giovedì 7 febbraio 2019

Ebrei 12,18-24 e Marco 6,7-13
Ciò che fa la differenza ...

Un poco alla volta, la eterna agli Ebrei arriva al culmine e il capitolo dodicesimo sembra proprio raccogliere la conseguenza di chi, presa consapevolezza della propria chiamata, accoglie Cristo come condizione nuova di esistenza.
Se infatti ci è famigliare tutto ciò che viene richiamato facendo riferimento a Esodo 19: il monte; il roveto; la presenza di Yhwh; tutto questo viene racchiuso nella espressione "non vi siete avvicinati a ...", lasciando tutto immerso nella paura, in un timore disarmante; la nostra ricerca di senso, invece, supera ogni desiderio di dottrina, per dilatarsi e lasciarci avvicinare dal Signore. Che cosa rappresenta Gesù? Il Signore condivide con noi la sua esperienza di "Gerusalemme" come compimento glorioso del suo essere uomo; condivide con noi il dono della sua vita come offerta sacrificale del suo sangue innocente; condivide con noi la sua risurrezione come condizione di eternità rivelata e partecipata nel tempo della nostra esistenza. Gesù condividere con noi tutto ciò che lui stesso traduce, comunica e rappresenta nella "novità" che è il Vangelo. Gesù stesso rappresenta tutto ciò a cui noi ci avviciniamo: "... al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele". 
Se l'accostarci a Yhwh, lasciava tutti nella paura, l'accostarci a Gesù conduce tutti nella tenerezza della misericordia: non può esistere "paura" per coloro che si accostano a Gesù desiderando di essere amati e di poter amare amore.

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