mercoledì 25 dicembre 2019

Isaia 52,7-10; Samo 97; Ebrei 1,1-6; Giovanni 1,1-18
Venne!

All'inizio dell'Avvento avevo proposto un percorso spirituale di preparazione al Natale attraverso la Parola in Entrata, cioè assumere dal Vangelo di ogni giorno quella parola del Signore che in modo evidente entrava nella giornata, per interesse, forza, difficoltà o altro ... Ora al termine di questo itinerario, occorre arrivare al "dunque": la parola in Uscita.
Quale parola, alla luce della vicinanza di Gesù, oggi posso esprimere a partire dal Vangelo per essere Paola in Uscita? La mia parola in uscita è VENNE. Un venire, come consapevolezza non certo del passato, ma come condizione e desiderio di pienezza.
Venne duemila anni fa, ma oggi quel VENNE, è un rimanere, per essere insieme nella fatica di rendere tutti i nostri giorni occasione della salvezza e della redenzione.
Ecco che la conseguenza della nascita umana di Gesù, figlio di Dio, ci provoca e ci coinvolge per riempire di senso la nostra stessa vita per generare un vero e continuo stato di conversione personale cioè un cambiamento negli stili di vita. È il cambiamento degli stili di vita che permette quelle svolte necessarie ad accompagnare i cambiamenti epocali, quali noi oggi stiamo vivendo. Forse passivamente, ma sicuramente con un forte smarrimento. Un disagio che si rileva nella fragilità e nell'affievolirsi della fede di tanti battezzati.
In troppi infatti, si è intiepidita la fede, in troppi le scelte di vita personale che non trovano corrispondenza nello spirito cristiano, esprimono un allontanamento di Dio dalla vita.
Al suo avvicinarsi, al suo Avvento, oggi spesso corrisponde l'esilio da Lui. Un esilio provocato dalla nostra libertà e dalle nostre scelte, che traducono una incoscienza cristiana, una NON FEDE circa la venuta nella carne del figlio di Dio.
Occorre urgentemente ripartire da quella parola che ci rende partecipi del mistero di Dio, e del suo "venire in mezzo alla sua gente", che significa la volontà di Dio di esserci per ciascuno di noi, per cui  le parole degli angeli nella notte di partirei Betlemme: "è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia", non sono l'epilogo di una favola, ma la comprensione di un mistero che coinvolge tutto ciò che esiste.
Il Vangelo dice il ricordo di quella notte, ci dice la tenerezza misericordiosa di Dio, il suo abitare ancora, nonostante tutto:
- nel nostro ricordo, quasi una stupenda nostalgia;
- nel nostro cuore cioè al centro della vita, come una necessità esistenziale.
Ed ecco che ci scopriamo incapaci di custodire il dono della fede in quel bambino nato per noi, riducendo la fede a una brutta religione e insegnando cose che non generano più pienezza di vita e relazione col mistero ... Si è infranta la mia relazione affettiva von quel bambino nato a Betlemme ... Dio è nato nel tempo e la sua nascita trasfigura ogni secolo e ogni tempo, ecco allora che "PER POTER NASCERE E VENIRE NEL MONDO, DIO, DEVE NASCONDERSI IN QUESTO NOSTRO MONDO ... 
Egli è qui presente nelle lividure e nelle ferite di questa nostra società opulenta è distratta; avanzata e schiava della tecnologia; moderna e ugualmente ingiusta ... Eppure Dio non cessa di essere presente e di coinvolgersi con noi. Dio entra nel tempo con la sua irrilevanza, ma è una irrilevanza che provoca il "Cambiamento" ovvero alla "Conversione". Oggi questa conversione supera il limite dell'agire e della morale comportamentale e diviene urgenza di una conversione Ecologica, che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che ci circonda. Essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana, ma è l'espressione più vera di chi accoglie colui che "venne tra la sua gente".

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