domenica 17 luglio 2022

Ospitalità ... è la parte migliore

Gn 18,1-10; Sal 14; Col 1,24-14; Lc 10,38-42

Dopo l'assemblea dell'Unità Pastorale dell'altra sera (14 luglio) non poteva esserci un vangelo più adatto a rimettere al centro del nostro progetto pastorale, non noi stessi, i nostri progetti personali, le nostre tradizioni sbiadite; non le nostre rigidità anacronistiche e spesso incapaci di comunicare la fede, ma Gesù. È lui la sola, vera, parte migliore, che non è detto che corrisponda a ciò che fino ad ora abbiamo sempre proposto, in un modo alquanto ripetitivo come esperienza comunitaria e di fede. Partiamo da cosa significa essere una comunità accogliente?
Ce lo ricorda papa Francesco quando ci ripete che la nostra missione è quella di vivere la comunione con Dio e tra noi sul modello della comunione trinitaria: per farlo occorre uscire da noi stessi e dai nostri stereotipi.
“Siamo chiamati a vivere non gli uni senza gli altri, sopra o contro gli altri, ma gli uni con gli altri, per gli altri, e negli altri. Questo significa accogliere e testimoniare concordi la bellezza del Vangelo; vivere l’amore reciproco e verso tutti, condividendo gioie e sofferenze, imparando a chiedere e concedere il perdono, valorizzando i diversi carismi sotto la guida dei Pastori”.
Queste parole esprimono anche l'identità della nostra Unità Pastorale.
Ecco allora che occorre urgentemente che ci mettiamo in cammino insieme, nell’ascolto reciproco, nella condivisione di idee e progetti, per far vedere il vero volto della Chiesa: cioè di una casa ospitale, dalle porte aperte, abitata dal Signore e animata da rapporti fraterni, una comunità cristiana-Chiesa accogliente, ospitale.
Ma come può esserlo se non siamo capaci di essere accoglienti tra di noi nella comunità? Come è possibile se prevalgono sempre le vecchie idee separatiste, se non proviamo a esercitarci nell'ospitalità, ma ci arrocchiamo nei nostri preconcetti.
Quando la comunità la percepiamo come un nemico del nostro attaccamento ai sacrosanti valori del passato e della nostra storia ... Ma se quella storia in realtà è già morta in sé, perché la Chiesa è già più avanti rispetto al nostro immobilismo e alle nostre resistenze?
Per fare Unita Pastorale, occorre prima di tutto esserlo, e non si fa finta di esserlo; per esserlo occorre essere ospitali gli uni gli altri e azzerare le pretese soggettive e gli egoismi personali di cui siamo abilissimi a rivestirci giustificandoli in cento modi.
La parola di Dio da cui dipende il discernimento della nostra vita personale, oggi ci pone di fronte al modo di fare ospitalità e di vivere l'ospitalità.
L'ospitalità era sacra a quel tempo ... e non solo per Abramo; non solo nella cultura ebraica, dove ha sempre rappresentato un aspetto centrale della vita sociale.
Abramo, è colui che è uscito dalla sua terra per andare in un luogo che Dio gli avrebbe indicato; viene presentato come un nomade che chiede ospitalità, ma è anche colui che é ospitale verso quei tre stranieri.
A seguito di questa ospitalità c'è il compimento di una promessa inaudita e inaspettata: quella della discendenza, l'accoglienza è portatrice e generatrice di vita, di relazioni e di amorevole cura. Accogliere significa infatti fare spazio all’inatteso, che si tratti della diversità di un’altra persona, o di un evento che muta la vita. Il “fare posto” apre a ciò che è la novità dell'altro e della quotidianità.
Se accogliere è fare spazio, alla parte migliore ... allora nell'accogliere in realtà lascia spazio all'imprevedibile di Dio. Il vangelo delle due sorelle Marta e Maria ci offre il senso profondo della ospitalità come deve essere vissuta dai discepoli di Gesù.
Apparentemente l’ospitalità di Marta segue tutti i criteri di quella offerta da Abramo. Se inizialmente siamo portati ad accomunare Abramo e Marta, il testo ci svela invece che l’atteggiamento profondo del patriarca è più vicino a quello di Maria: quest’ultima è seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola; Abramo, mentre i tre viandanti mangiano, stava in piedi, in loro attesa.
Egli è capace di ascolto e di vera accoglienza, ma è questa parte che occorre scegliere, proprio perché coinvolge un atteggiamento di radicale disponibilità nei confronti dell’altro che si presenta come portatore di una diversità. Ma noi questo non riusciamo a farlo, impauriti dal sospetto e dalla diffidenza.
Facciamo mille cose per compiacere Dio e compiacere gli altri; le mille cose che facciamo ogni giorno, anche buone e belle, ma sono cose di contorno, cose che forse nessuno ce le ha mai chieste! Ma ci illudiamo di essere accoglienti e ospitali, ma a questa accoglienza comunitaria ci opponiamo, mettiamo resistenza.
Forse occorre che anziché dare e/o fare “cose” per gli altri, impariamo a “stare” con gli altri! Essere ospitali verso l'altro è ciò che da oggi dobbiamo imparare a fare. L'ospitalità ci aprirà la via per la parte migliore. Diamo alla nostra ospitalità il senso di una vera accoglienza. Diamo all'ospite la dignità propria di Cristo.

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