venerdì 7 aprile 2017

Geremia 20,10-13 e Giovanni 10,31-42
"...  il Padre è in me, e io nel Padre ..."


Gesù figlio di Dio è una espressione che in duemila si è caricata sì un senso di ovvietà che rischia di perdere la sua forza kerigmatica.
Il trascorrere del tempo e l'inerzia dei credenti, annulla anche l'effetto di quelle parole e ciò che suscitò nei giudei, allorquando Gesù iniziò ad applicarla a sé stesso e a farne contenuto di rivelazione.
Ascoltando il Vangelo, o anche solo leggendolo, siamo invitati a ritornare realmente al momento in cui quelle parole furono dette; solo così se ne comprende la forza: Gesù dovette fuggire oltre il Giordano per salvarsi dalla reazione dei giudei che volevano lapidarlo. Dichiararsi "figlio di Dio" oggi significa giudicare la storia passata e presente attraverso un "mistero", attraverso un fatto e una esperienza: Dio stesso nasce e vive come uomo, muore come uomo, ma resta Dio e risorge dalla morte come Dio della vita.
È questo uomo, Gesù il Cristo, che oggi è giudice e giudizio per il tempo e per le nostre vicende umane. Quando dimentichiamo o neghiamo che Gesù è il "figlio di Dio", lo sguardo sulle "cose" si restringe alla sola possibilità dell'uomo: miopia ....

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