martedì 21 gennaio 2020

1 Samuele 16,1-13 e Marco 2,23-28
Il sabato e il nostro cuore

Al tramonto del venerdì, quando il sole scompare all'orizzonte si accendono le prime luci del sabato ... ed ecco che dal silenzio dell'attesa inizia la festa, inizia il "Shabbat". Tutto è un correre, un preparare, tutto è canti e danze,  è Festa a Grande per onorare e obbedire al Yhwh. Questa gioia che ogni sette giorni ancora oggi si rigenera nelle comunità ebraiche è la medesima festa e la medesima gioia che Gesù ha nel cuore che sperimenta e vive come ebreo. Che cosa è il Sabato per un ebreo? 
Il "Sabbath", non è una festa, ma la festa nel senso più pieno. Celebra infatti il compimento divino del più grande miracolo umanamente immaginabile: l’esistenza del mondo. Non solo, del mondo questo giorno settimo, che Dio ha comandato di santificare, rivela il senso e la vocazione nonché la trascendenza.
«Lo shabbat è stato osservato da Dio prima che dall’uomo, scriveva nel XIX secolo il rabbino livornese Elia Benamozegh, ed è proprio perché Dio lo ha osservato che è stato comandato all’uomo di osservarlo a sua volta». È utile, poi, sapere che l’insegnamento di Gesù sul «sabato che è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» era un’idea diffusa in tutto il giudaismo farisaico dei primi secoli. La si ritrova, con spiegazione annessa, nel Talmud, trattato Yomà, che è dedicato al 'sabato dei sabati' ossia al giorno di Kippur: «A voi uomini è stato dato lo shabbat: ciò comporta che ci sono situazioni in cui si deve osservare lo shabbat e situazioni in cui si può profanarlo non osservandolo se ciò è richiesto dalla salvaguardia della vita». Quanti fraintendimenti e quanto pregiudizio antiebraico è stato costruito su quest’affermazione evangelica, che comparando le fonti trova invece Gesù e i farisei in piena sintonia di vedute.
Vivere la festa, è il vero senso del precetto e del comandamento, cioè fare della vita la festa dell'incontro con Yhwh.

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