domenica 21 ottobre 2018

Isaia 53,10-11 / Salmo 32 / Ebrei 4,14-16 / Marco 10,35-45
Allo stesso modo in cui Gesù ha servito e ha dato la propria vita ...

Noi siamo discepoli di un Dio che, fatto uomo nella carne, si è fatto servo. All'apice della sua "carriera", si è cinto con un asciugatoio, si è chinato sui piedi dei suoi amici e li ha lavati e asciugati, ha compiuto il gesto, il segno del servo, chiedendo di fare altrettanto gli uni verso gli altri. È questa immagine del capitolo 13 di Giovanni - ultima cena di Gesù - che risuona in queste righe del Vangelo di Marco dove Gesù precisa ed indica ai discepoli il modo in cui l'adesione al maestro non è una formalità o una semplice affiliazione, ma è la vita unita a quella del maestro.
Dopo aver corretto il pensiero dei discepoli, condizionati dall'ideologia del potere, della ricchezza, del comando, Gesù rivela come al discepolo è riservato di "bere il calice ... e di essere immersi nel suo battesimo ...".
"Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato".
Per Gesù bere il calice e ricevere il battesimo significano: versare e offrire il proprio sangue, quel sangue versato per noi! Quel sangue che ricevo nell'Eucaristia scorre nella mia vita reale dei discepoli, non solo in quella rituale dei 45 minuti domenicali della messa in chiesa. Gesù dopo aver offerto il vino, e prefigurato il suo sangue versato sulla croce, chiederà al padre che quel calice passi da lui (umanamente comprensibile) ... poi lo berrà fino al fondo, accetterà liberamente quella esperienza di affidamento totale per compiere la volontà del Padre e rendere reale la salvezza.
Bere il calice, ricevere il battesimo sono simbolo della gioia e della sofferenza; della vita personale e della volontà di Dio; della passione e della morte; per cui come Gesù si appresta a berlo, nello stesso modo anche al discepolo è offerto di berlo e di immergervisi ...
Queste parole devono appartenerci, esse tracciano e si incidono nell'esperienza di chi, divenuto discepolo di Gesù, si trova nel percorso di maturare la vera appartenenza al maestro. Oggi più che mai, noi cristiani dobbiamo bere il calice del Signore e immergerci a vivere come cristiani, insieme a lui, la realtà che ci è affidata.
Questa consapevolezza significa:
- Non adeguiamo, riduciamo e conformiamo il regno dei cieli a nostri desideri;
- Non lasciamo correre realtà nel suo precipizio di vuoto e di indifferenza.
- Non chiudiamo il nostro cuore alla provocazione del Signore, a sollevarci al di sopra della nostra limitatezza e delle nostre richieste/pretese.
La vita dei cristiani, l'esperienza della Chiesa chiede costantemente di essere rimodellata rispetto alla Parola. Non possono coesistere logiche di potere, di arrivismo, di protagonismo per chi è chiamato a vivere il Regno dei cieli, un regno in cui il Re è il servo di tutti! Per questo a chi vuole seguire il Signore in questo progetto di vita, viene detto che "anche lui berrà il Suo calice e sarà battezzato nel Suo battesimo!"
Per questo oggi:
- Oggi, non possiamo rimanere indifferenti rispetto alle sofferenze di una umanità disperata, affamata e perseguitata. L'accoglienza, l'integrazione (quella vera) non sono problemi sociali o politici, e non possono essere deputati ai trattati internazionali e alle quote di profughi da accogliere; sono esperienza di mondialità; appartengono alla nostra storia, al nostro tempo, alla nostra vita. Occorre uno sguardo profetico, non da contabili della razza o nazionalisti.
- Oggi, la sacralità e intangibilità della vita non posso essere soggette all'arbitro di una legge che diviene un dogma assoluto, uno strumento di sterminio generalizzato e di massa, ormai ritenuta una conquista di civiltà, ma sopratutto un modo di diseducare e deresponsabilizzare rispetto alla procreazione.
- Oggi il valore del servizio, del volontariato , della gratuità, sono visti con sospetto e quasi ci intimoriscono. Eppure ciò che sfugge alla nostra civiltà perfetta, in cui tutto ha una rispondenza economica, è la gratuità dei gesti di amore. Non è ammissibile, è fuori comprensione, che si possa dare/offrire la propria vita per amore dell'altro.
- Oggi, la scelta di povertà è per noi discepoli di Gesù l'autostrada del servire i fratelli che gridano la loro impossibilità di confrontarsi con un mondo che li scarta e li relega nell'indifferenza esistenziale. Essere poveri è condividere la vita di chi è povero, è accompagnarsi a tutti ...
Oggi, in questo nostro mondo Gesù ci offre la possibilità di bere al Suo calice e di immergerci nel Suo battesimo, non possiamo restare latitanti e vigliacchi; noi abbiamo una visione diversa rispetto alla proposta dei grandi della terra.
Gesù continua a ripetere che "Tra voi non così! ... Chi vuole diventare grande tra voi sia il servitore di tutti". Una vita di servizio non genera una vita da servi, da schiavi, ma genera la vicinanza più prossima al mistero di Dio che si fa uomo. Dio si fa nostro servo! È Lui che si inginocchia ai piedi di ogni suo figlio, si cinge un asciugamano e lava i piedi, e fascia le ferite. L'unico modo perché non ci siano più padroni è essere tutti a servizio di tutti.

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