mercoledì 6 novembre 2019

Romani 13,8-10 e Luca 14,25-33
Fidarsi e affidarsi è amare

È una immagine meravigliosa quella del vangelo, quasi escatologica: tutti quelli che hanno ascoltato Gesù e sono stati toccati dalla Parola lo seguono; Il Signore è davanti a noi, ne vediamo la sagoma, le spalle, lui ci guida ... Ma ad un tratto tutto questo si interrompere, lui si ferma e girandosi repentinamente ci guarda, ci mostra il suo volto.
Chi può vedere Dio e restare in vita?
Anche Mosè vide Dio di spalle al suo passare, ma non il suo volto ...
Ora a tutti noi è dato di restare in vita contemplando il suo volto, lasciando che il suo sguardo penetri la nostra umanità: questo è il suo amarci.
È quello sguardo che l'evangelista Luca pone l'esigenza più vera e profonda della sequela del Maestro.
Non si può seguire un Dio accontentandosi di vedere le sue spalle, o di seguirne da lontano un vessillo. Il suo volto, il suo sguardo chiede amore. Questa o è il costo per seguirlo: Gesù chiede un amore più grande ... Lo ha chiesto anche a pietro come ultimo momento sul lago di Tiberiade: "Pietro, mi ami tu più di questi?"
Il Suo sguardo non chiede di calcolare possibili scenari vocazionali, e nemmeno se si é capaci di stare dentro una sequela come quella del regno dei cieli, ma chiede solo di affidarsi e di amarlo; di vivere lo spazio della nostra esistenza come esercizio della legge dell'amore. La lettera ai Romani non dice forse questo: "... pienezza della Legge infatti é la carità!"
Vivere l'esercizio quotidiano della carità come strumento e occasione per convertire la nostra disumanità in umanità, questo è compimento della sequela, e pienezza della personale vocazione.

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