sabato 13 aprile 2019

Ezechiele 37,21-28 e Giovanni 11,45-56
Il mio santuario sarà in mezzo a loro per sempre ...

Ezechiele è un giovane deportato a Babilonia alla caduta di Gerusalemme del 597 a.C.; questa esperienza segna oro fondamento l'attesa è i desideri del profeta, ma è questo suo trascorso il veicolo attraverso il quale la profezia assume i toni sorprendete del ritorno nella terra, fino a comprendere la missione universale di Israele nei confronti di tutti i popoli: preludio al popolo santo e alla dimora di Dio con gli uomini per sempre.
È questa immagine di Esechiele che accompagna questo sabato della quinta settimana di quaresima, che precede la "Domenica delle Palme"; domani tutta la liturgia entra nella gioia ed esaltazione della gloria del Signore e della sua Passione di morte in croce.
Anche il Vangelo proposto in questa giornata permette di intravvedere la gloria e la Passione come elementi dinamici della narrazione della salvezza. È la parte conclusiva del Vangelo della risurrezione di Lazzaro, che è preludio al complotto che permetterà di mettere a morte il Signore. È una scelta politica, una scelta di stato, ma anche il frutto di una religiosità che ora è solo potere e asservimento del popolo santo.
La profezia di Ezechiele ci riporta alla vicinanza di Dio, a Yhwh come Padre che cammina insieme al popolo verso la Terra della Promessa; del Dio che non viene meno all'amicizia con Abramo; al Dio che sceglie Isacco (il figlio) e lo consacra nel segno dell'agnello come sua delizia e propiziazione; al Dio di Israele, del popolo pellegrinante e del popolo che nasce dalle reni di Israele, ovvero Giacobbe. Ecco allora che tutta la vicenda umana è nel suo susseguirsi di eventi, fatti e protagonisti partecipi della rivelazione di Yhwh. Noi pensiamo sempre al Santo e al Santuario come realtà divina che si aggiunge, ma sottovalutiamo la realtà della presenza. Il Suo dimorare (di Dio) storicamente e concretamente nei segni, esprime il Suo esserci ed essere dimora della vita dell'uomo, di ogni uomo.
Non esiste l'assenza di Dio, la separazione da Dio. Esiste il nostro sottrarci a Dio, il nostro decretarne la morte, la nostra indifferenza rispetto al Suo amarci. Ma la presenza di Dio precede ogni nostra esistenza. La sua presenza è un "per sempre" che prosegue e ci precede, è presenza eterna. Con stupore allora possiamo riconoscere e contemplare, quando accadono puntualmente, i segni della sua presenza: quando le promesse fatte ai padri trovano pienezza; quando alla sacrificio del Figlio corrisponde il frutto della vita che rinasce sempre; quando i segni dell'amore del Padre trovano eco e risonanza nelle opere dei figli degli uomini.

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