martedì 17 aprile 2018

Atti 7,51-8,1 e Giovanni 6,30-35
Il pane è colui che discende dal cielo

Le prospettive che il capitolo sesto di Giovanni apre a chi legge sono incredibili: in nessun testo del Nuovo Testamento, si afferma la straordinarietà del pane eucaristico come identificazione del corpo del Signore. Da qui si intuisce come il segno del pane non sia passato in modo facile nella convinzione della comunità giovannea, e forse neppure nelle altre prime comunità. Dal "fare questo in memoria di me" al riconoscere nel segno la stessa è inequivocabile presenza del corpo risorto del Signore, passa una discreta differenza. Potremo dire che in Giovanni viene documentato il percorso "teologico" attraverso il quale si arriva a o prendere consapevolezza del senso della presenza reale, eucaristica. Per cui il pane dato con abbondanza da Gesù non si accomuna al pane dato nel deserto per sfamare il popolo dopo l'uscita dall'Egitto. Non è un segno commemorativo. Come Segno rimanda subito al Cielo e a colui che è capace di donare il pane: Dio, il Padre. Il segno del pane acquista significatività in forza del corpo risorto di Gesù, anzi è proprio a partire dalla sua risurrezione che "questo è il mio corpo", ci interroga sulla natura del corpo e sulla sua materialità. Per questo l'espressione: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!", ci invita ad avvicinarci a Gesù, con la fede del discepolo che non si accontenta di un segno di conforto, ma che desidera e trova il segno della vita divina, quella eterna.

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