mercoledì 2 giugno 2021

La fatica della sofferenza

Tobia 3,1-11.16-17 e Marco 12,18-27

Sia Tobì che Sara esprimono nella loro vita il dramma di chi soffre e non trova alcuna consolazione né da chi si ama, né dagli amici e neppure da chi è più prossimo.
Entrambi sperimentano l'esclusione e il giudizio colpevolizzante degli altri che non tengono conto di nulla, circa la verità della loro vita, ma che si limitano a indicare nella malattia o nella maledizione il segno del giudizio di Dio. Per entrambi il giudizio è senza pietà, essi hanno sbagliato tutto nella vita e il loro peccato insieme al peccato di infedeltà del popolo li sovrasta. Nelle vicende personali si ripercorrono i limiti e le infedeltà di coloro che li hanno preceduti, del popolo e dei loro progenitori.
Ma è proprio di fronte a questa degenerazione e a questa straziante condizione di vita, che solo promette depressione, abbandono e un profondo desiderio di morte, che l'autore sacro pone in contrapposizione la presenza di Dio, così come dalla sua rivelazione ad Abramo, Israele ne ha riconosciuto i tratti consolatori. Si tratta dell'agire nascosto e provvidenziale di Dio; un Dio che non manca di soccorrere chi in lui si rifugia. È Raffaele, l'angelo, che diviene mediazione dell'agire di Dio. Dio si manifesta con delicatezza, con intermediari, che con  la loro umanità accompagnano e si accostano alle ferite della vita, fino ad accostare a ciascuno di noi lo stesso Signore, rolanciando così il desiderio di felicità e compimento, che neppure la più forte sofferenza potrà mai estinguere o stralciare dal nostro cuore. La storia di Tobì, Tobia e Sara, rappresentano una catechesi narrativa, ci viene chiesto di entrare attraverso le loro vicende personali, in quel raccontarci le nostre fatiche e sofferenze, per poter riconoscere anche l'agire discreto e delicato di Dio, che mai si sottrae rispetto all'essere consolazione è misericordia.

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