sabato 22 agosto 2020

Ezechiele 43,1-7 e Matteo 23,1-12
La nostra cara ipocrisia.

Con questo Vangelo, l'evangelista Matteo inizia l'avvicinamento di Gesù alla sua passione. Sono capitoli in cui sembra quasi ripercorrere un discorso di saluto e raccomandazione. La preoccupazione di Gesù sembra essere quella di mettere in guardia dal "virus" dell'ipocrisia, così diffuso tra scribi e farisei come anche nella religiosità e nel clericalismo di ogni tempo.
Scribi e Farisei, ineccepibili, brava gente che dicono secondo la Legge di Dio ma poi vivono come dei pagani, cercando e adattandosi agli agi e al lusso dei romani.
Le loro case, non sono come quelle degli ebrei, ma in tutto rispecchiano i gusti e gli stili dei romani, questo da Gerusalemme in giudea, a Magdala in Galilea, come un poco ovunque in Israele.
Il virus della ipocrisia: "... perché essi dicono e non fanno ...". È un virus che non si estingue e dal quale stare attenti, è un virus che si nasconde in ciascuno di noi, anche in forme asintomatiche, e ci rende tutti un poco Scribi e Farisei. L'esempio più chiaro di questa condizione asintomatica è quella delle persone religiose, dove prevale il "si è sempre fatto così" e dove l'apparenza prevale sul cuore e soffoca il desiderio di libertà e verità.
"Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente." Questa immagine vidi efficace è specchio per tutti, per vedere quel male radicale che s'annida in ciascuno di noi e che poi emerge, quello Scriba e Fariseo, che è un po' il "capetto" nel quale ci identifichiamo anche noi.

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