lunedì 26 agosto 2019

1 Tessalonicesi 1,2-5.8-10 e Matteo 23,13-22
Quando imbrigliamo la libertà dei figli di Dio

Lo scontro col legalismo dei farisei è ben presto la causa scatenante delle opposizioni che Gesù si trova ad affrontare. Ma questa situazione non si esaurisce in quel fatto storico, essa rappresenta ma costante rispetto alla proposta del Vangelo. È una vera tentazione quella dei farisei,  di allora e di sempre, come pure di quelli moderni, cioè di trasformare il senso religioso in una forma di spiritualismo, di ritualismo, mettendogli le briglie del legalismo, reprimendo la bellezza della libertà e della relazione figliale con Dio. Questa non è soggettivismo, ma rappresenta il costante e continuo "convertirsi in Cristo", così come Paolo ci testimonia della comunità di Tessalonica: "Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro."
L'ipocrisia dei farisei, e del fariseo che può nascondersi in noi, si vince con una preghiera di comunione nella Chiesa, con un agire frutto di una fede operosa, con un amore coraggioso che non si trattiene nella fatica e con ogni speranza riposta in Cristo.
Fariseo è l'uomo religioso che giunto al bivio del cuore sceglie il legalismo rinunciando alla libertà di amare Dio per limitarsi ad un atteggiamento rigoroso e obbediente, ma non da figlio. L'amore di un figlio si rivela nella libertà e nella verità di dimorare nel cuore del Padre.

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