mercoledì 11 dicembre 2019

Isaia 40,25-31 e Matteo 11,28-30
Io riposerò voi ...

"Venite a me ...", con queste parole riproposte anche altrove nel Vangelo, Gesù esprime chiaramente non un semplice invito, ma una vera e propria chiamata. Chi va a lui, lo segue! Più che un invito sembra una implicita domanda: "cosa aspetti a seguirmi, venendo a me?" A questa domanda ciascuno di noi è obbligato a dare una risposta. E questa risposta passa attraverso il discernimento della vita: "Per chi e cosa stiamo vivendo?" Non ha senso vivere privandoci della risposta a quel "venite a me", sarebbe come eludere l'esperienza stessa della vita come "Travaglio/lavoro" dell'esistenza.
Ci accorgiamo, infatti, che Gesù ben focalizza il senso di tutta la mostra vita come "affaticati e gravati da pesi": i pesi di corrispondere alle leggi; allo stile di vita, alle convenzioni; allo occasioni in cui amiamo; ogni nostro sforzarci diventa un affaticarci, ecc ...
Ma questo non può essere il modo in cui ciascuno di noi cerca di raggiungere la "pienezza di vita", perché tutto si rivela una disumana fatica, posta tutta sulle nostre spalle. Ecco che quel "venite a me ..." si rivela anche portatore della pienezza di vita. Non fondata sui nostri sforzi e sulla sopportazione del "giogo umano", ma sulla pienezza che è il Signore stesso, perché è lui in nostro ristoro. È meraviglioso leggere in greco: "e io riposerò voi". Con questo si intuisce come il venire al Signore non è solo un andare verso, ma è un accogliere Lui, iniziando da Lui, depositando la pretesa di essere noi artefici della nostra pienezza di vita. Ecco allora che Lui è il giogo "buono" e "leggero". È un giogo come un abbraccio di tenerezza, come l'abbraccio di Dio Padre: amore che non opprime ma libera.
La mia parola in entrata oggi è: "riposo".

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