lunedì 12 marzo 2018

Isaia 65,17-21 e Giovanni 4,43-54
Segni, segni e segno!

Ormai lo sappiamo: i segni non sono i miracoli, ma sono la trasparenza e la rivelazione dell'agire di Dio Padre attraverso Gesù (attraverso la sua persona divina-umana) per toccare la vita di ogni uomo, per questo sono segni della "gloria". Un miracolo invece rappresenta per molti il superamento del limite, un atto della potenza che suscita meraviglia. Il segno dal canto suo, rivelando la presenza di Dio, conduce alla fede: chi è partecipe in un qualche modo del segno è provocato circa la sua stessa fede. Nel Vangelo di Giovanni, ad ogni Segno compiuto da Gesù segue l'esperienza del credere in Lui. È così quando a Cana Gesù cambia l'acqua in vino; è così a Tabga quando moltiplica il pane e quando cammina sulle acque; è così quando guarisce il paralitico alla piscina Probatica; è così quando guarisce il cieco nato; è pure crisi quando risuscita l'amico Lazzaro; ed è così anche di fronte alla guarigione di questo bambino: "e credette lui con tutta la sua famiglia".
Una particolare mi suggerisce un'altra riflessione: l'ora in cui - il padre - riconobbe che proprio a quell'ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive». Ancora una volta il tempo ospita il mistero del verbo fatto carne e della rivelazione della gloria. I segni sfuggono all'astrazione per rivelarsi nella concretezza; il segno che è Gesù stesso incide il nostro tempo per scandirne i momenti in cui la fede vince ogni titubanza e debolezza.

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