venerdì 7 giugno 2019

Atti 25,13-21 e Giovanni 21,15-17
...  alcune questioni relative alla loro religione e a un certo Gesù ...

Paolo si appella affinché la sua causa sia sottoposta a "Cesare", è così il suo caso finì a Roma. È questa la prospettiva che si apre dinnanzi all'Apostolo delle genti: dare testimonianza della sua fede in un "certo Gesù, morto, che egli sosteneva essere vivo."
Il vertice, l'apice della fede, è la testimonianza suprema attraverso la vita stessa. Non si compie questa testimonianza per eroismo o per dovere religioso; si compie questo solo se si è legati a un amore grandissimo per Gesù; se abbiamo ascoltato le sue parole e se quindi l'amore di Gesù per noi ci ha fatto gustare la comunione e l'unità nello Spirito con il Padre. Paolo da "bravo fariseo", osservante della Legge dei padri, in Gesù ha contemplato il mistero di amore che è Yhwh, ed è così entrato nella vita nuova, la vita del discepolo. Quanto Il Vangelo di oggi ci racconta del dialogo tra Gesù Risorto e Pietro diviene condizione particolare di ogni "chiamato" a seguire il Maestro da vicino ma anche condizione universale di ogni credente. Nel dialogo appassionato tra "l'amare" di Gesù e il "voler bene" di Pietro, si delinea la dinamica inadeguata della nostra risposta all'amore del Maestro, ma anche la sua misericordia che ci accoglie e ci accompagna nel cammino dell'amore a Dio (primo dei comandamenti).
Non ho mai letto  questa "frase" in modo rivelativo della condizione di che è condotto ad amare, ma nella vita di Pietro, alla sua ruvidezza di amare a suo modo il Maestro (quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi) segue la condizione nuova di chi cresciuto nell'amore si abbandona all'amore del Maestro (ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi); questa è vera sequela! Risposta autentica alla chiamata e alla vocazione personale.

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