideologie, dopo lo tsunami della globalizzazione e della digitalità, ci avventuriamo nella terza guerra mondiale; tutti contro tutti, cioè nella ricerca di sfuggire alla povertà economica e di salvaguardare dei diritti e dei privilegi di parte a danno dei nostri fratelli.
Terza guerra mondiale: ovvero la guerra tra gli uomini che hanno perso Dio.
Se Israele si era pervertito e aveva abbracciato il vitello d'oro; in questo nostro tempo di guerra mondiale; l'uomo non ha più bisogno di un Dio da abbracciare e a cui affidarsi; Dio non serve, Dio non è necessario, non sappiamo cosa farcene, non abbiamo bisogno di portarlo in battaglia come un simulacro, e neppure di chiedergli di benedire le nostre armi, tecnologicamente troppo avanzate ...
Ecco, finalmente ci siamo riusciti, abbiamo perso Dio. Non lo abbiamo semplicemente tradito o abbandonato, lo abbiamo proprio perso.
Ecco allora che la pagina del vangelo di questa domenica è fondamentale per chi si lascia interrogate circa la propria fede.
Io pecora mi sono persa ...
Io moneta mi sono persa...
Io figlio mi sono perso ...
In realtà sembra di essere di fronte alle sconfitte di Dio. Ma la parabola non è un semplice racconto, essa descrive il modo di reagire rispetto alla sconfitta.
Ed ecco che Dio è un pastore che sfida il deserto; è una donna non si dà pace per la moneta che non trova; è un padre tormentato, che non si arrende e non smette di sperare e vegliare.
Noi possiamo aver perso Dio, ma lui non ci perderà mai.
Quella pecora sembrava uguale a tutte le altre 99, oppure poteva apparire più stupida o sprovveduta, ma per il pastore è l'unica pecora che gli manca.
Quella moneta poteva essere una di tante, forse di neanche troppo valore, ma per quella donna rappresentava una ricchezza speciale e indispensabile, irrinunciabile.
Quel figlio non era come tutti gli altri, e quel padre, neppure lui è come gli altri padri. Quel figlio è amato ...
Il figlio è per definizione amato, ogni figlio lo è, e quel padre è proprio speciale perché è l'unico Padre che abbiamo nel cielo.
A Dio non interessa il motivo per cui ci siamo messi nei guai, neppure il motivo di questa assurda guerra tra fratelli; a Dio interessa che ci lasciamo trovare, che ci lasciamo cercare, che ci lasciamo abbracciare.
È sufficiente che compiamo un primo passo nella direzione buona. Ciascuno di noi può camminare, ma Dio corre. L’uomo si avvia, Dio è già arrivato e ci attende.
Trovare Dio significa vivere con lui e tra di noi una relazione nuova e vera, come quella che Gesù racconta con le parabole. La sua stessa relazione di figlio con il Padre.
Quando il nostro rapporto con Dio è umanamente vero e non una idolatria religiosa, allora non saremo dei sottomessi al mistero incommensurabile di un Dio lontano, ma sapremo amarlo da innamorati.
È questa la condizione per cui l'uomo, che è figlio, vive in pienezza la sua natura, cioè vive in pienezza quella festa per cui è stato creato.
Vivere la festa, e non la contrapposizione di una guerra nella ricerca di una vittoria. Quella vittoria non sarà mai una festa, ma sarà il frutto del sangue innocente versato ingiustamente. Sarà il frutto di uomini traditi nella loro identità e dignità.
Trovare Dio, deve essere per tutti noi la possibilità di godere di un abbraccio e di un padre scandalosamente buono …, così eccessivo, così esagerato. Dobbiamo desiderare questo Dio con tutto noi stessi.

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