mercoledì 11 settembre 2019

Colossesi 3,1-11 e Luca 6,20-26
Tutto è di Cristo; in tutto è Cristo!

Ci sono due fuochi, non contrapposti, ma comunque differenti rispetto ai quali, oggi la lettura della Scrittura ci guida.
Da una parte Colossesi, che trascendendo un insegnamento morale, progressivamente ci introduce nel mistero di Cristo. Con meraviglia siamo di fronte a un condensato di Cristologia, forse Paolo, in queste righe offre realmente tutta la sua introspezione circa la conoscenza che ha del Signore. Insieme al prologo giovanneo, questa lettera ci permette di spaziare le possibili interazioni tra Gesù, l'uomo e la realtà; ponendo ciascuno discepolo in quella prospettiva ordinaria di colui che si riveste di novità: "(egli) ... si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato."
Dall'altra il Vangelo, con le "beatitudini lucane", ci offre lo sguardo di Gesù, sui discepoli che ha chiamato a se e sulla gente che continua a seguirlo, a cercarlo. È ha questi che Gesù rivolge la sua premura, nelle parole che esprimono le beatitudini. Non sono quindi un insegnamento alto e generico. Ma la rilettura della realtà. Gesù vede la povertà, il limite, la fragilità e tutta la necessità di un compimento che solo nella partecipazione al regno dei cieli, può trovare giusta compensazione, cioè beatitudine. Si è beati se si è poveri del regno dei cieli. Sua come esperienza di umanità, sia come condizione di ingiustizia, la povertà è comunque lo spazio in cui il mistero di Dio si avvicina, si accosta all'uomo.
La "beatitudine" come felicità che "riempie", sazia la fame; consola il pianto; si compie nell'ora presente ed in modo esplicito in Gesù, proprio nella corrispondenza alla chiamata che è infamia per il semplice fatto di appartenergli. Così come può sembrare assurda la "povertà beata", parimenti si è "beati" nell'essere "infami" di Cristo.

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