martedì 25 maggio 2021

Lasciare tutto? No!

Siracide  35,1-15 e Marco 10,28-31

La parola "lasciare" già di per sé suscita in noi un grande turbamento, ad alcuni pure angoscia; credo che la motivazione principale sia che in forma estrema, questa parola rimanda alla nostra morte, quando dovremo, per forza, lasciare questo mondo, senza nulla obiettare, nonostante non lo vorremmo mai lasciare.
Si potrebbe argomentare mettendo in luce come il nostro bisogno di relazione con le persone e le cose si oppone all'esperienza di lasciarle.
Ma può il cristianesimo fondarsi su una priorità esistenziale che pone il lasciare come condizione per appartenervi? Sembra in questo senso la domanda di Pietro!
Credo che se ci fissiamo sull'esigenza di lasciare tutto, per poter essere discepoli di Cristo, o per poter annunciare con libertà il Vangelo, pochi, molto pochi saranno disposti a un simile cambiamento di vita.
Il verbo lasciare, rappresenta, nell'espressione greca, una vasta gamma di sfumature di significato, dal perdonare, all'attendere, al pazientare ... come anche al separare decisamente. Ma di fronte all'esperienza che i discepoli, per bocca di Pietro hanno fatto, cioè la privazione di una parte importante dei loro affetti, dei loro legami, delle loro "cose", Gesù oppone una visione inclusiva del "lasciare", che invece di precludere, dilata la possibilità di affetti, legami e cose.
Credo che nell'idea di Gesù, il lasciare non sia una rinuncia, ma una vera esperienza di libertà e maturità. Spesso infatti, il possesso, uccide la nostra capacità di amare, il "lasciare" invece esprime uno spossessarsi per amare ancora di più, alla grande ... Includendo "tutto" dentro la mia piccola esperienza di vita.
Il "Lasciare" non va oggettivizzato troppo, ma è invece, una proposta interessante, alquanto contro corrente, un'importante esercizio di quotidianità: includere!


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