domenica 29 aprile 2018

Atti 9,26-31 / Salmo 21 / 1 Giovanni 3,21-24 / Giovanni 15,1-8
Rimanere uniti a Gesù!

C'è una immagine nel Vangelo di Giovanni (15,4-8) piena di suggestione e verità: "Rimanete uniti a me, e io rimarrò unito a voi. Come il tralcio non può dare frutto da solo, se non rimane unito alla vite, neppure voi potete dar frutto, se non rimanete uniti a me. Io sono la vite, voi i tralci. Se uno rimane unito a me e io a lui, produce molto frutto; senza di me non potete fare nulla. Se uno non rimane unito a me, è gettato via come i tralci secchi e che la gente raccoglie e bricia!"
Questa immagine del vangelo di Giovanni, è stata collocata nella narrazione del vangelo dopo l’ultima cena, dopo che Gesù ha manifestato ai discepoli in quale modo è possibile rimanere con Lui e legarsi a Lui: nel servire come lui ha servito …; quel lavare i piedi crea un legame di amore strettissimo, un legame che produce frutti di amore. Ma dopo Gesù ha concluso con il segno del pane e del vino …: il suo donarsi totale, il dare la sua vita per rendere la nostra vita come la Sua, per nutrirla, per farla come quella di Dio Padre.
Ma se noi non ci fidiamo della bontà di essere come lui, se in realtà vogliamo prevalere su di lui ... siamo come il tralcio o il ramo che non vuole restare unito alla vite, all'albero.
Che cosa pensa il ramo della sua vita? Cosa pensiamo noi della nostra vita?
Perché siamo così scontenti da volerci staccare?
Forse siamo già staccati; ci siamo uniti a una vite selvatica che ci fornisce un’altra linfa … 
Forse la linfa che scorre in noi è la vita del mondo con tutta la sua superbia e vanità?
Amiamo forse più la libertà di fare quello che ci pare, piuttosto che la libertà dei figli di Dio, che è la libertà di amare oltre all’interesse personale e particolare?
Come puoi sentirti libero quando sei staccato dalla vera vite?
In che senso Gesù dice anche a noi: “Io sono l’albero e voi siete i rami?”.
In che modo la linfa di Gesù scorre anche in noi, che siamo suoi rami?
Come deve comportarsi, secondo voi, un piccolo ramo per restare unito a Gesù? Quali sono i frutti che porta il “ramo” unito a Gesù?
Credo che per rimanere uniti a Gesù, ora occorre dirsi ancora una volta se ci interessa vivere ed essere come Lui ci ha insegnato; essere come il Padre ci suggerisce di essere per raggiungere la vera felicità e non diventare un ramo superbamente secco.

1 commento:

  1. IL RAMO RIBELLE (di Bruno Ferrero)

    Il castagno allargava con la sua chioma su un angolo del giardino pubblico sopra due panchine e una vasca con la sabbia per i giochi dei bambini. L’albero donava con generosità la sua ombra e in autunno anche gustose castagne che facevano la felicità dei bambini, dei barboni e di una famiglia di topolini che vivevano tra le radici di una immensa magnolia che sorgeva poco lontano. Tutta la gente della città amava moltissimo l’albero. “E’ veramente una bella pianta!”, dicevano indicandolo. Le nonne sedute sulla panchina facevano la maglia. I bambini giocavano ad arrampicarsi, si aggrappavano al tronco rugoso. Gli innamorati scrivevano i loro nomi nella corteccia con la data: “Giovanni e Marisa, 29 aprile 2018”. Per non parlare degli uccelli. Sul grande albero abitavano tre famiglie di cardellini, due di tortore e perfino una gazza distratta. L’albero era profondamente felice. Sentiva di realizzare ciò per cui era stato creato, perché un albero è fatto per donare.
    Un albero è felice quando gli portano via i frutti.
    È felice quando dona la sua ombra anche a chi lo abbatte.
    Infine è felice quando sacrifica se stesso per diventare un mobile, un libro o anche soltanto qualche ora di calore.
    Ma non tutti da quelle parti condividevano la felicità dell’albero...
    “Basta! E’ un’ingiustizia! Non ne posso più! A lui tutto a me niente!”. Chi brontolava così era un ramo. Un magnifico ramo, in alto a destra, che scuoteva con rabbia le foglie: “L’albero, sempre l’albero! Ma sono io che faccio tutto. Io porto le foglie, porto i ricci che oltretutto pungono, e faccio maturare le castagne. Quando potrei riposare un po’, le foglie cadono e resto qui spogliato a prendermi tutto il freddo e il gelo dell’inverno, i colpi di vento, la pioggia e la neve…”. Il ramo era veramente furibondo. L’albero cercava invano di farlo ragionare: lo invitava alla pazienza, alla comprensione, ma il ramo ribelle aveva già escogitato un piano di fuga. Se ne sarebbe andato, si sarebbe staccato dall’albero e si sarebbe messo a vivere per conto suo. Un giorno di marzo, un vento burlone e irruente si divertiva a mulinare intorno all’albero. Il ramo decise che era venuto il suo momento.
    “Vento, ho bisogno di un favore”, chiese, con una punta di umiltà che non gli era propria.
    “Come sarebbe? Voi rami di solito detestate venti e bufere”, soffiò il vento, turbinando. “Staccami dall’albero”, ribattè il ramo. “Sei impazzito? Vuoi che rovini un albero così bello?”. Il vento era sorpreso. “Tu non ci pensare. Portami via di qui”, ribattè il ramo con decisione.
    “Come vuoi… Aleeeeeeeee!”, sibilò il vento e ... con uno schianto terribile, il ramo si staccò dal tronco. “Evviva, volo!”, gridò il ramo, strappato dal vento e sollevato sopra il recinto del giardino. “Finalmente sono libero. La mia vita comincia adesso”. Il ramo rideva ed esultava. Neanche le lacrime che scendevano silenziose dalla ferita dell’albero lo commossero. Portato dal vento, che soffiava violento con tutte le forze che aveva, volò oltre il fiume e atterrò su un pendio erboso. “Ora decido io”, pensò mentre si sdraiava dolcemente nell’erba. “Dormirò fin che voglio e farò quel che mi pare e piace.
    Una formica gli fece solletico e cercò di cacciarla, come faceva lassù, quando era attaccato all’albero, ma non ci riuscì.
    Uno strano torpore si impadronì di lui.
    Non riusciva più a respirare bene.
    Dopo qualche ora, le foglie cominciarono ad appassire.
    La linfa, che era la sua vita e che l’albero generoso aveva sempre fatto scorrere in lui, cominciò a mancargli. Con infinita paura, si accorse di aver già cominciato a seccare. Gli venne in mente l’albero, e capì che senza di lui sarebbe morto. Ma era troppo tardi. Avrebbe voluto piangere, ma non poteva perché ormai era diventato solo un inutile ramo secco.

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