domenica 5 novembre 2017

Malachia 1,14-2,2.8-10 / Salmo 130 / 1 Tessalonicesi 2,7-9.13 / Matteo 23,1-12
Maestro, Padre e Guida: tre "verbi" per la felicità!

Martin Buber, filosofo israeliano scrive: "Servo è la più sorprendente definizione che Gesù ha dato di se stesso: «Io sono in mezzo a voi come colui che serve». Servire vuol dire vivere «a partire da me, ma non per me», secondo la bella espressione di Martin Buber, ci sono nella vita tre verbi mortiferi, maledetti: avere, salire, comandare. Ad essi Gesù oppone tre verbi benedetti: dare, scendere, servire. Se fai così sei felice."
Alla luce di queste parole possiamo rileggere il Vangelo di oggi, e ripensare le parole di Gesù come rivolte alla Chiesa, alla nostra comunità, a noi stessi.
Scribi e farisei siamo tutti noi, nella chiusura dei nostri pensieri; siamo noi quando sostituiamo alla novità del Vangelo e alla sua rivoluzionaria proposta il nostro timore, la nostra paura, i nostri schemi, le nostre leggi.
Ogni giorno occorre dirsi che:
- La nostra comunità non può essere fatta di persone schiacciate, appesantite da una religiosità senza respiro;
- La nostra comunità non può essere fatta in forza di progetti e programmi pastorali;
- La nostra comunità non può essere quella degli obblighi del catechismo;
- La nostra comunità non può essere fatta neppure per gli obblighi verso un Dio pressoché ignoto;
- La nostra comunità non può essere segno di ostentazione, di visibilità per alcuni su altri;
- La nostra comunità non può essere la realtà in cui sentirsi degli "importanti";
- Una comunità così, è una comunità che non ha sguardo, non ha orizzonte, non ha gioia, non ha né il Padre, né il maestro e neppure la guida; è una comunità che non si edifica sul Signore. Ma si costruisce su dei Padroni, Caporali e Schiavi.
Gesù alla nostra comunità, dice che è tramite il servizio umile che si costruisce il regno dei cieli, che si edifica la Chiesa sulla roccia del suo amore, che si dà vita a una comunità di fratelli, che si intraprende un cammino ogni giorno con coraggio e gioia.
Ma forse siamo talmente inquinati nei nostri ragionamenti che l'idea del servizio la intendiamo come:
sciocca in quanto l'umiltà del servire ci sembra da poco furbi (servizio alla gente, ai tuoi fratelli, a coloro che ti sfrutteranno e non ti riconosceranno nulla);
inutile perché insignificante risotto alle esperienze che il mondo oggi propone (vivi per te stesso, vivi facendo ciò che ti piace ... ciò di cui hai voglia!);
- superflua perché non mi fornisce una ricompensa, un tornaconto (il servizio, non è neppure un volontariato che ha diritto al rimborso spese).
Ma perché tutto questo disorientamento, anche tra di noi?
Il SERVIRE, invece, è una fonte di felicità. Servire permette di riscoprir le ragioni profonde del nostro essere Chiesa, comunità, e discepoli.
Siamo Chiesa perché insieme possiamo pronunciare ancora quella parola che Gesù ci ha insegnato con estrema tenerezza, quella parola che lui stesso sussurrava nel pregare e che gridava quando insegnava alle folle, e che ha gridato anche sulla croce: "Padre!"
- Siamo Comunità quando ci  mettiamo alla scuola di quell'unico maestro che è il Cristo, quel maestro capace di insegnarci la libertà dalle schiavitù del peccato, dai vizi della vita di oggi, dalla pesantezza degli obblighi del perbenismo. Un maestro che ti insegna che è l'amore l'unica cosa da imparare; l'unica necessaria per essere vere.
Siamo discepoli quando scopriremo che non è poi così male la guida che è il Cristo, certo è una guida alternativa, è una guida che sorprende nelle prospettive verso cui ci conduce.

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