domenica 30 maggio 2021

Insegnamo le cose che Gesù ci ha comandato.

Dt 4,32-40; Sal 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20

 

Quando sentiamo la parola insegnare, subito un pesante pensiero corre alla scuola, al catechismo, allo studio e agli esami ... Peggio ancora se tutto converge al ricordo di precetti e delle norme morali insegnate con autorità divina.

Ripercorrendo la pagina del Vangelo, credo di poter dire senza ombra dubbio è senza essere frainteso che per Gesù insegnare è stato prima di tutto una esperienza di vita, una vicinanza, una amicizia intima e profonda. 

Gesù non accetta distanze, non è stanco di avvicinarsi e di spiegare; non è stanco di attendermi nella mia lentezza a credere, ma si avvicina, occhi negli occhi, respiro su respiro. È il viaggio eterno del nostro Dio “in uscita”, incamminato per tutta la terra, che bussa alla porta dell’umano. E se io non apro, come tante volte è successo, lui tornerà, fino alla fine del mondo.

Oggi, per noi il rischio quello di trasformare questa vicinanza vissuta da Gesù, in un ricordo passato, scritto in un libro, e tutto quanto riassunto in affermazioni teologiche per fissare in modo stabile il mistero di Dio.

Sì … perché, proviamo a spiegare, o a insegnare chi o cosa è Dio; proviamo a parlare di Trinità oggi! È tanto difficile per quanto è poco interessante; il complesso teologico che è ha fondamento del dogma trinitario, oggi, è privo di ogni attrattiva.

In quale modo possiamo oggi parlare di Dio? Gesù ai discepoli in un modo quasi didattico e catechistico, dice di battezzare, cioè immergere nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo e di insegnare ciò che ci ha comandato ...

Cerchiamo di attualizzare in un linguaggio adeguato alla situazione. La nostra quotidianità è segnata profondamente dalla secolarizzazione che porta con sé il desiderio di autonomia e di affrancamento da ogni forma religiosa che condizioni la vita. Il mondo digitale e virtuale nasconde la possibilità di un Dio auto-compreso e auto-referente, un dio digitale e informatico che risponde ad ogni domanda.

La situazione, poi, di estrema impotenza e fragilità sperimentata con la pandemia, evidenzia che il Dio tradizionale è il grande assente che ha lasciato ogni possibilità alla scienza e alla medicina.

Forse dobbiamo ammettere che non abbiamo "immerso" nessuno in Dio Padre, Figlio e Spirito, e che neppure abbiamo insegnato ciò che ci ha comandato ...

Ciò che difetta nel nostro insegnare è la possibilità dell'“incontro”. Una esperienza che consente di andare direttamente al cuore dell’umano. Come può oggi la Chiesa raggiungere questo “cuore”? Cosa vuole dire incontrare?

Papa Francesco dice che la teologia, non può essere astratta ma deve nascere nasce dall’incontro col Verbo fatto carne!

La teologia è chiamata allora a comunicare la concretezza e tenerezza del Dio amore.

Oggi, infatti, ci si concentra meno, rispetto al passato, sui concetti teorici ma più sul “sentire” sullo sperimentare.

Può non piacere, ma è un dato di fatto: le persone partono da quello che sentono. La teologia non può certamente ridursi a sentimento, ma non può nemmeno ignorare che l’approccio alle questioni vitali non inizia più dalle domande ultime e di senso, ma da ciò che la persona avverte emotivamente. Ma d'altronde Gesù cosa è come ha insegnato se non ad amare Dio e il prossimo attraverso una amicizia concreta e personale, ha insegnato ad amare, amando. Ha raccolto il bisogno viscerale dell'uomo, di essere amato, per collocare il suo amore. L'amore non si insegna con un approccio teoretico, l’amore si insegna a partire dalla dimensione emotiva della persona. L’uomo di oggi è, nella sua fragilità risulta  particolarmente ricettivo alla dimensione affettiva, al sentirsi amato, voluto bene ...

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