domenica 5 giugno 2022

Lo Spirito nella Pentecoste

At 2,1-11; Sal 103; Rm 8,8-17; Gv 14,15-16.23-26

Un Dio Padre creatore, un Figlio creativo e come conseguenza uno Spirito libero e imprevedibile nel suo agire e operare.
A questa originalità contrapponiamo la nostra prassi un poco ripetitiva a causa della consuetudine liturgia, dove i tempi ‘forti’ sono l'Avvento e la Quaresima, e poi perché ci sono le festività più quotate quali il Natale e Pasqua.
Ecco che tutto il mistero dello Spirito rischia di essere inglobato in una prassi sterile in cui celebriamo dei sacramenti ma non la vita, e neppure la nostra fede.
Quando la preoccupazione per la macchina pastorale delle nostre parrocchie, diviene la motivazione del nostro, pensare la comunità, la Chiesa e forse anche il nostro essere cristiani, allora tutto il nostro sguardo si fissa su ciò che appare, che non è essenziale: ci accontentiamo di un mese di maggio frettoloso e tradizionale; facciamo di tutto per celebrare i sacramenti, giustificando ogni possibile contrarietà; oggi poi tutto diviene attesa del tempo di vacanza in questa estate che incombe; emergono le iscrizioni all’oratorio estivo … ai campi e quant’altro riempie la nostra quotidianità.
Ma ecco che oggi, in tutto questo, quasi da un angolo dimenticato, nel frastuono di chi viaggia e del ponte del due giugno, spunta la Pentecoste, un evento di calendario, che ormai per tanti è senza contenuto, una festa senza dolce: né panettone e neppure colomba.
A cosa ‘serve’ dunque lo Spirito Santo. A forza di dire che è il consolatore, il paraclito, ci siamo adeguati all'idea di una ennesima divinità che dopo qualche effetto speciale (tuoni e filmi, lingue di fuoco e lingue molteplici ...) – ci lascia con la patata bollente dell’annuncio del vangelo in questo nostro mondo, consegnandoci a un'esperienza in cui la fede è più frutto, se va bene, di un vangelo trasformato dai sensi di colpa e dell'incapacità di viverlo, o in un prontuario di massime edificanti, non aggiornato, e a cui facciamo fatica a dare volto e sostanza.
Per vivere questa festa, questa solennità, occorre rimettere al centro di tutto l'amore, la nostra esperienza di amare.
Amare non come conseguenza della nostra bravura e nemmeno della nostra docilità, ma come conseguenza di una scoperta straordinaria: L'amore è ciò che tiene insieme ogni cosa, non sarebbe possibile separare l’amore di Dio e l’amore del prossimo, se questo amore non fosse parte del nostro esistere e della nostra struttura umana. Ecco amare è parte di noi stessi, è inseparabile da ciò che siamo.
Ma allora in cosa consiste l’amore che è lo Spirito Santo?
Consiste nell'esperienza dell’amore di Dio che è la vita stessa Gesù, il modo in cui lui ama, e ci ama: in modo unico, straordinario e sublime; e senza mai nulla pretendere...
A cosa ‘serve’ dunque lo Spirito Santo? A farci restare nell’amore che Gesù ci ha donato senza misura.
Lo Spirito ci insegna, ci suggerisce e ispira uno stile; offre un incoraggiamento; è memoria creativa della vicenda umana di Cristo.
A cosa serve lo Spirito?
Serve a misurare nella nostra umanità il fermento di quell'amore capace di renderci felici, di renderci immagine di Gesù, che tutto di sé ha dato per amore nostro. Lo Spirito ci introduce nella strada che già molti uomini e donne hanno percorso, amando con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. E con tutta la gioia che solo l'imprevedibilità dello Spirito sa tirar fuori da ciascuno.

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