martedì 28 aprile 2020

Atti 7,51-8,1 e Giovanni 6,30-35
Io sono il pane della vita ...

Questi versetti del Vangelo di Giovanni vanno al cuore, essi sono una sintesi straordinaria di tutte e tre le domande che ieri abbiamo messo all'inizio della lettura e meditazione del capitolo sesto del Vangelo.
Chi è Gesù, quale pretesa di identità: "Io sono" (Yhwh); "il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo".
Quale è il senso di queste sue parole: sono dono diretto del Padre; "è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero".
Quale pretesa ha questo pane donato: "Io sono il pane della vita ..."
La conseguenza della triplice comprensione del Pane è il superamento del segno come evento straordinario di popolo: la moltitudine che ha mangiato; non è quel consenso molteplice che imprime significato; il superamento del segno come elemento esclusivo e preferenziale per qualcuno, il pane del cielo è la vita del mondo, non è come la manna, che era solo per Israele. Il superamento del Segno diviene ancora più evidente nella percezione delle parole di Gesù come il suo coinvolgersi con la vita collettiva di tutti e personale di ciascuno.
Essere Lui il Pane, cioè il nutrimento per la vita del mondo, significa centrare in pieno la rilevanza cristologia rispetto a ciò che esiste e rispetto a noi stessi.
Se oggi, assistiamo alla messa a margine della esperienza di fede, considerata meno del bisogno di tabacco, e che questa mentalità comune, si è diffusa ed esprime una irrilevanza che appartiene anche a moltissimi cristiani; essere il pane della vita non è semplice riferimento alla presenza reale nell'eucaristia ma esprime la rilevanza di Gesù nella vita. Essere Pane, dice l'urgenza del Vangelo come motore delle scelte e della propria vocazione. Se Lui è il Pane della vita, mangiando quel Pane, io stesso divento con Lui Pane della vita.

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