martedì 13 marzo 2018

Ezechiele 47,1-9.12 e Giovanni 5,1-16
Quell'acqua che sgorga dal lato destro dell'altare.

Se ieri nella prima lettura Gerusalemme è stata creata per la gioia, oggi, le letture trasformano la gioia in un segno concreto ed efficace. L'acqua che il profeta vede uscire dal lato destro dell'altare, e uscire dal Tempio come un torrente che porta in sé la vita, rivela ed anticipa l'espressione di Gesù circa essere Lui l'acqua viva. Questa acqua è straordinaria, porta in sé pesce abbondantissimo e le piante fruttificano e sono rigogliose al punto che diventano cibo e medicina. L'acqua della vita sgorgherà dal costato di Gesù, dalla trafittura della lancia e sarà, per tutti, un fiume di grazia e di salvezza. Dono di grazia che nutre nel segno del pane; mistero di salvezza come misericordia infinita. In questa acqua che sgorga da Cristo, la Chiesa, da sempre, riconosce il sacramento del battesimo: sono le acque in cui immergersi; sono acque navigabili; sono acque non attraversabili a nuoto, ma in cui si muore al peccato; queste acque che sono capaci di vita e di salvezza. Ed è nel segno dell'acqua che rileggiamo il Vangelo della guarigione dello storpio. L'acqua di Betzatà è per lo storpio un'acqua inaccessibile, ma Gesù gliene fa dono perché l'esistenza di quell'uomo, potesse essere per tutti segno e testimonianza certa, della novità di vita per tutti coloro che salvati da Gesù si trovano a camminare nel mondo. Chi è stato immerso nell'acqua della vita, ha in se la possibilità di non peccare più. È il rapporto inseparabile con quel l'acqua che estingue in noi la sete dei desideri, della concupiscenza e del male. Faccio peccato proprio quando mi privo dell'acqua della vita e rimango nella sete ...

Nessun commento:

Posta un commento