giovedì 19 dicembre 2019

Giudici 13,2-7.24-25 e Luca 1,5-25
Togli la nostra vergogna ...

La vita di Elisabetta - da quanto possiamo capire - era gravata dalla sterilità: una vergogna rispetto alle altre donne, ma forse anche qualcosa di più per una discendente del patriarca Aronne, che vedeva in questo la "fine" della promessa legata alla generazione dei figli. Ma certamente anche Zaccaria non se la passava meglio: un sacerdote che rispetto agli altri sacerdoti era privato nel dono dei figli della benedizione di Yhwh. Una "vergogna" non morale, ma esistenziale, per la quale nulla potevano interagire. L'evangelista Luca sembra voler allargare la conseguenza della pienezza del tempo, e l'irruzione del mistero, oltre la puntualità dell'esperienza di Maria e Giuseppe. Il Dio incarnato, trascina con sé un coinvolgimento che è salvezza per tutti, cioè redenzione anche per chi è da tutti considerato escluso dalla possibilità del dono di grazia. Forse anche Zaccaria ed Elisabetta, ormai si erano rassegnati a vivere la loro condizione, e la "vergogna", sarebbe stata vissuta semplicemente come un giudizio di altri. Ma ciò che siamo invitati a riconoscere - anche noi - è che il mistero del Dio che si fa uomo, coinvolge la natura umana in senso pieno e trasversale. Ecco perché la storia di Elisabetta accompagna e si intreccia con quella di Maria e Giuseppe ... Quale mistico e meraviglioso intreccio, Dio riserva per la nostra vita e la sua? Questo intreccio è pienezza di vita, ovvero la beata felicità, che deriva dal riconoscere senso e fine al nostro esserci. L'essere di Dio, l'incarnazione, ci introduce al riconoscimento della nostra pienezza.
La mia parola in entrata oggi è: "vergogna".

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