sabato 26 gennaio 2019

2 Timoteo 1,1-8 e Luca 10,1-9
Ravvivare il dono di Dio ... = esercizio della vita.

Quale dono abbiamo ricevuto? Diamo per scontato avere ricevuto la testimonianza di qualcuno che parlandoci di Gesù e raccontandoci come Gesù ha vissuto, ha messo in noi il seme della fede, cioè l'intima idea, non nostra, che Gesù è la vita, egli è manifestazione concreta della grazia, della misericordia e della pace di Dio Padre. Quando dico che ho ricevuto il dono della fede, arrivo immediatamente al segno del Battesimo e della Cresima, senza passare attraverso la testimonianza di chi, con la vita, mi ha mostrato la medesima grazia (amore incondizionato che è la vita di Dio); la traboccante misericordia (amore che si rigenera sempre nel perdono); la consolazione della pace ( amore che si fa abbraccio, comunione e accoglienza). La fede trova così la sua dimensione esistenziale, e non solo la traduzione teologica e intellettuale. Questo dono, Tito lo ha ricevuto, attraverso la testimonianza di Paolo e della "nonna Lòide e tua madre Eunìce"; esso va reso vivo, o meglio, va ravvivato, è come brace che non si estingue, ma può nascondersi sotto la cenere dei nostri fallimenti e peccati.
La fede, che per Tito significa anche il ministero sacro ("che è in te per l'imposizione delle mie mani"), si rende viva - dice Paolo - con il coraggio della testimonianza. Tale testimonianza è forza cioè virtù che esprime amore al bene e combatte ogni genere di male; è carità che completa e compensa ogni fragilità della nostra umanità; è prudenza: una strana espressione per dire che la fede non è avventata e impulsiva, essa è forte e stabile della solidità del Signore; la prudenza ce lo ricorda sempre.

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